S. Agostino

LA GRANDEZZA DELL'ANIMA

Cenni sull'origine dell'anima (1, 1 - 2, 3)

Si pone il problema.

1. 1. EVODIO - Vedo che disponi di molto tempo libero. Penso dunque che non è importuno e sconveniente, se ti prego di rispondermi su problemi che mi preoccupano. Ti ho proposto spesso delle questioni, ma tu hai creduto opportuno distogliermi con non saprei quale massima greca, secondo cui ci si proibisce di ricercare ciò che è sopra di noi. Ora io ritengo che noi non siamo sopra dì noi. Penso dunque, se ti propongo domande sull'anima, di non esser meritevole di udire: Che cosa c'importa di ciò che è sopra di noi?. Al contrario potrei essere meritevole d'udire che cosa siamo noi.
AGOSTINO - Di' in breve che cosa vuoi udire sull'anima.
E. - Subito giacché sono temi tenuti presenti in una continua meditazione. Chiedo dunque l'origine dell'anima, le sue proprietà, la sua grandezza, la ragione della sua unione col corpo, la sua condizione nell'unione col corpo e dopo la separazione.

L'anima ha origine di Dio.

1. 2. A. - Quando mi chiedi l'origine dell'anima, son costretto a riflettere su due concetti. Un conto è dire l'origine dell'uomo, quando si desidera conoscere la sua patria, ed un conto, quando si cercano i principi che lo costituiscono, cioè i quali elementi reali è composto. Nel porre il problema dell'origine dell'anima, quale di questi due concetti vuoi conoscere? Desideri conoscere il suo suolo natale, per così dire, e la sua patria, da cui viene nel mondo, ovvero ricerchi la sua esseità?
E. - In verità vorrei sapere l'uno e l'altro, ma preferisco lasciare al tuo criterio una priorità.
A. - Credo che Dio stesso è come la casa paterna dell'anima perché da lui è stata creata. Mi è impossibile definire la sua esseità. Non penso infatti che risulti dagli elementi naturali a portata dell'esperienza e che si percepiscono con i sensi. Ritengo quindi che non è composta di terra, di acqua, di aria, di fuoco, dal loro complesso o dall'unione di alcuni di essi. Se tu mi chiedessi di che è composto quest'albero, allegherei i quattro elementi, oggetto d'immediata esperienza, poiché si ritiene che tutti i corpi siano composti di essi. Ma se continuassi a chiedermi di che risultino la terra, l'acqua, l'aria e il fuoco, non saprei che rispondere. Così se mi si chiede di che è composto l'uomo, posso rispondere di anima e di corpo. E se ancora tu mi chiedessi sul corpo, ricorrerei ai quattro elementi. Se invece mi chiedi sull'anima, poiché essa è concepita come qualche cosa di semplice e dotata d'una propria sussistenza, mi trovo in dubbio, come se tu mi chiedessi da che risulta la terra. L'abbiamo già detto.
E. - Non comprendo perché le attribuisci una propria sussistenza. Hai detto che è creata da Dio.
A. - Ma io debbo affermare che anche la terra è stata prodotta da Dio e tuttavia non posso affermare che la terra risulti da altri elementi naturali. La terra è corpo semplice per il fatto stesso che è terra e quindi è concepita come elemento di tutti i corpi, che son composti dai quattro elementi. Quindi non esiste contraddizione nella teoria, con cui si afferma che l'anima ha origine da Dio ed ha una propria natura. Dio stesso ha prodotto questa sua natura propria in sé, come pure quella del fuoco, dell'aria, dell'acqua e della terra, affinché da essi fossero composti gli altri corpi.

L'anima è simile a Dio e immortale.

2. 3. E. - Intanto accetto l'origine dell'anima da Dio. Vi mediterò sopra attentamente e, se trovo difficoltà, riproporrò la questione. Ed ora, ti prego, esponimi le sue proprietà.
A. - Mi sembra simile a Dio. Mi stai chiedendo appunto, salvo errore, dell'anima umana.
E. - Proprio questo vorrei che tu mi spiegassi, come l'anima è simile a Dio, poiché si crede che Dio non ha origine da un altro e tu hai detto che l'anima ha origine da Dio.
A. - E tu pensi che sia stato difficile a Dio produrre un essere a sé simile? Puoi constatare invece da molte nostre produzioni che tale potere è accordato anche a noi.
E. - Ma noi abbiamo coscienza di produrre cose soggette a perire. Dio al contrario ha prodotto l'anima immortale, come ritengo io e salvo la tua opinione in contrario.
A. - E vorresti che gli uomini producessero cose eguali a quelle che produce Dio?
E. - Non intendevo dir questo. Ma come egli immortale ha prodotto un essere immortale a sua somiglianza, così ciò che noi, creati da Dio immortali, produciamo a nostra somiglianza, dovrebbe essere immortale.
A. - Avresti ragione, se tu dipingessi un quadro a somiglianza di ciò che in te è immortale. Al contrario tu dipingi la somiglianza di un corpo che certamente è soggetto a perire.
E. - E allora in che senso sono simile a Dio, se non posso produrre come lui esseri immortali?
A. - L'immagine del tuo corpo non può valere quanto il tuo corpo. Così non c'è da meravigliarsi se l'anima non ha tanto potere, quanto colui, a cui somiglianza è stata creata.

L'anima non è estesa (3, 4 - 14, 24)

La grandezza dell'anima non è nella tridimensione.

3. 4. E. - Anche su questo argomento per ora basta. Parlami adesso della grandezza dell'anima.
A. - In che senso chiedi della sua grandezza? Non comprendo se domandi sulle dimensioni di larghezza o lunghezza o solidità o di tutte insieme, ovvero se ne vuoi conoscere il valore. Di solito ci chiediamo quanto fu grande Ercole, cioè a quanti piedi si levò la sua statura. Allo stesso modo s'intende quanto fu grande come uomo, cioè di quale forza e valore.
E. - Voglio sapere dell'anima l'una e l'altra cosa.
A. - Il primo senso non si può applicare e intendere dell'anima. Non è assolutamente possibile rappresentarsi l'anima o lunga o larga o dotata di resistenza. Per quanto ne capisco io, queste son proprietà sensibili e sulla base dell'esperienza sensibile ci raffiguriamo con esse l'anima. E per tal motivo giustamente anche nei riti religiosi si insegna a chiunque intende rendersi tale qual è stato creato, cioè simile a Dio, di disprezzare le cose sensibili e di rinunciare a tutto questo mondo che, come esperimentiamo, è sensibile. Non v'è infatti altra salvezza per l'anima o rinnovamento o riconciliazione col proprio Creatore. Per tale motivo non posso rispondere sulla grandezza dell'anima nel senso della domanda. Posso soltanto affermare che non è lunga, larga, solida o soggetta ad altre proprietà, che di solito si esaminano nelle dimensioni dei corpi. E se vuoi, posso renderti ragione della mia teoria.
E. - Certo che lo voglio e sono in ansiosa attesa. Mi par quasi che l'anima sia un nulla se non ha tali dimensioni.
A. - Prima di tutto, se vuoi, ti dimostrerò che esistono molte cose, delle quali non puoi dire che sono un nulla, eppure in esse tu non trovi le dimensioni che attribuisci all'anima. Pertanto non solo non devi ritenere che l'anima è un nulla perché in essa non trovi la lunghezza o altra proprietà simile, ma che si deve stimare più preziosa e di maggiore valore perché non ha tali proprietà. In seguito vedremo se non ne ha proprio nessuna.
E. - Segui il metodo e il procedimento che vuoi, io son pronto ad udire ed apprendere.

La giustizia non è tridimensionale.

