XXVI (XXV) – Ottantatré questioni diverse, un libro

26.1 Fra i nostri scritti c’è anche un’opera alquanto estesa, che è però considerata come un unico libro, il cui titolo suona: Ottantatre questioni diverse. La trattazione di tali questioni risultava dispersa in molti fogli isolati: le mie risposte erano state da me dettate senz’ordine, a partire dalla mia conversione e dopo il mio ritorno in Africa, di volta in volta che i fratelli, trovandomi disponibile, me ne facevano richiesta. Disposi allora, quando ero già vescovo, che fossero raccolte e che se ne facesse un libro. Disposi anche che ogni questione fosse contrassegnata da un numero, sì da permettere ad ogni lettore di trovare facilmente quella desiderata.

26.2 Di queste questioni la prima discute se l’anima abbia un’esistenza autonoma;

la seconda concerne il libero arbitrio;

la terza discute se l’uomo sia più cattivo a causa di Dio, suo creatore;

la quarta discute la causa di tale cattiveria;

la quinta se l’animale privo di ragione possa essere felice;

la sesta tratta del male;

la settima discute quale componente prenda propriamente il nome di anima nell’essere vivente;

l’ottava se l’anima abbia un movimento proprio;

la nona se la verità possa essere appresa dai sensi del corpo. Ivi ho affermato che tutto ciò che è raggiunto dal senso del corpo e che prende il nome di sensibile muta continuamente nel tempo L’affermazione non è certamente valida per i corpi incorruttibili della risurrezione, ma attualmente nessuno dei nostri sensi corporei riesce a intuire tali realtà , tranne il caso che una realtà consimile ci sia rivelata per volere divino.

La decima discute se il corpo derivi da Dio.

L’undicesima perché Cristo sia nato da una donna.

La dodicesima, che reca come titolo: L’opinione di un saggio, non mi appartiene. Poiché tuttavia venne a conoscenza, per mio tramite, di alcuni fratelli, che raccoglievano allora con grande cura le mie risposte, e fu di loro gradimento, vollero inserirla fra le mie. Appartiene in realtà a un certo Fonteio di Cartagine e deriva da una sua opera dal titolo Sulla necessità di purificare la mente per vedere Dio; l’aveva scritta quand’era ancora pagano, ma è morto da cristiano, dopo aver ricevuto il battesimo.

La tredicesima discute da quale prova risulti che gli uomini sono superiori alle bestie;

la quattordicesima dimostra che il corpo del Signore nostro Gesù Cristo non era un fantasma ;

la quindicesima tratta dell’intelletto;

la sedicesima del Figlio di Dio;

la diciassettesima della scienza di Dio;

la diciottesima della Trinità;

la diciannovesima di Dio e della creatura;

la ventesima del luogo in cui è Dio;

la ventunesima discute se Dio non sia autore del male. Al riguardo va evitato di interpretare scorrettamente queste mie parole: Non è autore del male chi è autore di tutti gli esseri i quali, in quanto esseri, sono buoni. Va cioè evitata la conclusione che la punizione dei malvagi, che è comunque un male per chi la subisce, non venga da Dio. Mi sono espresso così conformemente alla Scrittura, dove è detto: Dio non ha creato la morte, ma altrove è anche detto: Morte e vita vengono dal Signore Iddio. La punizione dei malvagi, dunque, che deriva da Dio, è un male per i malvagi, ma fa parte delle opere buone di Dio poiché è giusto che i malvagi siano puniti e, in ogni caso, è buono tutto ciò che è giusto.

La ventiduesima recita: Dio non è soggetto alla necessità.

La ventitreesima discute del Padre e del Figlio. Ivi ho detto: Egli stesso generò la sapienza, dalla quale prese il nome di sapiente. Ho però successivamente meglio trattato questa questione nella mia opera Sulla Trinità.

La ventiquattresima discute se il peccato e la buona azione dipendano dal libero arbitrio della volontà. Ciò è verissimo, ma perché si sia liberi di fare il bene occorre esser liberati dalla grazia.

