VIII.
MAI NESSUNO HA VEDUTO DIO
La lode di Dio
1. Amore, parola dolce, ma realtà ancora più dolce. Non possiamo parlare sempre di essa. Siamo infatti occupati in molte cose e diverse attività c'impegnano ovunque, cosicché la nostra lingua non sempre ha tempo di parlare dell'amore; anche se non c'è cosa migliore che parlare di tale argomento. Ma quella carità della quale non sempre è possibile parlare, sempre la si può custodire. Così l'Alleluia che abbiamo or ora cantato, lo cantiamo forse sempre? A stento il canto dell'Alleluia dura, non dico un'ora intera, ma pochi minuti; e poi ci occupiamo di altro. Alleluia, come già sapete, significa: "Lodate Dio". Chi loda Dio con la lingua, non sempre può farlo; chi lo loda invece con la vita, può sempre farlo. Non dobbiamo dimenticarci delle opere di misericordia, dobbiamo nutrire costantemente sentimenti di carità, possedere in noi la pietà, la castità che non viene mai meno, la sobrietà modesta; sia che siamo in pubblico, o in casa, in mezzo agli uomini, nella nostra stanza, quando parliamo e quando tacciamo, quando siamo impegnati in qualche lavoro o siamo liberi da impegni, sempre bisogna osservare quei doveri: perché queste virtù che ho nominato sono dentro di noi. E potrei mai nominarle tutte? Esse sono come un esercito agli ordini di un generale che ha il suo comando dentro la tua mente. Come il generale, servendosi del suo esercito, attua ciò che più gli piace, così il Signore nostro Gesù Cristo, quando comincia ad abitare nell'intimo dell'uomo, cioè nella nostra mente per mezzo della fede, dispone di queste virtù come di suoi ministri. E per mezzo di queste virtù che non possono essere viste con gli occhi, e che tuttavia, se nominate, vengono lodate (non verrebbero lodate se non fossero amate, non sarebbero amate se non si vedessero, e si vedono con un altro occhio, cioè con l'occhio interiore del cuore), per mezzo di queste virtù invisibili vengono mosse in modo visibile le membra, ad esempio i piedi per camminare, ma dove? dove li possa muovere la buona volontà che milita sotto un buon generale. Ad esempio le mani per operare, ma che cosa? ciò che la carità avrà comandato, interiormente suscitata dallo Spirito Santo. Le membra dunque si vedono quando si muovono, ma colui che comanda dal di dentro non si vede. E chi sia da dentro a comandare, lo sa propriamente solo colui che comanda e colui che dentro riceve il comando.
L'umiltà
2. Infatti, fratelli, avete da poco udito leggere il Vangelo; l'avete però veramente udito solo se avete prestato non solo l'orecchio del corpo, ma anche quello del cuore. Quale il suo insegnamento? "Guardatevi dal fare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere veduti da loro" (Mt. 6, 1). Forse voleva ammonirci che se compiamo qualche opera buona, dobbiamo sottrarci agli occhi degli uomini e temere di essere visti? Se temi quelli che ti guardano, non avrai nessun imitatore: devi dunque essere visto. Ma non devi agire per questo scopo, cioè per essere visto. Non deve essere questo il fine della tua gioia, non deve essere questo il termine della tua letizia, sì da ritenere di aver conseguito tutto il frutto della tua buona opera, una volta che sei stato visto e lodato. Tutto ciò è niente. Disprezza te stesso, quando vieni lodato; sia lodato in te colui che opera il bene per mezzo tuo. Non voler dunque operare a tua lode il bene che fai, ma a lode di colui che ti consente di fare il bene. Da te hai solo il potere di compiere il male; da Dio il potere di compiere il bene. Al contrario gli uomini perversi vedete come pensano diversamente. Vogliono attribuire a sé quel bene che fanno; se compiono il male ne accusano Dio. Raddrizza questa specie di stortura e perversione che mette, in certo qual modo, tutto sottosopra: metti sotto ciò che è sopra e viceversa. Vuoi abbassare Dio e innalzare te? Ma allora precipiti, non ti elevi; egli infatti sta sempre in alto. Che dunque? A te forse il bene, a Dio il male? Di’ questo, piuttosto, con maggiore verità: A me il male, a lui il bene; e quel bene che ho io, deriva da lui, infatti qualunque cosa io faccia da me, è male. Questa confessione rafforza il cuore e pone il fondamento dell'amore. Se infatti dobbiamo nascondere le nostre opere buone, affinché non vengano viste dagli uomini, che pensare del precetto contenuto nel sermone che il Signore pronunciò sul monte? Un po' prima