4. 5. A. - Bravo. Ma preferisco che tu risponda alle mie domande poiché forse già conosci le nozioni che mi appresto ad insegnarti. Tu infatti non dubiti, come suppongo, che quest'albero non è proprio un nulla.
E. - E chi potrebbe dubitarne?
A. - E non dubiti che la giustizia ha assai più valore di questo albero?
E. - È assurdo il contrario. Non esiste alcun confronto.
A. - Sei magnanimo con me. Ma ora poni attenzione a quanto segue. È evidente che questo albero ha meno valore della giustizia al punto che tu ritieni di dover escludere ogni confronto ed hai anche ammesso che questo albero non è un nulla. Ti piacerebbe se accettassimo la tesi che la giustizia è un nulla?
E. - Chi è tanto pazzo da pensarlo?
A. - Proprio bene. Ma tu forse ritieni che questo albero è qualche cosa perché è lungo secondo una sua misura e largo e spesso. Se togli tali proprietà, sarà un nulla.
E. - Sì,. certo.
A. - E allora la giustizia che, secondo il tuo parere, è un qualche cosa, è anzi una quiddità indefettibile e assai più nobile dell'albero, ti sembra che sia lunga?
E. - È del tutto impossibile che la giustizia si presenti al mio pensiero come lunga, larga o altro simile.
A. - Dunque la giustizia non ha alcuna di tali dimensioni e tuttavia è un qualche cosa. Perché dunque riterresti l'anima un nulla senza una sua lunghezza?
E. - Suvvia, ormai non ritengo più l'anima un nulla per il fatto che non è lunga, larga e solida. Ma sai bene che ancora non hai esposto la ragione, per cui è veramente così. Si dà la possibilità che si diano esseri di alto valore privi della dimensione. Ma non per questo devo ammettere che anche l'anima appartiene a tale categoria.

L'anima non è soffio o vento.

4. 6. A. - So che ci rimane da svolgere tale argomento e m'ero ripromesso di esporlo in seguito. Ma l'argomento è assai difficile e richiede ben altra capacità mentale di quella che l'esperienza umana di solito impiega negli atti della vita quotidiana. Ti avverto quindi di seguire docilmente il procedimento, attraverso il quale intendo condurti, di non lasciarti annoiare dalla indispensabile operazione d'analisi e di non sopportare malvolentieri se arrivi un po' più tardi al risultato che intendi conseguire. E prima di tutto ti chiedo se, secondo te, vi può essere un corpo, che nella propria misura non abbia una qualche lunghezza, larghezza e altezza.
E. - Non comprendo cosa intendi per altezza.
A. - Intendo quella proprietà, per cui si può rappresentare la massa di un corpo, o anche percepirlo se è translucido come il vetro. Comunque se la sottrai ai corpi, nei limiti della mia teoria, non possono essere percepiti, anzi non possono esser considerati corpi. Desidero che tu manifesti la tua opinione.
E. - Il corpo non può esser privo di tali dimensioni. Non ne dubito affatto.
A. - E puoi pensare che le tre dimensioni non siano soltanto nei corpi?
E. - Non comprendo come sia possibile che si trovino altrove.
A. - Quindi, secondo te, l'anima non è diversa dal corpo?
E. - Se ammettiamo che il vento è corpo, non posso negare che l'anima è corpo. Me la rappresento pressappoco così.
A. - Ammetto che il vento è corpo, come lo affermerei, se tu me lo chiedessi dell'onda. Noi percepiamo il vento come aria mossa o agitata. Se ne può fare l'esperimento in un luogo tranquillo e chiuso ad ogni vento anche con un piccolo ventaglio. Pure se con esso allontaniamo le mosche, moviamo l'aria e ne sentiamo il muoversi. Se il fenomeno avviene mediante il movimento assai occulto di corpi celesti e terrestri nel grande spazio del mondo, si chiama vento, che ha diversi nomi secondo le diverse zone dell'orizzonte. La pensi diversamente?
E. - No, non ho nulla da dire, e accetto come probabile la tua teoria. Tuttavia non ho detto che l'anima è vento, ma qualche cosa di simile.
A. - Prima di tutto dimmi se, a tuo parere, questo soffio, di cui hai parlato, ha lunghezza, larghezza e altezza. In seguito esamineremo se l'anima è qualche cosa di simile. Così potremo ricercarne anche la grandezza.
E. - E che cosa si può trovare di più lungo, largo e profondo dell'aria? Tu stesso mi hai dimostrato or ora che, quando è mossa, è vento.

Il problema della grandezza dell'anima.

5. 7. A. - Bene, ma non ritieni che la tua anima è soltanto nel tuo corpo?
E. - Sì.
A. - E pensi che sia soltanto all'interno riempiendolo come un otre, ovvero all'esterno come una veste, oppure all'interno e all'esterno?
E. - La penso nei termini dell'ultima tua clausola. Se non fosse all'interno, non ci sarebbe vita nel nostro organismo e se non fosse all'esterno, non potrebbe sentire una puntura, per quanto leggera, alla pelle.
A. - E allora perché ricerchi ancora la grandezza dell'anima? Dovresti già sapere che ha tanta grandezza, quanta ne comportano le dimensioni del corpo.
E. - Se la filosofia insegna così, non chiedo altro.
A. - Fai bene a non chiedere al di là dell'insegnamento della filosofia. Ma codesta teoria filosofica, la ritieni tanto sicura?.
E. - Sì, se non ne trovo altra. Al momento opportuno chiederò se rimane la medesima figura, quando si separerà dal corpo. È un problema che mi assilla. E rammento che fra gli argomenti da discutere ho posto questo all'ultimo posto. Ma mi pare che l'indagine sul numero delle anime è pertinente alla grandezza. Penso dunque che a questo punto non si dovrebbe tralasciare.
A. - Non pensi male. Ma prima, per favore, risolviamo il problema della sua dimensione. Esso ancora mi preoccupa. Anche io, se tu sei già soddisfatto, devo imparare qualche cosa.
E. - Ricerca come vuoi. La tua ironia mi fa dubitare senza ironia sul problema, che io pregiudizialmente avevo creduto risolto.

La memoria e il corpo.

5. 8. A. - Dimmi, per gentilezza, se ritieni che la facoltà, denominata memoria, è un nome vuoto.
E. - E chi lo riterrebbe?
A. - E pensi che appartiene all'anima ovvero al corpo?
E. - Anche qui sarebbe ridicolo dubitare. Non può essere oggetto né di fede né di pensiero che un corpo esanime si ricordi di qualche cosa.
A. - Ti ricordi ancora di Milano?
E. - La ricordo bene.
A. - Ed ora, dal momento che è stata rievocata alla mente, ricordi la sua grandezza e configurazione?
E. - Certo che ricordo, anzi nessun ricordo è così fresco e completo.
A. - Ed ora, sebbene non la vedi con gli occhi, la rievochi nella coscienza.
E. - Sì.
A. - Ricordi, penso, quanto ora dista da noi.
E. - Sì, anche questo ricordo.
A. - Vedi dunque nella coscienza la distanza stessa.
E. - Sì.
A. - Quindi se la tua anima è dove è il tuo corpo e non si estende al di fuori di esso, come è stato dianzi dimostrato, come avviene che essa intuisce tutte quelle cose?
E. - Avviene mediante la memoria, penso, e non perché è presente a quei luoghi.
A. - Dunque la rappresentazione di quei luoghi è il contenuto della memoria.
E. - Così penso. Infatti non so quanto vi avviene in questo momento. Non lo ignorerei, se la mia coscienza si estendesse fino a quei luoghi e li percepisse come presenti.
A. - Dici bene, mi pare, ma tali rappresentazioni sono sensibili.
E. - Ma certo. Città e regioni sono oggetti sensibili.

L'anima è incommensurabile.

5. 9. A. - Hai mai guardato in piccoli specchi o hai mai visto la tua faccia riflessa nella pupilla di un altro? 
E. - Anzi spesso.
A. - Perché appare molto più piccola della realtà?
E. - E vorresti che appaia disuguale dalla misura dello specchio?
A. - Dunque necessariamente le immagini degli oggetti sensibili appaiono piccole, se son piccoli gli oggetti sensibili, in cui appaiono.
E. - Sì, certamente.
A. - Ora l'anima si trova in uno spazio tanto piccolo qual è il suo corpo. Perché dunque in essa si possono riprodurre immagini tanto grandi al punto che può rappresentarsi città, territori estesi ed altri smisurati oggetti sensibili? Vorrei che tu pensassi con maggiore attenzione alle grandi e numerose cose, che son conservate nella memoria. Ed esse certamente sono contenute anche nell'anima. Quale estensione in terra, nel mare e nel cielo può contenerle? Eppure sembrerebbe quasi che la nostra precedente indagine abbia concepito l'anima tanto estesa quanto il corpo.
E. - Non trovo che rispondere e non saprei dichiarare quanto tali difficoltà mi preoccupano. Ed ora mi sento veramente oggetto di scherno, perché ho con tanta prontezza acconsentito alla precedente dimostrazione che ho finito per ridurre la grandezza dell'anima alla misura del corpo.
A. - Ma ora non la ritieni più qualche cosa come un soffio?
E. - No, affatto. L'aria, di cui il vento, secondo probabile opinione, è come il muoversi dell'onda, forse riempie tutto il mondo sensibile. Ma l'anima può rappresentarsi innumerevoli ed estesissimi mondi di simile mole, ed io non posso figurarmi in quale spazio contenga tali rappresentazioni.
A. - Vedi allora che è meglio non ritenerla, come ho detto poco fa, lunga, larga e alta. Per la giustizia me l'hai già concesso.
E. - Lo ammetterei volentieri, se non mi trattenesse ancora la difficoltà del modo, con cui essa può contenere le innumerevoli rappresentazioni di spazi così estesi senza una propria lunghezza, larghezza e altezza.

