LA PAZIENZA

La pazienza di Dio.

1. La virtù dell’anima che chiamiamo pazienza è un dono di Dio così grande che noi parliamo di pazienza anche riferendoci a colui che a noi la dona; e vi intendiamo la tolleranza con cui egli aspetta che i cattivi si ravvedano. È vero infatti che il nome "pazienza" deriva da patire, ma pur essendo vero che Dio non può in alcun modo patire, tuttavia noi per fede crediamo, e confessiamo per ottenere la salvezza, che Dio è paziente. Ma questa pazienza di Dio, come essa sia e quanto sia grande, chi potrà descriverlo a parole? Noi possiamo affermare che egli non può patire nulla, eppure non lo diciamo impaziente ma pazientissimo. La sua pazienza è dunque ineffabile, come è ineffabile la sua gelosia, la sua ira e gli altri moti somiglianti, che se noi pensassimo essere uguali ai nostri, dovremmo escluderli tutti. Noi infatti non ne proviamo alcuno che non sia congiunto a turbamento, mentre è assurdo pensare che la natura divina, che è impassibile, provi turbamento. Dio infatti è geloso senza invidia, si adira senza alterarsi, ha compassione senza addolorarsi, si pente senza doversi ravvedere d’un qualsiasi errore. Così è paziente senza patire. Ora dunque, per quanto il Signore me lo concederà e per quanto lo permette la brevità del presente discorso, parlerò sulla natura della pazienza umana, che noi possiamo acquisire e dobbiamo avere.

 

La vera pazienza.

2. È risaputo che la pazienza retta, degna di lode e del nome di virtù, è quella per la quale con animo equo tolleriamo i mali, per non abbandonare con animo iniquo quei beni, per mezzo dei quali possiamo raggiungere beni migliori. Pertanto chi non ha la pazienza, mentre si rifiuta di sopportare i mali, non ottiene d’essere esentato dal male ma finisce col soffrire mali maggiori. I pazienti preferiscono sopportare il male per non commetterlo piuttosto che commetterlo per non sopportarlo; così facendo rendono più leggeri i mali che soffrono con pazienza ed evitano mali peggiori in cui cadrebbero con l’impazienza. Ma soprattutto non perdono i beni eterni e grandi, quando non cedono ai mali temporanei e di breve durata poiché, come dice l’Apostolo, i patimenti del tempo presente non meritano d’essere paragonati con la gloria futura che si rivelerà in noi 1. Egli dice ancora: La nostra sofferenza, temporanea e leggera, produce per noi in maniera inimmaginabile una ricchezza eterna di gloria 2.

 

La grande pazienza dei cattivi.

3. Volgiamo ora lo sguardo, o carissimi, alle fatiche, ai dolori e alle asperità che gli uomini sopportano per ciò che amano spinti dai loro vizi, per tutte quelle cose che quanto più si pensa abbiano ad arrecare felicità tanto più si diventa infelici nel desiderarle. Quanti rischi e molestie affrontano con la più grande pazienza per le false ricchezze, i vani onori e le frivole soddisfazioni. Li vediamo avidi di denaro, di gloria e di piaceri lascivi, che per ottenere le cose desiderate e non perderle quando le hanno ottenute, sopportano il calore, la pioggia, il freddo, i flutti e le burrasche più tempestose, le durezze e incertezze delle guerre, i colpi di piaghe crudeli e orribili ferite. E tutto questo sopportano non per una inevitabile necessità, ma per un atto colpevole della loro volontà.

 

La forza del desiderio rende tollerabili le fatiche e i dolori.

