V.

CHI E' NATO DA DIO

Apparente contraddizione

1. Vi prego di ascoltarmi attentamente, perché dobbiamo trattare di un problema di non poca importanza. Ieri siete stati attenti, sono certo che siete venuti anche oggi disposti a prestare la massima attenzione. Questo è il nostro problema non piccolo: come conciliare due dichiarazioni contenute nella nostra Epistola. La prima è: "Chi è nato da Dio, non pecca" (1 Gv. 3, 9); la seconda, precedente a questa: "Se dicessimo di non aver alcun peccato, inganneremmo noi stessi e la verità non sarebbe in noi" (1 Gv. 1, 8). Che farà chi si sente coartato da queste due affermazioni della stessa Epistola? Se si confesserà peccatore, deve temere che gli si dica: è segno che non sei nato da Dio, perché sta scritto: "Chi è nato da Dio, non pecca". Se si dichiara giusto e senza peccato, viene colpito dall'altra frase della stessa Epistola: "Se dicessimo di non aver alcun peccato, inganneremmo noi stessi e la verità non sarebbe in noi". Posto in questa alternativa egli non sa che dire, ammettere o confessare. E' pericoloso ed anche falso dichiararsi senza peccato. "Inganneremmo noi stessi — dice l'Epistola — e la verità non sarebbe in noi, se dicessimo di non aver alcun peccato". Volesse il cielo che di peccati tu non ne avessi, e che potessi confessarlo! Saresti nella verità e, dicendo ciò che è vero, non commetteresti la più piccola iniquità! Ma appunto fai male a dire che non hai peccati, perché dici una menzogna: "Se dicessimo di non aver alcun peccato, la verità non sarebbe in noi". Il testo non dice: "non abbiamo avuto" peccati, per non farci credere che parli solo della nostra vita passata. Si potrebbe infatti pensare che questa persona abbia commesso peccati, ma da quando è nata da Dio, non ne ha più commessi. Se le cose stessero così, sarebbe eliminato ogni problema. Potremmo dire: siamo stati peccatori, ma ora siamo stati giustificati; abbiamo avuto il peccato, ma ora non più. Giovanni non si è espresso in questi termini. Che cosa ha detto? "Se dicessimo che non abbiamo alcun peccato, inganneremmo noi stessi e la verità non sarebbe in noi". Un poco più oltre afferma: "Chi è nato da Dio non pecca". Giovanni stesso, non si può dubitarlo, era nato da Dio. Se si dicesse che non era nato da Dio colui che posò il suo capo sul petto del Signore, chi mai potrà attendersi quel rinnovamento interiore di se stesso, che neppure riuscì a meritare chi posò il suo capo sul petto del Signore? E' mai possibile che il Signore non abbia rigenerato, per mezzo dello Spirito Santo, solo colui che più degli altri amava (Gv. 13, 23)?

Non amare è la radice di tutti i peccati

2. Prestate ora attenzione a queste parole; vi ripeto ancora le mie difficoltà, perché il Signore per merito appunto della vostra attenzione, che è preghiera per noi e per voi, voglia allargarci la via e condurci all'uscita. Questo anche perché non capiti che qualcuno trovi motivo di perdersi proprio per quella parola di Dio, che è stata predicata e scritta per la nostra guarigione e salvezza.

Dice dunque Giovanni: "Chiunque commette un peccato, commette una iniquità" (1 Gv. 3, 4). Non si possono separare: "l’iniquità è peccato". Non puoi dire: io sono peccatore, ma non sono iniquo. "Il peccato è una iniquità. Voi sapete che egli si è manifestato per togliere via il peccato, e che in lui non c'è peccato" (1 Gv. 3, 5). E quale vantaggio ci arreca il fatto che egli sia venuto senza aver peccati? Ecco: "Chi non pecca, rimane in lui; chiunque pecca, non l'ha visto, né conosciuto. Figlioli, nessuno vi inganni. Chi fa la giustizia, è giusto, al pari di lui" (1 Gv. 3, 6-7). Son cose che già abbiamo detto, ed abbiamo anche spiegato che questo "come" non implica uguaglianza ma solo una certa somiglianza. "Chi fa il peccato, viene dal demonio, perché il demonio pecca fin dall'inizio" (1 Gv. 3, 8). Abbiamo anche detto che il diavolo non ha creato, né generato nessuno. Ma i suoi imitatori sono come i figli che nascono da lui. "Per questo si è manifestato il Figlio di Dio, per distruggere le opere del diavolo" (1 Gv. 3, 8). Cioè: colui che non ha peccato è venuto a distruggere i peccati.