La dimensione pura.

6. 10. A. - Lo scopriremo, forse in certi limiti, se prima analizziamo le tre dimensioni, cioè lunghezza, larghezza e altezza. Ed allora prova a rappresentarti la lunghezza, che ancora non ha implicato la larghezza.
E. - Non posso rappresentarmela. Se mi propongo all'attenzione un filo di ragno, la cosa più esile che di solito osserviamo, immediatamente mi viene in mente la lunghezza, ma anche la larghezza e l'altezza. E per quanto piccolissime, debbo affermare che vi sono.
A. - La tua risposta non è del tutto irragionevole. Ma nell'atto che comprendi l'esistenza delle dimensioni nel filo di ragno, le distingui e ne conosci la differenza?
E. - E come non conoscerla? Come avrei potuto altrimenti riscontrare che nessuna dimensione mancava nel filo?
A. - Col medesimo atto di pensiero, con cui le hai distinte, puoi anche, separando le altre, rappresentarti la sola lunghezza. Basta che non ti rappresenti un determinato oggetto sensibile. Infatti qualunque sia l'oggetto sensibile, non sarà privo delle tre dimensioni. Pertanto è astratto dal sensibile l'oggetto che, secondo il mio intento, devi rappresentarti. Infatti la lunghezza separata si può rappresentare soltanto col pensiero ed è impossibile trovarla nell'oggetto sensibile.
E. - Comincio a capire.
A. - Pensa a tagliare, per dir così, in due longitudinalmente la lunghezza stessa. Ti accorgerai che non è possibile. Se fosse possibile, sarebbe implicata anche la larghezza.
E. - È chiaro.
A. - E se sei d'accordo, denominiamo linea la lunghezza ideale e pura. Così di solito si denomina da molti scienziati.
E. - Chiamala un po' come ti pare. Non mi devo preoccupare della terminologia, se il concetto è chiaro.

Linea e figura.

6. 11. A. - Bravo. E non solo ti approvo, ma ti consiglio di fissare sempre l'attenzione ai concetti piuttosto che alle parole. La linea, di cui, come penso, hai ben afferrato la nozione, se viene protratta da una o da ambedue le parti per quanto si può protrarre, va all'infinito, come ben vedi. Ovvero l'acutezza della tua mente non è da tanto che possa intuire tale nozione?
E. - Ma la intuisco benissimo e mi è comprensibilissima.
A. - Vedi dunque che non si dà figura, se ci si limita a prolungare la linea.
E. - Non capisco che cosa intendi per figura.

7. 11. A. - Frattanto chiamo figura lo spazio conchiuso da una sola linea, quando la tracci a cerchio, o da più linee, quando congiungi quattro segmenti di linea, in maniera che l'estremo di ciascuno di essi non sia separato dagli altri.

 

E. - Mi pare d'intendere cosa intendi per figura. Ma magari potessi capire a che mirano le tue parole e quale risultato ne vuoi ottenere, affinché possa apprendere quanto chiedo dell'anima.

Autorità e ragione nella ricerca.

7. 12. A. - Fin dall'inizio ti ho invitato con insistenza a sopportare pazientemente per un po' la nostra operazione di analisi. Adesso ti rinnovo la preghiera. Non è futile l'argomento in esame e non è facile averne conoscenza. E noi, nei limiti del possibile, intendiamo averne piena conoscenza e scienza. Un conto è rimettersi all'autorità e un altro alla ragione. Rimettersi all'autorità richiede un'operazione assai breve e nessuna ricerca. Se ti soddisfa, potrai apprendere con la lettura molte nozioni. Di quelle che sembravano indispensabili a tali problemi hanno parlato salutarmente, quasi per ispirazione, uomini grandi ed eccellenti, agli ignoranti. E vollero che fossero credute da coloro, per la cui coscienza, o più tarda o troppo occupata, non si dava altra salvezza. Tali uomini costituiscono la grande massa. E se essi pretendono di raggiungere il vero, sono facilmente ingannati e si lasciano andare a varie e ingannevoli opinioni, al punto che non se ne potranno mai liberare, o con grandissima difficoltà. Per costoro quindi è assai utile rimettersi ad una eccellente autorità e vivere secondo la norma conseguente. E se tu lo credi più sicuro, non solo non mi oppongo, ma lo approvo pienamente. Se invece non puoi rinunciare a questo tuo desiderio, che ti convince a cercare la verità con la ragione, devi tollerare molte e lunghe operazioni di analisi. Ti deve guidare la ragione che sola è ragione, cioè la vera. E nell'ipotesi che essa in qualche modo sia in potere dell'uomo, non solo è vera, ma anche così certa e immune da ogni sofisma che argomenti falsi e opinativi non te ne possono allontanare.
E. - Non desidero più di procedere con fretta. Mi muova e guidi la ragione per dove vuole, purché mi faccia arrivare.

Il triangolo equilatero.

8. 13. A. - Dio lo farà. Egli si deve pregare soltanto per questi valori o principalmente per essi. Ma torniamo all'argomento iniziato. Ti è già noto che cosa sono la linea e la figura. Ed ora rispondi a questa domanda. Secondo te, si dà figura nel caso che la linea si prolunga all'infinito da entrambe le parti oppure da una?
E. - Rispondo che è assolutamente impossibile.
A. - Che cosa dobbiamo fare allora per comporre una figura?
E. - Soltanto che la linea non sia protratta all'infinito, ma sia condotta orbicolarmente, in maniera che si ricongiunga dall'altra parte. Per quanto ne capisco, è l'unico modo possibile per conchiudere uno spazio con una sola linea. E se non si compie tale operazione, secondo la tua spiegazione non si dà figura.
A. - E se volessi comporre una figura con linee rette, è possibile o no comporla con una sola linea?
E. - No.
A. - Con due?
E. - Neanche.
A. - E con tre?
E. - Veggo che è possibile.
A. - Dunque hai bene appreso e compreso che una figura di rettilinee non si può comporre con meno di tre. Ma esiste un argomento in contrario che possa farti deflettere da questa tua conoscenza?
E. - Indubbiamente se qualcuno mi dimostrasse che è falso, non vi sarebbe altro che fossi certo di sapere.
A. - Ed ora dimmi come componi una figura di tre linee.
E. - Facendole incontrare alle estremità.
A. - E dove s'incontrano, si formano degli angoli?
E. - Certamente.
A. - Di quanti angoli è composta questa figura?

 

E. - Di tanti, quante le linee.
A. - E le linee, le tracci eguali o ineguali?
E. - Eguali.
A. - Gli angoli hanno tutti la medesima ampiezza, ovvero qualcuno è più stretto o più ampio dell'altro?
E. - Veggo che anche essi sono eguali.
A. - È possibile, ovvero no, che nella figura composta di tre linee rette eguali gli angoli siano ineguali?
E. - No, assolutamente.
A. - E se la figura è composta di tre linee rette ma ineguali, è possibile che gli angoli siano eguali, o la pensi diversamente?
E. - È assolutamente impossibile.
A. - Bene. Ma dimmi, quale figura ti sembra più perfetta e più bella, quella composta di linee eguali o ineguali?
E. - Ma chi può dubitare che è più perfetta quella, in cui prevale l'eguaglianza?

Eguaglianza nel quadro e rombo.

