c) per corruzione: dove c'è l'anima c'è la vita;

9. 16. Ma qualcuno potrebbe pensare che per l'essere spirituale non si deve temere la corruzione per cui non è più qualche cosa che è stato, ma quella per cui diciamo morti gli esseri privi di vita. Consideri allora che nessun essere subisce privazione di se stesso. Ora l'anima è concetto di vita; si concepisce infatti come vivo l'essere animato e come morto, cioè privo di vita, l'essere inanime che può essere animato. Quindi l'anima non può morire. Se potesse subir privazione di vita, non sarebbe anima ma un essere animato. E questo è assurdo. Quindi a buona ragione il genere di morte, che non si deve temere per la vita, non si deve temere neanche per l'anima. Sia infatti per ipotesi che l'anima muore quando se ne separa la vita. Ma l'anima viene concepita con molta proprietà come la vita che se ne separerebbe. L'anima in definitiva non è un soggetto da cui la vita si separerebbe, ma vita che si separerebbe da se stessa. Infatti ogni essere che si dice morto perché separato dalla vita, s'intende separato dall'anima. Allora la vita che si separa dagli esseri che muoiono è l'anima stessa che non si può separare da sé. Quindi l'anima non muore.

d) per corporeità: l'anima non è raccordo dell'organismo perché trascende;

10. 17. Ci dobbiamo comunque porre l'obiezione che la vita sia, secondo l'opinione di alcuni, l'elemento organizzatore del corpo. Ma costoro non avrebbero ritenuto tale opinione se avessero potuto intuire, con la propria medesima intelligenza totalmente elevata dall'esperienza sensibile, gli oggetti intelligibili che non divengono. Chi infatti, essendo capace di riflettere nella propria interiorità, non ha sperimentato di avere avuto intellezione tanto più pura quanto più è riuscito a distogliere e liberare l'atto di coscienza dell'esperienza sensibile? Non sarebbe potuto avvenire se l'anima fosse energia organizzatrice del corpo. Un essere infatti che non avesse una propria natura e non fosse essere in sé ma inerisse inseparabilmente a sostanza corporea, come il colore e la figura, non potrebbe assolutamente tentare di conseguire autosufficienza dal corpo per avere conoscenza degli intelligibili e, in quanto lo può, averne pura intuizione e, mediante essa, ottenere dignità e valore. Per fisica necessità la figura, il colore e la stessa struttura organica del corpo, che consiste in una determinata unione dei quattro elementi di cui il corpo medesimo è composto, non se ne possono separare. Sono infatti inseparabilmente in esso come soggetto. Inoltre gli oggetti, di cui lo spirito ha pura conoscenza quando si distacca dal sensibile, non sono certamente sensibili. Tuttavia essi hanno l'essere e l'essere nel più alto grado, perché sono sempre i medesimi. Niente si può dire di più assurdo che hanno l'essere gli oggetti visibili e che non hanno l'essere gli oggetti intelligibili. È da insensati dubitare che l'intelligenza è incomparabilmente superiore alla vista. Quando dunque lo spirito ha intellezione degli intelligibili, sempre medesimi a se stessi, manifesta sufficientemente che è ad essi congiunto in un ordine superiore, sempre il medesimo e sovrasensibile, cioè fuori dello spazio. Ora o gli intelligibili sono nello spirito o esso è negli intelligibili. Nell'una e nell'altra ipotesi, o sono l'uno all'altro come in soggetto ovvero sono ambedue sussistenti. Se vale la prima ipotesi, lo spirito non è nel corpo come in soggetto allo stesso modo del colore e della figura. Infatti o esso sussiste in sé o inerisce ad altro essere immateriale come in soggetto. Se vale la seconda ipotesi, lo spirito non è nel corpo come in soggetto allo stesso modo del colore, perché sussiste in sé. L'elemento organizzatore al contrario è nel corpo allo stesso modo del colore. Quindi lo spirito non è struttura dell'organismo corporeo, ma è vita. Ora non c'è essere che si separi da sé; perciò muore solo ciò che viene abbandonato dalla vita: quindi è impossibile che lo spirito muoia.

e) dalla privazione: non si dà per l'anima privazione di vita in sé...

