IX.

IN QUESTO IL NOSTRO AMORE E' PERFETTO

Dio è amore

1. Ricorda la Carità vostra che ci rimane da trattare ed esporre l'ultima parte dell'Epistola dell'apostolo Giovanni; lo facciamo con l'aiuto che il Signore vorrà concederci. Siamo ben consapevoli di questo nostro debito e voi d'altra parte dovete ricordarvi di esigerne il pagamento. Proprio questa carità, che è il principale e quasi l'unico argomento di questa Epistola, rende noi debitori scrupolosissimi e voi graditissimi esattori. Vi ho definito esattori graditissimi perché dove manca la carità l'esattore diventa persona assai sgradita. Ma dove c'è carità l'esattore è persona gradita; e, a sua volta, colui dal quale si esige, pur essendo costui costretto a qualche fatica, anche lui viene aiutato dalla carità stessa che riesce ad alleggerire e persino ad annullare la fatica di lui. Non vediamo forse negli stessi animali, che pure non parlano e non hanno la ragione, e nei quali non vige la carità spirituale bensì una carità carnale e naturale, con quanto affetto i piccoli chiedono il latte alle mammelle della madre? E sebbene con forza il piccolo dia dei colpi contro le mammelle, la madre non ci bada, purché il piccolo venga a succhiare e ad esigere ciò che la carità impone di dare. Spesso osserviamo vitelli già divezzati percuotere con la testa le mammelle delle loro madri e sollevare i corpi di esse con impeto da terra, senza che esse tentino di allontanarli con le zampe; anzi, se il piccolo non s'è avvicinato a succhiare, vanno muggendo per richiamarlo a sè. Se dunque c'è in noi quella spirituale carità cui accenna l'Apostolo quando dice: "Mi son fatto piccolo in mezzo a voi, come una nutrice che circonda di tenerezza i suoi figli" (1 Tess. 2, 7), allora vi amiamo, quando vi mostrate esigenti. Non amiamo i pigri, poiché per i tiepidi nutriamo apprensione.

Abbiamo dovuto mettere da parte il testo di questa Epistola, perché nelle recenti festività abbiamo dovuto leggere altri importanti testi liturgici, che non si poteva tralasciare di leggere e spiegare. Ma adesso ritorniamo al programma interrotto e la Santità vostra presti tutta l'attenzione a quest'ultima parte.

Non so come Giovanni avrebbe potuto farci l'elogio della carità con parole più sublimi di queste: "Dio è carità" (1 Gv. 4, 16). C'è qui una lode tanto breve eppure tanto grande: breve nelle parole, grande nella penetrazione. Si fa tanto presto a pronunciare la frase: "Dio è amore"! Una frase breve, di un solo periodo, ma se la soppesi, quante cose contiene! "Dio è amore"; e Giovanni aggiunge: "Chi resta nell'amore, resta in Dio e Dio rimane in lui" (1 Gv. 4, 16). Dio sia la tua casa e tu sii la casa di Dio; resta in Dio e che Dio resti in te. Dio resta in te per contenerti; tu resti in Dio per non cadere. L'apostolo Paolo dice infatti della carità: "La carità non viene mai meno" (1 Cor. 13, 8). Come è possibile che cada colui che è contenuto da Dio?

La carità scaccia il timore

2. In questo consiste la perfezione dell'amore in noi, nel fatto che abbiamo fiducia nel giorno del giudizio: come è lui, così siamo anche noi in questo mondo (1 Gv. 4, 17). Ci dice qui in che modo ciascuno può esaminarsi sul progresso fatto in lui dalla carità, o piuttosto sul suo progresso nella carità. Infatti, se è vero che Dio è carità, Dio, né progredisce, né regredisce; dicendo allora che in te progredisce la carità, si vuol intendere che sei tu a progredire in essa. Chiediti dunque quanto sia il tuo progresso nella carità, ascolta quanto può risponderti la coscienza per conoscere la misura dei tuoi progressi.