Giovanni, proseguendo, dice: "Chi è nato da Dio non pecca", perché in lui rimane il seme di Dio, ed egli non può peccare, perché viene da Dio (1 Gv. 3, 9). Queste parole "non pecca", ci legano strettamente e ci fanno sorgere il dubbio che egli abbia voluto riferirsi ad un peccato particolare e non al peccato in genere. Quando egli disse: "Chi è nato da Dio, non pecca", volle forse significare un determinato e preciso peccato, che l'uomo nato da Dio non può commettere: un peccato di tale natura che, commettendolo, riconferma anche tutti gli altri; non commettendolo, vengono distrutti ed eliminati anche tutti gli altri. Qual è questo peccato? Quello di operare contro il comandamento. Qual è il comandamento? Questo: "Io vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate l'un l'altro" (Gv. 13, 14). Comprendetemi: questo comandamento di Cristo si chiama amore ed in virtù di questo amore vengono eliminati i peccati. Non attuare questo amore è grave peccato e costituisce la radice di tutti gli altri peccati.

La carità copre la moltitudine dei peccati

3. Comprendetemi, fratelli; vi abbiamo proposto, se vi sforzate di capirla, la soluzione del nostro problema iniziale. Ma vogliamo forse avanzare soltanto con i più veloci, e abbandonare quelli che vanno più lenti? Chiariamo il nostro pensiero con parole che lo rendano accessibile a tutti. Sono certo, fratelli, che un uomo che pensi realmente agli interessi della sua anima, non entra con leggerezza a far parte della Chiesa, e lo fa per uno scopo ben preciso: non per ricercare le cose temporali e neppure perché voglia dedicarsi agli affari di questo mondo, ma perché vuol trovare la strada per giungere a possedere quel bene eterno che gli è stato promesso. Bisogna che ognuno osservi come procede nel suo cammino, se si arresta, se torna indietro, se sbaglia strada, se corre il rischio di non arrivare a causa del suo passo claudicante. L'uomo sollecito del proprio bene, sia che proceda lentamente, sia che corra, non deve abbandonare la giusta via. Ho detto dunque che le parole: "Chi è nato da Dio, non pecca", vanno riferite ad un determinato peccato, perché diversamente sarebbero in contraddizione con questa altra affermazione: "Se dicessimo di non aver alcun peccato, inganneremmo noi stessi, e la verità non sarebbe in noi". La soluzione del problema può essere questa. C'è un peccato che non può essere commesso da chi è nato da Dio: se uno si astiene da esso, sono tolti anche tutti gli altri peccati; ma se uno lo commette, anche tutti gli altri peccati vengono rafforzati.

Qual è questo peccato? Agire contro il comandamento di Cristo, contro il testamento nuovo. E qual è questo comandamento nuovo? "Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate l'un l'altro". Non osi gloriarsi e neppure dirsi nato da Dio, chi agisce contro la carità e l'amore fraterno: chi invece è costante nell'amore fraterno, certi peccati non li può commettere e particolarmente quello di odiare il proprio fratello. Che ne sarà allora degli altri peccati, dei quali fu detto: "Se dicessimo di non aver alcun peccato, inganneremmo noi stessi, e la verità non sarebbe in noi"? Ebbene c'è un'affermazione rassicurante al riguardo, contenuta in un altro passo della Scrittura: "La carità copre una moltitudine di peccati" (1 Pt. 4, 8).