11. 18. Ma torna una possibile difficoltà. Essa consiste nel fatto che lo spirito venga a mancare, per dissolvimento, cioè venga privato della forma dell'esistere. Sull'argomento, come penso, è stato detto abbastanza ed è stato dimostrato con sicuro argomento che l'eventualità è impossibile. Tuttavia bisogna anche considerare che v'è un solo motivo di tale difficoltà. Si deve ammettere infatti che la coscienza di chi non sa, si trova in uno stato di deperimento e quella di chi ha scienza in una esseità più perfetta e piena. Ma la coscienza è sciente in grado sommo quando intuisce la verità a sé sempre medesima e vi aderisce immobile, congiunta di amore sovrasensibile. Nessuno ne può dubitare. Inoltre la verità di tutte le cose che hanno in qualche modo l'essere, ha l'essere nel grado più alto possibile. Quindi lo spirito ha da essa l'essere in quanto tale o lo ha da sé. Se lo ha da sé, poiché è a sé causa dell'esistere e giammai si abbandona, mai si corrompe, come abbiamo dimostrato dianzi. Ma nell'ipotesi che lo abbia da quella esseità, bisogna indagare quale cosa sia tanto contraria allo spirito che gli tolga l'essere spirituale da quella partecipatogli. Che cosa dunque? Forse la soggezione al sensibile perché quella è pura intelligibilità?. È manifesto e di facile dimostrazione il limite entro cui essere nel sensibile può negare l'essere spirituale. Può forse fare altro che porre nel sensibile? Intanto l'individuo vive soltanto se è nel sensibile. Dunque l'essere nel sensibile non può far corrompere lo spirito. Ma se l'essere nel sensibile, che è contrario all'essere intelligibile, non può togliere allo spirito di esser spirito perché gli è comunicato dall'essere intelligibile che assolutamente non può soccombere, che altro si può trovare che sottragga allo spirito l'esser spirito? Nulla certamente, poiché non v'è contrario che sia più efficiente nel negare l'essere comunicato dal suo contrario.

... né da un essere superiore;

12. 19. Ma cerchiamo il contrario dell'essere intelligibile, non in quanto intelligibile ma in quanto essere trascendente e infinito. Ovviamente esso è tale in quanto intelligibile, poiché intendiamo per l'essere intelligibile quello per cui tutte le cose sono intelligibili in quanto hanno l'essere ed hanno l'essere in quanto sono intelligibili. Comunque non intendo passare sopra all'argomento perché mi favorisce. Se nessuna esseità in quanto tale ha il suo contrario, a più forte ragione non ha il contrario la esseità che è l'essere intelligibile in quanto tale. La premessa è vera. Infatti ogni esseità in tanto è esseità in quanto ha l'essere. Ora l'essere ha per contrario il non essere; ne consegue che l'esseità non ha contrario. Quindi è impossibile che vi sia una esseità contraria all'essere sussistente infinito e originario. Ammettiamo dunque che lo spirito da esso partecipi ciò che è. Infatti non potendo parteciparselo da sé, può parteciparlo soltanto da un essere che è in più alto grado dello spirito stesso. Quindi non v'è esseità che glielo faccia perdere poiché non v'è esseità contraria a quella da cui partecipa. Pertanto non può cessare d'esistere. Certamente può perdere l'abito del filosofare perché derivandolo nel volgersi verso l'essere da cui ha l'essere, lo può perdere col volgersi in altro senso. Implica appunto opposizione l'esser volto in una o nell'altra parte. Ma non v'è causa per cui possa perdere l'esseità che partecipa dall'essere che non ha l'opposto. Quindi non può cessar d'esistere.

