Immagine umana della Trinità

 

11. 12. Ma la Trinità onnipotente, chi la comprenderà? Eppure chi non parla di lei, se almeno parla di lei? Raramente l’anima che parla di lei sa di cosa parla. Si discute, ci si batte, ma nessuno, se non ha pace, vede questa visione. Vorrei invitare gli uomini a riflettere su tre cose presenti in se stessi, ben diverse dalla Trinità, ma che indico loro come esercizio, come prova e constatazione che possono fare, di quanto ne siano lontani. Alludo all’esistenza, alla conoscenza e alla volontà umana. Io esisto, so e voglio; esisto sapendo e volendo, so di esistere e volere, voglio esistere e sapere. Come sia inscindibile la vita in queste tre facoltà e siano un’unica vita, un’unica intelligenza e un’unica essenza, come infine non si possa stabilire questa distinzione, che pure esiste, lo veda chi può. Ciascuno è davanti a se stesso; guardi in se stesso, veda e mi risponda. Ma quand’anche avrà scoperto su ciò qualcosa e saprà esprimerlo, non s’illuda di aver scoperto finalmente l’Essere che sovrasta immutabile il mondo, immutabilmente esiste, immutabilmente sa e immutabilmente vuole. L’esistenza anche in Dio di queste tre facoltà costituisce la sua trinità, o questa triplice facoltà si trova in ognuna delle tre persone, così da essere tre in ognuna? o entrambi i casi si verificano in modi mirabili entro una semplicità molteplice, essendo la Trinità in sé per sé fine infinito, così da essere una cosa sola, e come tale conoscersi e bastarsi immutabilmente nella grande abbondanza della sua unità? Chi potrebbe avere facilmente questo concetto? chi esprimerlo in qualche modo? e pronunciarsi, in qualsiasi modo temerariamente?

L’umanità morta e risorta, nei primi tre versetti della Genesi

12. 13. Procedi nella tua confessione, o mia fede. Di’ al Signore Dio tuo: "Santo, santo, santo Signore Dio mio". Nel tuo nome siamo stati battezzati, Padre e Figlio e Spirito Santo: nel tuo nome battezziamo, Padre e Figlio e Spirito Santo Anche presso di noi nel suo Cristo Dio creò il cielo e la terra ossia i membri spirituali e carnali della sua Chiesa; anche la nostra terra prima di ricevere la forma della dottrina era invisibile e confusa, e noi eravamo immersi nelle tenebre dell’ignoranza, perché hai ammaestrato l’uomo per la sua cattiveria e i tuoi giudizi sono un abisso profondo. Ma poiché il tuo spirito era portato sopra l’acqua, la tua misericordia non abbandonò la nostra miseria. Dicesti: "Sia fatta la luce: fate penitenza, poiché il regno dei cieli è vicino. Fate penitenza: sia fatta la luce" Nell’intimo turbamento della nostra anima ci siamo ricordati di te, Signore, dalle rive del Giordano e dal monte uguale a te, però rimpicciolito per noi. Provammo disgusto delle nostre tenebre e ci volgemmo verso di te: e fu fatta la luce. Ed eccoci un tempo tenebre, ora invece luce nel Signore.

