TUTTO È BENE, ANCHE CIÒ CHE SI CORROMPE, MA NON AL PIÙ ALTO GRADO

19.37. Da quanto detto, ormai, chi ha gli occhi della mente ben aperti e non offuscati o turbati dal pernicioso desiderio di una vana vittoria, comprende facilmente che sono beni tutte le cose che si corrompono e muoiono, sebbene di per se stesse la corruzione e la morte siano male. Se infatti le cose non fossero private di una parte della loro integrità, la corruzione e la morte non nuocerebbero loro; ma se la corruzione non nuocesse, non sarebbe più tale. Se dunque la corruzione si oppone all'integrità e, senza alcun dubbio, l'integrità è un bene, allora è bene tutto ciò a cui la corruzione si oppone e tutto ciò a cui la corruzione si oppone anch'esso si corrompe. Sono dunque beni le cose che si corrompono; ma esse si corrompono perché non sono beni al massimo grado. Poiché dunque sono beni, vengono da Dio; ma, poiché non sono beni al massimo grado, non sono Dio. Quindi il bene che non può essere corrotto è Dio. Tutti gli altri beni, che vengono da Lui, di per se stessi possono essere corrotti, perché per se stessi sono nulla; invece, grazie a Lui, in parte non sono soggetti a corruzione e in parte vengono restituiti alla loro integrità, quando sono corrotti.

LA CORRUZONE DELL'ANIMA SCATURISCE DALLA TRASGRESSIONE DELL'ORDINE NATURALE

20.38. La prima corruzione dell'anima razionale risiede nel voler fare ciò che la verità somma ed intima vieta. Per questo motivo l'uomo fu cacciato dal paradiso in questo mondo, passando così dall'eternità alla vita temporale, dall'abbondanza all'indigenza, dalla stabilità all'instabilità; cioè non dal bene sostanziale al male sostanziale, perché nessuna sostanza è un male, ma dal bene eterno al bene temporale, dal bene spirituale al bene carnale, dal bene intelligibile al bene sensibile, dal bene sommo al bene infimo. C'è dunque un certo bene, amando il quale l'anima razionale pecca, perché è di ordine inferiore ad essa; perciò è il peccato in sé che è male e non la sostanza che, peccando, si ama. Non è allora male quell'albero che, come è scritto, era piantato nel centro del paradiso, ma la trasgressione del comando divino. E quando questa trasgressione subì, come conseguenza, la meritata condanna, da quell'albero, che era stato toccato contro il divieto, scaturì il criterio di discernimento tra il bene e il male. L'anima infatti, dopo essere incorsa nel peccato, mediante l'espiazione della pena apprende quale differenza ci sia tra il comando che si è rifiutata di rispettare e il peccato che ha compiuto. In tal modo impara a conoscere, facendone l'esperienza, il male che non ha appreso con l'evitarlo e quel bene che amava di meno discostandosene, ora lo ama con più ardore guadagnandoselo.

20.39. La corruzione dell'anima è in ciò che ha fatto e la limitazione che gliene deriva rappresenta la punizione che ne subisce: in questo consiste tutto il male. Fare e subire insomma non è una sostanza; perciò la sostanza non è male. Così non sono male né l'acqua né l'animale che vive nell'aria: queste infatti sono sostanze; male invece è gettarsi volontariamente nell'acqua e l'asfissia che subisce chi vi è immerso. Lo stilo di ferro, con una parte per scrivere e l'altra per cancellare, non solo è fatto con maestria, ma è anche bello nel suo genere e adatto al nostro uso. Ma se qualcuno volesse scrivere con la parte con cui si cancella e cancellare con quella con cui si scrive, in nessun modo farebbe dello stilo un male, anche se a buon diritto il fatto in sé sarebbe criticato. E infatti, una volta corretto l'uso, dove sarà il male? Se qualcuno fissa all'improvviso il sole di mezzogiorno, gli occhi ne saranno colpiti e abbagliati: forse per questo il sole o gli occhi saranno un male? No affatto, perché sono sostanze. Il male invece è nel fatto che lo sguardo ha trasgredito l'ordine e nell'abbagliamento che ne consegue; esso tuttavia scomparirà quando gli occhi si saranno riposati e guarderanno una luce adeguata. Né diviene in se stessa male la luce che è fatta per gli occhi, quando è venerata al posto della luce della sapienza, che è fatta per la mente; il male è la trasgressione per la quale si serve la creatura piuttosto che il Creatore. Questo male non esisterà più quando l'anima, riconosciuto il Creatore, sarà sottomessa a Lui soltanto e avrà chiaramente percepito che tutte le altre cose le sono sottomesse per virtù di Lui.