f) per alienazione: lo spirito non si aliena né per tendenza,

13. 20. A questo punto potrebbe sorgere un determinato problema: se, cioè, ammesso che lo spirito non perisca, possa essere alienato in una esseità inferiore. Con i precedenti ragionamenti s'è dimostrato che lo spirito non può giungere fino al nulla, ma che potrebbe divenir corpo. Qualcuno infatti potrebbe così opinare e non a torto. Se lo spirito dal suo essere originario diventa corpo, certamente non avrà cessato di essere del tutto. Si darebbe tale possibilità soltanto o per propria spontanea tendenza o per condizione estrinseca. Ma non si dà alcuna ragione che esso diventi corpo tanto per tendenza quanto per costrizione. È legittima conseguenza che se è corpo, vi tenda o ne sia condizionato, ma non è conseguente che se vi tende o ne è condizionato, diventi corpo. Non può infatti averne tendenza. Ogni sua tendenza al corpo consiste nell'usarne, nel dargli vita, nella varia produzione artificiale o nel provvedere comunque ad esso. Ora nessuna di queste funzioni è possibile se l'anima non fosse di grado superiore al corpo. Ma se fosse corpo, non sarebbe di grado superiore. Quindi non può avere tendenza a divenire corpo. Non v'è argomento più certo di tale verità che nell'atto con cui la coscienza è in colloquio con se stessa. In esso può rendersi consapevole di non avere altre tendenze che di produrre, di avere scienza, di sentire, in una parola di vivere perché questa è la sua specifica funzione.

né per meccanismo da parte di chi sarebbe condizionato...

13. 21. E supponiamo che subisca costrizione a divenire corpo. E da chi la potrebbe subire? Ma da qualsiasi essere, purché di maggior potere causale. Dunque non può subire costrizione da un essere corporeo. Non v'è essere corporeo che sia di maggiore efficienza causale di qualsivoglia essere spirituale. In quanto poi a un essere spirituale, anche se causalmente più efficiente, esercita la sua energia di costrizione soltanto sugli esseri che sono soggetti al suo potere. Quindi soltanto per la mediazione delle passioni un essere spirituale può subire soggezione da un altro essere spirituale. Dunque esso impone costrizione soltanto nei limiti che gli consentono le passioni del soggetto cui impone la costrizione. Ma è stato già affermato che lo spirito non può avere una passione che lo faccia divenir corpo. Ed è evidente che esso non può giungere all'appagamento della sua passione nell'atto che tutte le perde. E le perde nell'atto che diviene corpo. Quindi non può subire costrizione al divenire da un agente che non ha potere se non per la mediazione delle passioni del soggetto che subisce. Infine è metafisicamente necessario che un essere spirituale, il quale ne ha in potere un altro, tenda ad avere in potere un essere spirituale e non un essere corporeo o per educarlo nella bontà o per renderlo schiavo con la malvagità. Dunque non tenderà a farlo divenire essere corporeo.

... o di chi condizionerebbe,

13. 22. Infine l'essere spirituale che impone la costrizione o ha corpo o non lo ha. Se non lo ha, non è in questo mondo. E nell'ipotesi è sommamente buono né può volere per un altro essere spirituale una tanto disonorante alienazione. Nell'ipotesi poi che abbia corpo, o lo ha anche l'essere cui impone la costrizione o non lo ha. Se non lo ha, non può subire costrizione dall'altro. Chi è nel più alto grado dell'essere, non ha causa a sé superiore. Se poi è nel corpo, subisce costrizione, da altro essere a sua volta corporeo, al vario meccanismo mediante strumento corporeo. E chi potrebbe dubitare che non è possibile mediante essere corporeo imporre simile alienazione ad essere spirituale? Potrebbe avvenire se l'essere corporeo avesse maggiore efficienza. Ma ammettiamo pure che, qualunque sia il termine della costrizione, la subisca mediante il meccanismo corporeo. Rimane che immediatamente la subisce a causa delle passioni e non del meccanismo corporeo. Ne abbiamo già parlato abbastanza. Per universale consenso Dio soltanto ha più essere dell'anima ragionevole. Ed egli certamente provvede all'anima. Quindi l'anima non può subire da lui costrizione a divenire corpo.