L’attesa della Chiesa militante

13. 14. Tuttavia finora siamo luce per la fede, non ancora per la visione. Nella speranza fummo salvati, e una speranza che si vede non è speranza. L’abisso chiama ancora l’abisso, ma ormai con la voce delle tue cateratte. Chi dice ancora: "Non potei parlarvi come a esseri spirituali, ma carnali", pensa di non aver ancora capito nemmeno lui. Dimentico delle cose che stanno dietro le spalle, si protende verso quelle che stanno innanzi e geme sotto il peso del suo fardello. La sua anima ha sete del Dio vivo come i cervi delle fonti d’acqua. Perciò dice: "Quando giungerò?". Desideroso di essere rivestito della sua abitazione celeste, così apostrofa l’abisso inferiore: "Non uniformatevi a questo secolo, riformatevi invece, rinnovando il vostro cuore"; e così: "Non dovete divenire fanciulli di mente, ma siate piccoli nella malizia per essere perfetti di mente"; e così: "O galati insensati, chi vi ha incantato?". Ma non è più la sua voce; è la tua, sei tu, che hai mandato il tuo spirito dal cielo per mezzo di Colui, che ascendendo in alto aprì le cateratte dei suoi doni, affinché la piena del fiume rallegrasse la tua città. Per lei sospira l’amico dello sposo, avendo già con sé le primizie dello spirito, ma ancora gemebondo fra sé nell’attesa dell’adozione, la redenzione del suo corpo. Per lei sospira, poiché è membro della sposa; per lei si affanna poiché è amico dello sposo; per lei si affanna, non per sé, poiché con la voce delle tue cateratte, non con la voce sua, invoca l’altro abisso, oggetto del suo affanno e del suo timore. Teme che come il serpente ingannò Eva con la sua astuzia, così anche i loro pensieri non si corrompano allontanandosi dalla castità, che è nel nostro Sposo, il tuo unigenito. Ma quale non sarà lo splendore della sua luce, allorché lo vedremo com’è, e saranno passate le lacrime, che sono divenute il pane dei miei giorni e delle mie notti, mentre mi si chiede quotidianamente: "Ov’è il tuo Dio?".

Fede e speranza

14. 15. Anch’io dico: "Dio mio, dove sei?". Ecco dove sei! Respiro in te un poco, quando effondo su me la mia anima in un grido di esultanza e di lode, concento di una celebrazione festosa. Eppure l’anima è ancora triste, poiché ricade e torna abisso, o piuttosto sente di essere ancora abisso. La mia fede, da te accesa nella notte innanzi ai miei passi, le dice: "Perché sei triste, o anima, e perché mi turbi? Spera nel Signore. La sua Parola è lucerna che rischiara i tuoi passi. Spera e persevera finché sia passata la notte, madre degli empi; finché sia passata la collera del Signore, collera di cui fummo figli anche noi, un tempo tenebre. I residui di quelle tenebre ci trasciniamo dietro nel nostro corpo morto per colpa dei peccato finché aliti il giorno e siano dissipate le ombre. Spera nel Signore". Fin dal mattino sarò in piedi a contemplare, sempre lo confesserò. Fin dal mattino sarò in piedi a vedere la salvezza del mio volto, il mio Dio, che vivificherà anche i nostri corpi mortali grazie allo spirito che abita in noi, misericordiosamente portato sopra il fiotto tenebroso della nostra intimità. Da lui abbiamo ricevuto in questo pellegrinaggio il pegno di essere presto luce. Ormai siamo salvati nella speranza e figli della luce e figli di Dio, non figli della notte e delle tenebre come un tempo. Fra questi e noi tu solo, nella perdurante incertezza della scienza umana, operi la separazione: poiché vagli i nostri cuori e chiami la luce giorno e le tenebre notte. Chi ci discerne, se non tu?. Ma cosa abbiamo, che non abbiamo ricevuto da te? Vasi d’onore, fummo tratti dalla medesima massa, da cui furono tratti anche altri, vasi di spregio.

Il firmamento simbolo della Scrittura (Gn 1. 7)

15. 16. Chi, se non tu, Dio nostro, creò per noi un firmamento di autorità sopra di noi, nella tua Scrittura divina? Il cielo sarà ripiegato come un libro, e ora si stende su noi come pelle di tenda: l’autorità della tua divina Scrittura è più sublime da che i mortali per cui ce l’hai comunicata incontrarono la morte della carne. Tu sai, Signore, tu sai come rivestisti di pelli gli uomini, allorché per colpa del peccato divennero mortali. Perciò hai disteso come una pelle il firmamento del tuo libro, le tue parole sempre coerenti, che hai posto sopra di noi con l’ausilio d’uomini mortali. Anche grazie alla loro morte il bastione d’autorità delle tue parole per loro mezzo annunciate si stende eccelso sopra ogni cosa, che sta più in basso di loro, mentre non si stendeva così eccelso durante la loro vita quaggiù. Non avevi ancora disteso il cielo come una pelle: non avevi ancora diffuso in ogni luogo la risonanza della loro morte.