4. 4. In realtà la gente ritiene che l’avarizia, l’ambizione, la dissolutezza, le attrattive per i vari divertimenti rientrano nell’ambito d’una condotta irreprensibile, almeno finché per soddisfarle non si commettono azioni riprovevoli o delitti condannati dalle leggi umane. Ci sono infatti persone che si sottopongono a grandi fatiche e dolori per acquistare o aumentare il proprio capitale, per conseguire o conservare posti onorifici, per partecipare a gare agonistiche o venatorie, per ottenere plauso allestendo spettacoli teatrali. Se questo riescono a fare senza ledere i diritti altrui, è poco dire che dalla vacuità del popolo essi non vengono disapprovati e così se ne astengono. Al contrario vengono esaltati ed inneggiati; proprio come dice la Scrittura: Il peccatore è lodato nei desideri del suo cuore 3. In effetti è la forza dei desideri a farci tollerare fatiche e dolori e nessuno accetta spontaneamente di sopportare ciò che fa soffrire, se non per quello che diletta. Ma, come ho detto, le passioni ora nominate son considerate legittime, autorizzate dalla legge, e quanti ardono dal desiderio di appagarle sopportano con estrema pazienza molti disagi e asperità.

 

La straordinaria resistenza di Catilina.

5. 4. E che dire di quelle persone che sopportano molti e gravissimi disagi per crimini conclamati, e non per punirli ma per commetterli? Non parlano forse gli storici pagani di quel tale, famigerato assassino della patria, dicendo che era capace di sopportare la fame, la sete, il freddo; il suo corpo era in grado di tollerare digiuni, freddi e veglie oltre ogni immaginazione 4? E che dire dei briganti? Per tendere insidie ai passanti trascorrono notti insonni, e per sequestrare viandanti incolpevoli irrigidiscono sotto ogni genere di intemperie il loro animo e il loro corpo, dediti al male. Si racconta pure che alcuni di loro si torturano l’un l’altro, al segno che l’allenamento per sottrarsi alla pena non si differenzia per nulla dalla pena stessa. È probabile infatti che dal giudice non sarebbero torturati così atrocemente quanto lo si fa dai loro complici per impedire che vengano denunziati dal correo sottoposto a torture. In questi casi tuttavia la pazienza è, se mai, da ammirare, non da lodare; anzi, non è né da lodare né da imitare, poiché non si tratta di pazienza. Si potrà parlare di straordinaria insensibilità, ma non si trova nulla della pazienza; e quindi non c’è niente che possa essere giustamente lodato e niente che possa essere utilmente imitato. E quindi farai bene a giudicare quell’anima degna di tanto maggiore condanna quanto più dedica ai vizi le risorse destinate all’acquisto delle virtù. La pazienza è socia della sapienza, non schiava della concupiscenza; la pazienza è amica della buona coscienza, non avversaria dell’innocenza.

 

Criterio per distinguere la vera dalla falsa pazienza.

6. 5. Quando vedi qualcuno che soffre qualche male, non metterti subito a lodarne la pazienza, che è messa in luce solo dalla motivazione della pazienza. Se la motivazione è buona, la pazienza è vera. Se la motivazione non è resa impura dalla cupidigia, allora la pazienza si distingue da quella falsa. Quando la motivazione mira a un crimine, si fa un grande errore a chiamarla pazienza. Infatti non tutti coloro che sanno qualcosa posseggono la scienza; così non tutti coloro che patiscono qualcosa posseggono la pazienza. Solo chi della passione si serve per il bene merita l’elogio della vera pazienza e riceve la corona per la virtù della pazienza.

 

Sopportare i mali della vita per la beatitudine eterna.

7. 6. Gli uomini dunque sopportano con mirabile fortezza molte pene atroci per soddisfare le passioni, per commettere delitti o, quanto meno, per godere vita e salute nel tempo presente. Ciò è per noi un richiamo a sopportare disagi anche gravi per condurre una vita buona, in modo che alla fine conseguiamo la vita eterna: quella che ci assicura una felicità vera, senza scadenza di tempo, senza diminuzione di ciò che è positivo e vantaggioso. Il Signore disse: Con la vostra pazienza possederete le vostre anime 5. Non disse: "Le vostre ville", "i vostri onori", "i vostri piaceri", ma le vostre anime. Se dunque un’anima sopporta tanti disagi per possedere cose che la portano alla rovina, quanti non ne dovrà sopportare per possedere ciò che la sottrae alla rovina? E ora dirò una cosa dove non vi è questione di colpa: se uno soffre tanto per la propria salute fisica quando capita in mano ai medici che lo tagliano o bruciano, quanto non dovrà soffrire per la sua salute [eterna] attaccata da nemici furiosi, qualunque essi siano? I medici infatti facendo soffrire il corpo tentano di sottrarre il corpo alla morte; i nemici minacciando pene e morte al corpo sospingono l’anima e il corpo ad essere uccisi nella geenna.