9. 14. A. - Dunque preferisci l'eguaglianza alla ineguaglianza?
E. - Non saprei se qualcuno non la preferisca.
A. - Osserva adesso che cosa nella figura composta di tre angoli eguali si contrappone all'angolo, quanto dire che è posto dalla parte opposta, la linea o l'angolo.
E. - La linea.
A. - E non ammetti che se si contrappone angolo ad angolo e linea a linea, si ha maggiore eguaglianza che nella figura, in cui ciò non avviene? 
E. - Lo ammetto, ma non veggo come sia possibile ottenerlo con tre linee.
A. - E con quattro è possibile?
E. - È possibile.
A. - Dunque la figura, che risulta di quattro linee eguali, è più perfetta di quella con tre.
E. - Più perfetta certamente, perché vi si manifesta una maggiore eguaglianza.
A. - E ritieni che questa, la quale è composta di quattro linee eguali, possa essere così strutturata che non tutti gli angoli siano in essa eguali, oppure no?

 

E. - Veggo che è possibile.
A. - E come?
E. - Se due sono più acuti e due più ottusi.
A. - E vedi anche come i due acuti e i due ottusi sono l'uno all'altro opposti?
E. - Con assoluta certezza.
A. - Anche qui dunque intendi che, quanto è possibile, è mantenuta l'eguaglianza. Ti rendi conto infatti, se la figura è composta di quattro linee uguali, dell'impossibilità che, o tutti o per lo meno a due a due, gli angoli non siano eguali e che quelli che sono eguali sono opposti.
E. - Lo intendo e ne sono certissimo.

Eguaglianza e giustizia.

9. 15. A. - E non ti colpisce una certa grande e stabile giustizia anche in queste cose?
E. - E come?
A. - Perché, a mio avviso, noi concepiamo la giustizia come equità ed è manifesto che equità è denominata da eguaglianza. Ora l'equità in questa virtù comporta che sia dato a ciascuno il suo. E certamente non si può dare a ciascuno il suo, se non mediante una certa distinzione. La pensi diversamente?.
E. - È chiaro e son pienamente d'accordo.
A. - E ritieni che si dia distinzione, se tutte le cose fossero eguali e non differissero in nulla fra di loro?
E. - No, certamente.
A. - Quindi non si può attuare la giustizia, se nelle cose, in cui è attuata, vi sia una certa, per così dire, ineguaglianza e dissimiglianza.
E. - Capisco.
A. - Dunque noi ammettiamo che le figure, di cui stiamo trattando, una che risulta di tre angoli e l'altra di quattro, sono dissimili, sebbene siano composte di linee eguali. Non ti sembra quindi che è stata conservata una certa giustizia, nel senso che la prima, la quale non può avere l'eguaglianza dei contrari, mantiene una rigida eguaglianza degli angoli, nella seconda invece, poiché v'è grande corrispondenza dei contrari, la legge degli angoli tolleri una certa ineguaglianza? Il principio mi ha colpito profondamente. Perciò mi è sembrato opportuno chiederti in quale misura avvertivi l'esteticità di questa verità, equità, eguaglianza.
E. - Adesso comprendo e apprezzo moltissimo il tuo discorso.
A. - Ora tu giustamente preferisci l'eguaglianza alla ineguaglianza e non v'è assolutamente, a mio avviso, alcuno, dotato di facoltà di comprendere le cose, che non lo ritenga. Cerchiamo dunque, se sei d'accordo, una figura, nella quale si possa trovare l'eguaglianza perfetta. Qualunque sia, sarà preferita senza dubbio alle altre.
E. - D'accordo e desidero sapere quale sia.

Eguaglianza nel quadrato e triangolo.

10. 16. A. - Dunque rispondi per primo se ritieni che fra le figure, di cui fin qui abbiamo parlato quanto ci è sembrato sufficiente, eccelle quella che risulta di quattro linee ed altrettanti angoli eguali. Come vedi, in essa si ha eguaglianza di linee e di angoli. Si ha inoltre eguaglianza dei contrari, che non riscontravamo in quella che è chiusa da tre linee eguali, poiché, come vedi, sono contrari linea a linea ed angolo ad angolo.

 

E. - È come tu dici.
A. - Ha la più perfetta eguaglianza o ritieni diversamente? Se l'ha, inutilmente ne cerchiamo un'altra, come abbiamo iniziato; se non l'ha, desidero che tu me ne dia la dimostrazione.
E. - Mi pare che l'abbia. Non vedo come ravvisare ineguaglianza, dove si hanno angoli e linee eguali.
A. - Il mio parere è diverso. La linea retta fino all'incontro con gli angoli è dotata di perfetta eguaglianza. Non ritieni che è sorgente d'ineguaglianza la proprietà, per cui una linea da un lato diverso si congiunge con un'altra e forma l'angolo? Ti sembra proprio che si raccordi per eguaglianza e somiglianza la sezione di figura che è chiusa dalla linea con quella che è racchiusa nell'angolo?
E. - No, proprio. Mi vergogno della mia sventatezza. Vi sono stato indotto dal fatto che in essa vedevo angoli e lati eguali. Ma chi non vedrebbe la grande differenza fra lati e angoli?
A. - Considera un altro evidente indizio d'ineguaglianza. Osservi certamente che tanto il triangolo equilatero che il quadrato hanno un centro.
E. - Certamente.
A. - E se dal centro tracciamo linee a tutte le parti della figura, ritieni che esse siano eguali o ineguali?

 

E. - Certamente ineguali, perché sono necessariamente più lunghe quelle che tracciamo verso gli angoli.
A. - E quante sono nel quadrato e quante nel triangolo?
E. - Quattro e tre.
A. - E ancora, quali sono le più brevi e quante in ciascuna figura?
E. - Egualmente quattro e tre, e son più brevi quelle che incidono a metà dei lati.
A.. - Giustissimo, mi sembra. Non è necessario che ci soffermiamo più a lungo su tali figure. Basta al nostro intento perché, come vedo, tu comprendi che vi è mantenuta una grande eguaglianza, ma non è ancora perfetta per ogni aspetto.
E. - Certamente lo comprendo e aspetto impazientemente di conoscere qual è la figura che ha la perfetta eguaglianza.

Linea e superficie.

11. 17. A. - È quella, la cui estremità è omogenea da ogni parte, poiché non v'è angolo che turbi l'eguaglianza e perché dal suo centro si possono tracciare linee eguali ad ogni punto del perimetro.
E. - Credo di aver capito. Stai descrivendo la figura che è limitata da una sola linea tracciata in cerchio.
A. - Hai capito. Ora considera un'altra cosa. Un precedente ragionamento ci ha dimostrato che il concetto di linea implica soltanto la dimensione della lunghezza, che non include la superficie e che quindi è indivisibile in direzione della lunghezza. Ciò posto, ritieni che si dia figura senza la superficie?
E. - No, certamente.
A. - Ed è possibile o no, che la superficie non abbia la lunghezza, sebbene sia soltanto superficie, allo stesso modo che precedentemente abbiamo potuto avere il concetto di lunghezza senza superficie?
E. - Evidentemente impossibile.
A. - Ed anche è evidente per te, salvo mio errore, che è possibile dividere la superficie da ogni parte e che al contrario non è possibile per la linea nel senso della lunghezza.
E. - Evidente.
A. - E cosa ritieni più perfetto, ciò che è divisibile o ciò che è indivisibile?
E. - Certamente ciò che è indivisibile.
A. - Dunque ritieni più perfetta la linea che la superficie. Se l'indivisibile è più perfetto, necessariamente dobbiamo ritenere più perfetto ciò che è meno divisibile; ora la superficie è divisibile da ogni parte, la lunghezza al contrario soltanto trasversalmente, giacché è indivisibile in direzione della lunghezza; quindi è più perfetta della superficie. La pensi diversamente?
E. - La tua dimostrazione mi convince.

Il punto e il cerchio.

11. 18. A. - Ed ora esaminiamo, col tuo consenso, se nel complesso di queste nozioni ve n'è qualcuna che sia assolutamente indivisibile. Sarà molto più perfetta della linea. Puoi osservare infatti che trasversalmente la linea è divisibile all'infinito. Ne lascio a te la scoperta.

