XLVI (LXXIII) – A Emerito, vescovo dei Donatisti, dopo la conferenza, un libro

46 Emerito, vescovo dei Donatisti, nel confronto che avevamo avuto con loro, aveva mostrato di sostenere con forza la loro causa. A lui, molto tempo dopo il confronto, ho dedicato un libro di indubbia utilità, che compendia con opportuna brevità gli argomenti dai quali essi sono stati vinti o si dimostra che lo sono·.

Quest’opera incomincia così: Se persino ora, fratello Emerito.

XLVII (LXXIV) – Gli atti di Pelagio, un libro

47 In quel medesimo periodo in Oriente, e più precisamente nella Siria Palestina, Pelagio fu condotto da alcuni fratelli cattolici davanti a un’assemblea episcopale. In assenza di coloro che l’avevano denunciato e che non avevano potuto presentarsi per il giorno del sinodo fu giudicato da quattordici vescovi i quali, sentendolo condannare le proposizioni contrarie alla grazia di Dio contenute nell’atto d’accusa, lo dichiararono cattolico. Quando riuscii a mettere le mani sugli atti dell’udienza scrissi un libro· su tutta la vicenda: con esso intendevo evitare che in seguito a quell’assoluzione si pensasse che i giudici avessero approvato quelle proposizioni non condannando le quali Pelagio non avrebbe potuto evitare la condanna·.

Questo libro incomincia così: Dopo che nelle nostre mani.

XLVIII (LXXV) – La correzione dei Donatisti, un libro

48 In quel medesimo periodo scrissi un libro su La correzione dei Donatisti, in risposta a coloro che s’opponevano a che essi subissero una sanzione in base alle leggi imperiali·.

Questo libro incomincia così: Esprimo il mio elogio, il mio compiacimento e la mia ammirazione.

XLIX (LXXVI) – La presenza di Dio, a Dardano, un libro

49 Ho scritto un libro Sulla presenza di Dio nel quale il mio vigile intendimento è soprattutto quello di attaccare l’eresia pelagiana, pur senza espressamente nominarla·. Ma in esso si discute con una laboriosa e sottile argomentazione anche della presenza di quella natura, che noi chiamiamo supremo e vero Iddio, nonché del suo tempio.

Questo libro incomincia così: Ammetto, amatissimo fratello Dardano.

L (LXXVII) – La grazia di Cristo e il Peccato originale contro Pelagio e Celestio: due libri dedicati ad Albino, Piniano e Melania

50 L’eresia pelagiana, unitamente ai suoi propagatori, era stata dimostrata falsa e condannata dai vescovi della Chiesa Romana, dapprima da Innocenzo e quindi da Zosimo, con l’appoggio delle lettere dei concili d’Africa. Ho scritto allora due libri contro di loro: il primo sulla grazia di Cristo, il secondo sul peccato originale·.

Quest’opera incomincia così: Quanto ci rallegriamo per la vostra salvezza corporale e soprattutto spirituale.

LI (LXXVIII) – Atti del confronto col Vescovo donatista Emerito, un libro

51 A notevole distanza del confronto da noi avuto con gli eretici donatisti ci si presentò l’esigenza di recarci nella Mauritania Cesarea. Fu appunto in Cesarea che ci occorse di vedere Emerito, vescovo dei Donatisti, uno di quei sette che gli adepti di quella setta avevano delegato a difendere la loro causa e che in tale difesa aveva posto il massimo impegno·. Gli Atti ecclesiastici relativi, annoverati fra i miei opuscoli, fanno fede delle dispute avute fra noi due alla presenza dei vescovi della medesima provincia e della popolazione della chiesa di Cesarea, la città della quale Emerito era stato cittadino e vescovo per conto degli eretici di cui s’è detto. Non trovando Emerito come rispondermi, ascoltò ammutolito tutto quanto io riuscii a chiarire a lui e a tutti i presenti sulla sola questione dei Massimianisti.

Questo libro, o meglio questi atti, incomincia così: Il 20 settembre, sotto il dodicesimo consolato dell’Imperatore Onorio e l’ottavo dell’imperatore Teodosio, nella chiesa maggiore di Cesarea·.

LII (LXXIX) – Contro un discorso di parte ariana, un libro

52 Frattanto m’era capitato fra le mani un discorso anonimo di parte ariana, e in seguito alle pressanti e insistenti richieste di colui che me lo aveva fatto pervenire· preparai la mia risposta quanto più brevemente e rapidamente potei. Nel libro che ne è risultato alla mia risposta s’è premessa la lettera di cui s’è detto e s’è data altresì una numerazione progressiva ai vari punti in modo che si possano subito individuare le risposte a ciascuno di essi.

Questo libro, dopo la loro lettera aggiunta all’inizio, incomincia così: Con questa discussione rispondo alla loro che precede.