La carità perfetta

4. Vi raccomandiamo dunque la carità; essa costituisce la raccomandazione fondamentale di questa Epistola. Che cosa chiese il Signore, dopo la sua Risurrezione, a Pietro, se non: "mi ami tu?" e non si contentò di chiederglielo una volta, ma una seconda volta gli pose la stessa domanda, e una terza volta, ancora la stessa domanda. Anche se Pietro alla terza identica domanda si mostrò rattristato, quasi non ammettendo che il Signore ignorasse i suoi sentimenti, tuttavia il Signore gli pose questa domanda, e la prima, e la seconda, e la terza volta. La paura tre volte rinnegò e tre volte l'amore confessò. Pietro dunque ama il Signore. Che cosa si appresta a dare al Signore? Non avrà anch'egli avuto il suo cuore in pena, leggendo le parole del salmo: "Che cosa restituirò al Signore per tutto quello che mi ha dato?" (Sal. 115, 12). L'autore di queste parole del salmo sentiva quanto fossero grandi i doni ricevuti da Dio, per questo cercava che cosa restituire a Dio e non la trovava. Qualunque cosa si scelga per ricambiarlo, la si è ricevuta da lui, per ridarla a lui. Che cosa trovò il salmista per ricambiare il Signore? L'abbiamo già detto, proprio ciò che aveva ricevuto da Dio stesso, e perciò disse: "Prenderò il calice della salvezza ed invocherò il nome del Signore" (Sal. 115, 13). E chi gli aveva dato questo calice della salvezza, se non lo stesso Signore cui voleva restituirlo? Prendere il calice della salvezza ed invocare il nome del Signore significa essere ricolmi di carità in tale pienezza che si è pronti non solo a non odiare il fratello, ma a morire per lui. Sta qui la perfezione della carità, nell'esser pronti a morire per il fratello. Il Signore ha dato l'esempio di questa carità, morendo per tutti e pregando per quelli che lo crocifiggevano col dire: "Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno" (Lc. 23, 24). Se fosse stato lui solo ad agire così, senza avere dei discepoli che lo imitassero, non sarebbe stato un vero maestro. I suoi discepoli invece, seguendo il suo esempio, fecero esattamente come lui. Mentre Stefano veniva lapidato, stando in ginocchio disse: "Signore, non imputare loro questo peccato" (Atti, 7, 60). Egli esercitava l'amore verso quelli che lo uccidevano, e per essi moriva. Hai l'esempio anche dell'apostolo Paolo, che dice: "Io mi sacrificherò interamente per le vostre anime" (2 Cor. 12, 15). Egli era tra coloro per i quali Stefano pregava, nel momento in cui essi lo facevano morire.

Questa dunque è la carità perfetta. Chi avesse una carità tanto grande da essere pronto a morire per i fratelli, avrebbe raggiunto la carità perfetta. Questa carità è forse già perfetta al momento stesso in cui nasce? No, nasce per diventare perfetta. Perciò, una volta nata viene nutrita, e nutrita si irrobustisce per diventare perfetta. Quando raggiunge la perfezione quali sono le sue parole? Queste: "Per me vivere è Cristo e la morte è un guadagno. Desidero morire per essere con Cristo, cosa di gran lunga migliore; tuttavia è necessario per il vostro bene ch'io rimanga nella carne" (Fil. 1, 21-24). Egli voleva vivere per quelli in favore dei quali era pronto a morire.

