Pazienza e volontà umana.

16. 13. Essi rispondono facendo questi ragionamenti: Se la volontà umana senza alcun aiuto di Dio ma con le sole forze del libero arbitrio sopporta tanti mali gravi e orribili, sia nell’animo che nel corpo, per godere del piacere di questa vita mortale e dei peccati; perché allo stesso modo la medesima volontà con le stesse forze del libero arbitrio e senza aspettarsi alcun aiuto da parte di Dio, ma sufficiente a se stessa per la naturale possibilità, non sopporta pazientemente per la giustizia e la vita eterna qualunque fatica o dolore dovesse capitare? Dicono ancora: La volontà dei malvagi è capace, senza l’aiuto divino, di far loro affrontare tormenti per l’iniquità anche prima che altri vengano a torturarli; la volontà di coloro che amano i passatempi della vita terrena, senza l’aiuto di Dio, riesce a far sì che essi perseverino nella menzogna, pur in mezzo a tormenti quanto mai atroci e prolungati, affinché non abbiano a confessare i loro delitti ed essere puniti con la morte. E non sarà in grado la volontà dei giusti, senza l’aiuto d’una forza che le venga dall’alto, di sopportare qualsiasi pena per la bellezza che è propria della giustizia e per amore della vita eterna?

 

Pazienza, carità e aiuto divino.

17. 14. Quelli che dicono queste cose non comprendono che tra i malvagi uno è tanto più resistente a sopportare qualunque male, quanto in lui è maggiore l’amore del mondo, mentre tra i giusti uno è tanto più forte a sopportare qualunque male, quanto in lui è maggiore l’amore di Dio. Ma l’amore del mondo ha la sua origine dall’arbitrio della volontà, il suo progresso dal diletto del piacere e la sua fermezza dal vincolo dell’abitudine, mentre la carità di Dio è diffusa nei nostri cuori, non certamente da noi, ma dallo Spirito Santo che ci è stato dato 29. Perciò la pazienza dei giusti viene da colui per mezzo del quale è diffusa la loro carità. Lodando e inculcando questa carità l’Apostolo dice che essa, fra gli altri pregi, possiede anche quello di sopportare ogni cosa. La carità, dice, è longanime, e dopo un poco: La carità sopporta tutto 30. Quanto maggiore è dunque nei santi la carità di Dio tanto più facile è per loro sopportare ogni cosa per ciò che amano. Parimenti è dei peccatori: quanto più è grande in loro la cupidigia mondana tanto più riescono a sopportare tutto per soddisfare le loro voglie disordinate. Pertanto la vera pazienza dei giusti deriva da quella sorgente da cui deriva la carità divina; la falsa pazienza dei malvagi deriva dalla sorgente da cui proviene la cupidigia mondana. Ecco quanto dice al riguardo l’apostolo Giovanni: Non amate il mondo né le cose del mondo. Se uno ama il mondo, non c’è in lui l’amore del Padre, poiché tutto ciò che è nel mondo è concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e ambizione secolaresca, e questo non proviene dal Padre ma dal mondo 31. E questa concupiscenza, che non proviene dal Padre ma dal mondo, quanto più è forte e ardente nell’uomo, tanto più quest’uomo diviene paziente di fronte ai disagi e ai dolori che deve affrontare per ciò che desidera. Ne segue, come abbiamo già detto, che una tale pazienza non discende dall’alto, mentre viene dall’alto la pazienza dei santi, che scende dal Padre della luce. Pertanto l’una è terrena, l’altra celeste; l’una animale, l’altra spirituale; l’una diabolica, l’altra divinizzatrice. E la ragione di ciò è che la concupiscenza per la quale i peccatori sopportano tenacemente ogni male deriva dal mondo, mentre deriva da Dio la carità per la quale i buoni sopportano con fortezza tutti i loro mali. Va quindi da sé che l’uomo con la sua volontà, senza l’aiuto di Dio, ha risorse sufficienti per avere la pazienza falsa; e questo uomo diviene tanto più ostinato quanto più cupido, tanto più resistente di fronte ai mali quanto più cresce in malvagità. Quanto alla vera pazienza invece, la volontà umana non è in grado di conseguirla senza l’aiuto divino che la infiammi. Ora questo fuoco è lo Spirito Santo; e finché questo Spirito non viene ad infiammarla d’amore per il Bene inalterabile, la volontà non sarà mai capace di sopportare il male che l’affligge.