né per sonno;

14. 23. Se quindi l'essere spirituale non subisce alienazione né per tendenza propria né per costrizione estrinseca, donde la potrebbe subire? Può costituire difficoltà il fatto che il sonno ci sorprende contro il nostro volere? Per tale specie di dissolvimento l'essere spirituale può trasformarsi in corporeo? L'obiezione potrebbe valere se dal momento che le nostre membra trovano quiete nel sonno, anche la coscienza subisse un qualche dissolvimento. Essa nel sonno non percepisce soltanto gli oggetti sensibili, poiché la funzione che produce il sonno proviene dal corpo ed agisce sul corpo. Sopisce gli organi del senso e, per così dire, li chiude in maniera che l'anima ceda con appagamento a tale alienazione fisiologica. È appunto un'alienazione fisiologica naturale che ristora il corpo dall'affaticamento. Tuttavia essa non toglie alla coscienza il potere di sentire e di pensare. Ha infatti a disposizione le immagini degli oggetti sensibili e con una rappresentazione di tanta simiglianza che nel momento non si possono distinguere dalle cose di cui sono immagini. E se avesse un pensiero, esso è vero egualmente tanto se dorme come se è desta. Facciamo un esempio. Nel sonno essa immagina di ragionare e adducendo dimostrazioni vere raggiunge col ragionamento conclusioni scientifiche. Quando si sveglia, esse rimangono immutabili, anche se sono semplici apparenze i termini del sogno e cioè il luogo e la persona con cui il ragionamento è stato immaginato e le parole stesse, in quanto suono, con cui immaginava di sognare, e altri particolari del genere. Sono oggetti che si percepiscono e azioni che si compiono da chi è desto, ma sempre come apparenze e che quindi non posseggono l'eterna presenzialità delle verità ideali. Ne consegue che per tale alienazione fisiologica, il sonno appunto, si diminuisce per l'anima l'uso del corpo, ma non la sua attualità.

g) dalla soggezione allo spazio: l'anima per mimetico principio è sopra lo spazio...

15. 24. Infine l'anima, fuori delle condizioni di spazio, è unita al corpo sebbene esso sia nelle condizioni di spazio. Quindi l'anima, anteriormente al corpo, è sotto l'influsso delle ragioni ideali ed eterne che sono immuni dal divenire e fuori delle condizioni di spazio. E non soltanto prima, ma più direttamente. Infatti è tanto anteriore quanto è più vicina e per lo stesso motivo tanto più direttamente quanto è più perfetta del corpo. La suddetta vicinanza è infatti intesa non secondo il luogo, ma secondo il grado di generazione. E per questo grado s'intende che, per mezzo dell'anima, dalla somma esseità viene applicata una forma al corpo secondo il suo particolare modo d'essere. Quindi il corpo sussiste per la mediazione dell'anima nell'atto stesso che viene animato sia in quanto universo come il mondo, sia in quanto singolo come qualsiasi essere animato nell'ambito del mondo. Ne potrebbe quindi conseguire che un'anima, soltanto per la mediazione di un'altra anima e non altrimenti, possa divenir corpo. Ma ciò non può avvenire. Infatti l'anima rimane nella sua attualità di anima e il corpo ha sussistenza da lei che gli partecipa e non gli sottrae la forma; quindi l'anima non può essere alienata in corpo. E nell'ipotesi che non comunicasse la forma che essa partecipa dal sommo bene, non è per la sua mediazione che si ha il corpo. E se non si ha per tale mediazione, o non si ha affatto o deriva la forma da tanta vicinanza quanta è propria dell'anima. Ma si ha il corpo e, se esso deriva la forma da eguale vicinanza, ha identità con l'anima. Qui sta appunto la differenza. E l'anima è tanto più perfetta quanto da maggiore vicinanza partecipa. Anche il corpo parteciperebbe da eguale vicinanza se non partecipasse mediante l'anima. Senza interposizione parteciperebbe appunto da eguale vicinanza. Soltanto l'anima, la quale comunica la vita, si frappone fra la somma vita, che è anche mente e verità sovrasensibile, e l'essere infimo che è vivificato, il corpo appunto. E se l'anima comunica al corpo la forma dell'essere corporeo in quanto tale, certamente nell'atto che comunica la forma non la sottrae. Ma la sottrarrebbe se facesse alienare l'anima nel corpo. Quindi l'anima non diviene corpo da sé perché è il corpo che diviene corpo dall'anima che permane; e non per la mediazione di un altro essere, perché soltanto con la partecipazione della forma mediante l'anima si ha il corpo e con la sottrazione della forma l'anima si trasformerebbe in corpo nell'ipotesi che lo potesse.