aveva detto: "Risplendano le opere vostre davanti agli uomini". Né si fermò qui, ma aggiunse: "E glorifichino il Padre vostro che è nei cieli" (Mt. 5, 16). E l'Apostolo che cosa dice? "Io ero un volto sconosciuto alle Chiese della Giudea, che sono in Cristo; ma avevano soltanto sentito dire che chi una volta li perseguitava, ora evangelizzava quella fede che un tempo tentava di distruggere, e davano gloria a Dio a causa mia" (Gal. 1, 22-24). Vedete in che modo anche lui, facendosi conoscere, non si propone la propria lode, ma quella di Dio. E per quanto lo riguarda, lui stesso si confessa devastatore della Chiesa, persecutore insaziabile e malvagio; non siamo noi a incriminarlo. Paolo preferisce che siano i suoi peccati ad essere da noi ricordati, affinché venga glorificato colui che sanò tale malattia. La mano del medico infatti incise la vasta ferita e la risanò. Quella voce proveniente dal cielo prostrò il persecutore e fece sorgere il predicatore; uccise Saulo, diede vita a Paolo. Saul era persecutore di un uomo santo, questo il suo nome quando perseguitava i cristiani; poi da Saulo divenne Paolo. Che significa Paolo? "Piccolo". Dunque quando era Saulo, era superbo ed altero; quando fu Paolo, divenne umile e piccolo. Anche noi diciamo parlando: ti vedrò tra un po', cioè tra un "piccolo" intervallo. Sentilo come afferma di essere diventato "piccolo": "Io infatti sono il più piccolo degli apostoli" (1 Cor. 15, 9); ed ancora: "A me, il più piccolo di tutti i santi" (Ef. 3, 8), come afferma in un altro luogo. Egli era, tra gli apostoli, come la frangia di un vestito; ma la Chiesa delle genti, come l'emorroissa, toccò quest'umile frangia e guarì (Mt. 9, 20-22).
La carità non venga mai meno
3. Dunque, fratelli, questo ho voluto dirvi, questo vi ripeto, questo, se potessi, non vorrei mai cessare di dire: fate l'una o l'altra opera secondo le circostanze, le ore, i tempi. Forse che si può sempre parlare? sempre tacere? sempre mangiare? sempre digiunare? sempre dare del pane ai poveri? sempre vestire gli ignudi? sempre visitare gli ammalati? sempre pacificare i litiganti? sempre seppellire i morti? Ora si fa una cosa, ed ora un'altra. Questi atti cominciano e finiscono, ma il generale che li comanda non deve né cominciare, né cessare. La carità non venga mai a cessare nell'animo, mentre le opere della carità vengano attuate secondo l'opportunità. "Rimanga", come è stato scritto, "la carità fraterna" (cf. Ebr. 13, 1).
Amore dei nemici e dei fratelli
4. C'è un interrogativo che forse ha turbato qualcuno di voi, in questo tempo che abbiamo dedicato alla trattazione dell'Epistola di san Giovanni; e l'interrogativo è perché mai egli non faccia altro che raccomandare la carità fraterna. Dice infatti: "Chi ama il fratello" (1 Gv. 2, 10); e poi: "A noi è stato dato un comandamento, che ci amiamo a vicenda" (1 Gv. 3, 23). Non ha smesso di ricordare la carità fraterna, mentre l'amore di Dio, cioè la carità con cui dobbiamo amare Dio, non l'ha nominato così spesso, anche se non l'ha del tutto passato sotto silenzio. Non ha accennato affatto invece all'amore verso il nemico in quasi tutta l'Epistola; mentre con tanta forza ci predica e ci raccomanda la carità, non ci dice di amare i nemici. Ci dice invece di amare i fratelli. Poco fa, nella lettura del Vangelo, abbiamo sentito: "Se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avrete? Non fanno questo anche i pubblicani?" (Mt. 5, 46). Perché dunque Giovanni ci raccomanda tanto l'amore fraterno per acquistare la perfezione, mentre il Signore dice che non è sufficiente amare i fratelli, ma dobbiamo spingere il nostro amore fino ad amare i nemici? Chi si spinge fino ad amare i nemici, non dimentica per questo di amare i fratelli. Deve anzi fare come fa il fuoco che prima si attacca alle cose vicine e poi si propaga a quelle più lontane. Il fratello ti è più vicino di qualsiasi altro uomo. A sua volta ti è più vicino colui che non conosci e tuttavia non ti è nemico, che non il nemico il quale si oppone a te. Estendi il tuo amore verso i più vicini, ma non pensare che sia solo un estendersi; se ami quelli che ti sono vicini, ami in pratica te stesso. Spingiti ad amare quelli che non conosci, che non ti fecero nulla di male. Ma va’ anche oltre; spingiti ad amare i nemici. Questo con certezza ti comanda il Signore. Perché dunque Giovanni ha taciuto sull'amore al nemico?