 

Doni di Dio, la carità e la pazienza.

18. 15. Come attestano gli autori divinamente ispirati, Dio è amore, e chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui 32. Chi pretende di poter avere la carità di Dio senza l’aiuto di Dio, che altro pretende se non che si possa avere Dio senza Dio? Ora, quale cristiano oserebbe dire questo, se non lo direbbe nessuno che sia soltanto sano di mente? Nell’Apostolo invece ecco come esulta la pazienza vera, pia, fedele, che per bocca dei santi dice: Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Dunque non per merito nostro ma per virtù di colui che ci ha amati. Poi prosegue aggiungendo: Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né potenze, né presente né avvenire, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dioin Cristo Gesù nostro Signore 33. È questa la carità di Dio che è stata diffusa nei nostri cuori: non conquistata da noi ma diffusa dallo Spirito Santo che ci è stato donato 34. Viceversa è della concupiscenza dei cattivi, che è all’origine della loro falsa pazienza: essa non proviene dal Padre, come dice l’apostolo Giovanni, ma dal mondo 35.

 

Volontà umana e mondo presente.

19. 16. A questo punto qualcuno potrà obiettare: "Se la concupiscenza per la quale i cattivi tollerano ogni sorta di mali per ottenere quanto da loro desiderato deriva dal mondo, come si fa a dire che essa deriva dalla loro volontà?". Quasi che essi stessi non siano nel mondo quando amano il mondo abbandonando il Creatore del mondo! Essi infatti si pongono al servizio delle creature e non del Creatore che è benedetto nei secoli 36. Se quindi Giovanni col nome di mondo ha voluto indicare coloro che amano il mondo, la volontà di gente come questa appartiene senz’altro al mondo; se invece col nome di mondo ha voluto indicare il cielo, la terra e le cose che vi si trovano, ha cioè voluto abbracciare tutto l’insieme del mondo creato, la volontà della creatura, in quanto diversa da quella del creatore, senza alcun dubbio appartiene al mondo. E per questo a tali persone dice il Signore: Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo 37. E agli apostoli diceva: Se voi foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo. Quindi li ammoniva a non attribuire a se stessi quanto oltrepassava i confini della loro umanità e a non pensare che il non appartenere al mondo, di cui aveva parlato, fosse risorsa della natura e non dono della grazia. Diceva così: Poiché voi non siete del mondo ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia 38. Essi dunque erano del mondo, e se non erano più mondo ciò dipendeva dal fatto che egli li aveva scelti di fra mezzo al mondo.

 

Grazia divina e meriti dell’uomo.

 