20.40. Così ogni creatura corporea, nella misura in cui sia posseduta da un'anima che ama Dio, è un bene, infimo ma bello nel suo genere, perché è costituita secondo una forma e una bellezza. Se poi è amata da un'anima che non si cura di Dio, neppure in tal caso essa di per sé diventa un male; ma dal momento che il male è il peccato per il quale viene così amata, essa diventa causa di pena per colui che la ama: lo getta nelle tribolazioni e, ingannandolo, lo nutre di piaceri, che non durano e non appagano, ma sono fonte di acuti tormenti. Infatti, quando l'avvicendarsi dei tempi ha concluso il suo mirabile corso, la bellezza desiderata abbandona colui che la ama, si allontana tormentandolo dai suoi sensi e lo getta nello smarrimento. Così egli considera come prima bellezza quella che è la più bassa di tutte, ovvero quella di natura corporea, che la carne, con un perverso compiacimento. gli ha fatto conoscere attraverso gli ingannevoli sensi: per cui, quando pensa qualcosa, crede di comprendere; in realtà è ingannato dalle ombre delle sue fantasie. Se poi talora, senza rispettare integralmente l'ordine della divina Provvidenza, pur credendo di farlo, si sforza di resistere alla carne, perviene all'immagine delle cose visibili e con il pensiero si costruisce, attraverso questa luce che vede circoscritta entro limiti precisi, immensi spazi, ma inutilmente; si immagina che questa sia la sua futura dimora, senza rendersi conto che è la concupiscenza degli occhi che lo trascina e che vuole uscire dal mondo con questo mondo; senza accorgersi perciò che si tratta dello stesso mondo, dal momento che, con il suo ingannevole modo di pensare, ne ha esteso all'infinito la parte più luminosa. Ciò si può fare con la massima facilità non solo per questa luce, ma anche per l'acqua, il vino, il miele, l'oro, l'argento e anche per la carne, per il sangue, per le ossa di qualsiasi animale e per altre cose di questo genere. Tra le realtà corporee infatti non c'è nessuna che, anche quando ne sia stato visto un solo esemplare, non possa essere moltiplicata all'infinito col pensiero; oppure che, vista in un piccolo spazio, non possa essere estesa all'infinito dalla medesima capacità di immaginazione. Ma, se è cosa facilissima maledire la carne, cosa molto difficile invece è non giudicare secondo la carne.

LA DISPERSIONE NEL DIVENIRE

21.41. È dunque per questa perversione dell'anima, che proviene dal peccato e dalla pena, che ogni realtà corporea diviene, come dice Salomone, vanità di uomini vani e tutto è vanità: quale utilità ricava l'uomo da tutto l'affanno per cui fatica sotto il sole?. Non per niente infatti è stato aggiunto di uomini vani, perché, se togli costoro, che inseguono le cose più basse come se fossero le più alte, la creatura corporea cesserà di essere vanità e, nel suo genere, mostrerà una bellezza senza alcun difetto, benché minima. La molteplicità delle bellezze temporali, infatti, ha dilacerato, attraverso i sensi carnali, l'uomo distaccatosi dall'unità con Dio e, con la sua instabile varietà, ne ha moltiplicato i desideri: da qui è scaturita una faticosa abbondanza e, se si può dire, una copiosa povertà, per cui egli persegue ora una cosa ora l'altra, senza che niente resti con lui. Così, dopo il tempo del frumento, del vino e dell'olio, egli si è disperso, in modo che non ritrova più se stesso, cioè la natura immutabile ed unica, seguendo la quale non errerebbe e, raggiungendola, non proverebbe più dolore. Di conseguenza, sarà redento anche il suo corpo e non si corromperà più. Ora, invero, un corpo corruttibile appesantisce l'anima e la dimora terrena grava la mente che corre dietro a molti pensieri, perché la bellezza dei corpi, per quanto di minimo grado, viene coinvolta nell'ordine della successione temporale. Essa è In grado minimo perché non può possedere tutte le cose insieme, ma, mentre alcune vengono meno ed altre subentrano al loro posto, tutte contribuiscono a comporre in un'unica bellezza l'armonia delle forme temporali.