Giovanni ci ha promesso di mostrare il segno da cui possiamo cogliere il nostro progresso con le parole: "In questo consiste la perfezione dell'amore". Chiedi pure: in che? "Nel fatto che abbiamo fiducia nel giorno del giudizio". Chi appunto ha fiducia nel giorno del giudizio, costui ha raggiunto la perfezione della carità. Ma che significa avere fiducia nel giorno del giudizio? Significa non temerne l'arrivo. Alcuni non credono nel giorno del giudizio; essi non possono certo avere fiducia in quel giorno in cui non credono. Ma costoro lasciamoli pure da parte. Dio un giorno li susciterà alla vita, ma ora a che pro interessarci di morti, quali essi sono? Essi non credono che ci sarà un giorno del giudizio, non lo temono e naturalmente neppure lo desiderano, tutto questo perché non credono. Se uno comincia a credere che verrà il giorno del giudizio, da quel momento comincerà anche a temerlo; ma se uno teme, non ha fiducia nel giorno del giudizio, né la carità in lui è ancora perfetta. Che fare allora? Disperarsi? Ma perché non sperare che ci sarà la fine in ciò che vedi che c'è stato l'inizio? Quale inizio? mi chiederai. Quello del timore. Senti cosa dice la Scrittura: "Il timore di Dio è il principio della sapienza" (Sap. 1, 16). Quando si incomincia a temere il giorno del giudizio, ci si incomincia anche ad emendare, ed a combattere i nemici che sono i propri peccati. Si incomincia a risuscitare interiormente e a mortificare le proprie membra terrene, secondo le parole dell'Apostolo: "Mortificate le vostre membra terrene" (Col. 3, 5). Membra terrene sono - a detta dello stesso Apostolo - i desideri colpevoli, come spiega subito dopo, "l'avarizia", "l'impurità", ed altri vizi di cui ci dà l'elenco. Chi ha incominciato a temere il giorno del giudizio, quanto più mortifica le membra terrene tanto più risuscita ed irrobustisce quelle celesti. Membra celesti sono tutte le opere buone. Sviluppandosi le membra celesti, si incomincia anche a desiderare ciò che prima si temeva. Chi prima temeva il ritorno di Cristo, perché pauroso che Cristo avrebbe trovato in lui un empio da condannare, ora desidera che egli venga, poiché potrà trovare in lui un giusto da premiare. Dal momento in cui un'anima casta desidera il ritorno di Cristo, desiderando l'abbraccio dello sposo, lascia gli amori adulteri; si fa interiormente vergine ad opera della fede, della speranza e della carità. Essa allora si sente tutta fiduciosa pensando al giorno del giudizio. Quando prega e dice: "Venga il tuo regno" (Mt. 6, 10), non entra in conflitto con se stessa. Chi teme che venga il Regno di Dio, teme che questa preghiera venga esaudita. Che preghiera è questa, se si ha timore di essere esauditi? Chi prega nella fiducia che nasce dalla carità, brama che il Regno di Dio venga già fin d'ora. Mosso da tale desiderio, così pregava il salmista: "Tu, Signore, perché tardi? Volgiti, e chiama a te l'anima mia" (Sal. 6, 4-5). Gemeva perché Dio tardava a mostrarsi. Certi uomini sopportano la morte; altri, che hanno raggiunto la perfezione, sopportano la vita.

Mi spiego. Chi ama ancora questa vita mortale, quando giunge la morte l'accetta con pazienza, lotta contro se stesso, rassegnandosi alla volontà di Dio. Agisce così più per fare la volontà di Dio che non la propria: e dal desiderio della vita presente sorge una lotta tra lui e la morte; ha bisogno di pazienza e fortezza per morire in serenità d'animo. Costui muore rassegnato. Ma chi è attratto dal desiderio della morte e brama, come dice l'Apostolo, "di sciogliersi dal corpo per essere con Cristo", non muore con rassegnazione; anzi, dopo aver sopportato la vita, muore con gioia. Ecco l'esempio dell'Apostolo, che ha vissuto sopportando la vita, non amando cioè la vita presente, ma tollerandola. "E' molto meglio - afferma lui stesso - sciogliermi dal corpo per essere con Cristo; ma è pur necessario, a causa vostra, restare nella carne" (Fil. 23, 24). Orsù dunque, miei fratelli, fate che sorga dentro di voi il desiderio del giorno del giudizio. Non si dà prova di perfetta carità, se non quando si incomincia a desiderare il giorno del giudizio. Ma lo desidera questo giorno chi ha fiducia in esso; e questo avviene in coloro la cui coscienza non è agitata da timore, perché confermata dalla perfetta e sincera carità.