Carità e amicizia
5. Ogni dilezione, anche quella carnale, che abitualmente si chiama amore e non dilezione (dilezione si dice di solito dei sentimenti spirituali e ad essi piuttosto si estende il suo significato), ogni dilezione, fratelli carissimi, suppone una certa benevolenza verso quelli che amiamo. Infatti non dobbiamo provare verso gli uomini una dilezione - possiamo dire provare una dilezione, o amare, per servirci della parola usata dal Signore quando chiese a Pietro: Pietro, mi ami tu? (Gv. 21, 17) - non dobbiamo, dico, provare questo amore per gli uomini come fanno i golosi che dicono: amo i tordi. Li amano infatti per ucciderli e divorarli. Il goloso dice di amarli e li ama perché non siano più, li ama per eliminarli. Tutto ciò che amiamo per cibarcene, lo amiamo al fine di consumarlo e di venirne ristorati. Gli uomini devono forse essere amati in questo modo, come per essere divorati? Esiste invece una amicizia di benevolenza per la quale a volte offriamo dei doni a quelli che amiamo. E se non ci fosse nulla da donare? A chi ama basta la sola benevolenza.
Non dobbiamo certo desiderare che ci siano dei bisognosi, per poter così esercitare le opere di misericordia. Tu dai del pane a chi ha fame, ma sarebbe meglio che nessuno avesse fame, anche se in tal modo non si avrebbe nessuno cui dare. Tu offri dei vestiti a chi è nudo, ma quanto sarebbe meglio se tutti avessero i vestiti e non ci fosse questa indigenza. Tu dai sepoltura a chi è morto, ma quanto sarebbe meglio che giungesse quella vita in cui nessuno più morirà.
Tu metti d'accordo i litiganti, voglia il cielo che si stabilisca quella eterna pace di Gerusalemme, dove nessuno potrà litigare! Sono doveri legati a particolari necessità. Elimina i bisognosi, cesseranno le opere di misericordia. Ma se cesseranno le opere di misericordia, si estinguerà forse l'ardore della carità? Più genuino è l'amore che porti verso un uomo che non ha bisogno di nulla, al quale non devi dare nulla; questo amore sarà più puro e molto più sincero. Se infatti dai in prestito ad un miserabile, può capitare che desideri esaltarti di fronte a lui e averlo a te soggetto, lui che ti ha fatto compiere quell'atto benefico. Si trovò nel bisogno e tu l'hai aiutato; sembri essergli superiore, perché hai dato a lui. Desidera che ti sia eguale, affinché ambedue siate soggetti ad un solo Signore, al quale nulla si può dare.
Obbedisci a chi è sopra di te
6. L'anima orgogliosa proprio in ciò ha sorpassato la misura ed è diventata in certo qual modo avara; perché "radice di tutti i mali è l'avarizia" (1 Tim. 6, 10). Fu anche detto che "principio di ogni peccato è la superbia" (Sap. 10, 15). Ci domandiamo a volte come possono accordarsi queste due proposizioni: "radice di tutti i mali è l'avarizia", e quest'altra: "principio di ogni peccato è la superbia". Se la superbia è il principio di ogni peccato, è per ciò stesso la radice di tutti i mali. Ma è anche certo che pure l'avarizia è radice di tutti i mali: concludiamo perciò che nella stessa superbia c'è l'avarizia, in quanto l'uomo oltrepassa la misura. Che significa essere avari? Cercare al di là del sufficiente. Adamo cadde per la superbia: è detto infatti che "principio di ogni peccato è la superbia". Cadde forse per avarizia? Chi più avaro di colui al quale Dio non basta? Abbiamo letto, fratelli, che l'uomo è stato fatto ad immagine e somiglianza di Dio. Che cosa disse Dio dell'uomo? "Abbia potere sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo e su tutti gli animali che strisciano sulla terra" (Gen. 1, 26). Il Signore ha forse detto: l'uomo abbia potere sugli uomini? Disse soltanto: "abbia potere", un potere conforme alla natura, ma potere su chi? "Sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo e su tutti gli animali che strisciano sulla terra". Perché su questi esseri è naturale che l'uomo abbia potere? Perché l'uomo deriva questo suo potere dal fatto che fu creato ad immagine di Dio. In che cosa fu fatto ad immagine di Dio? Nell'intelligenza, nella mente, nell'uomo interiore, nel fatto che l'uomo capisce la verità discerne la giustizia e l'ingiustizia, sa da chi è stato fatto, può conoscere il suo creatore e lodarlo. Possiede questa intelligenza chi possiede la saggezza. Poiché molti, per colpa delle cattive passioni, corrompono in se stessi l'immagine di Dio e spengono in certo qual modo la fiamma dell'intelligenza con la perversità della loro condotta, la Scrittura grida loro: "Non diventate come un cavallo ed un mulo che non hanno intelligenza" (Sal. 31, 9). E' come se dicesse: ti ho messo al di sopra del cavallo e del mulo, ti ho fatto a mia immagine, ti ho dato potere sopra questi esseri; e questo è possibile perché le bestie non hanno un'anima razionale, mentre tu coll'anima razionale comprendi la verità, capisci ciò che sta sopra di te. Assoggettati dunque a colui che sta sopra di te e ti staranno soggetti quegli esseri sopra i quali sei stato preposto. Avendo l'uomo con il peccato abbandonato colui sotto il quale doveva stare, venne assoggettato a quegli esseri sui quali doveva comandare.