LA MUTABILITÀ DELLE COSE NON È UN MALE

22.42. E tutto ciò non è male perché passa. Anche un verso, nel suo genere, è bello sebbene in nessun modo sia possibile pronunciare insieme due sillabe. Infatti si può pronunciare la seconda, solo se la prima è già passata, e così di seguito si giunge al termine in modo che, quando risuona solo l'ultima senza che le precedenti risuonino con essa, tuttavia tale sillaba, in unione con quelle passate, consegua una forma e una bellezza musicale. Tuttavia l'arte con cui si costruiscono i versi non è così soggetta al tempo al punto che la loro bellezza risulti solo dalla misura delle pause; essa comprende insieme tutti gli elementi di cui è costituito il verso, il quale però non li comprende tutti insieme, ma congiunge i precedenti con i seguenti. Il verso comunque è bello proprio perché mostra le ultime tracce di quella bellezza che l'arte custodisce in se stessa in modo continuativo e stabile.

22.43. Come alcuni, dal gusto pervertito, amano più il verso che l'arte stessa con cui è costituito, poiché si sono affidati più alle orecchie che all'intelligenza, così molti preferiscono le cose temporali e non cercano la divina Provvidenza, che ha creato e governa i tempi. E nell'amore per le cose temporali non sono disposti ad ammettere che passa ciò che amano e sono tanto assurdi quanto chi, nella declamazione di una magnifica poesia, volesse udire sempre e soltanto una sola sillaba. Di certo, persone che ascoltano le poesie in questo modo non se ne trovano, mentre il mondo è pieno di coloro che giudicano così le cose, giacché, se tutti possono facilmente ascoltare non solo l'intero verso ma anche l'intera poesia, nessuno invece è capace di percepire la successione dei secoli nel suo insieme. A ciò si aggiunge il fatto che non siamo parte della poesia, mentre, a causa della condanna, siamo partecipi dei secoli. La declamazione della poesia dunque è sottoposta al nostro giudizio, invece i secoli si susseguono grazie al nostro affanno. D'altro canto, a nessun vinto piacciono i pubblici giochi; eppure, nonostante la sua vergogna, essi non cessano di essere belli: in ciò si può cogliere una certa immagine della verità. Per nessun altro motivo tali spettacoli ci sono vietati se non perché, ingannati dalle apparenze delle cose, ci allontaniamo dalle cose stesse, delle quali gli spettacoli sono le apparenze. Così, la creazione e il governo dell'universo dispiacciono solo alle anime empie e dannate, invece piacciono, pur con la loro miseria, alle molte anime vittoriose in terra o ormai sicure nella loro contemplazione celeste. Infatti nulla di ciò che è giusto dispiace al giusto.

OGNI SOSTANZA È BENE, SOLO LA COLPA È MALE

23.44. Dal momento che ogni anima razionale è infelice per i suoi peccati o felice per le buone azioni, che ogni essere irrazionale o cede ad uno più forte o obbedisce ad uno migliore o si misura con uno eguale o tiene in esercizio chi lotta o è di danno a chi è condannato e che ogni corpo serve la sua anima, per quanto le permettano i suoi meriti e l'ordine delle cose, nessun male è proprio dell'intera natura, ma è frutto della colpa di ciascuno. Quando poi l'anima sarà rigenerata dalla grazia divina, restituita alla sua integrità, sottomessa soltanto al suo Creatore, e con il corpo riportato alla sua primitiva stabilità, comincerà a possedere il mondo, non ad essere posseduta con il mondo. Per essa non vi sarà più alcun male; infatti la bellezza minima delle vicende temporali, che prima si dispiegava insieme ad essa, si dispiegherà sotto di essa e ci saranno, come è scritto, un nuovo cielo ed una nuova terra, con le anime che regneranno su tutto l'universo anziché affannarsi in una sua parte. Dice appunto l'Apostolo: Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio; e, ancora: Capo della donna è l'uomo, capo dell'uomo è Cristo, capo di Cristo è Dio. Poiché dunque la corruzione non appartiene all'anima per natura, ma contro la sua natura e non consiste in altro che nel peccato e nella pena del peccato, si comprende chiaramente che nessuna natura o, se è meglio, nessuna sostanza o essenza è male. D'altro canto, non può dipendere dai peccati e dalle pene dell'anima che l'individuo sia deturpato da qualche bruttezza, perché la sostanza razionale, in quanto è pura da ogni peccato, è sottomessa a Dio e domina tutte le altre cose a lei soggette; invece, in quanto ha peccato, è collocata nel posto che si addice alla sua condizione, perché tutto sia bello sotto Dio creatore e reggitore dell'universo. Non è dunque alla bellezza dell'intero creato che va attribuita la colpa per la dannazione dei peccatori, per la prova dei giusti e per la perfezione dei beati.