La venticinquesima tratta della croce di Cristo;

la ventiseiesima delle differenza dei peccati;

la ventisettesima della provvidenza;

la ventottesima discute perché Dio abbia voluto creare il mondo;

la ventinovesima se vi sia un alto e un basso nell’universo;

la trentesima se tutto sia stato creato per l’utilità dell’uomo.

La trentunesima non è mia, ma di Cicerone. Anch’essa è venuta a conoscenza dei fratelli per mio tramite ed essi l’hanno inserita in questa raccolta, per il desiderio di apprendere come costui dividesse e definisse le virtù dell’anima.

La trentaduesima discute se sia possibile che una certa cosa sia conosciuta da uno più che da un altro e se pertanto il processo di conoscenza di un medesimo oggetto sia infinito;

la trentatreesima tratta del timore;

la trentaquattresima discute se null’altro sia degno d’amore oltre la mancanza di timore.

La trentacinquesima discute che cosa si debba amare. Non mi convince su questo punto la mia affermazione che bisogna amare ciò il cui possesso non differisce dalla sua conoscenza. Non si può dire che non possedessero Dio coloro ai quali è stato detto: Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Eppure non lo conoscevano o non lo conoscevano come avrebbero dovuto. Così nella mia affermazione che nessuno conosce la felicità e rimane, ciononostante, infelice, ho detto conosce, ma sottintendendo come dev’essere conosciuta. Chi infatti la ignora totalmente, almeno fra coloro che hanno l’uso di ragione, dal momento che sanno di voler essere felici?

La trentaseiesima tratta del nutrimento della carità. Ivi ho detto: Quando oggetto d’amore sono Dio e l’anima, si può parlare in senso proprio della carità in quanto totalmente purificata e realizzata e sempre che null’altro sia amato. Ma se questo è vero, come può l’Apostolo dire: Nessuno ebbe mai in odio la sua carne, e trarne l’invito ad amare le proprie mogli? Per questo ho detto si parla d’amore in senso proprio: la carne è certamente amata, non però in senso proprio, ma in quanto sottomessa all’anima che se ne serve. E anche se sembra amata per se stessa, come quando non la vogliamo priva di bellezza, la sua bellezza va riferita ad altro, vale a dire al principio di ogni bellezza.

La trentasettesima tratta di colui che è nato da sempre;

la trentottesima della struttura dell’anima;

la trentanovesima degli alimenti;

la quarantesima si chiede donde derivino le diverse volontà degli uomini dal momento che unica è la natura delle anime;

la quarantunesima perché Dio, nell’atto di creare tutte le cose, non le abbia create tutte allo stesso modo;

la quarantaduesima in che modo il Signore Gesù Cristo, Sapienza di Dio, sia stato al tempo stesso nell’utero di sua madre e nei cieli; la quarantatreesima

perché il Figlio di Dio sia apparso in forma umana e lo Spirito Santo in forma di colomba.

La quarantaquattresima perché il Signore Gesù Cristo sia venuto tanto in ritardo. Equiparando le età del genere umano a quelle di un solo uomo ho detto: Non sarebbe stato conveniente che l’avvento del Maestro, ad imitazione del quale conformare la perfetta condotta morale, si verificasse in un periodo diverso dalla giovinezza. Ed ho aggiunto a conferma le parole dell’Apostolo: Bambini custoditi sotto la legge come sotto un pedagogo. Può però meravigliare quanto abbiamo detto altrove, che cioè Cristo è venuto nella sesta età del genere umano, come in vecchiaia. In realtà il nostro accenno alla gioventù si riferisce al vigore e al fervore della fede che opera attraverso la carità, l’accenno alla vecchiaia riguarda la considerazione numerica del tempo. Entrambe le dimensioni possono coesistere nell’umanità presa nel suo assieme, ma non nelle diverse età di un singolo uomo. Analogamente, mentre in un corpo non vi possono essere ad un tempo giovinezza e vecchiaia, entrambe possono invece coesistere nell’animo: la prima in virtù della vivacità, la seconda della compostezza.