LIII (LXXX) – Le nozze e la concupiscenza, due libri a Valerio

53 Avevo sentito dire che i Pelagiani avevano scritto qualcosa a mio riguardo all’illustrissimo conte Valerio, sostenendo che nel rivendicare l’esistenza del peccato originale avevo implicitamente condannato le nozze. Mi rivolsi pertanto a lui con due libri intitolati Le nozze e la concupiscenza. In essi difendevo la bontà delle nozze nell’intento di evitare che fosse ritenuto un loro difetto la concupiscenza della carne e la legge che nelle nostre membra s’oppone alla legge della mente, mentre proprio col buon uso di quel male che è la concupiscenza i coniugi pudichi provvedono alla procreazione dei figli. A due libri si è giunti in questo modo. Il primo libro era capitato fra le mani del pelagiano Giuliano·, che lo aveva attaccato con quattro libri. Di essi qualcuno fece degli estratti che inviò al conte Valerio, il quale, a sua volta, li fece pervenire a noi. Ricevuti che li ebbi risposi con un altro libro· alle medesime accuse.

Il primo libro di quest’opera incomincia così: I nuovi eretici, o dilettissimo figlio Valerio.

Il secondo così: Fra le incombenze della tua milizia.

LIV (LXXXI) – Sette libri di locuzioni

54 Ho scritto sette libri su altrettanti libri della Sacra Scrittura e precisamente sui cinque libri di Mosè, sul libro di Giosuè, figlio di Nun, e sul libro dei Giudici·. In essi ho annotato, per ciascun libro, le espressioni meno usuali nella nostra lingua. Trattasi di quelle espressioni non riconoscendo le quali nel loro vero significato i lettori cercano il senso delle parole divine mentre si tratta solo di un tipo di linguaggio, e talora immaginano qualcosa che, se non è in contrasto con la verità, non risulta tuttavia corrispondere a ciò che aveva inteso dire l’autore, che appare invece più credibile si sia espresso in quel modo seguendo un determinato tipo di espressione. Molte oscurità nelle Sacre Scritture si chiariscono ove si conosca il tipo di espressione. Occorre perciò imparare a conoscere tali tipi quando il pensiero è chiaro: in tal modo nei casi in cui tale chiarezza non c’è, quella stessa conoscenza può aiutarci a rivelare al lettore, teso nella ricerca, la sostanza del pensiero·. Il titolo di quest’opera è: Locuzioni tratte dalla Genesi, nonché da altri singoli libri. Nel primo libro ho dapprima riportato le seguenti parole della Scrittura: E Noè diede attuazione a tutte le parole con le quali il Signore gli aveva dato i suoi ordini, così fece. Quindi ho detto che questo tipo di espressione è quello che ritroviamo nel racconto della creazione laddove, subito dopo le parole: E così fu fatto, si legge: E Dio fece. Ora non mi sembra che ci sia somiglianza fra le due sequenze: nel primo caso anche il senso rimane oscuro·, nel secondo è solo un fatto di espressione.

Quest’opera incomincia così: Le locuzioni delle Scritture.

LV (LXXXII) – Sette libri di questioni

55.1 Nel medesimo periodo ho scritto anche Sette libri di questioni sugli stessi sette Libri sacri·, e li ho voluti intitolare in questo modo per un preciso motivo: le questioni che vi si discutono sono più presentate come oggetto di ulteriore indagine che date per discusse e risolte, anche se in numero notevolmente più elevato mi sembrano quelle trattate in modo tale da poter essere presentate non a torto come risolte e chiarite. Avevo già incominciato a considerare allo stesso modo anche i Libri dei Re, ma ero di poco progredito in questo lavoro quando dovetti volgermi ad altri, più urgenti impegni. Nel primo libro ho trattato delle verghe striate che Giacobbe poneva nell’acqua, perché le vedessero le pecore che vi si trovavano a bere al momento del concepimento e partorissero in tal modo agnelli striati.

Non ho però ben spiegato il motivo per il quale non poneva più le verghe dinanzi a quelle che concepivano per la seconda volta, quando cioè concepivano nuovi agnelli, ma lo faceva solo al momento del primo concepimento. Ed in effetti l’esauriente analisi di un’altra questione, che verte sul significato delle parole rivolte da Giacobbe al suocero: Hai frodato il mio compenso di dieci agnelle·, dimostra che la prima non è stata risolta a dovere.

55.2 Lo stesso vale per il passo del terzo libro dove si tratta del Sommo Sacerdote. Ci si chiede come potesse avere dei figli dal momento che era tenuto ad entrare due volte al giorno nel Santo dei Santi, là dove c’era l’altare dell’incenso, per offrire appunto l’incenso mattina e sera·. In base alla legge non avrebbe potuto entrare in stato di impurità e la stessa legge considera l’uomo impuro anche dopo il rapporto coniugale. Prescrive, è vero, che chi ha avuto il rapporto si lavi con acqua, ma anche se lavato lo considera impuro fino alla sera.