ALLA SALVEZZA DELL'UOMO CONCORRONO L'AUTORITÀ E LA RAGIONE

24.45. Per questo motivo anche la medicina offerta all'anima dalla divina Provvidenza nella sua ineffabile bontà è di straordinaria bellezza per gradualità e ordine. Ne fanno parte l'autorità e la ragione. L'autorità richiede la fede e prepara l'uomo alla ragione; la ragione conduce alla comprensione e alla conoscenza. E anche se l'autorità non rinuncia mai del tutto alla ragione, quando si consideri a chi si deve credere, di certo è somma l'autorità di una verità conosciuta in modo evidente. Ma poiché siamo immersi tra le cose temporali, e l'amore per esse ci tiene lontani da quelle eterne, viene per prima, non per l'eccellenza della sua natura, ma per ordine di tempo, una certa medicina temporale che chiama alla salvezza non quelli che sanno, ma quelli che credono. Infatti è nel luogo in cui è caduto che ciascuno deve trovare un sostegno per risollevarsi. Dunque dobbiamo appoggiarci sulle stesse bellezze carnali, che ci tengono prigionieri, per conoscere quelle cose che la carne non ci mostra . Chiamo carnali quelle cose che si possono percepire attraverso la carne, cioè mediante gli occhi , gli orecchi e gli altri sensi del corpo. Per la fanciullezza dunque è necessario attaccarsi con amore alle bellezze carnali o corporee, per l'adolescenza è quasi necessario, ma poi, con il procedere degli anni, non è più necessario.

L'AUTORITÀ CHE L'UOMO DEVE SEGUIRE

25.46. Dal momento, dunque, che la divina Provvidenza provvede non solo al singoli uomini quasi privatamente, ma anche all'intero genere umano quasi pubblicamente, che cosa elargisca ai singoli lo sanno Dio, che ne è l'autore, e coloro che ne sono beneficiari. Che opera poi svolga a favore del genere umano, volle che ci fosse trasmesso mediante la storia e la profezia. L'attendibilità delle cose temporali, sia passate che future, è questione più di credenza che di intelligenza. Il compito nostro però esaminare a quali uomini o a quali libri si debba credere per rendere il culto dovuto a Dio, nostra unica salvezza. Su questo argomento la prima questione da considerare è se sia possibile credere a coloro che ci chiamano ad adorare un solo Dio o coloro che ci chiamano ad adorarne molti. Chi potrebbe dubitare che è di gran lunga preferibile seguire coloro che ce ne propongono uno solo, se oltretutto coloro che ne adorano molti unanimemente considerano questo solo come unico Signore e reggitore di tutte le cose? Di certo la numerazione comincia dall'unità. Perciò, prima dobbiamo seguire coloro che affermano che l'unico sommo Dio è il solo vero Dio e il solo da adorare. Se presso costoro la verità non risplenderà, soltanto allora si dovrà andare altrove. Come, infatti, nella natura delle cose maggiore è l'autorità di uno solo che tutto riporta all'unità e come nel genere umano nullo è il potere di una moltitudine che non sia unanime, cioè che non pensi in maniera unitaria, così nella religione maggiore e più degna di fede deve essere l'autorità di coloro che propongono di adorare un unico Dio.