Liberazione spirituale
7. Cercate di comprendere ciò che voglio dire: Dio, l'uomo, gli animali. Dio sta sopra di te, gli animali sotto di te. Riconosci colui che sta sopra di te, affinché ti riconoscano le creature che stanno sotto di te. Per questa ragione, avendo Daniele riconosciuto Dio sopra di sè, i leoni riconobbero che lui stava sopra di loro. Se invece tu non riconosci colui che sta sopra di te, disprezzando chi ti è superiore, ti assoggetti a un inferiore. Che cosa contribuì a domare la superbia degli egiziani? Le rane e le mosche. Dio poteva mandare loro anche i leoni, ma il leone è per spaventare personaggi importanti. Quanto più gli egiziani erano superbi, tanto più la loro vanagloria fu infranta da esseri disprezzabili ed abbietti. I leoni riconobbero invece Daniele perché egli era soggetto a Dio.
E allora, i martiri che combatterono contro le bestie e sono stati straziati dai morsi delle belve, non erano sottomessi a Dio? Oppure bisognerà dire che i tre fanciulli della fornace erano servi di Dio, mentre non lo erano i fratelli Maccabei? Il fuoco mostrò che quei tre fanciulli erano servi di Dio, perché non li bruciò né consumò i loro vestiti (cf. Dan. 3, 50), e non avrebbe manifestato quali servi di Dio i Maccabei? Certo che li manifestò. Sì, manifestò anch'essi, fratelli (cf. 2 Macc. 7). Ma c'era bisogno di una prova permessa dal Signore, come dice la Scrittura: "Dio percuote con la verga ogni uomo che accoglie nel numero dei suoi figli" (Ebr. 12, 6). Fratelli, ritenete che la lancia avrebbe mai trapassato il petto del Signore, se lui stesso non avesse permesso ciò? Credete che egli sarebbe rimasto sospeso alla croce, senza la sua volontà? Le sue stesse creature non l'avrebbero riconosciuto? O non ha voluto piuttosto presentare ai suoi fedeli un esempio di pazienza? Dio ha liberato alcuni in modo visibile, altri li ha liberati, ma non in modo visibile: tutti invece ha liberato spiritualmente; spiritualmente non ha abbandonato nessuno. Parve che avesse abbandonato alcuni, dal punto di vista dell'aiuto esterno, mentre avrebbe salvato altri. Egli ha appunto salvato costoro perché non si credesse che ciò non è in suo potere. Ti ha dato una prova della sua onnipotenza, cosicché, quando non interviene, tu capisca che questo avviene per un suo disegno a te nascosto e non già per qualche sua difficoltà. Ma che significa questo, fratelli? Quando ci saremo liberati da tutti i nodi della nostra condizione di mortali, quando passeranno i tempi della tentazione, quando il fiume di questa storia terrena avrà compiuto il suo corso e riprenderemo quella veste primitiva che è l'immortalità, da noi perduta col peccato, quando questo nostro essere corruttibile, e cioè la nostra carne, avrà assunto qualità incorruttibili e questa nostra carne mortale avrà ottenuto l'immortalità (cf. 1 Cor. 15, 53-54), allora ogni creatura riconoscerà in noi i perfetti figli di Dio, quando non sarà più necessario essere tentati e provati. Allora tutto sarà a noi sottomesso, se qui siamo stati sudditi di Dio.