 

E. - Io penso che sia indivisibile il punto che abbiamo considerato come centro, da cui si tracciano linee al perimetro. Se fosse divisibile, sarebbe impossibile che non abbia la lunghezza o anche la superficie. Ora se avesse soltanto la lunghezza, non sarebbe il punto, da cui si tracciano linee, ma linea esso stesso. Se avesse anche la superficie, esigerebbe un centro, da cui tracciare linee al perimetro della superficie. La dimostrazione manifesta che è assurdo l'uno e l'altro. Dunque il punto è l'indivisibile.
A. - Esatto. Ma non ti sembra che è il medesimo concetto del punto come principio della linea, anche se non si ha ancora la figura, di cui lo consideriamo centro? Denomino principio della linea il punto, da cui la linea ha inizio e che devi intendere senza alcuna lunghezza. Che se lo concepisci come lunghezza, non puoi certamente avere il concetto di punto, da cui la medesima linea ha inizio.
E. - È proprio così.
A. - Questo elemento che hai compreso, come noto, è il concetto più interessante dell'intera dimostrazione. Esso è infatti assolutamente indivisibile. Si denomina punto, quando occupa il centro della figura e si denomina segno, se, senza occupare il centro della figura, è principio o termine di linea o linee, o quando designa qualche cosa che è concepito senza parti. È dunque il segno un'indicazione senza parti. E il punto è indicazione del centro di una figura. Ne consegue che ogni punto è anche segno, ma non sembra che ogni segno sia anche punto. Vorrei che fossimo d'accordo su tale terminologia per non doverci diffondere in altre spiegazioni durante la discussione, sebbene alcuni considerano come punto non quello che occupa il centro della figura in generale, ma soltanto del cerchio e della sfera. Comunque non dobbiamo preoccuparci della terminologia.
E. - D'accordo.

Funzione del punto-segno.

12. 19. A. - Puoi osservare anche quanto ampia sia la sua funzione. Da esso ha inizio la linea e con esso termina; notiamo che è impossibile una figura di rette se esso non ne chiude l'angolo; ancora, da esso è divisa la linea in quel senso, in cui è possibile dividerla, mentre esso in sé è assolutamente indivisibile; inoltre una linea non si congiunge con un'altra se non per la sua funzione. Non abbiamo ancora parlato del volume, ma per quanto riguarda le figure piane, la dimostrazione ha concluso che è più perfetta, a causa dell'esatta eguaglianza, quella che è chiusa in un cerchio. E proprio il punto posto al centro è la più esatta misurazione dell'eguaglianza. Si potrebbero esprimere molti concetti sulla sua funzione, ma mi servo della misura e ti lascio riflettervi da te.
E. - Bene, se vuoi. Non avrò certamente difficoltà a chiedere il tuo parere, se sorgerà qualche dubbio. Frattanto, per quanto ne capisco, scorgo un po' confusamente l'importante funzione del segno.

Superficie e volume.

12. 20. A. - Per il momento, compreso che cosa sono il segno, la lunghezza e la superficie, rifletti quale di essi, secondo te, necessita, per essere, dell'altro e di quale.
E. - Vedo che la superficie necessita della lunghezza, senza di cui è inconcepibile. Comprendo che a sua volta la lunghezza, per essere, non necessita della superficie, ma che non può essere senza il segno. Ed è evidente che il segno è di per sé e non necessita delle altre due.
A. - Esatto, ma considera attentamente se la superficie si può dividere da ogni parte, ovvero se è possibile che da qualche parte essa non ammetta la divisione, sebbene la ammetta più della lunghezza.
E. - Non saprei proprio da quale parte non è possibile.
A. - Noto che non ricordi. Sarebbe proprio impossibile che non lo sai. Cercherò dunque di fartelo ricordare nella seguente maniera. Certamente tu concepisci la superficie così da non implicare nulla del volume.
E. - D'accordo.
A. - Si aggiunga dunque alla superficie anche il volume. Dimmi adesso se vi è stato aggiunto qualche cosa, per cui sia maggiormente divisibile da ogni parte.
E. - Molto abilmente mi hai stimolato al ricordo. Ora comprendo che si ha divisibilità non solo dall'alto e dal basso, ma anche dai lati e che non v'è rimasta parte, di cui sia impossibile la divisione. È evidente quindi che la superficie è indivisibile da quelle parti, da cui deve levarsi il volume.

Dimensioni intelligibili.

12. 21. A. - Dunque, salvo mio abbaglio, hai la nozione di lunghezza, superficie e volume. Ti chiedo ora se è possibile che, dato il volume, manchino le prime due dimensioni.
E. - Mi pare che senza lunghezza è impossibile il volume, è possibile senza superficie.
A. - Ritorna dunque alla rappresentazione della superficie. Se l'hai concepita come un piano orizzontale, sollevala perpendicolarmente, come se la volessi far uscire attraverso il sottilissimo spiraglio, in cui s'incontrano i battenti di una porta chiusa. Non comprendi ancora il mio intento?
E. - Comprendo le tue parole, ma non ancora forse il tuo intento.
A. - Mio intento è che tu risponda se la superficie, sollevata in tal modo, si è trasformata in volume ed ha perduto il concetto specifico di superficie, ovvero se rimane superficie, anche se è così disposta.
E. - Ritengo che è divenuta volume.
A. - Ti ricordi, scusa, come abbiamo definito il volume?
E. - Certo che lo ricordo e adesso mi vergogno di averti risposto così. La superficie, anche sollevata in quel modo, non è divisibile dall'alto in basso, quindi non è concepibile in essa una massa, sebbene siano concepibili il centro e il perimetro. In base alla precedente dimostrazione sul volume, che mi hai richiamato alla mente, non v'è volume, in cui all'interno non si debba concepire una massa.
A. - Bene, desideravo proprio che te ne rammentassi. Ed ora vorrei che tu mi dica se ritieni l'intelligibile più perfetto del sensibile.
E. - Esitare in proposito sarebbe incredibile pazzia.
A. - Dimmi dunque, ti prego: è linea intelligibile quella che fosse divisibile nel senso della lunghezza, segno intelligibile quello che in qualche modo fosse divisibile, superficie intelligibile quella che posta perpendicolarmente come abbiamo detto, ammettesse la divisione dall'alto in basso?
E. - No, certamente.

Ricapitolazione.

13. 22. A. - Hai mai visto con gli occhi del corpo un tale punto, una tale linea o una tale superficie?
E. - Mai, non sono oggetti sensibili.
A. - Dunque se gli oggetti sensibili per una certa mirabile affinità sono percepiti dagli occhi del corpo, è necessario che lo spirito, con cui vediamo gli oggetti sovrasensibili, non sia corporeo o corpo. La pensi diversamente?
E. - Suvvia, ormai sono d'accordo che lo spirito non è corpo o qualche cosa di corporeo. Ma dimmi che cos'è in definitiva.
A. - Frattanto rifletti se è stato accertato che esso è immune da quantità. Su questo tema ora si svolge la ricerca. Per quanto riguarda la definizione dello spirito, mi meraviglio che ti sei già dimenticato di averne discusso nella nostra precedente indagine. Dovresti ricordare che per primo ci siamo proposti il problema della sua origine. L'argomento è stato da noi svolto sotto due aspetti. Nel primo si condusse la ricerca sulla sua patria d'origine, nel secondo si discusse se fosse composto di terra o fuoco o da altro degli elementi materiali, ovvero da tutti o da alcuni di essi. Nell'indagine abbiamo stabilito che sarebbe come porsi il problema della composizione della terra o di altro dei singoli elementi. È funzione del pensiero comprendere che lo spirito, sebbene creato da Dio, ha una sua esseità che non è di terra, di fuoco, di aria, di acqua, a meno dell'ipotesi che Dio ha dato alla terra di non essere altro che terra e non ha dato allo spirito di essere altro che spirito. Se poi vuoi la definizione dello spirito e mi chiedi che cosa esso sia, risponderò senza difficoltà. È mia teoria che lo spirito è esseità dotata di pensiero e ordinata a governare un corpo.

Lo spirito non ha quantità perché la pensa...