25.47. La seconda questione da considerare riguarda la diversità di pareri sorta tra gli uomini intorno al culto dell'unico Dio. Sappiamo che i nostri antenati, con quella gradualità della fede per cui dalle cose temporali si risale a quelle eterne, hanno seguito (né potevano fare diversamente) i miracoli visibili e lo hanno fatto in modo che tali miracoli non sono stati più necessari ai posteri. Infatti, una volta che la Chiesa cattolica si è diffusa stabilmente per tutta la terra, non fu consentito che quei miracoli durassero fino al nostri giorni, perché l'anima non andasse sempre alla ricerca delle cose visibili e il genere umano, con l'abitudine di vedere miracoli, non si intiepidisse per ciò che, visto la prima volta, si era infiammato. D'altra parte non c'è dubbio per noi che si deve credere a coloro che, pur predicando cose accessibili a pochi, tuttavia riuscirono a persuadere i popoli a seguirli. Ora si tratta di stabilire a chi si deve credere, prima che ciascuno sia capace di ragionare sulle cose divine e invisibili, poiché in nessun modo un'autorità umana va anteposta alla ragione di un'anima purificata e che è pervenuta alla verità nella sua evidenza. Ma a questa non si giunge mai con la superbia, in mancanza della quale non si avrebbero gli eretici, gli scismatici, i circoncisi nella carne, gli adoratori di creature e di idoli. D'altro canto, se questi non ci fossero prima che il popolo abbia raggiunto la perfezione promessa, la verità sarebbe ricercata molto più pigramente.

LA PROVVIDENZA E LE SEI ETÀ DELL'UOMO

26.48. Vediamo dunque come si svolge la successione temporale e come il rimedio della divina Provvidenza opera nei confronti di coloro che, peccando, meritarono la morte. In primo luogo si occupa dell'indole e dell'educazione di ciascun uomo che viene al mondo. La prima età, l'infanzia, è impiegata a nutrire il corpo e, poi, col crescere, essa viene completamente dimenticata. Segue la fanciullezza, a partire dalla quale cominciano i primi ricordi. A questa succede l'adolescenza, durante la quale la natura consente già all'uomo di generare e di divenire padre. All'adolescenza poi subentra la gioventù, che è tenuta ad esercitarsi nelle pubbliche funzioni e a sottomettersi alle leggi. In questa età la proibizione più rigida dei peccati e la pena che costringe alla schiavitù i peccatori provocano nelle anime carnali impeti più violenti di passione e raddoppiano le colpe commesse. Infatti, ormai è più di un semplice peccato compiere un atto che, oltre che malvagio, è anche proibito. Dopo i travagli della giovinezza, c'è un po' di pace con l'avvento dell'età più matura. Viene quindi l'età peggiore, scolorita, debole e più soggetta a malattie, che ci conduce fino alla morte. Questa è la vita dell'uomo che vive secondo il corpo, schiavo della cupidigia per le cose temporali. Questo è quello che si dice l'uomo vecchio, l'uomo esteriore e terreno, anche nel caso in cui raggiunga quella che il volgo chiama felicità, in uno stato terreno ben governato sotto re o sotto principi o sotto leggi oppure sotto tutti e tre questi regimi; infatti, se così non fosse, un popolo non potrebbe essere ben organizzato benché cercasse soltanto i beni terreni, giacché anche il popolo ha un suo grado di bellezza.

26.49. Ora quest'uomo, che abbiamo descritto come vecchio, esteriore e terreno, sia che si mantenga entro i limiti della sua natura sia che oltrepassi la misura di una giustizia servile, alcuni lo vivono per tutta la vita, dalla nascita fino alla morte; altri invece, come è inevitabile, iniziano da esso la loro vita, ma poi rinascono interiormente e, con la forza dello spirito e l'incremento della sapienza, distruggono e sopprimono ciò che ne resta, sottomettendolo alle leggi celesti, in attesa che sia rinnovato integralmente dopo la morte visibile. Questo è quello che si dice l'uomo nuovo, l'uomo interiore e celeste; ha anche lui le sue età spirituali, distinte non dagli anni ma dai progressi. La prima è quella che trascorre nel seno fecondo della storia, che lo nutre con esempi. Nella seconda, in cui comincia ormai a dimenticare le cose umane per tendere a quelle divine, non è più nel grembo dell'autorità umana ma si volge, mediante procedimenti razionali, alla legge suprema e immutabile. Nella terza, ormai più sicuro, congiunge l'appetito carnale con la forza della ragione e, quando l'anima si unisce alla mente, gode interiormente di una sorta di dolcezza coniugale, coprendosi con il velo del pudore, in modo che vive rettamente non più per costrizione, ma perché non ha piacere a peccare, anche se tutti lo permettessero. Nella quarta compie queste stesse cose in modo molto più fermo ed ordinato e procede verso la perfezione umana, essendo ormai pronto e disposto ad affrontare tutte le persecuzioni e le vicende tempestose di questo mondo. Nella quinta età, avendo raggiunto l'appagamento e la piena tranquillità, vive nelle abbondanti ricchezze dell'immutabile regno della suprema e ineffabile sapienza. Nella sesta, che è l'età della totale trasformazione nella vita eterna, raggiunge il definitivo oblìo della vita temporale per passare alla forma perfetta, fatta ad immagine e somiglianza di Dio. La settima età, infine, coincide ormai con la quiete eterna e con la felicità perpetua non più contrassegnata da età. Come, infatti, la morte è la fine dell'uomo vecchio così la vita eterna è la fine dell'uomo nuovo: l'uno è l'uomo del peccato, l'altro l'uomo della giustizia.