Simili a Dio, se preghiamo per i nemici

3. "In questo consiste la perfezione dell'amore in noi, nel fatto che abbiamo fiducia nel giorno del giudizio". Perché abbiamo fiducia? " Perché come è lui, così siamo anche noi in questo mondo" (1 Gv. 4, 17). Tu hai così conosciuto il motivo della tua fiducia: che cioè "come è lui, così siamo anche noi in questo mondo". Non pare che qui Giovanni dica qualcosa di impossibile? Può l'uomo essere mai come Dio?

Già vi ho spiegato che questo "come" non sempre sta per indicare uguaglianza, ma una certa rassomiglianza. Sarebbe come se si dicesse: questa immagine ha orecchie, come le ho io. Evidentemente questo paragone non comporta una stretta eguaglianza e tuttavia tu lo esprimi col "come". Ma se siamo fatti ad immagine di Dio, perché esitare nel dire che siamo come Dio? Siamo immagine di Dio secondo il modo umano, non nell'uguaglianza perfetta. Da dove dunque ci deriva la fiducia nel giorno del giudizio? Da questo: "Come è lui, così siamo anche noi in questo mondo". Dobbiamo mettere queste parole in rapporto con la carità, ed esaminarle bene. Dice il Signore nel Vangelo: "Se amate quelli che vi amano, che ricompensa meritate? Non fanno così anche i pubblicani?" (Mt. 5, 46). Che cosa vuole da noi il Signore? "Io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori" (Mt. 5, 44). Se comanda di amare i nemici, quale esempio ci dà su questo punto? Quello di Dio stesso. Dice ancora il Signore: "Affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli". In che modo Dio ci dà questo esempio? Egli ama quelli che gli sono nemici perché "fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sugl'ingiusti" (Mt. 5, 45). Se dunque Dio ci invita alla perfezione di amare i nostri nemici così come lui ha amato i suoi, questa è la nostra fiducia nel giorno del giudizio, che cioè "come è lui, così siamo anche noi in questo mondo". Come lui ama i propri nemici, facendo sorgere il sole su buoni e cattivi, mandando la pioggia su giusti ed ingiusti, così noi, poiché ai nostri nemici non possiamo offrire il sole e la pioggia, offriamo le nostre lacrime pregando per loro.

Il timore via alla carità

4. Di questa fiducia, che stiamo esaminando, vedete ora quel che ha da dirci Giovanni. Qual è il segno della carità perfetta? Ci risponde negativamente: Nella carità non c'è timore. Che diremo di chi comincia a temere il giorno del giudizio? Se fosse in lui la carità perfetta, egli non avrebbe questo timore. La perfetta carità lo renderebbe perfetto nella giustizia e gli toglierebbe perciò ogni motivo di timore; anzi lo porterebbe a desiderare che passi l'ora dell'iniquità e venga il Regno di Dio. "Nella carità" dunque "non c'è timore". In quale carità? Non certo in quella che è agli inizi: in quale dunque? La perfetta carità - dice Giovanni - scaccia via il timore (1 Gv. 4, 18). All'inizio ci sia pure il timore, perché "il timore di Dio è il principio della sapienza": il timore in certo senso prepara il posto alla carità. Dal momento in cui la carità incomincia ad abitare nel cuore, viene scacciato il timore che le ha preparato il posto. Quanto più cresce la carità, altrettanto diminuisce il timore; più la carità penetra dentro di noi, più il timore viene espulso. Maggiore è la carità, minore il timore; minore la carità, maggiore il timore. Se non v'è alcun timore la carità non ha via di accesso. Così vediamo che si introduce un filo di lino per mezzo di un filo di seta, quando si ha da cucire; si fa prima entrare la seta, ma se poi non la si fa uscire, non si può far entrare il lino; allo stesso modo dapprima il timore occupa la mente, ma non vi resta, perché vi è entrato per questo preciso scopo, di far strada alla carità. Stabilita ormai nel nostro animo la sicurezza, quale sarà la gioia in questa e nella vita futura? Chi potrà nuocerci, in questo secolo, così ripieni come siamo di carità? Guardate l'esultanza dell'Apostolo, quando parla della carità: "Chi ci separerà dalla carità di Cristo? la tribolazione? le angustie? la persecuzione? la fame? la nudità? i pericoli? la spada?" (Rom. 8, 35). E Pietro da parte sua afferma: "Chi vi potrà nuocere, se sarete zelanti nel bene?" (1 Pt. 3, 13).