Vanagloria
8. Il cristiano deve essere tale da non gloriarsi sopra gli altri uomini. Dio ti ha dato di essere al di sopra delle bestie, di essere cioè superiore alle bestie. Questo lo hai dalla natura: sarai sempre superiore alle bestie. Ma se pretendi di essere superiore a un altro uomo, gli porterai invidia, poiché vedi che è uguale a te. Devi invece volere che tutti gli uomini ti siano uguali. Se superi un altro in saggezza, devi desiderare che anche lui sia saggio. Fin quando resta meno avveduto, deve imparare da te; fin quando è ignorante, ha bisogno di te; e tu sembri il maestro, lui lo scolaro; tu dunque superiore perché maestro, lui inferiore perché discepolo. Se non desideri che lui ti sia uguale, vorrai che egli resti sempre tuo discepolo. Ma se vuoi averlo sempre tuo discepolo, sei un maestro invidioso. E se sei tale, come puoi dirti maestro? Ti supplico, non insegnargli la tua invidia. Senti l'Apostolo che dice nella sua grande carità: "Vorrei che tutti gli uomini fossero come me" (1 Cor. 7, 7). Come mai voleva che tutti gli fossero uguali? Egli era superiore a tutti proprio perché nella sua carità desiderava che tutti fossero uguali. L'uomo dunque ha oltrepassato la misura, volle essere troppo avido, ponendosi sopra gli altri uomini, mentre aveva ricevuto soltanto una superiorità sopra gli animali: e questa è la superbia.
Motivazione interiore
9. Considerate le opere grandi che la superbia sa compiere; considerate come appaiano simili e quasi pari a quelle della carità. La carità offre cibo all'affamato, ma lo fa anche la superbia: la carità lo fa, perché venga lodato il Signore, la superbia per dar lode a se stessa. La carità veste chi è nudo e lo fa anche la superbia; la carità digiuna, ma digiuna anche la superbia; la carità seppellisce i morti, ma li seppellisce anche la superbia. Tutte le opere buone che la carità vuole fare e fa, le medesime vengono messe in atto dalla superbia che le mena attorno come suoi cavalli. Ma la carità è nel cuore: non lascia spazio all'attivismo della superbia che si muove scompostamente. Guai all'uomo che tiene la superbia a proprio auriga, perché necessariamente finirà nel precipizio.
Ma come sapere se è la superbia a compiere le azioni buone? Chi la vede? Quale il segno di riconoscimento? Vediamo le opere: la misericordia offre cibo, lo fa anche la superbia; la misericordia accoglie un ospite, lo fa anche la superbia; la misericordia intercede per un povero, lo fa anche la superbia. Che significa ciò? Che non riusciremo a capire, se esaminiamo le opere. Arrivo a dire - ma non sono io, è lo stesso Paolo -: la carità accetta la morte, cioè l'uomo, che ha la carità, confessa il nome di Cristo e va al martirio; ma anche la superbia confessa Cristo e va al martirio. Il primo uomo ha la carità, il secondo non ha la carità. Ma chi non ha la carità ascolti che cosa dice l'Apostolo: "se distribuissi tutti i miei beni ai poveri, e se dessi il mio corpo perché sia bruciato, ma non avessi la carità nulla mi vale" (1 Cor. 13, 3).
La divina Scrittura, dunque, da questa ostentazione esteriore c'invita a rientrare in noi stessi; a tornare nel nostro intimo da questa superficialità che fa sfoggio di sè innanzi agli uomini. Torna all'intimo della tua coscienza, interrogala. Non guardare a ciò che fiorisce di fuori, ma alla radice che sta nascosta in terra. Ha preso radici in te l'avidità del denaro? In tal caso potrà dirsi che ci sia un'apparenza di opere buone, ma opere veramente buone non potranno esserci. Ha preso radici dentro di te la carità? Sta' sicuro, nessun male ne può derivare. Il superbo accarezza, l'amore castiga. L'uno riveste, l’altro colpisce. Il superbo dona dei vestiti per piacere agli uomini; chi possiede l'amore invece colpisce per correggere con la disciplina. Si riceve di più dal castigo che proviene dall'amore, che dall'elemosina che proviene dalla superbia. Ritornate in voi stessi, fratelli. In tutte le cose che fate, guardate a Dio come a vostro testimone. Esaminate con quale animo agite, dal momento che Dio vi vede. Se il vostro cuore non vi accusa di agire superbamente, bene, state sicuri. Non temete, quando agite bene, che altri vi vedano. Temi invece di agire allo scopo di essere lodato. Gli altri vedano, ma ne lodino il Signore. Se ti nascondi agli occhi dell'uomo, ti nascondi in realtà all'imitazione dell'uomo e sottrai la lode dovuta a Dio. Hai davanti a te due persone cui fare l'elemosina: entrambe hanno fame, l’uno di pane, l’altro di giustizia. Tra questi due affamati - poiché è stato detto: "Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati" (Mt. 5, 6) - tra questi due affamati sei stato posto tu come operatore di bene. Se la carità muove il tuo agire, essa deve aver pietà di ambedue e portare aiuto ad entrambi. Il primo chiede qualcosa da mangiare, il secondo chiede qualcosa da imitare. Dai da mangiare al primo, dai te stesso come esempio all'altro. Hai dato l'elemosina ad entrambi: hai reso il primo più sollevato, per aver eliminato la sua fame; hai reso il secondo tuo imitatore, proponendogli l'esempio da imitare.