 

Sopportando si provvede al bene del corpo stesso.

7. 7.C’è di più. Se per amore della giustizia si sacrifica la salute corporale, si provvede in maniera più efficace al bene del corpo stesso. Ciò vale anche se per amore della giustizia si sopportano con grande pazienza le sofferenze corporali e la stessa morte. Della redenzione finale del corpo parla infatti l’Apostolo quando dice: Noi gemiamo in noi stessi aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. E soggiunge: Noi siamo stati salvati nella speranza. La speranza poi, se la si vede, non è speranza. Ciò che infatti vede, come potrebbe uno sperarlo? Se invece speriamo ciò che non vediamo, lo attendiamo con la pazienza 6.

 

La pazienza interessa l’anima e il corpo.

8. 7. Quando dunque ci affliggono mali che non ci inducono a commettere il peccato, esercitando la pazienza l’anima acquista il dominio di se stessa; non solo, ma se lo stesso corpo viene per qualche tempo colpito dal dolore o anche dalla morte, attraverso la pazienza lo si recupera per una salute stabile, anzi eterna, e così attraverso il dolore e la morte gli si procura una salute perfetta e un’immortalità felice. Al riguardo il Signore Gesù, volendo esortare i suoi martiri alla pazienza, promise loro che avrebbero ottenuto l’integrità del corpo senza subire la perdita non dico d’un qualche membro ma nemmeno di un capello. Diceva: Ve lo dico in verità: un solo capello della vostra testa non andrà perduto 7. E siccome son vere le parole dell’Apostolo: Nessuno ha mai odiato la sua carne 8, ne segue che il cristiano provvede al bene del suo corpo più con la pazienza che con l’intolleranza, e con il guadagno inestimabile dell’incorruttibilità futura compensa le tribolazioni della vita presente, per quanto grandi possano essere.

8. 8. Sebbene la pazienza sia una virtù dell’anima, tuttavia l’anima la esercita in parte su se stessa, in parte nei riguardi del corpo. La esercita in se stessa quando, senza che il corpo venga leso e toccato, l’anima è spinta dagli stimoli di avversità o da brutture reali o verbali a fare o a dire cose sconvenienti o indecorose; ma lei sopporta con pazienza tutti i mali per non commettere nulla di male con azioni o parole.

 

La pazienza dell’anima.

9. 8. In virtù di questa pazienza dell’anima noi, sani di corpo, sopportiamo che ci venga rinviata la nostra beatitudine e che ci tocchi di vivere fra gli scandali del tempo presente. A ciò si riferiscono le parole or ora menzionate: Se speriamo ciò che non vediamo, lo attendiamo con la pazienza. Per questa pazienza il santo [re] Davide sopportò le ingiurie di chi lo svillaneggiava e, sebbene potesse facilmente vendicarsi, non solo non si vendicò, ma trattenne dalla vendetta quell’altro che, addolorato, s’era fatto prendere dall’ira 9, e del suo potere regale si servì più per proibire che per esercitare la vendetta. In quel frangente non era il suo corpo che veniva tormentato da malattie o ferite, ma era il suo animo che, riconoscendo il momento dell’umiliazione, la sopportava per fare la volontà di Dio e per questo ingoiava con somma pazienza l’amara bevanda della contumelia. Questa pazienza ci insegnò il Signore quando disse che ai servi irritati per la mescolanza della zizzania [con il buon grano] e desiderosi di estirparla il padrone di casa rispose: Lasciate che [le due piante] crescano fino al tempo della mietitura 10. Infatti occorre sopportare con pazienza ciò che non si può eliminare con fretta. Di questa pazienza ci ha offerto un esempio palese lui stesso tollerando quel discepolo, che era ladro, vicino a sé fino al tempo della passione, cioè finché non lo denunziò come traditore 11. Prima di esperimentare le funi, la croce e la morte, non rifiutò il bacio di pace a quelle labbra menzognere 12. Tutti questi esempi, e i tanti altri che sarebbe lungo ricordare, rientrano in quel genere di pazienza dove l’anima non soffre per i suoi peccati, ma dentro di sé sopporta pazientemente quei mali che le provengono dal di fuori senza che il corpo ne venga minimamente colpito.