"Nell'amore non c'è timore; anzi l'amore perfetto scaccia il timore", perché il timore arreca tormento. Tormenta il cuore la coscienza dei peccati: la giustificazione non è ancora compiuta. C'è qualcosa che lo rode e lo punge. Che cosa si dice nel salmo circa la perfezione della giustizia? "Tu hai cambiato in gaudio il mio lutto, hai stracciato il mio sacco di penitenza e mi hai riempito di letizia perché il mio canto ti dia lode e io non resti nell’amarezza" (Sal. 29, 12-13). Che significa questo "non restare nell'amarezza"? Che più nulla tormenta la mia coscienza. Il timore tormenta la coscienza, ma tu non temere; ecco la carità che subentra, per risanare ciò che è ferito dal timore. Il timore di Dio arreca ferite come fa il ferro del chirurgo, toglie il marcio e sembra quasi che allarghi la ferita. Quando era nel corpo questo marcio, la ferita era meno larga ma più pericolosa; interviene il ferro del chirurgo e la ferita comincia a dolorarne più di prima. Essa duole di più quando viene curata che non quando la si lascia com’è; ma appunto quando si applica la medicina, duole di più, affinché conseguita la salute più non dolga. Il timore dunque entri nel tuo cuore per preparare il posto alla carità, al ferro del chirurgo subentri la cicatrice. Qui si tratta poi di un medico così bravo che fa scomparire anche le cicatrici. Da parte tua non devi far altro che affidarti alla sua mano. Se non hai il timore, impossibile per te la giustificazione. C’è un testo delle Scritture ad affermarlo: "Chi è senza timore, non potrà essere giustificato" (Sap. 1, 28). Bisogna dunque che il timore entri per primo ed attraverso il timore arrivi la carità. Il timore è medicina, la carità è salute. Ma chi teme non è perfetto nell'amore (1 Gv. 4, 18). Perché? "perché il timore arreca tormento", allo stesso modo che l'incisione del chirurgo arreca dolore.

Il timore casto

5. C'è tuttavia un'altra affermazione che sembra contraria a questa, se non sarà convenientemente compresa. In un certo passo del salmo si dice: "Il timore di Dio è casto, esso dura nei secoli dei secoli" (Sal. 18, 10). Il salmista ci mostra qui un timore eterno, ma casto. Se il timore è eterno, tale affermazione non è forse in contraddizione con questa Epistola, in cui si afferma: "Nella carità non c'è timore, anzi la perfetta carità scaccia il timore"?

Vediamo di penetrare a fondo queste due divine dichiarazioni. Si tratta del medesimo Spirito che parla, anche se la sua parola è riferita in due libri diversi, da due diverse bocche, da due diverse lingue. La prima affermazione è di Giovanni, la seconda di David; ma non dovete credere che si tratti di diverse ispirazioni. Se un unico fiato può far suonare due flauti, non potrà forse un unico Spirito riempire due cuori e muovere due lingue? Se due flauti ripieni di uno stesso fiato emettono insieme lo stesso suono, avverrà forse che due lingue, ripiene dello stesso Spirito, possano dissentire? Le due affermazioni che abbiamo ricordato hanno dunque una loro consonanza, una loro segreta concordanza che esige però un buon intenditore. Ecco dunque che lo Spirito ha soffiato e riempito due cuori, due bocche, ha mosso due lingue. Dalla prima lingua abbiamo udito queste parole: "Nella carità non c'è timore, anzi la perfetta carità scaccia il timore". Dall'altra lingua abbiamo invece sentito queste altre parole: "I1 timore di Dio è casto, esso dura nei secoli dei secoli". Sembra che le due affermazioni discordino tra loro. Ma non è così. Apri bene le tue orecchie, ascolta la melodia. Non è senza motivo che in una delle espressioni è definito "casto" il timore, perché evidentemente c'è anche un timore non casto. Vediamo di tener ben distinti questi due tipi di timore e capiremo che i due flauti suonano in perfetta armonia. Come capire, come discernere? Faccia attenzione la Carità vostra. Certi uomini temono Dio, perché non vogliono cadere nell'inferno e bruciare col diavolo nel fuoco eterno. Questo appunto è il timore che prepara il posto alla carità ma esso entra nell'anima per poi uscirne. Se ancora temi il Signore a causa dei suoi castighi, non lo ami ancora, non desideri il bene, ma ti astieni unicamente dal male. Ma per il fatto che ti astieni dal male, ti correggi e cominci a desiderare il bene; e quando cominci a desiderare il bene, il tuo timore diventa un timore casto. Quale timore è casto? Quello che ti fa temere di perdere gli stessi beni. Comprendetemi: altra cosa è temere Dio perché non ti mandi all'inferno, altra cosa temerlo perché egli non si allontani da te. Il primo timore, che ti porta a scongiurare di non essere condannato all'inferno insieme con il diavolo, non è ancora un timore casto, non deriva infatti dall'amore di Dio, ma dal timore del castigo. Ma quando temi il Signore, nella paura che la sua presenza ti abbandoni, allora tu l'abbracci e desideri godere di lui.