14. 23. Rifletti piuttosto sul problema se lo spirito ha quantità e, per così dire, una sua quasi estensione. In proposito ora nasce un dubbio. Infatti non è corpo, altrimenti non potrebbe conoscere oggetti sovrasensibili, come ha concluso la precedente dimostrazione. Pertanto senza dubbio è immune dall'estensione, con cui si misurano i corpi, e quindi una sua quantità non può essere oggetto né di fede, né d'esperienza, né di puro pensiero. Se poi ti rende perplesso il fatto che la memoria, sebbene immune da quantità, contiene spazi sterminati di cielo, terra e mare, rifletti che essa è una facoltà meravigliosa, di cui ti puoi rendere ragione a norma della tua intelligenza, da quanto è stato detto nel nostro dialogo. Lo spirito non è corpo, come è stato logicamente dimostrato, poiché è immune da lunghezza, superficie e volume e nessuna di queste dimensioni può essere nel corpo senza le altre due. Tuttavia gli è concesso di avere conoscenza, mediante un suo occhio interiore, cioè l'intelligenza, della linea astratta. Quindi dobbiamo ammettere, come ritengo, che lo spirito non è corpo, in quanto è più perfetto del corpo. Ciò ammesso, non v'è dubbio, secondo il mio parere, che è più perfetto anche della linea. Le tre dimensioni sono nel corpo perché esso sia corpo. Sarebbe quindi assurdo che un essere più perfetto di esse non sia più perfetto del corpo. Ma è evidente che lo spirito è più perfetto della linea stessa ed essa eccelle sulle altre due dimensioni, perché è meno divisibile. Ora le altre due in tanto sono più divisibili della linea, in quanto hanno maggiore estensione. La linea al contrario ha soltanto l'estensione della lunghezza. Se si elimina, non rimane estensione. Necessariamente dunque tutto ciò che è più perfetto della linea è fuori dell'estensione ed è assolutamente impossibile che sia geometricamente divisibile. Invano quindi, come penso, ci affanniamo a trovare nello spirito una inesistente quantità, se dobbiamo ammettere che è più perfetto della linea. Di tutte le figure piane è più perfetta quella che è chiusa in una circonferenza ed è stato dimostrato che l'elemento più perfetto e più funzionale in essa è il centro, il quale senza dubbio è immune da parti. Non c'è da meravigliarsi dunque se l'anima non è corporea, non si estende nella lunghezza, non si allarga nella superficie, non diviene solida col volume ed esercita tuttavia tanto dinamismo sul corpo che in essa risiedono la morfologia di tutte le membra e il fulcro attivo di tutte le funzioni fisiologiche.

...e pensa se stesso.

14. 24. Il punto mediano dell'occhio, la pupilla, non è in certo senso che il centro dell'occhio. Ma vi risiede tanta funzionalità, che con esso da un luogo elevato può osservare, spaziando, la metà del cielo, la cui estensione è inesprimibile. Dunque non è illogico che lo spirito sia totalmente immune da grandezza corporea, la quale si ottiene con le tre dimensioni, sebbene possa rappresentarsi qualsiasi grandezza corporea. Ma a pochi è concesso vedere lo spirito con lo spirito stesso, cioè che lo spirito veda se stesso. Si vede mediante l'intelligenza. Ad essa soltanto è lecito vedere che nella realtà non v'è essere più attivo e più perfetto di quegli esseri che si concepiscono, per così dire, senza rigonfiamenti. Rigonfiamento si può appunto non illogicamente considerare la grandezza corporea. Se questa fosse da tenersi in considerazione, gli elefanti avrebbero certamente maggiore intelligenza di noi. Qualcuno, loro familiare, dirà che gli elefanti hanno intendimento. Ho sentito dire, certamente con stupore, ho sentito dire comunque che si avanzano dubbi anche su questo argomento. Ma quel tale vorrà per lo meno concedere, per quanto ne capisco io, che l'ape ha più intendimento dell'asino. E paragonarne le grandezze è certamente peggio che da asini. Ma torniamo a quanto dicevamo dell'occhio. Ognuno sa che l'occhio dell'aquila è molto più piccolo del nostro. Si è osservato tuttavia che essa, pur volando così alto che da noi può difficilmente esser vista sebbene in piena luce, scopre con l'occhio un leprotto nascosto sotto un cespuglio o un pesce nell'acqua. Quindi anche nei sensi, cui è dato percepire soltanto oggetti sensibili, la grandezza del corpo non vale nulla agli effetti, cioè al potere del sentire stesso. Non si deve temere dunque che lo spirito umano, il cui sguardo più eccellente e quasi unico è la ragione con cui prova di scoprire perfino se stessa, è un nulla, se la ragione può dimostrare che lo spirito, cioè se stessa, è immune da quantità, con cui si occupa lo spazio. Nel concepire lo spirito si deve pensare una grandezza, credimi, una grandezza ma senza massa. È più facile a coloro che con una buona cultura iniziano ad applicarsi a questi problemi, non per amore di vana gloria, ma infiammati di amore divino per la verità, ovvero anche a coloro che già vi si applicano, sebbene abbiano iniziato l'indagine con cultura meno solida. In tal caso devono con costanza offrirsi docili ai buoni e distaccarsi dalla sensibilità, quanto è possibile in questa vita. Per divina provvidenza non può accadere che la possibilità di trovare venga a mancare agli spiriti religiosi che con pietà, purità e diligenza cercano se stessi e il proprio Dio, cioè la verità.

L'anima non sviluppa come il corpo (15, 25 - 22, 40)

Superiorità della ragione.

15. 25. - Ma abbandoniamo, per favore, l'argomento, se non hai più difficoltà. Passiamo ad altro. Ti accorgerai quanto sarà utile per le successive questioni quella riguardante le figure, trattata da noi forse con maggiore abbondanza di parole di quanto tu desiderassi, se vorrai ammettere che la discussione se ne è avvantaggiata. Difatti questo genere di studi esercita lo spirito a cogliere i concetti più alti. Altrimenti abbacinato dalla loro luminosità e incapace di sostenerla, si rifugia volentieri nelle tenebre che, voleva fuggire. Tale studio offre inoltre delle prove tanto certe da far si che la tesi dimostrata renda ingiustificato il dubbio, nei limiti in cui è possibile agli uomini l'indagare su tali problemi. [Il dubbio ingiustificato si ha in due maniere. O un individuo capace di pensiero si rende così pigro mentalmente nella ricerca della verità da preferire di rimanere nelle tenebre della sensibilità, anziché, per il fatto che è stato formato dal suo Creatore, impegnarsi con vero atto di pensiero nella ricerca incessante di se stesso e di Dio. Oppure l'individuo persiste con ingiustificata caparbietà a dubitare che si possano scoprire e dimostrare verità, che sono state scoperte e dimostrate da altri, i quali si sono impegnati in una ricerca attenta e religiosa. Ma lo fanno per il solo motivo che essi non le hanno raggiunte. Ed è un ingiustificato tipo d'invidia, come la logica dimostra]. Io, personalmente, dubito meno di tali nozioni che degli oggetti percepiti con gli occhi, i quali devono continuamente battagliare con la cispa. La cosa più insopportabile ad udirsi è ammettere che mediante la ragione siamo superiori alle bestie e ad un tempo sostenere che l'oggetto sensibile, che alcune bestie percepiscono meglio di noi, è qualche cosa e che l'oggetto intelligibile è un nulla. Eppure sembrerebbe irrispettosa perfino l'affermazione, con cui si considerasse simile all'oggetto sensibile.

Il problema dello sviluppo in grandezza.

15. 26. E. - Accetto volentieri codesta dimostrazione e ne ho certezza. Ma sebbene mi sia chiaro l'argomento che l'anima è immune da quantità, al punto che non so come obiettare contro le prove e quale punto ribatterne, mi turba ancora qualche difficoltà. E prima di tutto perché con l'età l'anima ha un suo sviluppo, o per lo meno sembra che l'abbia come il corpo. Infatti non si può negare che i bambini nella prima infanzia non reggono il confronto con l'avvedutezza di alcune bestie, come non si può negare che, con il loro sviluppo, sviluppa in qualche modo in essi anche la ragione. In secondo luogo se l'anima si distende nell'estensione del proprio corpo, in che modo è immune da quantità? Se poi non si distende, come sente una puntura in ogni parte del suo corpo?
A. - Mi fai obiezione proprio su argomenti che sempre hanno costituito per me difficoltà. Quindi non sono impreparato a risponderti nei termini con cui abitualmente rispondo a me stesso. Se bene, giudicherà la ragione che ti guida. Comunque di più non posso certamente, salvo che, mentre discutiamo, non venga alla mente per ispirazione qualche cosa di più valido. Ma se preferisci, usiamo il nostro metodo. Sotto la guida della ragione rispondi a te stesso. E prima di tutto esaminiamo se sia valida l'obiezione dello spirito che si svilupperebbe col corpo poiché col crescere dell'età l'individuo si arricchisce d'esperienza e si rende gradualmente più disposto ad usarla.
E. - Fa pure così. Anche io preferisco questo metodo d'insegnamento e d'apprendimento. Non so come, ma quando nella ricerca maieutica posso rispondere a me stesso, la scoperta mi dà maggiore soddisfazione, non solo per il fatto in sé, ma anche per la sorpresa.