20. 17. Non ci sono opere buone antecedenti che meritino questa elezione: che è una elezione di grazia. Lo asserisce l’Apostolo quando scrive: Anche in questo tempo un resto è stato salvato attraverso una elezione di grazia. Ora, se è grazia, non deriva dalle opere; altrimenti la grazia non sarebbe grazia 39. È dunque, questa, una elezione della grazia, cioè una elezione per la quale gli uomini vengono eletti con un dono della grazia di Dio. È, dico, una elezione della grazia che previene tutti i meriti dell’uomo. Se infatti fosse concessa per un qualche merito di opere buone, non sarebbe più una grazia donata ma un debito che viene retribuito, e quindi non sarebbe esatto chiamarlo grazia. Lo dice lo stesso Apostolo: Dove c’è una ricompensa, questa non viene concessa per grazia, ma come compenso di un debito 40. Per essere quindi una vera grazia, cioè dono gratuito, essa non deve trovare nell’uomo nulla per cui gli sia dovuta; e questo, come ben si comprende, è detto anche nelle parole: Tu li salverai senza alcunché 41. È infatti la grazia che dona i meriti; non è essa che viene donata per i meriti. Essa precede la stessa fede, che segna l’inizio di ogni opera buona, come sta scritto: Il giusto vive per la fede 42. È poi questa grazia che non solo dà l’aiuto ai giusti ma anche la giustizia agli empi: per cui anche quando sostiene i giusti, e sembrerebbe accordata per i loro meriti, nemmeno allora cessa d’essere grazia, poiché è lei che viene in aiuto a quanto essa stessa aveva elargito. Per meritarci questa grazia che precede tutti i meriti di opere buone compiute dall’uomo, Cristo non solo fu ucciso per mano di empi ma morì per gli empi 43. Egli prima di morire si scelse gli apostoli: i quali certamente non erano giusti ma dovevano essere giustificati da lui, se a loro poteva dire: Io vi ho scelti dal mondo. Diceva dunque loro: Voi non siete del mondo, ma affinché non pensassero che non erano stati mai del mondo subito aggiunse: Io vi ho scelti dal mondo 44. Evidentemente il non essere del mondo fu un dono ad essi accordato nella elezione fatta dal Signore. E pertanto, se fossero stati scelti per la loro giustizia e non per un dono della sua grazia, non sarebbero stati scelti dal mondo, poiché se erano giusti, essi già non erano del mondo. Ma c’è di più. Se fossero stati scelti perché erano giusti, erano stati loro stessi a scegliersi per primi il Signore. Infatti chi può essere giusto senza scegliersi la giustizia? Ecco però che fine della legge è Cristo per la giustizia di quanti credono 45 [in lui]. Egli infatti per opera di Dio è diventato per noi e giustizia e santificazione e redenzione, affinché, come sta scritto, chi si vanta si vanti nel Signore 46. Quindi la nostra giustizia è lui.

 

Anche nel Vecchio Testamento la giustizia era dono di Dio.

21. 18. Da questo si conclude che anche i giusti dell’Antico Testamento, nati cioè prima dell’incarnazione del Verbo, furono giustificati per questa fede in Cristo e per quella giustizia vera che per noi è Cristo, avendo essi creduto che si sarebbe realizzato in futuro ciò che noi crediamo essersi già realizzato. Anch’essi furono salvati mediante la fede ad opera della grazia: quindi non per loro iniziativa ma per un dono di Dio, non in virtù delle opere perché non si inorgoglissero 47. Le loro opere buone infatti non prevennero la misericordia di Dio ma la seguirono. Tant’è vero che essi udirono [queste parole], anzi essi stessi le scrissero tanto tempo prima che Cristo si incarnasse: Io farò grazia a chi vorrò far grazia e avrò pietà di chi vorrò aver pietà. Da queste parole di Dio molto tempo dopo l’apostolo Paolo concludeva: Non dipende dunque né da chi vuole né da chi corre ma da Dio che usa misericordia 48. È anche loro quella voce risuonata tanto tempo prima dell’incarnazione di Cristo: Il mio Dio, la sua misericordia mi previene 49. Ebbene, come potevano essere senza la fede in Cristo coloro per la cui carità Cristo è stato preannunziato anche a noi, se è vero che senza la fede in lui nessun mortale ha potuto mai essere giusto, né lo può ora, né lo potrà in seguito? Se dunque gli apostoli furono scelti da Cristo quando erano giusti, sarebbero stati loro a scegliersi per primi Cristo, e successivamente, siccome erano giusti, poterono essere da lui scelti.Senza di lui infatti non potevano essere giusti. Ma le cose non sono andate così. Infatti egli disse loro: Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi. Per questo dice l’apostolo Giovanni: Non siamo stati noi ad amare [per primi] Dio, ma Dio per primo ha amato noi 50.

 

Prima che la grazia ci scegliesse eravamo tutti peccatori.