... ed anche nel corpo non si distribuisce nelle parti.

16. 25. Il principio si può applicare all'anima o vita irrazionale nel senso che l'anima razionale non può trasformarsi in essa. Anche essa infatti, se non fosse per grado inferiore soggetta all'anima razionale, parteciperebbe direttamente la propria forma specifica e sarebbe costituita nel medesimo ordine. Comunicano quindi la forma specifica partecipata dalla Somma Armonia gli esseri più in atto, in ordine alla generazione, ai meno in atto. E quando la comunicano, non la sottraggono. E gli esseri meno in atto sono tali nella loro esseità perché è comunicata loro dai più in atto la forma per cui hanno l'essere. Ovviamente gli esseri più in atto sono anche più perfetti. Ed è proprio di tali esseri generanti avere maggior dinamismo, non per quantità maggiore su quantità minore, ma, senza maggiore estensione spaziale, essere, nell'ordine d'una medesima essenza, tanto più in atto quanto più perfetti. Ed è proprio per tale ordine che l'anima è più perfetta e più in atto del corpo. E poiché per sua mediazione, com'è stato detto, il corpo ha sussistenza, è assolutamente impossibile che essa sia trasformata in corpo. Ogni corpo infatti riceve la forma soltanto mediante l'anima. Sarebbe possibile che l'anima divenga corpo, non con la partecipazione ma con la cessazione della forma. Ma per questo appunto è impossibile, a meno che l'anima non occupi uno spazio e spazialmente sia unita al corpo. Nell'assurda ipotesi, sarebbe anche possibile che un corpo quantitativamente più esteso comunichi la propria forma più imperfetta ad essa che come forma è più perfetta. Valga d'esempio una forte massa d'aria con un piccolo fuoco. Ma non è così. Una determinata quantità infatti, nell'occupare lo spazio, non è tutta nelle singole parti ma nel tutto. Quindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta simultaneamente presente non solo nella totale estensione del corpo, ma anche in ogni sua particella. Infatti percepisce la modificazione sensibile di ogni parte del corpo ma non in tutto il corpo. Se si ha un dolore al piede, lo avverte l'occhio, lo esprime la lingua, si muove la mano. Non avverrebbe se la funzione dell'anima esistente in tali organi non avesse sensibilità nel piede, e non potrebbe avvertire la modificazione avvenutavi se fosse assente. Non è concepibile che il fatto si verifichi in virtù d'un organo di trasmissione il quale non avvertisse ciò che trasmette. La modificazione si trasmette nella continuità dell'estensione sicché non sfugge alle parti che hanno diversa posizione. Tutta l'anima avverte l'alterazione avvenuta in una piccola parte del piede e l'avverte soltanto dove avviene. È dunque tutta presente nelle singole parti perché è tutta a sentire nelle singole parti. Tuttavia non è tutta presente allo stesso modo che la bianchezza, o altra proprietà sensibile, è tutta in ogni singola parte del corpo. Infatti l'alterazione che avviene in una parte del corpo per il cambiamento di bianchezza può non riguardare la bianchezza che è in un'altra parte. Quindi si deve ammettere che essa ha diverse posizioni secondo le diverse posizioni dell'estensione. Ma è provato che così non avviene nell'anima in merito alla sensazione di cui è stato parlato.

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