Due generi di spose: la fedele e l'adultera

6. Non è possibile spiegare meglio la differenza tra questi due timori, quello che esclude la carità e quello "casto" che resta per sempre, se non ricorrendo all'esempio di due donne sposate di cui una è intenzionata a commettere adulterio e trovare gioia nell’iniquità, ma è timorosa delle vendette del marito. Costei teme il marito, ma lo teme precisamente perché ama ciò che è disonesto. La presenza del marito non le è gradita, anzi la opprime, e se per caso la sua condotta è cattiva, essa teme di essere sorpresa dal marito. Simili a questa donna sono quelli che temono la venuta del giorno del giudizio. L'altra donna, che abbiamo preso come esempio, ama il suo sposo, lo circonda di casti amplessi, non si macchia di nessun adulterio, brama la presenza del marito. Come si distinguono questi due tipi di timore? Soggetta al timore è la prima, come la seconda donna. Interrogale: ti daranno quasi la stessa risposta. Interroghiamo la prima: —temi il marito? Essa risponderà: —sì, lo temo. Interroga la seconda: — temi tuo marito? Ti risponderà ugualmente: —lo temo. La risposta e identica, ma diverso lo spirito. Interroghiamole ancora, domandando loro perché temono il marito. La prima risponde: —temo il ritorno di mio marito. La seconda invece: —temo che si allontani. La prima: —temo di essere castigata; e la seconda: —temo di esserne abbandonata. Riporta questi sentimenti nell'anima cristiana e scoprirai il timore che esclude la carità, e il "casto" timore che resta per sempre.

7. Ci rivolgiamo dapprima a quelli che temono Dio alla maniera della donna disonesta: essa teme che il marito la condanni. Parliamo dunque a costoro. O anima che temi Iddio per paura che ti condanni — proprio come quella donna che agisce disonestamente e teme il marito per paura di essere castigata —, come ti dispiace il comportamento di quella donna, così devi dispiacerti di te stessa. Se sei sposato, non vuoi certo una moglie che ti teme per paura del castigo e che è ben contenta di fare il male, ma se ne astiene per la paura che ha di te, non perché condanna il male. La vuoi casta, perché ti ami, non già perché ti tema. Anche tu offriti così a Dio, come vorresti che fosse la tua sposa. Se ancora non hai moglie ma pensi di averla, è così che la vuoi. Che cosa stiamo dicendo, fratelli? Quella moglie che teme il marito solo per timore del castigo, probabilmente si astiene dall’adulterio per timore di venire scoperta e di essere uccisa. Il marito potrebbe anche ingannarsi; è infatti un uomo, come colei che può ingannarlo. Orbene, quella donna teme un marito, ai cui sguardi potrebbe sottrarsi, e tu non temi gli sguardi del tuo sposo sempre fissi su di te? "La faccia del Signore è sempre rivolta sopra coloro che fanno il male" (Sal. 33, 17). La donna adultera spia l'assenza del marito ed è sollecitata forse dal piacere dell'adulterio, tuttavia dice a se stessa: —non lo farò: egli è assente, è vero, ma la cosa non potrà non essere risaputa da lui. Essa dunque si trattiene dal male per paura che le cose siano sapute da un uomo, soggetto all'ignoranza ed all'errore, che potrebbe ritenere buona anche una donna malvagia, ritenere casta una donna adultera. E tu, non temi gli occhi di Dio che nessuno può ingannare? Non temi la presenza del Signore che non può mai essere allontanato da te? Prega il Signore che rivolga il suo sguardo su di te e allontani il suo volto dai tuoi peccati. "Allontana la tua faccia dai miei peccati" (Sal. 50, 11). Come puoi meritare che egli distolga la sua faccia dai tuoi peccati? L'otterrai se non allontani tu il volto dai tuoi peccati. Sono le parole stesse del salmo che lo dicono: "Io riconosco la mia iniquità ed il mio peccato sta sempre davanti a me" (Sal. 50, 5). Riconosci dunque i tuoi peccati, ed egli te li condonerà.