Misericordia
10. Siate dunque misericordiosi, abbiate sentimenti di pietà, perché amando i nemici, amate i fratelli. Non pensate che Giovanni non abbia detto nulla sull'amore dei nemici: lo ha fatto parlando della carità fraterna. Voi amate i fratelli: in che modo - domanderai - io amo i fratelli? Ti chiedo: perché ami un nemico? Perché lo ami? Perché abbia la salute in questa vita? - Che vale, se non gli giova? Perché sia ricco? - Che vale, se da queste stesse ricchezze sarà accecato? Perché si sposi? - Che vale, se poi soffrirà una vita di pena? Perché abbia figli? - Che vale, se questi saranno cattivi? Incerti sono tutti questi beni che, per il fatto che lo ami, ti pare di dover desiderare per il nemico, questi beni sono proprio incerti. Desidera invece che egli ottenga insieme con te la vita eterna; desidera che egli ti diventi fratello. Se dunque questo desideri mentre ami il nemico, che ti diventi fratello, quando lo ami, ami un tuo fratello. Non ami in lui ciò che è, ma quel che tu desideri che divenga.
Se non sbaglio, ho già ripetuto alla Carità vostra questo esempio: immaginiamo di avere davanti agli occhi un tronco di quercia; un bravo falegname vede questo tronco non ancora lavorato, appena tagliato dal bosco, e lo vuole per sé, per farne non so che. Certo non s'è interessato a quel legno perché rimanga sempre lo stesso. E' la sua arte che gli fa intuire ciò che il legno sarà; il suo interesse non è rivolto al tronco in sé, come è ora, lo ama per quel che ne farà, non per quello che è. Così Dio ci ha amati, pur essendo noi peccatori. Ripeto, Dio ha amato noi peccatori. Disse infatti: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma gli ammalati" (Mt. 9, 12). Forse ha amato noi peccatori perché restassimo tali? Questo falegname ci ha guardati come si guarda a un tronco tagliato dal bosco, avendo in mente l'opera che avrebbe saputo trarne fuori, non il tronco grezzo. Così tu vedi il nemico che ti avversa, ti aggredisce e ti azzanna con le sue parole, ti esaspera coi suoi insulti, non ti dà pace col suo odio. Ma non devi dimenticare di vedere in lui un uomo. Vedi le opere avverse compiute dall’uomo, ma vedi ciò che in lui è stato fatto da Dio: il fatto che è un uomo, proviene da Dio. Il fatto che ti odia e ti invidia proviene da lui. Che cosa dici nel tuo animo? "Signore, sii a lui propizio, perdona i suoi peccati, incutigli terrore, trasformalo". Non ami in lui ciò che è, ma ciò che vuoi che divenga. Perciò quando ami il nemico, ami il fratello.
Di conseguenza il perfetto amore è l'amore del nemico: e questo perfetto amore è incluso nell'amore fraterno. Nessuno dica che l'apostolo Giovanni ci ha ammonito un po' meno su questo punto, mentre Cristo nostro Signore ci ha ammonito di più: Giovanni ci ha ammonito di amare i fratelli, Cristo ci ha ammonito di amare anche i nemici. Fa' attenzione al perché Cristo ci ha ammonito di amare i nemici. Forse perché restino sempre nemici? Se ti ha dato questo comando perché i tuoi nemici rimangano nemici, tu li odi, non li ami. Guarda come ha amato Gesù i suoi nemici, desiderando che essi non restassero suoi persecutori; disse: "Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno" (Lc. 23, 34). Quelli per cui chiese il perdono volle che venissero trasformati interiormente, e costoro si è degnato di cambiarli da nemici in fratelli, e così veramente fece. Egli fu ucciso, fu sepolto, risorse, ascese al cielo, mandò sui discepoli lo Spirito Santo; questi incominciarono a predicare fiduciosi il suo nome, fecero dei miracoli in nome di lui crocifisso e ucciso: gli uccisori del Signore videro queste cose ed essi, che infierendo contro di lui avevano versato il suo sangue, convertendosi alla fede lo bevvero.