L'UOMO VECCHIO E L'UOMO NUOVO NELLA STORIA DEL GENERE UMANO

27.50. Senza alcun dubbio questi due uomini sono tali che uno di essi, cioè quello vecchio e terreno, lo può vivere ogni singolo uomo per tutta la vita, mentre l'altro, quello nuovo e celeste, nessuno lo può vivere in questa vita senza quello vecchio, perché bisogna che da questo cominci e con questo continui fino alla morte visibile, anche se deperisce mentre quello nuovo progredisce. In modo del tutto analogo il genere umano, la cui vita è simile a quella di un solo uomo da Adamo fino alla fine del mondo, è retto dalle leggi della divina Provvidenza in modo da sembrare diviso in due categorie. L'una è costituita dalla folla degli empi che propongono l'immagine dell'uomo terreno dall'inizio del mondo fino alla fine; l'altra dalle generazioni del popolo devoto all'unico Dio ma che, da Adamo fino a Giovanni Battista, è vissuto come l'uomo terreno secondo una sorta di giustizia servile: la sua storia si chiama Vecchio Testamento e contiene la promessa di un regno pressoché terreno; nel suo insieme, tale storia tuttavia non è che l'immagine del nuovo popolo e del Nuovo Testamento, che contiene la promessa del regno dei cieli. La vita di questo popolo, fino a che è temporale, incomincia dalla venuta del Signore nell'umiltà e dura fino al giorno del giudizio, quando tornerà in tutto il suo splendore. Dopo il giudizio, morto l'uomo vecchio, avverrà quella trasformazione che promette una vita angelica. Tutti, infatti, risorgeremo, ma non tutti saremo cambiati. Risorgerà dunque il popolo dei devoti, per trasformare nell'uomo nuovo ciò che in lui resta del vecchio. Risorgerà in sé anche il popolo degli empi, che ha realizzato in sé l'uomo vecchio dall'inizio alla fine ma per essere precipitato nella seconda morte. Chi legge con attenzione, scopre la suddivisione delle età e non ha orrore né della zizzania né della paglia. L'empio infatti vive per il pio e il peccatore per il giusto, affinché, mediante il confronto, si elevi con più ardore fino a raggiungere la perfezione.

COSA SI DEVE INSEGNARE, A CHI E CON QUALI MEZZI

28.51. Coloro che, al tempo del popolo terreno, meritarono di giungere fino all'illuminazione dell'uomo interiore, furono momentaneamente di aiuto per il genere umano, mostrandogli ciò che l'età richiedeva e facendogli intravedere, mediante le profezie, ciò che non era ancora opportuno mostrargli. Tali appaiono i patriarchi e i profeti a coloro che, invece di abbandonarsi ad attacchi puerili, esaminano con dovuta diligenza il così grande e salutare mistero delle vicende divine e umane. Vedo che, anche al tempo del popolo nuovo, ciò è compiuto con molta cautela dagli uomini grandi e spirituali, nutriti della Chiesa cattolica, poiché si rendono conto che non va trattato in modo divulgativo ciò che non è ancora opportuno trattare con il popolo. Essi e i pochi sapienti si cibano di un cibo più sostanzioso, mentre nutrono di latte, in modo abbondante e continuo, la moltitudine avida e debole. Infatti parlano della sapienza soltanto ai perfetti; agli uomini carnali e psichici invece, che, per quanto rinnovati, tuttavia sono ancora come fanciulli, nascondono alcune verità, pur senza mentire mai. Non hanno di mira vane o futili lodi per sé, ma il bene di coloro con i quali meritarono di condurre insieme questa vita. È legge della divina Provvidenza che non sia aiutato a conoscere ed accogliere la grazia di Dio. da chi è superiore, colui che, per lo stesso fine, non abbia aiutato con sentimento puro chi gli è inferiore. Così, in seguito al peccato, commesso dalla nostra natura in un uomo peccatore, il genere umano è divenuto grande decoro e ornamento della terra, ed è governato dalla divina Provvidenza in modo così adeguato che la sua ineffabile arte medica muta perfino la bruttezza dei vizi in un qualche genere di bellezza.