 

La pazienza dei martiri.

10. 8. C’è un altro campo per esercitare la pazienza: quello in cui l’anima tollera gli affanni e i dolori derivanti dai patimenti del corpo: non certo quelli che soffrono gli uomini stolti o perversi per raggiungere vani ideali o per perpetrare delitti ma, com’ebbe a determinare il Signore, per la giustizia 13. L’uno e l’altro combattimento sostennero i santi martiri. Vennero infatti coperti di contumelie da parte degli empi, e in quel caso l’animo rimanendo saldo sosteneva come delle sue proprie ferite, mentre il corpo ne era esente; per quanto poi riguarda il loro corpo, essi furono legati, incarcerati, affamati e assetati, torturati, segati, squartati, bruciati, uccisi barbaramente. Con incrollabile fedeltà sottomisero il loro spirito a Dio, mentre nel corpo soffrivano tutto ciò che la crudeltà dei persecutori seppe immaginare.

 

La pazienza nella lotta contro il diavolo.

10. 9. È più grande la lotta che sostiene la pazienza quando non si tratta d’un nemico visibile che perseguitando con ferocia ti spinge al male (esso è allo scoperto, e chi non gli consente lo vince in maniera palese), ma si tratta del diavolo stesso che, servendosi magari di gente incredula come di suoi strumenti, perseguita i figli della luce ovvero, rimanendo occulto li assale e con ferocia li stimola a fare e a dire cose che dispiacciono a Dio.

 

La pazienza di Giobbe.

11. 9. L’ira di questo nemico ebbe ad esperimentare il santo Giobbe: da lui fu aspramente provato con le due specie di tentazione, ma in tutt’e due riuscì vincitore con l’immutabile forza della pazienza e le armi della pietà. In principio, rimanendo illeso il corpo, soffrì la perdita di tutto ciò che aveva; e così, prima che il suo corpo subisse tormenti, il suo animo fu lacerato dalla perdita di quei beni che gli uomini hanno più a cuore, e, siccome si pensava che egli servisse Dio in vista di quei beni, ne doveva seguire che perdendoli avrebbe bestemmiato contro di lui. Fu colpito anche dalla morte improvvisa di tutti i figli: li aveva avuti uno dopo l’altro, li perse tutti in una volta; e se erano stati numerosi, questo non fu per accrescere la sua gioia ma per aumentare la sventura. Quando gli toccò di soffrire tutti questi mali, egli rimase fermo nella fedeltà a Dio, sempre unito alla volontà di colui che non avrebbe potuto perdere se non per una scelta della sua propria volontà; e, a posto di tutto quello che perse, gli rimase colui che glielo toglieva, colui nel quale avrebbe trovato ciò che era imperituro. A togliergli i beni infatti non era stato il maligno che l’aveva voluto danneggiare, ma colui che aveva dato a lui il potere di farlo.

 

Giobbe più avveduto di Adamo.