La quarantacinquesima è rivolta contro gli astrologi;

la quarantaseiesima tratta delle idee.

La quarantasettesima discute se talora possiamo vedere i nostri pensieri. Ivi ho detto: C’è da ritenere che i corpi angelici, che speriamo di avere un giorno, siano luminosi ed eterei . Se con questo si vuol intendere che non avremo più le membra che ora possediamo né la componente carnale, anche se resa incorruttibile, si commette un errore. Quanto alla questione relativa alla possibilità di vedere i nostri pensieri se n’è fatta una trattazione molto più approfondita nell’opera su La Città di Dio.

La quarantottesima tratta di ciò ch’è credibile;

la quarantanovesima discute perché i figli d’Israele sacrificavano visibilmente degli animali come vittime.

La cinquantesima tratta dell’uguaglianza del Figlio.

La cinquantunesima dell’uomo fatto ad immagine ed a somiglianza di Dio. Mi chiedo perché in quel contesto abbia detto che non è conforme a correttezza chiamare uomo chi non ha vita, quando invece anche il cadavere di un uomo prende il nome di uomo. Avrei dovuto almeno dire non è conforme a proprietà in luogo di non è conforme a correttezza. Ho anche detto: Non è senza ragione la distinzione per cui altro è l’immagine e la somiglianza di Dio, altro l’espressione ad immagine e a somiglianza di Dio, che esprime il modo con cui sappiamo che è stato creato l’uomo. Queste parole non vanno intese nel senso che dell’uomo non si possa dire che è immagine di Dio, stante l’ammonizione dell’Apostolo: L’uomo non deve velare il capo poiché è immagine e gloria di Dio. L’uomo però è detto anche "·ad immagine·" di Dio, il che non vale per l’Unigenito, che è solo"

·immagine·", non "·ad immagine·".

La cinquantaduesima tratta delle parole della Scrittura: "·Mi pento di aver creato l’uomo·";

la cinquantatreesima dell’oro e dell’argento che gli Israeliti ricevettero dagli Egiziani.

La cinquantaquattresima delle parole della Scrittura: "·È un bene che io sia unito a Dio·". Ivi ho detto: Chiamiamo Dio l’essere superiore ad ogni anima. Mi sarei però meglio espresso dicendo: Superiore ad ogni spirito creato.

La cinquantacinquesima tratta delle parole della Scrittura: "·Ci sono sessanta regine e ottanta concubine e ragazze senza numero·"; la cinquantaseiesima

dei quarantasei anni impiegati per costruire il tempio;

a cinquantasettesima dei centocinquantatré pesci;

la cinquantottesima di Giovanni Battista;

la cinquantanovesima delle dieci vergini·

la sessantesima delle parole della Scrittura: "·Nessuno è a conoscenza dell’ora e del giorno, né gli angeli del cielo né il Figlio dell’uomo, ma solo il Padre·".

La sessantunesima di quanto è detto dal Vangelo, che cioè: Il Signore sul monte nutrì le turbe con cinque pani. Ho detto: I due pesci stanno a significare le due note figure, quella del re e quella del sacerdote, alle quali si addice anche la ben nota sacrosanta unzione. Avrei fatto meglio a dire "·si addice in modo particolare·": leggiamo infatti che talora anche i Profeti ricevettero l’unzione. Ho anche detto: Luca, che ha introdotto Cristo come sacerdote rappresentandolo nell’atto di salire (al cielo) dopo la remissione dei peccati, risale a David attraverso Nathan: il profeta Nathan infatti era stato inviato a David e questi, da lui rimproverato, ottenne col pentimento la remissione del suo peccato. Le mie parole non vanno però intese nel senso che il profeta Nathan fosse figlio di David. Non ho detto: "·questo stesso fu inviato come profeta·" bensì: il profeta Nathan era stato inviato perché il mistero si manifesti non nell’identità della persona ma in quella del nome.