LA RAGIONE È SUPERIORE AI SENSI

29.52. E poiché abbiamo parlato dell'azione benefica dell'autorità quanto per ora ci è sembrato sufficiente, vediamo fin dove la ragione può arrivare risalendo dalle cose visibili a quelle invisibili, dalle temporali alle eterne. Bisogna infatti che non sia per noi inutile e vano contemplare la bellezza del cielo, l'ordinata disposizione degli astri, lo splendore della luce, l'alternarsi dei giorni e delle notti, il ciclo mensile della luna, la ripartizione dell'anno in quattro stagioni, in corrispondenza ai quattro elementi, la grande potenza dei semi che generano le specie e le moltitudini e tutte le cose che, nel loro genere, conservano un proprio modo d'essere ed una propria natura. Non dobbiamo considerare queste cose per esercitare una curiosità vana ed effimera, ma per servircene come scala per elevarci alle cose immortali e sempiterne. Quindi dobbiamo rivolgere l'attenzione a quale sia la natura vitale in grado di percepire tutte queste cose; la quale di certo, poiché dà la vita al corpo, è necessariamente superiore ad esso. Una mole qualsiasi, infatti, benché risplenda di luce visibile, non si deve stimare molto, se è priva di vita. È legge di natura, appunto, che qualsiasi sostanza vivente sia superiore a qualsiasi sostanza non vivente.

29.53. Ma, siccome nessuno dubita che anche gli animali irrazionali vivono e sentono, l'aspetto più eccellente dell'animo umano non è nel fatto che percepisce le cose sensibili, ma nel fatto che le giudica. Del resto, molti animali dispongono di una vista più acuta degli uomini e con gli altri sensi percepiscono i corpi in modo più penetrante; ma giudicare dei corpi è proprio della vita, che non è soltanto sensibile ma che è anche razionale, della quale essi sono privi: per questo noi siamo superiori. È infatti molto facile rendersi conto che chi giudica è superiore alla cosa giudicata. La vita razionale, peraltro, giudica non solo le cose sensibili, ma anche i sensi; giudica, per esempio, perché è necessario che il remo nell'acqua appaia spezzato, mentre è diritto, e perché gli occhi lo percepiscano così. La vista, infatti, può riportare il fatto, ma in nessun modo può giudicarlo. È perciò evidente che, come la vita sensibile è superiore al corpo, così la vita razionale è superiore ad entrambi.

LA VERITÀ È SUPERIORE ALLA RAGIONE

30.54. Se, dunque, la ragione giudica secondo propri criteri, non c'è nessuna natura che le sia superiore. Ma è chiaro che è mutevole, dal momento che si scopre ora esperta ora inesperta, e giudica tanto meglio quanto più è esperta ed è tanto più esperta quanto più conosce qualche arte o disciplina o sapienza; perciò bisogna esaminare la natura di questa arte. In questo caso non intendo l'arte che si acquista mediante l'esperienza, ma quella che si scopre mediante la riflessione. Che cosa di straordinario sa chi sa che le pietre aderiscono tra loro più saldamente con quella materia che si fa con calce e sabbia, piuttosto che con il fango? O chi costruisce con tanto gusto estetico da far sì che tutte le parti molteplici si corrispondano in modo simmetrico e quelle singole invece occupino la zona mediana? Anche se questo senso delle proporzioni appartiene di più alla ragione e alla verità. Bisogna invece che ci domandiamo perché ci infastidisce se, di due finestre non sovrapposte ma poste l'una accanto all'altra, una è più grande o più piccola, quando avrebbero potuto essere uguali, e non ci infastidisce invece la loro diseguaglianza se sono sovrapposte e l'una è la metà dell'altra; e perché, dato che sono due, non ci interessa molto di quanto l'una sia maggiore o minore dell'altra. Se invece fossero tre, il senso di proporzione sembrerebbe richiedere che siano uguali o che, tra la più grande e la più piccola, quella posta al centro sia di tanto più grande della minore di quanto è più piccola della maggiore. Così, a prima vista, pare che sia la natura stessa a indicare il giudizio da esprimere. A questo proposito, bisogna osservare in modo particolare come avvenga che quello che, considerato da solo, non ci dispiace affatto, venga respinto quando è confrontato con una cosa migliore. In tal modo si scopre che l'arte per i più non è che il ricordo di cose sperimentate e trovate piacevoli, unito ad una certa abilità nell'esecuzione materiale. Ma, anche se questo requisito manca e quindi non si è in grado di realizzare le opere d'arte, è ancora possibile giudicare il loro valore, e questa è la cosa più importante.