22. 19. Se le cose stanno così, l’uomo che in questa vita agisce facendo leva sulla propria volontà, prima che Dio l’abbia scelto e l’abbia amato, cos’è se non un peccatore e un empio? Cos’è, dico, l’uomo creatura fuorviata e lontana dal Creatore 51, se il Creatore non si ricordasse di lui e venisse a sceglierlo gratuitamente e gratuitamente lo amasse? Se scelto e amato [da Dio] egli non viene antecedentemente risanato, egli non può scegliersi [Dio] né amarlo, poiché per la sua cecità non può vedere ciò che deve scegliere e per la sua malattia ha nausea per ciò che deve amare. Qualcuno però potrebbe obiettare: Come fa Dio a scegliersi antecedentemente e ad amare gli iniqui per renderli giusti se è stato scritto: Tu, Signore, hai in odio tutti gli operatori di iniquità 52? Come crederemo che avvenga questo se non in maniera ineffabile, che ci lascia pieni di stupore? Vien da pensare a un medico buono, che insieme odia e ama il malato: odia il fatto che sia malato, ama la persona da cui vuol allontanare la malattia.

 

La carità radice della vera pazienza.

23. 20. Questo sia detto riguardo alla carità, senza la quale ci è impossibile acquisire la vera pazienza. In effetti chi nei buoni tutto sopporta è la carità di Dio, come nei cattivi è la cupidigia mondana. Ora questa carità è in noi ad opera dello Spirito Santo che ci è stato donato: per cui, come da lui abbiamo la carità, così da lui abbiamo anche la pazienza. Quanto alla cupidigia mondana invece, quando sopporta con pazienza il peso di qualsiasi sventura può attribuirlo alle forze della volontà umana e vantarsene, ma è come un vantarsi della paralisi d’una malattia, non del vigore della salute. È, questo, un vanto pazzesco: non di chi è paziente ma dissennato. Questa tale volontà infatti tanto più si presenta paziente nel sopportare mali anche atroci quanto maggiore è l’avidità con cui cerca i beni temporali. Così facendo però si mostra priva dei beni eterni.

 

La volontà perversa e lo spirito del male.

24. 21. Può accadere che lo spirito del male, e chi è con lui associato, con aspirazioni peccaminose a volte renda la volontà umana o delirante nell’errore o ardente nella brama dei diversi piaceri mondani, sconvolgendola e infiammandola con vane fantasie e suggestioni immonde. Tuttavia, quando vediamo che tale volontà cattiva sopporta in modo sorprendente cose intollerabili, non per questo dobbiamo dire che essa sopporti il male per istigazione d’uno spirito immondo estraneo a lei, come accade per la volontà buona, la quale non può essere buona senza l’aiuto dello Spirito Santo. Che la volontà umana può esser cattiva senza che venga a sedurla o a stimolarla un qualche spirito appare assai chiaramente nella storia del diavolo stesso, il quale non risulta che sia diventato diavolo per la spinta d’un altro diavolo ma per colpa della sua volontà. Lo stesso è della volontà cattiva dell’uomo quando la cupidigia l’attira o il timore la frena, quando la gioia la dilata o la tristezza la raggela, eppure essa, nonostante che sia turbata da tutti questi moti dell’anima, affronta sprezzante quanto ad altri o a lei stessa in altri momenti sarebbe oltremodo gravoso. Senza lo stimolo di alcuno spirito esterno essa stessa può traviarsi e scivolare in basso, abbandonando le cose superiori per quelle inferiori. E quanto maggiore ritiene che sia il piacere derivante dalle cose che vuol possedere o teme di perdere, o da ciò che, possedendo, le dà gioia o che, perduto, la addolora, tanto più le sarà facile sopportare, in vista di quel piacere, ciò che le risulta meno gravoso a sopportare in confronto con ciò che ritiene più allettante a possedere. Ad ogni buon conto però, qualunque sia questo piacere, esso deriva dalla creatura, di cui conosciamo le propensioni. Quando infatti si ama una cosa creata, questa è vicina alla creatura che la ama con un contatto e rapporto in certo qual modo familiare, poiché se ne può assaporare direttamente la dolcezza.

 

Dio ci dona la buona volontà.