Imitare la carità di Cristo

5. Per far sapere che questa è la perfetta carità contro cui l'uomo nato da Dio non si oppone e contro la quale non pecca, il Signore disse a Pietro: "Pietro, mi ami tu?". E quello rispose: "Ti amo" (Gv. 21, 17). Non gli disse: — se mi ami, obbediscimi. Il Signore, quando era in questa nostra carne mortale, provò la fame e la sete e in quel tempo in cui provava la fame e la sete accettò l'ospitalità: quelli che ne avevano la possibilità gli offrirono le loro cose, come leggiamo nel Vangelo. Zaccheo lo ricevette in casa sua, e fu guarito dalla sua malattia dal medico che aveva accolto. Da quale malattia? Dall'attaccamento al denaro. Era una persona ricchissima, un capo dei pubblicani. Ma, eccolo risanato dalla malattia dell'avarizia. Disse: "Io dò ai poveri la metà dei miei beni, e se a qualcuno ho tolto qualcosa, gli restituisco il quadruplo" (Lc. 19, 6-8). Conserva per sé l'altra metà, non per godersela, ma per pagarsi i debiti. Egli accolse il medico in casa, infatti il Signore si era sottomesso alla fragile condizione carnale, cosicché gli uomini potessero prestargli tale aiuto materiale; e questo perché volle ricambiare coloro che lo accudivano: fu lui, infatti, a giovare loro, e non loro a lui. Non è lui il Signore al quale gli Angeli prestano servizio? Aveva forse bisogno di essere assistito dagli uomini? Neppure Elia, che era suo servitore, abbisognava di un'assistenza del genere, poiché Dio gli mandava pane e carne attraverso un corvo. Tuttavia, per portare a una pia vedova la divina benedizione, questo servo di Dio viene mandato da lei e si fa rifocillare da lei, lui che era nutrito segretamente dal Signore stesso (cf. 1 Re, 17, 4-9). E' vero che i soccorritori dei servi di Dio che prendono a cuore i loro bisogni, fanno il proprio interesse, perché hanno in mente il premio che il Signore promette loro nel Vangelo con chiarissime parole: "Chi accoglie un giusto, in quanto tale, riceverà la ricompensa del giusto; chi riceve un profeta, in quanto profeta, riceverà la ricompensa di un profeta; e chi darà un bicchiere di acqua fresca ad uno di questi piccoli, perché sono miei discepoli, vi assicuro, non perderà la ricompensa" (Mt. 10, 41-42). Benché dunque ricavino un loro vantaggio a comportarsi così, al Signore che doveva ascendere in cielo, essi non potevano più rendergli neppure questi servizi. Pietro, che l'amava, che cosa poteva fare per lui? Questo: "Pasci le mie pecore" (Gv. 21, 15), cioè cerca di fare ai fratelli quello che io ho fatto per te. Io li ho redenti tutti col mio sangue, voi da parte vostra non esitate a morire per confessare la verità, affinché gli altri vi imitino.

La carità è il distintivo del cristiano

6. Questa, o fratelli, come abbiamo detto, è la carità perfetta; la possiede chi è nato da Dio. Cerchi la vostra Carità di capire il mio pensiero. Il battezzato ha ricevuto il sacramento della sua nascita spirituale; possiede un sacramento, grande, divino, santo, ineffabile. Esso è tanto grande che fa nascere un uomo nuovo, con la remissione di tutti i peccati. Ma il battezzato deve esaminare se il rito del suo battesimo eseguito sul suo corpo sia perfetto anche nella sua anima; esamini se possiede la carità, e solo allora dica: —io sono nato da Dio. Se non la possiede, egli porta soltanto il carattere di cristiano, ma è un disertore che scappa. Gli occorre la carità, altrimenti non può definirsi nato da Dio. Il battezzato obbietta: ho o non ho ricevuto il sacramento? Ascolta l'Apostolo: "Se conoscessi tutti i misteri, se possedessi tutta la fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, sono un niente" (1 Cor. 13, 2).