30.55. In tutte le arti piace l'armonia, che è la sola a rendere tutte le cose complete e belle; essa inoltre richiede corrispondenza e unità, o per la somiglianza delle parti simmetriche o per la gradazione di quelle asimmetriche. Ma, chi può trovare nel corpi perfetta proporzione o somiglianza, per cui, dopo attenta considerazione, osi dire che un corpo qualsiasi possiede veramente e semplicemente l'unità, quando tutte le cose mutano, passando o da un aspetto ad un altro o da luogo ad un altro, e constano di parti che occupano posti propri, per cui sono diversamente distribuite nello spazio? D'altro canto, la vera proporzione e somiglianza, come pure l'unità vera e prima, non si percepiscono con gli occhi del corpo né con alcun altro senso, ma con un atto di intellezione. Da dove infatti si richiederebbe nel corpi la presenza di una qualsiasi proporzione o da dove si trarrebbe la convinzione che essa è molto differente da quella perfetta, se questa non fosse colta dalla mente? Ammesso che si possa chiamare perfetto ciò che non è stato fatto.

30.56. E, mentre tutte le bellezze sensibili, tanto quelle generate dalla natura quanto quelle prodotte dall'arte, sono tali in relazione allo spazio e al tempo, come il corpo e i suoi movimenti, quella proporzione e unità, nota solo alla mente e in base alla quale si giudichi della bellezza corporea con la mediazione dei sensi, non si estende nello spazio né può mutare nel tempo. A rigore infatti è impossibile che, in base ad essa, si giudichi della rotondità di una ruota ma non di quella di un vaso, Oppure della rotondità di un vaso ma non di quella di una moneta. Allo stesso modo, per ciò che riguarda i tempi e i movimenti dei corpi, è ridicolo dire che, in base ad essa, si giudica dell'uguaglianza degli anni ma non di quella dei mesi, oppure dell'uguaglianza dei mesi ma non di quella dei giorni. In realtà, il giudizio su qualcosa che si muova in modo ordinato o per un anno o per un mese o per un'ora o per un tempo ancora più breve, si esprime sulla base di una sola e sempre identica proporzione. Ora, se per giudicare la maggiore o minore estensione delle figure si impiega la stessa legge di uguaglianza, di somiglianza o di simmetria, vuol dire che tale legge è maggiore di tutte queste cose, ma in potenza; invece per estensione di spazio o di tempo essa non è né maggiore né minore, perché, se fosse maggiore, non giudicheremmo in base ad essa ciò che è minore; se invece fosse minore, non giudicheremmo in base ad essa ciò che è maggiore. E, inoltre, poiché è in base alla legge della quadratura che si giudica quadrata una piazza o una pietra o una tavoletta o una gemma; e, ancora, poiché è in base alla legge della proporzione che si giudica adeguato a loro tanto il movimento dei piedi di una formica che corre quanto quello di un elefante che cammina, chi può dubitare che tale legge, che in potenza è superiore a tutti, non è né maggiore né minore in rapporto agli intervalli di spazio e di tempo? Ma, dal momento che questa legge di tutte le arti è assolutamente immutabile, mentre la mente umana, cui è stato concesso di coglierla, è esposta alla mutabilità dell'errore, è abbastanza chiaro che tale legge, che si chiama verità, è al di sopra della nostra mente.

 

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