12. 9. Il nemico lo aggredì anche nel corpo, e lo colpì non solo nei beni che sono al di fuori dell’uomo ma anche nella sua stessa persona, in ogni parte dove gli fu possibile. Dalla testa ai piedi dolori di fuoco, vermi che uscivano, putridume che colava; ma in quel corpo in disfacimento l’animo restava integro e sopportava con pietà inalterata e pazienza invitta gli orribili tormenti d’una carne imputridita. Accanto a lui c’era la moglie, ma al marito non dava alcun aiuto, anzi lo esortava a bestemmiare Dio. Il diavolo, che a Giobbe aveva rapito i figli, nel lasciargli la moglie non si comportò da inesperto nell’arte del nuocere, avendo imparato già in Eva quanto una donna può rendersi utile al tentatore 14. Solo che questa volta non s’imbatte in un altro Adamo, da poter prendere al laccio tramite la donna. Fra i dolori, costui fu più accorto che non quell’altro fra gli allori: quello era nel godimento e fu vinto, questi era nella sofferenza e vinse; quello credette alle lusinghe, questo non si piegò di fronte ai tormenti. E c’erano anche gli amici: non per confortarlo nella sventura, ma per avanzare sospetti sulla sua colpevolezza. Non credevano infatti che un uomo colpito da tanti mali potesse essere innocente, e la loro lingua pronunziava accuse di colpe che erano estranee alla sua coscienza. E così mentre il corpo soffriva atroci dolori, anche l’anima era flagellata da infondate rampogne. Ma ecco Giobbe sopportare nel corpo i propri dolori, nel cuore le calunnie altrui. Rimproverava alla moglie la stoltezza, agli amici insegnava la sapienza, in tutto conservava la pazienza.

 

Deprecabile l’impazienza dei donatisti.

13. 10. Guardino a Giobbe quei tali che si danno la morte quando sono ricercati perché vivano. Togliendosi la vita presente essi si escludono anche da quella futura. Quand’anche li si costringesse a rinnegare Cristo o a commettere peccati contro la giustizia, come succedeva ai veri martiri, essi dovrebbero sopportare tutto con pazienza anziché darsi la morte per impazienza. Se infatti ci si potesse suicidare lecitamente per schivare le sofferenze, il santo Giobbe si sarebbe ucciso senz’altro per sottrarsi ai mali così gravi che la crudeltà del diavolo gli aveva causato negli averi, nei figli e nelle membra del corpo. Ma egli non lo fece. Impensabile infatti che un uomo sapiente come lui compisse su se stesso un gesto che nemmeno la moglie insipiente aveva osato suggerirgli. E se gliel’avesse suggerito, si sarebbe anche in tal caso buscata la risposta che ascoltò quando suggerì la bestemmia: Hai parlato come una donna stupida. Se dalla mano di Dio abbiamo ricevuto i beni, perché non dovremmo accettare anche i mali? 15 Quanto a lui, avrebbe perduto la pazienza sia che fosse morto bestemmiando, come voleva la moglie, sia che fosse morto uccidendosi, come nemmeno lei aveva osato proporgli. In ogni caso sarebbe stato del numero di coloro di cui è stato detto: Guai a chi perde la pazienza! 16 Invece di sottrarsi alle pene, le avrebbe accresciute in quanto, dopo la morte del corpo, sarebbe incorso nei supplizi riservati ai bestemmiatori, o agli omicidi, o a chi è peggio dei parricidi. Il parricida infatti è colpevole più d’ogni altro omicida, poiché uccide non solo un uomo ma un consanguineo, e fra gli stessi parricidi uno è ritenuto tanto più crudele quanto più prossimo è il congiunto che uccide. Ora chi uccide se stesso è peggiore di tutti i parricidi, perché nessuno è vicino a noi più di noi stessi. Quanto dunque non sarà grave la colpa di quei miseri che si infliggono da se stessi delle pene in questa vita e di là debbono scontare non solo quelle dovute alla loro empietà verso Dio ma anche quelle dovute alla crudeltà verso se stessi? Ma essi, per di più, presumono gli onori dei martiri! Anche se avessero sostenuto la persecuzione per una vera testimonianza a Cristo e si fossero uccisi per sfuggire ai persecutori, giustamente si applicherebbero ad essi le parole: Guai a chi perde la pazienza! In che modo infatti si potrebbe concedere loro con giustizia il premio della pazienza se questo andasse a coronare un martirio dovuto all’impazienza? Ovvero, uno che si è sentito dire: Amerai il prossimo tuo come te stesso 17come può essere giudicato innocente se commette omicidio contro se stesso, quando è proibito commetterlo contro il prossimo?