7. Se ricordate, abbiamo già affermato, proprio all'inizio della lettura di questa Epistola, che essa null'altro raccomanda che la carità. Anche se Giovanni tratta ora questo, ora quest'altro argomento, sempre poi ritorna su questo punto, volendo ricondurre alla carità tutto quello che dice. Vediamo se anche ora fa così. Fa' attenzione a queste parole: "Chi è nato da Dio, non pecca". Ci domandiamo di quale peccato si tratti; non certo di qualunque peccato, perché saremmo in contraddizione con l'altro passo che dice: "Se dicessimo di non aver alcun peccato, inganneremmo noi stessi e la verità non sarebbe in noi". Ci dica dunque qual è questo peccato, ci istruisca, perché io non venga giudicato temerario nell'asserire che esso è la violazione della carità, come si può ricavare dalle sue stesse parole precedenti: "Chi odia suo fratello, è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi" (1 Gv. 2, 11). Forse ha dato ulteriori spiegazioni affermando esplicitamente che si tratta della carità. Vedete che tutti questi diversi modi di esprimersi portano alla medesima conclusione. "Chiunque è nato da Dio, non pecca, perché in lui rimane il seme di Dio". Il seme di Dio è la parola di Dio, per cui l'Apostolo può dire: "Io vi ho generato per mezzo del Vangelo" (1 Cor. 4, 15). Quest'uomo non può peccare, perché nato da Dio. Ma ci dica l'apostolo in che senso non può peccare. A questo segno sono riconoscibili i figli di Dio e i figli del diavolo. Chi non è giusto, non viene da Dio ed altrettanto chi non ama il proprio fratello (1 Gv. 3, 9-10). E' ormai chiaro perché dica a chi non ama il proprio fratello: Solo l'amore dunque distingue i figli di Dio dai figli del diavolo. Se tutti si segnassero con la croce, se rispondessero Amen e cantassero tutti l'Alleluia, se tutti ricevessero il Battesimo ed entrassero nelle chiese, se facessero costruire i muri delle basiliche, soltanto la carità farebbe distinguere i figli di Dio dai figli del diavolo. Quelli che hanno la carità sono nati da Dio, quelli che non l'hanno non sono nati da Dio. E' questo il grande segno, il grande criterio di discernimento. Se tu avessi tutto, ma ti mancasse quest'unica cosa, a nulla ti gioverebbe ciò che hai; se non hai le altre cose, ma possiedi questa, tu hai adempiuto la legge. "Chi infatti ama il prossimo - l'Apostolo, - ha adempiuto la Legge; e il compimento della Legge è la carità" (Rom. 13, 8-10).

La carità è, a mio parere, la pietra preziosa, scoperta e comperata da quel mercante del Vangelo, il quale per far questo, vendette tutto ciò che aveva (Mt. 13, 46). La carità è quella pietra preziosa, senza la quale nulla ti giova qualunque cosa tu possegga; se invece possiedi soltanto la carità, essa sola ti basta. Adesso vedi per mezzo della fede, ma un giorno vedrai direttamente. Se amiamo fin da ora il Signore che non vediamo, come l’ameremo quando lo vedremo direttamente? Ma in quale campo dobbiamo esercitare questo amore? In quello della carità fraterna. Potresti dirmi: Non ho mai visto Dio; non potrai però dirmi: Non ho mai visto un uomo. Ama dunque il fratello. Se amerai il fratello che vedi, potrai contemporaneamente vedere Dio, poiché vedrai la carità stessa, e Dio abita nella carità.

La carità non è invidiosa.

8. Chi non è giusto, non viene da Dio; così chi non ama il fratello. Perché questo è il messaggio. Vedi come insiste: "questo è il messaggio" che abbiamo udito fin dall’inizio: di amarci scambievolmente (1 Gv. 3, 11). Ci svela la fonte di questo suo insegnamento: chi agisce contro questo mandato, si rende colpevole di un gravissimo peccato, in cui cadono quelli che non sono nati da Dio. Non come Caino che veniva dal maligno e uccise il proprio fratello.. Perché l’uccide? Perché le sue opere erano malvagie, giuste invece quelle del fratello (1 Gv. 3, 12). Se c’è invidia, non può esserci amore fraterno. Comprenda la Carità vostra. Chi è dominato dall’invidia, non è uno che ama. C’è in lui il peccato del diavolo che fece cadere l’uomo perché ne aveva invidia. Il diavolo era caduto e aveva invidia di quelli che rimanevano in piedi. Non fece cadere per potersi lui rialzare, ma per non cadere lui solo. Tenete bene in mente, conforme alle precisazioni dell’Apostolo, che nella carità non può esserci invidia. Egli te lo dice chiaramente quando fa l’elogio della carità: "La carità non è invidiosa" (1 Cor. 13, 4) Caino non aveva carità, e se anche Abele non l’avesse avuta, Dio non avrebbe gradito il suo sacrificio. Ambedue avevano offerto un sacrificio: il primo con i frutti della terra, il secondo con i capi del gregge; ma non dovete pensare che Dio abbia disprezzato i frutti della terra per preferire i capi di bestiame. Dio non guardò alle mani che offrivano, ma lesse nel cuore e guardò benevolo colui che gli offriva il sacrificio con un cuore pieno di amore; distolse invece gli occhi dall’altro che gli offriva sacrifici con cuore invidioso. Dunque le opere buone di Caino non sono altro, secondo Giovanni, che la sua carità; le opere cattive di Caino altro non sono che il suo odio contro il fratello. E’ troppo poco dire che odiò il fratello ed ebbe invidia delle sue opere: non volle imitarlo e per questo l’uccise. Da qui apparve figlio del diavolo, mentre l’altro apparve in quella occasione il giusto di Dio. Dalla carità, fratelli, si distinguono gli uomini. Nessuno si fermi alle parole, ma badi ai fatti ed ai sentimenti del cuore. Se uno non agisce rettamente verso i suoi fratelli, mostra che cosa porta dentro di sé. Gli uomini vengono messi alla prova per mezzo delle tentazioni.