8. Abbiamo parlato a quell'anima che ancora ha in sè il timore che non può durare per l’eternità, quel timore cioè che viene scacciato e bandito dalla carità. Rivolgiamo la parola anche all'anima che già possiede il timore casto, che durerà nei secoli eterni. Pensiamo di poterla trovare per parlarle? Si troverà in mezzo a questo popolo? In questa sala? Su questa terra? Non può non esserci, e tuttavia resta nascosta. Siamo d'inverno ed il verde delle foglie sta ancora tutto dentro la radice. Può darsi però che le nostre parole giungano alle sue orecchie. Dovunque si trovi quell'anima, possa io giungere a scoprirla, per ascoltare io la sua voce, non lei la mia. Essa mi istruirebbe piuttosto che imparare da me. Un’anima santa, un'anima di fuoco che desidera il regno di Dio! Non sono io a rivolgerle la parola, ma Dio stesso che la consola, mentre sopporta pazientemente la presente vita terrena, con queste parole: —Tu vuoi che io già venga a te, ed io lo so bene; so che sei tale da poter aspettare con serenità la mia venuta. So della tua pena, ma attendi ancora un poco, sopporta: ecco vengo, vengo presto. Ma per l'anima che ama pesa l'attesa. Odila cantare, come fosse un giglio tra le spine; odila sospirare e dire: "Io canterò e accrescerò la mia conoscenza sulla via dell'innocenza. Quando verrai da me?" (Sal. 100, 1-2). A ragione essa non teme, stando sulla via dell'innocenza, perché "la perfetta carità scaccia ogni timore". Quando quest'anima giungerà all'amplesso del Signore, teme, ma è sicura. Che cosa teme? Starà attenta a togliere da sè ogni macchia di peccato, per non peccare più: non per la paura di essere mandata al fuoco, ma per non essere abbandonata da lui. E che cosa ci sarà in lei, se non "il casto timore che resta per sempre"?

Abbiamo ascoltato dunque i due flauti suonare in perfetto accordo. La prima anima parla del timore come la seconda; ma la prima parla del timore che ha l'anima di essere condannata, l'altra del timore di essere abbandonata. Il primo è il timore che viene eliminato dalla carità, il secondo è quello che rimane per sempre.