La sessantaduesima concerne queste parole del Vangelo: "·Gesù battezzava più persone di Giovanni, benché non fosse lui a battezzare, ma i suoi discepoli·". In quel contesto ho detto: Il ladrone cui fu detto: "·In verità ti dico: oggi sarai con me in Paradiso·" che non aveva neppure ricevuto il battesimo. Ho potuto accertare che altre autorità della santa Chiesa avevano affermato questo nei loro scritti, ma ignoro sulla base di quali documenti si possa con sufficiente certezza dimostrare che quel ladrone non era stato battezzato. Di questo argomento si discute più a fondo in altri miei opuscoli scritti in epoca successiva e soprattutto in quello, dedicato a Vincenzo Vittore, che tratta dell’origine dell’anima ;

La sessantatreesima tratta del Verbo;

la sessantaquattresima della donna samaritana;

la sessantacinquesima della risurrezione di Lazzaro.

La sessantaseiesima del passo della Scrittura che inizia con le parole: "·Ignorate forse, fratelli, che la legge – so di parlare a gente che la conosce – domina l’uomo per tutto il tempo della sua vita?·" e termina al punto in cui si legge: Vivificherà anche i vostri corpi mortali attraverso il suo Spirito che abita in voi. Ivi, nell’intento di spiegare le parole dell’Apostolo: Sappiamo che la legge è spirituale, mentre io sono carnale, ho detto: In altre parole do il mio assenso alla carne in quanto non sono ancora liberato dalla grazia spirituale. Queste parole non vanno intese nel senso che l’uomo spirituale, già posto sotto la grazia, non possa dire questo di sé e tutto il resto fino al passo in cui è detto: O uomo infelice che sono, chi mi libererà dal corpo di questa morte? Ho appreso in seguito questa verità, come già dichiarato in precedenza. Inoltre, illustrando le parole dell’Apostolo: Il corpo è morto a causa del peccato, ho detto: Parla di corpo morto finché esso è tale da molestare l’anima per il bisogno delle cose temporali. In seguito però mi è sembrato che fosse molto meglio intendere così: Dice che il corpo è morto in quanto ha già in sé la necessità di morire che non aveva prima del peccato.

La sessantasettesima tratta del brano della Scrittura che inizia con le parole: "·Penso che le sofferenze di questo tempo siano incommensurabili rispetto alla gloria futura che sarà rivelata in noi·" e termina con le parole: "·Siamo stati salvati nella speranza·". Nell’illustrare le parole della Scrittura: E la stessa creatura sarà liberata dalla schiavitù della morte ho detto: "·La stessa creatura·", cioè l’uomo stesso che è rimasto semplice creatura per aver perso, a causa del peccato, il sigillo dell’immagine. Tali parole non vanno intese nel senso che l’uomo aveva perso tutto ciò che possedeva dell’immagine di Dio. Se non l’avesse persa affatto non avrebbero senso espressioni quali: Rinnovatevi rinnovando la vostra mente· e: Ci trasformiamo nella medesima immagine Se però l’avesse persa del tutto non ci sarebbe più stato motivo di dire: Pur muovendosi nell’immagine, l’uomo si turba per nulla. Quanto alla mia affermazione che gli angeli superiori vivono spiritualmente e quelli inferiori animalescamente, va detto ch’essa, per quanto attiene a questi ultimi, è troppo audace per trovar conferma nelle Scritture o nella realtà dei fatti: la potrebbe forse trovare, ma con moltissima difficoltà.