Il mondo ci odia.

9. Non vogliate meravigliarvi, fratelli, se il mondo ci odia (1 Gv. 3, 13). Bisogna forse ripetervi di continuo che cosa è il mondo? Non è il cielo, né la terra, né le opere fatte da Dio; sono invece gli uomini che amano il mondo. A qualcuno sembrerò noioso perché ripeto queste cose di continuo; ma il mio ripeterle non mi sembra inutile perché, se domandassi a qualcuno se ne ho mai parlato fino ad ora, temo che non saprebbe rispondermi. Dunque voglio che qualcosa resti, a furia di ripeterlo, nel cuore degli ascoltatori. Che cosa è il mondo? Il mondo, preso nel suo significato cattivo, sono gli amatori del mondo; nel suo significato buono esso è il cielo e la terra, sono le opere che vi si trovano; perciò si dice: "Il mondo è stato fatto per mezzo di lui" (Gv 1, 10). Così il mondo è tutta la terra, come lo stesso Giovanni ebbe a dire: "Egli non solo è propiziatore dei nostri peccati, ma di quelli di tutto il mondo "(1 Gv. 2, 2), cioè, di tutti i fedeli sparsi sulla terra. Ma il mondo, nel suo significato cattivo, sono gli amatori del mondo. Coloro che amano il mondo, non possono amare i fratelli.

Chi ama passa dalla morte alla vita

10. Se il mondo ci odia: noi sappiamo... che cosa sappiamo? ... che siamo passati dalla morte alla vita... da che cosa lo sappiamo?... perché amiamo i fratelli (1 Gv. 3, 14). Nessuno interroghi l'altro; Ciascuno invece rientri in se stesso: se vi troverà la carità fraterna, stia sicuro: è infatti passato dalla morte alla vita. Sta già "alla destra". Non badi se per il momento la sua gloria è ancora nascosta; quando verrà il Signore, allora apparirà nella gloria. Egli vive e cresce, ma siamo ancora nell'inverno; viva è la radice ma i rami sembrano aridi; dentro c'è il midollo vivo, dentro sono ancora racchiuse le foglie degli alberi; dentro si celano ancora i frutti; essi attendono l'estate. Dunque "noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli". Chi non ama, rimane nella morte. Perché non pensiate, fratelli, che sia cosa da nulla odiare o non amare, ascoltate quanto segue: Chiunque odia suo fratello, è un omicida. Se uno non dava peso finora all'odio fraterno, potrà ora dar poco peso all'omicidio che commette nel suo cuore? Ancora non ha alzato le mani per uccidere, ma già dal Signore viene considerato un omicida; la sua vittima vive ancora ed egli è già stato giudicato come un omicida. "Chiunque odia suo fratello è un omicida". E voi sapete che ogni omicida non ha in se stesso la vita eterna (1 Gv. 3, 15).

11. Noi conosciamo il suo amore a questo segno. Qui vuole intendere la perfezione dell'amore, quella perfezione che vi abbiamo raccomandato. "Noi conosciamo il suo amore a questo segno", che cioè egli ha dato la sua vita per noi, e anche noi dobbiamo dar la vita per i nostri fratelli (1 Gv. 3, 16). Ecco da dove veniva quella domanda: "Pietro, mi ami? pasci le mie pecore" (Gv. 21, 15). Perché comprendiate che voleva che Pietro pascesse le sue pecore fino a dare per esse la vita, subito gli disse: "Quando eri giovane, ti cingevi e andavi dove volevi; quando invece sarai vecchio, un altro ti cingerà e ti porterà dove non vorrai. Questo disse - aggiunge l'evangelista - per indicare la morte con la quale avrebbe glorificato il Signore" (Gv. 21, 18-19). Egli insegnava a dare la vita per le pecore a colui al quale aveva detto: "Pasci le mie pecore".