L'amore ci rende belli

9. Amiamolo, dunque, perché egli per primo ci ha amati (1 Gv. 4, 19). Realmente, come potremmo amarlo, se non ci avesse lui amati per primo? Amandolo, siamo diventati amici; ma egli ha amato noi, quando eravamo suoi nemici, per poterci rendere amici. Ci ha amati per primo e ci ha donato la capacita di amarlo. Ancora noi non l'amavamo; amandolo, diventiamo belli. Che fa un uomo brutto e deforme, quando ama una bella donna? Che fa, a sua volta, una donna brutta, sciatta e nera se ama un bell'uomo? Potrà diventare forse bella, amando quell'uomo? Potrà l'uomo a sua volta diventare bello, amando una donna bella? Ama costei e quando si guarda allo specchio, arrossisce di sollevare il suo volto verso la bella donna che ama. Che farà per essere bello? Si mette ad aspettare forse che sopraggiunga in lui la bellezza? Nell'attesa, al contrario, sopravviene la vecchiaia che lo rende più brutto. Non c'è dunque nulla da fare, non c'è possibilità di dargli altro consiglio che ritirarsi, perché, non essendo all’altezza, non osi amare una donna a lui superiore. Ma se persiste ad amarla e desidera ad ogni costo prenderla in moglie, ami in lei la castità, non la bellezza del corpo. La nostra anima fratelli, è brutta per colpa del peccato; essa diviene bella se ama Dio. Quale amore è capace di far bella l'anima che ama? Dio è la Bellezza, in lui non c’è deformità o mutamento. Per primo ci ha amati, lui che sempre è bello; e come eravamo noi quando ci ha amati se non brutti e deformi? Non l'ha fatto per lasciarci brutti come prima eravamo, ma per trasformarci e renderci belli, da brutti che eravamo. In che modo diventeremo belli? Amando lui, che è sempre bello. Più cresce in te l'amore, più cresce la bellezza: la carità è appunto la bellezza dell'anima. "Noi, dunque, amiamolo, perché egli per primo ci ha amati". Ascolta l'apostolo Paolo: "Dio ha dimostrato il suo amore per noi in questo che, quando ancora eravamo peccatori, Cristo è morto per noi" (Rom. 5, 8-9), lui giusto per noi ingiusti, lui bello per noi brutti. Quale fonte ci afferma che Gesù è bello? Le parole del salmo: "Egli è il più bello tra i figli degli uomini; sulle sue labbra ride la grazia" (Sal. 44, 3). Dove sta il fondamento di questa asserzione? In queste parole: "Egli è il più bello tra i figli degli uomini" perché "In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio" (Gv. 1, 1). Assumendo la carne, prese sopra di sé la tua bruttezza, cioè la tua mortalità, per adattare se stesso a te, per rendersi simile a te e spingerti ad amare la bellezza interiore. Ma quali altre fonti ci rivelano un Gesù brutto e deforme, come queste ce l'hanno rivelato il più bello e grazioso dei figli degli uomini? Dove è detto che è deforme? Interroga Isaia. "Lo abbiamo visto: non aveva più né bellezza né decoro" (Is. 53, 2). Queste affermazioni scritturistiche sono come due flauti che suonano in modo diverso ma uno stesso Spirito vi spira dentro l'aria. La prima dice: "Egli è il più bello tra i figli degli uomini"; e la seconda, con Isaia, dice: "Lo abbiamo visto: non aveva più né bellezza né decoro". I due flauti son suonati da un identico Spirito; essi dunque non discordano nel suono. Non devi rinunciare a sentirli, ma cercare di capirli. Interroghiamo l'apostolo Paolo per sentire come ci spiega la perfetta armonia dei due flauti. Suoni il primo: "Il più bello tra i figli degli uomini"; "Benché avesse la natura di Dio, non ritenne un geloso tesoro la sua uguaglianza con Dio". Ecco in che cosa sorpassa in bellezza i figli degli uomini. Suoni anche il secondo flauto: "Lo abbiamo visto; non aveva più né bellezza né decoro": questo perché egli "annichilò se stesso, prendendo la natura di schiavo, divenendo simile agli uomini. All'aspetto trovato qual uomo..." (Fil. 2, 6-7). "Egli non aveva né bellezza né decoro", per dare a te bellezza e decoro. Quale bellezza? Quale decoro? L'amore della carità, affinché tu possa correre amando e possa amare correndo. Già sei bello, ma non guardare te stesso, per non perdere ciò che hai ricevuto; guarda a colui dal quale sei stato fatto bello. Sii bello in modo tale che egli possa amarti. Da parte tua volgi tutto il tuo pensiero a lui, a lui corri, chiedi i suoi abbracci, abbi timore di allontanarti da lui, affinché sia in te il timore casto che resta in eterno. "Noi amiamolo, perché lui stesso ci ha amati per primo".