11. Vi ho detto queste cose, fratelli, tirando le cose un po' per il lungo: tuttavia poiché era necessario raccomandare alla Carità vostra la stessa carità, così abbiamo fatto. Se in realtà la carità non è in voi, è come se non avessimo detto nulla. Se essa è in voi, abbiamo per così dire aggiunto olio alla fiamma e forse, con queste parole, l'abbiamo accesa anche in chi non l'aveva. In uno s'accrebbe ciò che vi era; in un altro iniziò ad esserci ciò che non c'era. Abbiamo detto queste cose affinché non siate pigri nell'amare i nemici. C'è qualcuno che ti perseguita? Egli ti perseguita e tu prega; egli odia e tu abbi pietà. E' la febbre della sua anima che ti odia, ma diventerà sano e ti ringrazierà. I medici, come amano i malati? Amano forse le persone perché ammalate? Se le amassero così, desidererebbero che restassero sempre ammalate. Essi amano i malati affinché da malati diventino sani, non perché restino ammalati. Quanti fastidi devono sopportare i medici dalle persone frenetiche! Quanti insulti! Spesse volte vengono anche percossi. Il medico combatte la febbre, ma perdona alle persone. E che dirò, fratelli? Il medico ama il suo nemico? Odia anzi il suo nemico ch'è la malattia: odia la malattia ed ama la persona che lo percuote; egli odia la febbre. Da che infatti viene colpito? Dalla malattia, dall'infermità, dalla febbre. Il medico elimina ciò che arreca danno alla persona, perché rimanga ciò per cui la persona possa congratularsi con lui. Fa' così anche tu: se il nemico ti odia e ti odia ingiustamente, sappi che regna in lui la bramosia del mondo, da lì nasce il suo odio. Se anche tu lo odi, rendi male per male. Che cosa produce rendere male per male? Prima compiangevo un solo malato, colpito dalla malattia dell’odio; ora devo compiangerne due, se anche tu rispondi con l'odio. Ma quell'uomo s'impossessa del tuo patrimonio, ti sottrae non so quale tuo bene che possiedi qua in terra; per questo lo odi, appunto perché qua in terra ti fa penare. Non soffrirne angustia, portati su in alto, nel cielo: il tuo cuore sarà dove c'è ampiezza di spazi, tanto che non soffrirai più alcuna angustia nella speranza della vita eterna. Esamina ciò che il nemico ti ha tolto; egli non potrebbe toglierti neppure questi beni, se non lo permettesse colui che "percuote di verga ogni uomo che accoglie nel numero dei suoi figli" (Ebr. 12, 6). Proprio quel nemico è in certo modo il ferro che Dio adopera per sanarti. Se Dio vede utile che il nemico ti spogli, lo lascia fare; se vede che è utile che il nemico ti colpisca, gli permette di colpirti; per mezzo di lui Dio ti cura; tu desidera che anche lui sia sanato.
Dio abita in noi per la carità
12. "Dio nessuno l'ha visto mai". Ecco, dilettissimi: Se ci amiamo scambievolmente, Dio resterà in noi, e il suo amore in noi sarà perfetto. Comincia ad amare e giungerai alla perfezione. Hai cominciato ad amare? Dio ha iniziato ad abitare in te. Ama colui che iniziò ad abitare in te, affinché abitando in te sempre più perfettamente, ti renda perfetto. Da questo conosciamo che rimaniamo in lui e lui in noi, dal fatto che ci ha dato il suo Spirito (1 Gv. 4, 12-13). Bene, sia ringraziato il Signore! Ora sappiamo che egli abita in noi. E questo fatto, cioè che egli abita in noi, da dove lo conosciamo? Da ciò che Giovanni afferma, cioè che egli "ci ha dato il suo Spirito". Ed ancora, da dove conosciamo che "ci ha dato il suo Spirito"? Ripeto, che ci ha dato il suo Spirito, come lo sappiamo? Interroga il tuo cuore: se esso è pieno di carità, hai lo Spirito di Dio. Da dove sappiamo che è proprio quello il segno che lo Spirito di Dio abita in noi? Interroga l'apostolo Paolo: "L'amore di Dio è stato diffuso nei nostri cuori, attraverso lo Spirito Santo che a noi fu dato" (Rom. 5, 5).