L'inizio della carità

12. Da dove ha inizio la carità, fratelli? Prestate un poco di attenzione: voi avete sentito in che consiste la sua perfezione; il Signore nel Vangelo ci ha presentato il fine e la misura della carità: "Non c'è carità più grande di chi dà la vita per i suoi amici" (Gv. 15, 13). Nel Vangelo dunque ci rivelò la perfezione della carità, e qui ce la raccomanda. Ma interrogate voi stessi e chiedetevi: Quando possiamo avere questa carità? Non voler disperare troppo presto di te stesso: la carità in te forse è appena nata, non s'è ancora perfezionata; nutrila, perché non abbia a venir meno. Forse potrai dirmi: da dove traggo la conoscenza di essa? Abbiamo sentito in che consiste la sua perfezione; sentiamo da dove trae inizio.

Giovanni prosegue e dice: Se uno possiede dei beni di questo mondo e vede il proprio fratello nel bisogno e gli chiude il cuore, come l'amore di Dio può essere in lui? (1 Gv. 3, 17). Ecco da dove prende inizio la carità. Se ancora non sei pronto a morire per il fratello, sii disposto a dare al fratello un poco dei tuoi beni. La carità scuota il tuo cuore, così che ti faccia agire non con iattanza d'animo ma con interiore abbondanza di misericordia; allora la tua attenzione si volgerà sopra chi si trova nel bisogno. Se non riesci infatti a dare il superfluo al fratello, come potrai dare per lui la tua vita? Hai addosso del denaro che i ladri ti possono sottrarre e se non te lo toglieranno i ladri lo lascerai alla tua morte, quand'anche non sia lui ad abbandonarti, mentre sei ancora in vita. Che ne farai poi? Tuo fratello ha fame, vive nel bisogno, forse attende con ansietà, forse è assalito da un creditore. Lui non ha nulla, tu hai; è tuo fratello, siete stati insieme redenti, medesimo il prezzo del vostro riscatto, ambedue redenti dal sangue di Cristo: vedi dunque di aver misericordia di lui) se possiedi beni di questo mondo. Ma forse dirai: che me ne importa? Dovrei io dare il mio denaro, perché quello non soffra molestie? Se la tua coscienza ti suggerisce queste domande, l'amore del Padre non abita in te. Ma se non abita in te l'amore del Padre, tu non sei nato da Dio. Come potrai gloriarti di essere cristiano? Ne porti il nome, ma non ne possiedi i fatti. Se invece le opere terranno dietro al nome, ti chiamino pure pagano: da parte tua dimostra di essere cristiano coi fatti. Se non ti mostri cristiano coi fatti e tutti ti chiamano cristiano, che giovamento ti reca il nome, quando ad esso non corrisponde nulla? "Se uno possiede beni di questo mondo, e vede il proprio fratello nel bisogno e gli chiude il cuore, come l'amore di Dio può essere in lui?". E segue: Figlioli, non amiamo con le parole soltanto e con la lingua, ma con le opere e la verità (1 Gv. 3, 18).

13. Credo di avervi mostrato, fratelli miei, un grande, indispensabile e misterioso sacramento. Ogni passo della Scrittura insegna quanto vale la carità; ma non so se vi è al riguardo un ammaestramento maggiore di quello che ci offre questa Epistola. Vi preghiamo e vi scongiuriamo nel Signore di conservare nella memoria le cose che avete udite: vi preghiamo di ritornare con volontà attenta per udire ciò che ancora resta da dire a commento di tutta l'Epistola. Aprite il vostro cuore al buon seme; estirpate le spine, affinché quanto viene seminato non abbia ad esserne soffocato, ma cresca piuttosto in messe buona; ne goda l'agricoltore e vi prepari il granaio come si fa per il frumento, non il fuoco come si fa per la paglia.

 

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