Virtù e coerenza e non estensione...

16. 27. A. - Dimmi dunque se, secondo te, il più e il meglio sono due nozioni distinte, ovvero una sola e medesima nozione designata con due nomi diversi. E. - So che altro è il più ed altro il meglio. A. - Qual è fra i due quello, cui attribuisci la quantità? E. - Quello che denominiamo il più. A. - Ed è la quantità o altro a far sì che fra le due figure il cerchio sia migliore del quadrato? E. - Ma non la quantità, ma l'eguaglianza, di cui abbiamo parlato dianzi, è artefice della maggiore perfezione. A. - Ed ora rifletti se la virtù ti sembra una certa eguaglianza della vita pienamente coerente con la ragione. Infatti se nella vita v'è un aspetto in dissidio con un altro, noi, salvo errore, subiamo maggiore danno che se qualche parte del circolo sia, nel confronto con altre, a maggiore o minore distanza dal centro. La pensi diversamente? E. - Tutt'altro. E approvo la tua definizione della virtù. Infatti non può essere denominata o considerata ragione se non la ragione ideale. Quindi l'individuo, la cui vita è pienamente conforme all'ideale verità, è certamente il solo, o per lo meno nella forma più alta, a vivere secondo l'onestà morale. Si deve ritenere che soltanto chi ha questa disposizione, possiede la virtù e ne vive. A. - Giusto. Ma puoi anche afferrare, come credo, che il cerchio è il più simile a virtù di qualsiasi altra figura piana. Per questo motivo apprezziamo assai il verso di Orazio, con cui, parlando del saggio, afferma: Forte e sempre pienamente eguale a se stesso come un cerchio 1. Giustamente, perché anche fra i beni spirituali non ne trovi alcuno che più della virtù sia pienamente conforme a se stesso, allo stesso modo che fra le figure il cerchio. Dunque il cerchio eccelle sulle altre figure non per estensione, ma per la conformità. Della virtù a più forte ragione si deve pensare che è più perfetta delle altre qualità, non per maggiore estensione, ma per una quasi sovrumana armoniosa coerenza di pensieri.

...danno maggiore grandezza allo spirito.

16. 28. Ora quando un fanciullo sviluppa nel bene, in qual senso si dice che sviluppa, se non nella virtù? Non ti sembra?
E. - È chiaro.
A. - Dunque non devi pensare che lo spirito sviluppa con l'età crescendo come il corpo. Sviluppando infatti raggiunge la virtù e noi dobbiamo ammettere che essa è bella e perfetta, non per la maggiore estensione, ma a causa della sovrana energia della coerenza. Hai già concesso che sono diversi il più e il meglio. Dunque non mi pare proprio che l'anima sviluppando con l'età e con l'acquisto della facoltà di pensare, diventi più grande ma migliore. Che se lo apportasse lo sviluppo delle membra, un individuo sarebbe più prudente in proporzione dell'altezza e della robustezza. Non mi dirai, penso, che le cose stiano diversamente.
E. - E chi lo potrebbe dire? Tuttavia anche tu concedi che l'anima si perfeziona con l'età. Mi stupisco dunque come avviene che essa, totalmente immune dalla quantità, tragga vantaggio certamente dal passare del tempo, se non dallo sviluppo delle membra.

Il vero sviluppo non è nel tempo.

17. 29. A. - Cessa di stupirtene. Ti darò una risposta simile alla precedente. Lo sviluppo delle membra non è dimostrazione valida che l'anima ne tragga vantaggio, poiché molti con corporatura esile e gracile sono più prudenti di altri che hanno una gagliarda complessione. Allo stesso modo noi vediamo che alcuni giovani sono più attivi e costanti di parecchi anziani. Non veggo dunque perché si debba pensare che il passare del tempo contribuisca con l'età allo sviluppo dello spirito come avviene per i corpi. D'altronde alcuni fra i corpi, di cui è proprio sviluppare e raggiungere maggiore dimensione col tempo, sono meno sviluppati, anche se più adulti, e non solo quelli dei vecchi che, col passare del tempo, diminuiscono di statura e di peso, ma anche quelli dei fanciulli. Possiamo osservare infatti che alcuni sono meno sviluppati di altri, anche se superiori in età. Dunque non è un lungo spazio di tempo a dare la spiegazione dello sviluppo del corpo, ma la produttività del seme e la potenza generatrice di ragioni numeriche certamente occulte e misteriose. A più forte ragione non dobbiamo immaginarci che l'anima col tempo sviluppi in lunghezza dal fatto che, come si può notare, ha appreso molte cose nella continuità dell'esperienza.

Non grandezza corporea ma spirituale.

17. 30. Forse ti rende perplesso anche il fatto che noi traduciamo la dei Greci con longanimità. Ma è opportuno tener presente che molte parole si applicano per traslato dall'ordine fisico a quello spirituale e viceversa. Virgilio ha definito improbo un monte e giustissima la terra 2. Come vedi, le parole sono state trasferite dall'ordine spirituale a quello fisico. Non c'è da stupirsi dunque se per reciprocità si parla di longanimità, sebbene soltanto i corpi possono esser lunghi. La virtù poi che si denomina magnanimità va logicamente intesa non in riferimento all'estensione, ma a forza ovvero energico dominio spirituale. È una virtù che si deve tanto più stimare quante più cose disprezza. Ne parleremo in seguito, quando esamineremo, secondo lo schema prefisso, la grandezza dell'anima nel senso in cui abitualmente si chiede quanto grande fu Ercole per grandezza d'imprese e non per sviluppo delle membra. Ora è opportuno che richiami quanto, abbastanza esaurientemente, abbiamo detto sul centro. La dimostrazione ci ha convinto che esso è funzionalissimo e che è predominante nelle figure. Ora la funzionalità e il predominio sono indice d'una certa grandezza, e tuttavia nel centro non abbiamo potuto riscontrare l'estensione. Dunque quando si ode o si dice che lo spirito è grande o immenso, non si deve intendere grandezza dell'estensione occupata, ma grandezza di potere. Pertanto se la tua prima obiezione, fondata sulla tua ipotesi che attraverso l'età lo spirito sviluppi col corpo, è stata sufficientemente discussa, passiamo ad altro.

Il bambino e l'inizio del linguaggio.

18. 31. E. - Non so se abbiamo esaminato tutti i temi, che abitualmente sono per me motivo di giustificato dubbio. È possibile anche che alcuni sfuggano al mio ricordo. Tuttavia esaminiamone uno che mi viene in mente in questo momento, e cioè la ragione per cui il bambino nella prima infanzia non ha la favella e l'acquista con la crescenza.
A. - È facile la risposta. Dovresti sapere, penso, che ciascuno parla la lingua degli individui, fra cui è nato e cresciuto.
E. - Lo sanno tutti.
A. - Supponi dunque che un individuo sia nato e allevato in un luogo, dove gli uomini non parlano, ma si esprimano con cenni e gesti. Non pensi che anche egli si comporterà ugualmente e che non acquisterà la parola perché non ha udito parlare?
E. - Non mi porre domande sull'ineventuale. Che razza d'uomini sono costoro, fra cui dovrei supporre la nascita d'un individuo?
A. - Non hai mai visto a Milano un giovanotto di belle forme e di buone maniere, tuttavia muto e sordo al punto che non comprendeva gli altri se non dai gesti ed ugualmente con gesti esprimeva il proprio pensiero? Vi era conosciutissimo. Io stesso conosco un contadino normale che da una moglie normale ha avuto, tra maschi e femmine, quattro figli e forse più, non ricordo bene ora, tutti sordomuti. Si capiva che erano muti perché non potevano parlare ed anche sordi perché percepivano segni soltanto mediante la vista.
E. - Quello di Milano lo conosco anche io, di costoro non so ma credo a te. Ma a che scopo questi esempi?
A. - Ma perché hai detto che non riesci a supporre come possa nascere un individuo fra costoro.
E.- E vi insisto. Tu stesso affermi che essi sono nati fra individui in possesso della favella.
A. - Non potrei certamente dire il contrario. Risulta intanto dal nostro colloquio la possibilità che esistano degli individui con tale anormalità. Ed ora supponi, per favore, che un maschio e una femmina, anormali in tal senso, si uniscano, che siano condotti da una evenienza qualsiasi in un luogo deserto, dove tuttavia possano vivere e che qui mettano al mondo un figlio non sordo. Questi come potrebbe comunicare con i propri genitori?
E. - E come penseresti, se non ripetendo con i gesti i segni osservati nei genitori? Tuttavia un bimbo neanche di questo sarebbe capace. Dunque la mia obiezione rimane in piedi. Che importa se con la crescenza impara ad esprimersi con la parola ovvero con la mimica, quando l'una e l'altra dipendono dall'anima, di cui non vogliamo ammettere la crescenza?