Cristo nostra speranza
13. E noi abbiamo visto e siamo testimoni che il Padre ha mandato il Figlio suo, quale Salvatore del mondo. Voi che siete ammalati, abbiate fiducia: è venuto un tal medico e voi ancora disperate? I malanni erano grandi, le ferite insanabili, la malattia disperata. Tu guardi alla gravità del tuo male e non consideri l'onnipotenza del medico? Il tuo caso è disperato, ma egli è onnipotente; ne fanno testimonianza coloro che per primi sono stati guariti e ci hanno fatto conoscere in lui il medico; essi tuttavia furono salvati più nella speranza che nella realtà. Così infatti dice l'Apostolo: "Nella speranza siamo salvati" (Rom. 8, 24). Abbiamo cominciato ad essere guariti nella fede; la nostra salvezza perciò sarà portata a termine quando questo nostro corpo corruttibile si rivestirà di incorruttibilità e questo nostro corpo mortale si rivestirà d'immortalità. Questa è speranza, non ancora realtà. Ma chi gode nella speranza, avrà un giorno anche la realtà; chi invece non ha speranza, non può arrivare alla realtà.
Dio ci ha cercati...
14. Chiunque confesserà che Gesù è Figlio di Dio, Dio rimarrà in lui e lui in Dio. Possiamo ormai commentare con poche parole. "Chiunque confesserà", non con le parole ma coi fatti, non con la lingua ma con la vita. Molti infatti "confessano" a parole e negano coi fatti. Noi abbiamo conosciuto e creduto quale amore Dio ha verso di noi. Ancora ti chiedo: da dove hai questa conoscenza? Dio è amore. Già ha fatto questa affermazione e qui la ripete. Non poteva Giovanni raccomandarti la carità in modo più incisivo che chiamandola Dio. Forse eri tentato di disprezzare un dono di Dio, ma disprezzerai anche Dio? "Dio è amore". E chi resta nell'amore, resta in Dio, e Dio rimane in lui (1 Gv. 4, 15-16). Abitano l'uno nell'altro, chi contiene e chi è contenuto. Tu abiti in Dio ma per essere contenuto da lui; Dio abita in te, ma per contenerti e non farti cadere. Non devi credere che tu diventi casa di Dio, così come la tua casa contiene il tuo corpo. Se la casa in cui abiti crolla, tu cadi; se invece tu crolli, Dio non cade. Egli resta se stesso, se tu l'abbandoni; resta se stesso quando ritorni a lui. Se diventi sano, non gli aggiungi nulla: sei tu che ti purifichi, ti ricrei e ti correggi. Egli è una medicina per il malato, una regola per chi è disviato, una luce per il cieco, per l'abbandonato una casa. Tutto dunque vien dato a te. Cerca di capire che non sei tu a dare qualcosa a Dio, allorché vai a lui, neppure la proprietà di te stesso. Dio dunque non avrà dei servi, se tu non vorrai e se nessuno vorrà? Dio non ha bisogno di servi, ma i servi hanno bisogno di Dio; perciò un salmo dice: "Dissi al Signore: tu sei il mio Dio". E' lui il vero Signore. E che cosa aggiunge il salmista? "Tu non hai bisogno dei miei beni" (Sal. 15, 2). Tu, uomo, hai bisogno delle prestazioni del tuo servo, il servo ha bisogno dei tuoi beni, che tu gli offra da mangiare; tu da parte tua hai bisogno dei suoi servizi, che ti accudisca. Non puoi da te attingere l'acqua, non puoi cucinare, non puoi portare per la briglia, né strigliare il tuo cavallo. Ecco dunque che hai bisogno dell'opera del tuo servo, hai bisogno dei suoi servizi. Non sei dunque un vero signore, perché hai bisogno di un inferiore. Lui è il vero Signore, che non ci domanda nulla; e, sventurati noi, se non cerchiamo lui. Non cerca nulla da noi, cerca noi, e ci ha cercato quando noi non cercavamo lui. Una pecora si era smarrita, egli la ritrovò e pieno di gaudio la riportò sulle sue spalle. Era forse necessaria al pastore quella pecora o non piuttosto il pastore alla pecora?
Quanto più godo di parlare della carità, tanto meno vorrei che questa Epistola finisse. Nessuna è più ardente nel raccomandare la carità. Nulla di più dolce vi può essere detto, nulla di più salutare può essere bevuto dalla vostra mente, purché però confermiate in voi il dono di Dio con una santa vita. Non siate ingrati a questa immensa grazia di Colui che, avendo un Figlio Unigenito, non volle che rimanesse solo, ma, perché avesse dei fratelli, adottò dei figli che potessero con lui possedere la vita eterna.