 

La pazienza dei buoni.

14. 11. Vogliano dunque i santi ascoltare dalla Sacra Scrittura alcuni precetti di pazienza: Figlio, se ti presenti a servire Dio, sta’ saldo nella giustizia e nel timore e prepara la tua anima alla tentazione. Umilia il tuo cuore e sii coraggioso: così alla fine si accrescerà la tua vita. Accogli tutto ciò che ti sopraggiunge, e nel dolore sopporta e nella umiliazione sii paziente. Poiché l’oro e l’argento si provano col fuoco, gli uomini accetti [a Dio] nella fornace dell’umiliazione 18. In un altro testo si legge: Figlio, non venir meno sotto la disciplina del Signore e non stancarti quando da lui sei rimproverato. Egli infatti rimprovera colui che ama e usa i flagelli con il figlio che gli è caro 19. Quanto qui si dice e cioè: Il figlio che gli è caro corrisponde a gli uomini accetti del testo di prima. È giusto infatti che noi, scacciati dalla originaria felicità del paradiso per un’ostinata voglia di piaceri, vi siamo riammessi mediante l’umile sopportazione delle nostre sventure. Fuggimmo facendo il male, torniamo sopportando il male; lassù operatori di ingiustizia, quaggiù coraggiosi nella prova per amore della giustizia.

 

La sorgente della pazienza.

15. 12. Dobbiamo ora chiederci da dove procede la vera pazienza, degna del nome di virtù. Ci sono infatti di quelli che l’attribuiscono alle forze della volontà umana, non a quelle che ricevono dall’aiuto divino, ma a quelle che hanno dal libero arbitrioOra questo errore nasce dalla superbia ed è l’errore di coloro che abbondano, secondo le parole del salmo: Opprobrio per quelli che abbondano e disprezzo per i superbi 20Non è quindi questa la pazienza dei poveri, che non perisce in eterno 21Quei poveri che la ricevono da quel ricco al quale si dice: Sei tu il mio Dio, perché non hai bisogno dei miei beni 22; dal quale viene ogni regalo ottimo e ogni dono perfetto 23; a lui grida il bisognoso e il povero che loda il suo nome, e chiedendo, cercando e bussando dice: Mio Dio, liberami dalla mano del peccatore, dalla mano di chi trasgredisce la legge e dell’uomo iniquo, perché tu sei, Signore, la mia pazienza, la mia speranza fin dalla mia giovinezza 24. Ma questa gente stracolma [di sé] non si degna di presentarsi mendicante dinanzi a Dio per ricevere da lui la vera pazienza. Vantandosi della loro falsa pazienza, vogliono confondere il proposito dell’indigente, la cui speranza è il Signore 25. Non pensano che, essendo uomini, coll’attribuire un risultato così grande alla propria volontà, che è volontà umana, incorrono nella condanna della Scrittura: Maledetto ogni uomo che ripone nell’uomo la sua speranza 26. Ma ecco che costoro in forza della stessa loro volontà accecata dalla superbia sopportano stenti ed asperità per non dispiacere alla gente o per evitare mali maggiori o per compiacere se stessi o per amore del loro orgoglio presuntuoso. In tal caso, riguardo alla [loro] pazienza bisognerebbe dire quel che l’apostolo san Giacomo dice della sapienza: Questa sapienza non proviene dall’alto, ma è sapienza terrena, animalesca, diabolica 27. Perché infatti non equiparare la falsa pazienza dei superbi alla loro falsa sapienza? In realtà la vera pazienza viene a noi da colui dal quale ci deriva la vera sapienza. A lui canta quel povero di spirito che dice: A Dio è soggetta la mia anima, perché da lui è la mia pazienza 28.

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