Natura, arte e sviluppo.

18. 32. A. - Ora mi dai l'impressione di voler credere che un funambolo ha l'anima più estesa di coloro che non posseggono questa tecnica.
E. - Questo è un altro discorso. Tutti sanno che quell'abilità appartiene all'arte.
A. - E perché, prego, all'arte? Perché l'ha appresa?.
E. - Certo.
A. - E se uno apprende un'altra cosa, perché, a sentir te, non apparterrebbe all'arte?
E. - Quanto si apprende appartiene all'arte, non lo nego.
A. - E quel bimbo non ha appreso dai genitori la mimica?
E. - Sì, certamente.
A. - Dunque devi ammettere che l'apprendere non è di un'anima che aumenta con lo sviluppo, ma di una certa arte imitativa.
E. - Questo poi non posso concedertelo.
A. - Dunque quello che si apprende non del tutto appartiene ad un'arte. Eppure l'avevi concesso un momento fa.
E. - Ma del tutto all'arte.
A. - Dunque il bimbo non ha appreso la mimica. Anche questo me lo avevi concesso.
E. - L'ha appreso, ma non appartiene a un'arte.
A. - Ma tu poco fa hai detto che appartiene all'arte ciò che si apprende.
E. - Suvvia, concedo che parlare e gestire, in quanto risultano dal nostro apprendimento, appartengono a un'arte. Tuttavia diverse sono le arti che apprendiamo osservando gli altri da quelle che ci vengono insegnate dai maestri.
A. - Secondo te, l'anima col suo sviluppo ne acquista alcune o tutte?
E. - Secondo me, non tutte, quelle soltanto, di cui abbiamo detto dianzi.
A. - E non ti pare che alla categoria appartiene anche il camminare sulla fune? Difatti, penso, coloro che hanno l'abilità, l'acquistano osservando.
E. - Così credo. Ma non tutti coloro che osservano e seguono con grande attenzione possono acquistarla, ma coloro soltanto che si assoggettano agli istruttori.
A. - Giusto. La medesima cosa, direi a proposito del linguaggio. I Greci e altre genti di diverso idioma ci odono parlare più spesso di quanto non assistano allo spettacolo del funambolo. Ma essi, per apprendere la nostra lingua, come noi del resto quando vogliamo apprendere la loro, sono costretti a frequentare i maestri. Stando così le cose, mi stupisco perché vuoi attribuire allo sviluppo dell'anima il fatto dell'umana favella e ne escludi quello del camminare sulla fune.
E. - Non capisco proprio come fai a conforder le cose. Chi è mandato al maestro per apprendere la nostra lingua, conosce anche la sua, che, come penso, ha appreso perché la sua anima è sviluppata. Io attribuisco all'arte e non allo sviluppo dell'anima il fatto che ne apprende una non sua.
A. - E l'anima di quel tale che, nato e cresciuto fra uomini muti, trovandosi più tardi e ormai giovane fra uomini normali, imparasse a parlare senza conoscere alcuna lingua, svilupperebbe nel momento, in cui cominciasse a parlare?
E. - Non oso dir questo e accetto la dimostrazione. Non penso che l'acquisto della favella costituisca l'incremento di un'anima più sviluppata. Sarei costretto ad ammettere che l'anima raggiunge il possesso di tutte le arti mediante lo sviluppo. Se lo ammettessi, ne conseguirebbe l'assurdo che l'anima con l'oblio decresce.

Tre tipi di crescenza fisica e spirituale.

19. 33. A. - Hai colto nel segno ed ora ascolta la verità. Giustamente si dice, ma in senso metaforico come abbiamo già detto, che l'anima sviluppa con l'apprendimento e decresce con l'oblio. Tuttavia quando si parla del suo sviluppo bisogna guardarsi dal pensare che occupi una maggiore estensione, ma si deve intendere che apprendendo acquista una più cosciente facoltà di agire che non avrebbe senza l'apprendere. Ha tuttavia una grande importanza la qualità delle nozioni che apprende e con cui, in qualche modo, si manifesta il suo sviluppo. Facciamo un'analogia col corpo che ha tre tipi di sviluppo. Uno è necessario perché con esso si raggiunge il naturale equilibrio fisico. Un secondo è accessorio perché con esso si aggiunge qualche cosa che, crescendo senza danneggiare l'organismo, discorda dalle altre parti del corpo, ad esempio il caso di individui che nascono con sei dita. Si danno parecchi altri casi i quali, giacché si ha irregolarmente qualche cosa di troppo, sono detti anormali. Un terzo è nocivo, poiché quando sopravviene all'organismo, si chiama tumore; difatti anche nella fattispecie le membra crescono e in realtà occupano maggiore estensione ma a danno della salute. Allo stesso modo nello spirito si ha uno sviluppo naturale, quando sviluppa con le discipline oneste, che dispongono a viver bene in ordine alla felicità. Le nozioni poi, che sono piuttosto sorprendenti che utili, sebbene opportune in determinati casi, sono accessorie e da ascriversi alla seconda categoria. Ad esempio, narra Varrone che un flautista deliziò tanto il popolo da essere eletto re. Non per questo dobbiamo pensare che il nostro spirito si perfezioni con una simile capacità tecnica. E non vorremmo avere denti più grossi di quelli umani, se udissimo che un tale che li aveva uccise il nemico con un morso. È nociva infine la categoria di arti, con cui si danneggia la salute spirituale. Ad esempio, giudicare vivande dall'odore o dal sapore, sapere indicare in quale lago è stato pescato un pesce o di quanti anni è un vino, sono abilità degne di commiserazione. E sebbene possa sembrare che con tali arti l'anima ha avuto crescenza, poiché col trascurar la mente si è riversata nei sensi, si deve al contrario giudicare che essa è soltanto tumefatta o peggio ancora marcita.

L'anima è stata creata sciente?

20. 34. E. - Sono d'accordo con te su tali cose e ne ho anche certezza. Mi angustia tuttavia il fatto che è totalmente ignorante e bruta l'anima che noi, quanto ci è consentito, possiamo osservare in un bimbo appena nato. Se è eterna, perché non ha portato con sé alcuna nozione?
A. - Stai proponendo un problema grande, grande veramente. Non saprei proprio se ve ne sia un altro più grande. Ma su di esso le nostre opinioni sono in pieno contrasto. Tu ritieni che l'anima non ha portato con sé alcuna nozione. Io al contrario ritengo che tutte le ha portate e che quel che si dice apprendere non è altro che rievocare e ricordare. Ma ti accorgi che questo non è il momento d'indagare se in proposito le cose stanno così? Ora stiamo discutendo affinché sia evidente che l'anima non può essere considerata piccola o grande secondo estensione. Discuteremo al momento opportuno se si dà una sua eternità, quando cominceremo a trattare, nei limiti consentiti, il quarto punto da te stabilito e cioè, perché è stata data al corpo. Non è di attinenza al tema dell'estensione ricercare se è stata da sempre e sarà per sempre, o che in un tempo è ignorante e in un altro sciente. Abbiamo già dimostrato che neanche per i corpi un lungo tempo costituisce spiegazione sufficiente della grandezza. Si sa inoltre che potrebbe non esservi conoscenza alcuna in individui che stanno crescendo e che talora ne difettano individui che stanno invecchiando. Infine sono state dette molte cose, come penso, per dimostrare che l'anima non aumenta con lo sviluppo fisico apportato dall'età.

 

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