– 17. Fa’ che vediamo, Signore, i cieli, opera delle tue dita. Schiudi ai nostri occhi il sereno oltre la foschia in cui li avvolgesti. Là si trova la tua testimonianza, che comunica la sapienza ai piccoli. Completa. Dio mio, la tua gloria con la bocca degli infanti che ancora succhiano il latte. Davvero non conosciamo altri libri, che stronchino tanto bene la superbia, tanto bene stronchino il nemico, il difensore restio a riconciliarsi con te mentre difende i propri peccati. Non conosco, Signore, non conosco altre espressioni così pure e capaci d’indurmi alla confessione, di ammansire la mia cervice al tuo giogo, di sollecitare a prestarti un culto disinteressato. Fa’ che le capisca, Padre buono; concedimi questa grazia, perché mi sono sottomesso a te e tu hai stabilito saldamente quelle parole per le anime sottomesse.

Le acque sopra il firmamento simbolo degli angeli (Gn 1. 7)

– 18. Esistono, io credo, altre acque sopra questo firmamento, acque immortali e separate dalla corruzione della terra. Lodino il tuo nome: ti lodino le schiere sopracelesti dei tuoi angeli, che non hanno bisogno di alzare lo sguardo a questo nostro firmamento, e di leggerla, per conoscere la tua parola. Essi vedono in continuazione il tuo volto e vi leggono senza sillabe distribuite nel tempo il volere della tua eterna volontà. Leggono, eleggono e prediligono; leggono perennemente, e ciò che leggono non passa mai, perché leggono, eleggendo e prediligendo, l’immutabilità stessa del tuo volere, codice che mai si chiude, libro che mai si ripiega; tu stesso infatti sei il loro libro, e lo sei in eterno; tu li hai stabiliti sopra questo firmamento stabilito sopra l’instabilità delle genti instabili della terra, affinché queste alzando lo sguardo conoscano la tua misericordia, che ti annuncia nel tempo, creatore del tempo. Nel cielo, Signore, è la tua misericordia, e la tua verità fino alle nubi. Passano le nubi, il cielo invece rimane: passano i predicatori della tua parola da questa vita all’altra vita, la tua Scrittura invece è stesa sopra le genti fino alla fine dei secoli. Anzi, il cielo e la terra passeranno, ma le tue parole non passeranno. Questa pelle sarà ripiegata, l’erba su cui si stenderà passerà col suo splendore: la tua parola invece permane eternamente. Essa ora non ci appare, nell’enigma delle nubi e attraverso lo specchio del cielo, qual è; noi stessi, benché diletti del tuo Figlio, non appare ancora cosa saremo; egli ci guardò attraverso la rete della carne, c’infiammò d’amore con le sue carezze, e noi corriamo dietro il suo profumo. Ma quando apparirà, saremo simili a lui, perché lo vedremo com’è. Vederlo qual è, Signore, è il nostro retaggio, che non è ancora in nostro possesso.

Anelito alla conoscenza di Dio

16. 19. Come tu solo pienamente sei, così tu solo conosci, tu, che sei immutabilmente e conosci immutabilmente e vuoi immutabilmente. Il tuo essere conosce e vuole immutabilmente, la tua conoscenza è e vuole immutabilmente, la tua volontà è e conosce immutabilmente. Ora ai tuoi occhi non sembra giusto che come il lume immutabile si conosce, così sia conosciuto dalla creatura illuminata, mutabile. Perciò la mia anima è quale terra senz’acqua davanti a te, perché, come non può illuminarsi da sé sola, così non può saziarsi da sé sola. Presso di te la fonte della vita, come alla tua luce vedremo la luce.

La riunione delle acque simbolo del mondo pagano (Gn 1. 9)

17. 20. Chi riunì le acque amare in una massa sola? Tutte infatti hanno il medesimo fine: una felicità temporale, terrena, per cui fanno ogni cosa, pur fluttuando nell’infinita varietà delle loro cure. Chi le riunì, se non tu, Signore, che dicesti all’acqua di riunirsi in una sola unione, e alla terra asciutta, assetata di te, d’apparire? Tuo è anche il mare e tu l’hai creato; la terra asciutta le tue mani l’anno formata. Non è l’amarezza delle volontà umane, ma l’unione delle acque, che ha nome mare. Tu reprimi anche i desideri malvagi delle anime, stabilisci i limiti cui è permesso di giungere, in modo che i loro flutti s’infrangano sopra se stessi. Così crei il mare, secondo l’ordinamento del tuo dominio su tutto.