25. 22. La delizia che si ha nel possesso del Creatore, della quale dice la Scrittura: E tu li disseterai al torrente della tua delizia 53, è di tutt’altra natura. Dio infatti non è creatura, come lo siamo noi. Se quindi l’amore per lui non ci viene dato da lui stesso, non c’è altra sorgente da cui possiamo attingerlo. E pertanto la buona volontà, con cui si ama Dio, non può essere nell’uomo se Dio non opera in lui il volere e l’agire 54. Or eccola questa volontà buona: una volontà soggetta fedelmente a Dio, una volontà accesa da un santo fuoco celeste, una volontà che ama Dio e il prossimo per amore di Dio. È animata dall’amore per il quale l’apostolo Pietro poté rispondere: Signore, tu sai che io ti amo 55; è animata dal timore, di cui l’apostolo Paolo diceva: Operate la vostra salvezza con timore e trepidazione 56; è animata dalla gioia, di cui si dice: Gioiosi nella speranza, pazienti nella tribolazione 57; è animata anche dalla tristezza, che l’Apostolo dice d’aver provato, e grande, per i suoi fratelli 58. Se dunque questa volontà sopporta amarezze e disagi, è perché la carità di Dio è stata effusa nei nostri cuori 59, e questo non da altri all’infuori dello Spirito Santo che ci è stato donato 60.

 

Dono di Dio la carità di chi ama santamente.

26. 22. È una verità di cui nessun’anima fedele dubita: come è dono di Dio la carità di chi ama santamente, così lo è anche la pazienza di chi sopporta [i mali] con abbandono filiale. Non vuole infatti ingannarci né si inganna la Scrittura, la quale già nei libri dell’Antico Testamento attesta questa verità quando dice a Dio: Tu sei la mia pazienza 61, e ancora: Da lui viene a me la mia pazienza 62, mentre un altro profeta afferma che noi riceviamo da lui lo Spirito di fortezza. Negli scritti degli apostoli poi si legge: Per quanto riguarda Cristo, è stato fatto a voi il dono non solo di credere in lui ma anche di patire per lui 63. Sentendo che si tratta di cosa ricevuta in dono, l’anima non se ne inorgoglisca come se si trattasse di conquista propria.

 

La pazienza degli scismatici.

26. 23. Ora parliamo di uno che non ha quella carità di Cristo per cui si partecipa all’unità dello spirito e al vincolo della pace con cui la congregazione della Chiesa cattolica è tenuta insieme, ma si trova nello scisma. Se costui per non rinnegare Cristo sopporta con pazienza, spinto dal timore dell’inferno e delle pene eterne, le tribolazioni, le privazioni, la fame, la nudità, la persecuzione, i pericoli, le carceri, le catene, le torture, la spada, il fuoco, le belve o la stessa croce, non dovremo fargli una colpa quando soffre tutto ciò, anzi dobbiamo lodarne la pazienza. Non si potrà mai dire infatti che sarebbe stato meglio per lui se, rinnegando Cristo, avesse evitato tutti quei patimenti che ha subìto per confessarlo. Probabilmente dovremo ritenere che per lui ci sarà un giudizio meno severo che se fosse sfuggito agli stessi patimenti rinnegando Cristo. Nel quale caso le parole dell’Apostolo: Se consegnerò alle fiamme il mio corpo ma non avrò la carità non mi giova a nulla 64 debbono essere intese nel senso che ciò non mi gioverà a nulla per ottenere il regno dei cieli, non che non mi renderà più tollerabile la pena nel giudizio finale.

 

È dono di Dio anche la pazienza degli scismatici.

27. 24. È giusto indagare se sia dono di Dio o non si debba piuttosto attribuire alle forze della volontà umana la pazienza per la quale lo scismatico, temendo le pene eterne, sopporta dolori temporali non per l’errore che lo portò alla separazione ma per la verità del sacramento o della parola che in lui si è conservata. Occorre essere cauti. Se infatti diciamo che tale pazienza è dono di Dio, si potrebbe anche ritenere che quanti la posseggono fan parte del regno di Dio; se invece diciamo che non è dono di Dio, dovremmo necessariamente concludere che anche senza l’aiuto di Dio e senza un suo dono ci possa essere nella volontà dell’uomo qualcosa di buono. Non è infatti cosa cattiva credere che l’uomo sarà punito con il castigo eterno se rinnega Cristo e per una tal fede sopportare con animo risoluto tutti i supplizi umani.

27. 25. Pertanto non si deve negare che anche questo è dono di Dio, ma occorre precisare che di tutt’altro genere sono i doni concessi ai figli di quella Gerusalemme celeste, che è libera ed è la nostra madre.