La sessantottesima discute la frase della Scrittura: "·Chi sei o uomo per metterti in contraddittorio con Dio?·" In essa ho detto: La possibilità che chiunque, in seguito a peccati di non molta gravità, ma anche di peccati gravi e numerosi, diventi degno della misericordia di Dio col suo intenso pianto e col dolore del pentimento, non dipende da lui che, se fosse lasciato a se stesso, perirebbe, ma da Dio misericordioso, che viene in soccorso alle sue suppliche ed ai suoi dolori. È poco il volerlo, se Dio non ha pietà. Ma Dio, che chiama alla pace, non ha pietà se prima non la si vuole. L’affermazione si riferisce però al tempo che segue il pentimento. Ad intervenire prima ancora della stessa volontà è la misericordia di Dio, in mancanza della quale la volontà non sarebbe predisposta dal Signore. A questa misericordia si riferisce la stessa chiamata che precede anche la fede. Parlando di quest’ultima poco dopo ho detto: Questa chiamata, che agisce sia sulle singole persone sia sui popoli sia sullo stesso genere umano sfruttando i momenti opportuni, fa parte di un ordine superiore e profondo. A questo tema si riferisce il passo della Scrittura: "·Nel ventre ti ho santificato·"e l’altro: "·Mentre eri nei reni di tuo padre ti ho visto·"o l’altro ancora "·Ho amato Giacobbe, ma ho avuto in odio Esaù·" e tutti i rimanenti. Quanto alle parole: Mentre eri nei reni di tuo padre ti ho visto, mi si sono presentate come un passo della Scrittura, ma non so da dove sian tratte.

La sessantanovesima discute le parole della Scrittura: Allora il Figlio stesso sarà sottoposto a colui che gli ha sottoposto ogni cosa;la settantesima

le parole dell’Apostolo: "·La morte è stata assorbita nella vittoria. Dov’è o morte la tua contesa, dov’è, o morte, il tuo pungiglione? Il pungiglione della morte è il peccato, la forza del peccato è la legge·";

la settantunesima le parole della Scrittura: "·Portate gli uni i pesi degli altri e così adempirete la legge di Cristo·";

la settantaduesima tratta dei tempi eterni;

la settantatreesima delle parole della Scrittura: "·Fu riconosciuto come uomo per l’aspetto·";

la settantaquattresima di quanto è scritto nella Lettera di Paolo ai Colossesi: "·In lui abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati; egli è l’immagine del Dio invisibile·"

la settantacinquesima dell’eredità di Dio;

la settantaseiesima delle parole dell’apostolo Giacomo: "·Vuoi sapere, o uomo vano, che la fede senza le opere è senza costrutto?·",

la settantasettesima del timore, se sia peccato;

la settantottesima della bellezza delle statue;

la settantanovesima discute perché i maghi del Faraone fecero dei miracoli come Mosè, servo di Dio;

l’ottantesima polemizza contro gli Apollinaristi ;

l’ottantunesima tratta dei numeri quaranta e cinquanta;

l’ottantaduesima delle parole della Scrittura: "·Il Signore castiga colui che ama, frusta ogni figlio che riconosce·";

l’ottantatreesima del matrimonio, nel passo in cui il Signore dice: "·Se qualcuno ripudia sua moglie, se non in caso di concubinato·".

Quest’opera incomincia così: Se l’anima abbia un’esistenza autonoma.

XXVII (XXVI) – La menzogna, un libro

27 Ho scritto anche un libro su La menzogna che, nonostante le difficoltà che presenta una sua piena comprensione, non è inutile per l’esercizio ch’esso procura allo spirito e all’intelligenza e giova alla vita morale al fine di promuovere l’amore della verità. Avevo deciso di toglierlo dal novero delle mie opere poiché mi sembrava oscuro, complicato e assolutamente ostico e non avevo provveduto a pubblicarlo. In seguito avevo scritto un altro libro intitolato: Contro la menzogna e mi ero perciò ulteriormente confermato nella mia decisione di far sparire il precedente e avevo dato anche disposizioni al riguardo, alle quali però non fu dato corso. Avendolo poi ritrovato intatto in occasione della presente revisione, l’ho riveduto e corretto e ho disposto che rimanesse fra i miei scritti, soprattutto perché contiene delle notazioni necessarie che non vi sono nell’altro. Pertanto l’altro s’intitola: Contro la menzogna, questo: La menzogna. Quello è nella sua totalità un attacco aperto contro la menzogna, gran parte di questo discute del procedimento della ricerca. Il fine di entrambi resta comunque lo stesso

Questo libro incomincia così: Grosso è il problema della menzogna

 

Questo sito utilizza i cookie e tecnologie simili necessarie al funzionamento e per una migliore navigazione. Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookies

Privacy Policy