Avevo pertanto ritenuto logico concludere o che conservasse la continenza o che per alcuni giorni fosse sospesa l’offerta dell’incenso. Non mi ero però accorto che tale soluzione era tutt’altro che logica. Di fatto le parole della Scrittura: Sarà impuro fino a serapossono essere interpretate anche diversamente: possiamo infatti intendere che il Sommo Sacerdote non fosse impuro durante la sera, ma solo fino alla sera e che potesse pertanto nelle ore della sera offrire l’incenso in condizione di purità essendosi unito alla moglie per generare figli dopo l’offerta del mattino. Mi ero anche chiesto come potesse essere proibito al Sommo Sacerdote di accostarsi al cadavere del padre dal momento che il figlio, uno solo essendo il sacerdote, non conveniva divenisse lui stesso sacerdote se non dopo la morte del sacerdote suo padre. Ne avevo concluso che subito dopo la morte del padre e prima della sua sepoltura si dovesse provvedere a che il figlio succedesse al padre per consentire la continuazione dell’offerta dell’incenso che doveva avvenire due volte al giorno: è a questo sacerdote che era vietato di avvicinarsi al cadavere del padre non ancora sepolto· Non avevo però sufficientemente osservato che questa prescrizione avrebbe potuto valere soprattutto per i futuri Sommi Sacerdoti non succedenti a padri insigniti di quella dignità, ma pur tuttavia scelti tra i figli, cioè tra i discendenti di Aronne. Ciò poteva avvenire nel caso che il Sommo Sacerdote non avesse figli o ne avesse di così malvagi che nessuno potessedegnamente succedere al padre. È quanto accadde a Samuele che successe al Sommo Sacerdote Eli, pur non essendo figlio di un sacerdote, ma facendo però parte dei figli, cioè dei discendenti di Aronne·.

55.3 Ho dato inoltre quasi per certo che il ladrone cui fu detto: Oggi sarai con me in paradiso, non fosse stato visibilmente battezzato. La cosa invece è incerta e c’è piuttosto da ritenere che battezzato lo fosse, come ho discusso altrove.È vero ciò che ho detto nel quinto libro, che cioè laddove nelle genealogie dei Vangeli sono citate le madri il loro nome è sempre fatto congiuntamente a quello dei padri. L’osservazione però non riguarda il tema di cui si stava trattando. Vi si trattava invece di coloro che sposavano le mogli dei fratelli o dei parenti, di quelli almeno che erano morti senza figli, traendo lo spunto dai due padri di Giuseppe, il primo dei quali è ricordato da Matteo e il secondo da Luca. Di questo argomento ho trattato approfonditamente in quest’opera e più precisamente nella parte dedicata alla revisione del mio scritto Contro il manicheo Fausto

Quest’opera incomincia così: Poiché le Sacre Scritture denominate canoniche.

LVI (LXXXIII) – L’anima e la sua origine, quattro libri

56 Nel medesimo periodo nella Mauritania Cesarea un certo Vincenzo Vittore· aveva trovato in casa di un prete spagnolo di nome Pietro un mio scritto di qualche ampiezza·. Ivi, trattando in un passo dell’origine dell’anima di ogni singolo uomo, ammettevo di non sapere se le anime si propaghino a partire da quella del primo uomo e, successivamente, da quelle dei genitori o se a ciascuno venga data la sua senza alcun processo di riproduzione come avvenne per la prima ammettevo però di sapere che l’anima non è materiale, ma spirituale. Contro le mie affermazioni Vincenzo Vittore scrisse due libri rivolti allo stesso Pietro, libri che il monaco Renato provvide ad inviarmi da Cesarea. Dopo averli letti impiegai quattro libri per la risposta, rivolgendomi con il primo al monaco Renato, col secondo al prete Pietro e con i due restanti allo stesso Vittore. Quello destinato a Pietro, pur raggiungendo l’ampiezza di un libro, è in realtà una lettera, ma non ho voluto che andasse separato dagli altri tre. In tutti questi libri, che trattano questioni non eludibili, ho difeso, a proposito dell’origine delle anime, la mia esitazione ad ammettere che vengano date singolarmente a ciascun uomo e ho messo in evidenza i molti errori e le molte storture della presunzione del mio avversario. Ho però trattato quel giovane con tutta la possibile delicatezza, non come persona da detestare senza appello, ma piuttosto da istruire e ne ho ricevuta una risposta scritta con la quale corregge i suoi errori.

Di quest’opera il libro destinato a Renato incomincia così: La tua sincerità nei nostri riguardi.

Quella destinata a Pietro così: Al signore Pietro, amatissimo fratello e collega nel sacerdozio.

Il primo dei due ultimi libri destinati a Vincenzo Vittore incomincia così: Ciò che ho ritenuto di doverti scrivere.

LVII (LXXXIV) – I connubi adulterini a Pollenzio, due libri

57 Ho scritto due libri su I connubi adulterini attenendomi il più possibile alle Scritture e nell’intento di risolvere una difficilissima questione·. Non so se sia riuscito a farlo in modo veramente perspicuo, avverto anzi di essere ben lontano dall’aver raggiunto la perfezione, pur avendo sciolto molti nodi. Un giudizio al riguardo potrà comunque darlo chi sarà in grado di leggere e di comprendere il mio scritto.

Il primo libro di quest’opera incomincia così: La prima questione, amatissimo fratello Pollenzio, è la seguente.

Il secondo così: A quanto mi avevi scritto.

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