 

Eredi e diseredati nel regno di Dio.

28. 25. Alcuni infatti di questi doni sono, per così dire, beni ereditari per noi che siamo eredi di Dio, coeredi di Cristo; altri invece li possono ricevere anche i figli delle concubine, ai quali vogliamo paragonare i giudei increduli, gli scismatici e gli eretici. È vero infatti che si trova scritto: Scaccia la serva e suo figlio, poiché il figlio della serva non potrà essere erede insieme con il mio figlio Isacco 65. È vero anche che ad Abramo Dio disse: Da Isacco prenderà nome la tua discendenza 66, testo che l’Apostolo interpreta dicendo: Cioè non sono figli di Dio i figli della carne, ma come discendenza son considerati i figli della promessa. Con questo egli ci fa comprendere che le parole "figli di Abramo in Isacco" si riferiscono, a motivo di Cristo, a quei figli di Dio che sono corpo e membra di Cristo, cioè che sono la Chiesa di Dio, una, vera, fraterna, cattolica, saldamente ancorata nella santa fede. Non colei che agisce per orgoglio o per timore ma colei che è mossa dall’amore 67. Nonostante questo, però, rimane vero che anche ai figli delle concubine Abramo, quando li allontanò dal suo figlio Isacco, diede dei doni affinché non restassero del tutto a mani vuote, sebbene non fossero accolti come eredi. Così infatti leggiamo: Abramo diede ogni suo avere al figlio Isacco, ma anche ai figli delle concubine fece dei doni quando li allontanò dal figlio Isacco 68. Se dunque noi siamo i figli della Gerusalemme che è la donna libera, rendiamoci conto che anche per i diseredati ci sono doni, sebbene diversi da quelli degli eredi. Eredi poi sono coloro ai quali è detto: Voi non avete ricevuto uno spirito da servi per ricadere di nuovo nel timore, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi nel quale gridiamo: Abbà, Padre 69.

 

L’eterna ricompensa dei fedeli pazienti.

29. 26. Gridiamo dunque [a Dio] mossi dallo Spirito di carità; e finché non arriviamo al possesso di quell’eredità dove vivremo per sempre, esercitiamo la pazienza animati da amore filiale, non da timore servile. Finché siamo poveri, gridiamo attendendo d’essere arricchiti dell’eredità celeste. Da lassù abbiamo ricevuto grandi pegni quando Cristo si è fatto povero per arricchirci, e da lui, elevato al possesso delle ricchezze eterne, è stato inviato lo Spirito Santo, che suggerisce ai nostri cuori santi desideri. Noi infatti ora siamo dei poveri, che credono e non contemplano ancora, che sperano e non posseggono ancora; che sospirano col desiderio e ancora non regnano felici; hanno fame e sete e ancora non sono sazi: di questi poveri è la pazienza che non perisce in eterno 70, non perché anche lassù seguiterà ad esserci la pazienza dove non ci saranno mali da sopportare, ma, se si dice che non perisce in eterno, è perché non resterà infruttuosa. Non andrà perduta in eterno perché eterno sarà il suo frutto. Chi infatti lavorando consegue risultati inconsistenti, deluso nella speranza per la quale lavora, dice giustamente: "Ho sprecato tutto il mio lavoro". Il contrario è di chi giunge a conseguire quanto si riprometteva con il suo lavoro.Tutto allegro dice: "Non ho sprecato il mio lavoro". Si dice dunque di un lavoro che non è andato perduto non perché esso dura per sempre ma perché non è stato fatto invano. Così è della pazienza dei poveri di Cristo, degli eredi di Cristo che [da lui] saranno fatti ricchi. Essa non perisce in eterno non perché anche nell’aldilà ci sarà comandato di tollerare pazientemente qualcosa, ma perché godremo della beatitudine eterna in premio di ciò che ora abbiamo sopportato con pazienza. Colui che nel tempo ha dato alla volontà di essere paziente non permetterà che abbia fine la felicità, che è eterna. Pazienza e felicità sono infatti frutto della carità, che è anch’essa un dono [divino].

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