La terra arida e i suoi frutti simbolo dei fedeli e delle loro opere (Gn 1. 9-12)

– 21. Invece le anime assetate di te, che appaiono alla tua vista, le distingui con un fine diverso dalla massa del mare, le irrori con riposta e dolce fontana, affinché pure la terra dia il suo frutto: dà il suo frutto la nostra anima e germina per tuo ordine, Signore Dio suo, secondo la sua specie, le opere di misericordia, amando il prossimo e soccorrendolo nei bisogni materiali. Ha in sé il seme per la somiglianza: la nostra debolezza ci muove a compassione e soccorso dei bisognosi, e li aiutiamo come vorremmo essere aiutati se ci trovassimo in uguale bisogno. I suoi non sono soltanto benefici esili, com’è l’erba di seme, ma si estendono alla protezione, all’aiuto vigoroso e solido, com’è l’albero da frutto; ossia sottrae chi è angariato alle mani del prepotente, fornendogli un’ombra protettiva col valido sostegno di un giusto giudizio.

Il sole, la luna e le stelle simboli delle attività spirituali (Gn 1. 14-18)

18. 22. Così, Signore, così, ti prego, nasca come fai nascere, come dai la gioia e la forza, nasca dalla terra la verità, e la giustizia guardi dal cielo, e siano fatti nel firmamento i lumi: spezziamo all’affamato il nostro pane, introduciamo nella nostra casa il povero senza tetto, vestiamo il nudo e non disdegniamo chi ci è parente, del la nostra schiatta. Alla nascita di questi frutti sulla terra, vedi che è bene, e sfolgori mattiniera la nostra luce, e da questa bassa messe dell’azione raggiungendo nelle delizie della contemplazione l’alto Verbo della vita, potessimo apparire come lumi nel mondo, fissi al firmamento della tua Scrittura! Lì tu ci insegni a distinguere le cose intelligibili dalle sensibili, come il giorno dalla notte, o le anime dedite alle cose intelligibili da quelle dedite alle sensibili. Dunque non sei più solo, come prima della creazione del firmamento, a distinguere nel segreto del tuo discernimento la luce dalle tenebre. Anche le tue creature spirituali, poste con diversi gradi proprio in quel firmamento, dopo l’apparizione della tua grazia nell’universo brillino sulla terra e distinguano il giorno dalla notte e segnino il tempo. Infatti i vecchi tempi sono passati, ecco se ne sono costituiti di nuovi; la nostra salvezza è più vicina di quando cominciammo a credere, la notte è andata oltre, il giorno invece si è avvicinato: coroni l’anno con la tua benedizione, mandando operai alla tua messe che altri faticarono a seminare, e ancora ad altre seminagioni, la cui messe si avrà alla fine. Così esaudisci i voti del bramoso e benedici le annate del giusto. Tu invece sei sempre il medesimo e nei tuoi anni, che non finiscono, allestisci il granaio per gli anni che passano. Secondo un disegno eterno certamente tu dispensi alla terra i beni del cielo a tempo debito.