Amare il prossimo è amare Dio

10. Se uno dirà: io amo Dio. Quale Dio? Perché amarlo? "Perché lui stesso ci ha amati per primo" e ci ha dato di amarlo. Egli ha amato noi che eravamo empi, per renderci pii; noi che eravamo ingiusti, per renderci giusti; che eravamo ammalati, per renderci sani. Dunque anche noi "amiamolo, perché lui stesso ci ha amati per primo". Interroga ciascuno singolarmente e fatti dire se ama Dio. Ciascuno grida e confessa: "io lo amo, lui lo sa". Ma c'è un’altra domanda da fare. Dice Giovanni: "Se uno dirà: io amo Dio", ma poi odia suo fratello, è un bugiardo. Quale prova si ha di ciò? Eccola: "Chi non ama il fratello che vede, come potrà amare Dio, che non vede?" (1 Gv. 4, 20). Dunque, chi ama il fratello, ama anche Dio? Sì, necessariamente ama Dio, necessariamente ama l'amore stesso. Si può forse amare il proprio fratello e non amare l'amore? E' necessario che ami l'amore. Ma costui ama Dio appunto perché ama l'amore stesso? Proprio così. Amando l'amore, ama Dio. Hai forse dimenticato che poco prima Giovanni ha detto: "Dio è amore"? (1 Gv. 4, 8-16). Se Dio è amore, chiunque ama l'amore ama Dio. Ama dunque tuo fratello e sta, sicuro. Tu non puoi dire: amo il fratello, ma non amo Dio. Allo stesso modo che menti quando dici: "Amo Dio", se non ami il fratello; così ti inganni, quando dici: io amo il fratello, e poi ritieni di non amare Dio. Necessariamente, amando il fratello, ami l'amore stesso. "L'amore" infatti "è Dio"; e chi ama il proprio fratello, necessariamente ama Dio. Ma se non ami il fratello che vedi, come puoi amare Dio che non vedi? Perché quest'uomo non vede Dio? Perché non possiede l'amore stesso. Perciò non vede Dio, perché appunto non possiede l'amore; e non possiede l'amore perché non ama il fratello; quindi non vede Dio, proprio perché non possiede l'amore. Ma se ha l'amore, vede Dio, perché "Dio è amore"; ed il suo occhio viene sempre più purificato dall'amore, per essere in grado di vedere quella sostanza incommutabile che è Dio, e per poter sempre godere della sua presenza e in eterno gioirne insieme con gli angeli. Ma che corra ora, in modo che possa poi rallegrarsi, quando sarà nella patria. Non ami il pellegrinaggio, non ami la via: tutto consideri amaro, ad eccezione di colui che lo chiama, fino al momento in cui non ci congiungeremo con lui e potremo dire ciò che fu detto nel salmo: "Hai mandato in perdizione tutti quelli che si sono prostituiti lontano da te". Chi sono questi fornicatori? Quelli che se ne vanno via da lui per amare il mondo. Tu, in che posizione sei? Prosegue il salmo: "Per me è buona cosa stare vicino al Signore" (Sal. 72, 27-28). Tutto il mio bene è questo: attaccarmi a Dio disinteressatamente. Se tu interrogassi il salmista e gli dicessi: —perché aderisci a Dio? e ti rispondesse: —per avere dei doni da lui, e tu gli chiedessi: —quali doni? Lui stesso ha fatto il cielo e la terra, che cos'altro dovrebbe ancora donarti? — già aderisci a lui; trova di meglio, ed egli te lo dona.

"Il mio comandamento"

11. Chi non ama il fratello che vede, come può amare Dio che non vede? Da lui abbiamo ricevuto questo comandamento: chi ama Dio, ami anche il proprio fratello (1 Gv. 4, 20-21). Tu hai detto molto bene: "Amo Dio", ma odi il fratello! Omicida, in che modo puoi amare Dio? Non hai sentito le parole precedenti dell'Epistola? "Chi odia il suo fratello, è un omicida" (1 Gv. 3, 15). Ma io continuo ad amare Dio, pur odiando il fratello. Decisamente tu non ami Dio, se odi il fratello. Adesso ve lo dimostro con un altro passo. Giovanni ha detto: "Cristo ci ha dato il precetto di amarci scambievolmente" (1 Gv. 3, 23): come puoi amare quel Dio di cui tieni in odio il comandamento? Chi mai direbbe: io amo l'imperatore, ma ne odio le leggi? L'imperatore capisce che lo si ama da questo, se le sue leggi sono osservate nelle province. Qual è la legge del nostro sovrano? "Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate l'un l'altro" (Gv. 13, 34). Tu affermi di amare Cristo: osserva il suo comandamento, ed ama il tuo fratello. Se non ami il fratello, come puoi amare uno di cui disprezzi il comandamento?

Fratelli, non mi sazio di parlare della carità, nel nome di Cristo. Più voi siete attaccati a questo bene, più speriamo che esso cresca in voi, scacci il timore, in modo che rimanga quel casto timore che dura per sempre. Cerchiamo di tollerare il mondo, le tribolazioni, gli scandali delle tentazioni. Non abbandoniamo la giusta via, manteniamo l’unità della Chiesa, teniamoci uniti a Cristo, conserviamo la carità. Non separiamoci dalle membra della sua sposa, non strappiamoci dalla fede, affinché possiamo gloriarci quando egli si farà presente. Resteremo in lui senza turbamenti, ora con la fede, più tardi con la visione di cui abbiamo come caparra certissima il dono dello Spirito Santo.

 

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