– 23. Ad alcuni è data per mezzo dello Spirito la parola della sapienza: lume maggiore, destinato a coloro che godono della luce di una verità sfolgorante come a guida del giorno; ad altri la parola della scienza ad opera dello stesso Spirito: lume minore; ad altri la fede, ad altri il potere di guarire, ad altri l’esecuzione di miracoli, ad altri la Profezia, ad altri il discernimento degli spiriti, ad altri la varietà delle lingue: e tutti questi ultimi sono come le stelle. Infatti sono tutte operazioni di un unico e medesimo Spirito, il quale le assegna ad ognuno in modo appropriato, secondo il suo volere e facendo apparire questi astri a manifesto vantaggio di tutti. Però la parola della scienza, che comprende tutti i misteri mutevoli nel tempo come la luna, e la conoscenza degli altri doni che ho via via elencato assomigliandoli alle stelle, quanto differiscono dal candido fulgore della sapienza, gaudio del giorno che si annuncia, tanto stanno a guida della nostra notte. Sono infatti necessarie a coloro, cui al tuo prudentissimo servo non poté parlare come a esseri spirituali, ma carnali, lui, che predica la sapienza tra i perfetti. Quanto all’uomo animale è come un pargolo in Cristo e beve latte finché abbia la forza per ricevere un cibo solido e la pupilla ferma per sostenere la vista del sole. Non si creda quindi in una notte desolata, ma si soddisfi della luce della luna e delle stelle. Questo ci insegni con sapienza grandissima, Dio nostro, nel tuo libro, il tuo firmamento, per farci distinguere ogni cosa in una visione mirabile, sebbene ancora espressa in segni e in tempi e in giorni e in anni.

Esortazione agli eletti

19. 24. Ma prima lavatevi, purificatevi, eliminate la malvagità dai vostri animi e dalla vista dei miei occhi, affinché appaia la terra asciutta. Imparate a fare il bene, rendete giustizia all’orfano e soddisfazione alla vedova, affinché la terra germini erba da pascolo e alberi da frutta. Venite, discutiamo, dice il Signore, affinché siano fatti i lumi nel firmamento del cielo e brillino sulla terra. Il ricco chiedeva al buon Maestro cosa dovesse fare per ottenere la vita eterna. Gli risponda il buon Maestro, che egli credeva un uomo e nulla più, e invece è buono perché è Dio, gli risponda di osservare, se vuole giungere alla vita, i comandamenti, separare da se stesso le acque amare della malizia e della nequizia, non uccidere, non commettere adulteri, non rubare, non testimoniare il falso, affinché appaia la terra asciutta e germini il rispetto del padre e della madre e l’amore del prossimo. "Ho fatto tutto ciò", risponde l’altro. Qual è dunque l’origine di tante spine, se la terra può dare frutti? Va’, estirpa i folti pruneti dell’avarizia, vendi quanto possiedi e provvediti di messi dando ai poveri: possederai un tesoro nei cieli. Segui il Signore, se vuoi essere perfetto; associati a coloro, fra cui predica la sapienza chi sa cosa assegnare al giorno e alla notte, per impararlo anche tu, perché anche per te siano fatti i lumi nel firmamento del cielo. Ma ciò non si farà, se non sarà là il tuo cuore; non si farà, se non sarà là il tuo tesoro, come udisti dal buon Maestro. E invece la tristezza si diffuse sulla terra sterile, e le spine soffocarono la parola.

– 25. Però voi, stirpe eletta, debolezza del mondo, che vi siete spogliati di ogni cosa per seguire il Signore, camminate dietro a lui e sgominate la forza; camminate dietro a lui con i vostri piedi radiosi e brillate nel firmamento affinché i cieli narrino la sua gloria, separando la luce dei perfetti, non ancora simili agli angeli, e le tenebre dei piccoli, non però privi di speranza. Brillate su tutta la terra. Il giorno, fulgido del sole, diffonda al giorno la parola della sapienza, e la notte, illuminata dalla luna, annunzi alla notte la parola della scienza. La luna e le stelle brillano alla notte, ma la notte non le oscura, poiché esse la illuminano nella giusta misura. Ecco: quasi Dio avesse detto: "Siano fatti i lumi nel firmamento del cielo", si produsse improvvisamente un fragore dal cielo, come d’un vento che soffi impetuoso; e apparvero lingue quasi di fuoco, che si divisero e posarono sopra ciascuno di loro. Così si accesero lumi nel firmamento del cielo, che possedevano la parola della vita. Diffondetevi ovunque, fiamme sante, fiamme belle. Voi siete il lume del mondo e non siete sotto il moggio. Colui, a cui vi appiccaste, fu esaltato e vi esaltò. Diffondetevi e manifestatevi a tutte le genti.

 

 

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