LXXI. I1 lusso guasta anche l'anima

Si potrebbe fare anche un'altra descrizione dei fastidi, dei danni e dell'indecenza del lusso, enumerando le malattie che imprime sull'anima, di gran lunga più numerose e pericolose di quelle corporee. Esso, in effetti, rende molli, deboli, insolenti, millantatori, lascivi, violenti, intemperanti, irascibili, crudeli, ignobili, cupidi, servili, inetti in quasi tutte le cose utili e necessarie; tutti gli effetti opposti sono invece prodotti dalla frugalità. Ma ora dobbiamo passare ad un altro argomento: fatta questa semplice aggiunta, ritorniamo alle parole dell'apostolo. Se le cose che sembrano invidiabili sono così piene di mali e fanno cadere sull'anima e sul corpo una così fitta pioggia di malattie, come possiamo parlare delle cose dolorose? Mi riferisco alla paura dei magistrati, ai movimenti popolari, alle insidie dei delatori e degl'invidiosi, mali tutti che assediano soprattutto i ricchi e che anche le donne sono destinate a sperimentare in maggior misura, data la loro incapacità di sopportare virilmente le relative vicissitudini.

LXXII. I1 lusso, oltre a causare gli altri mali di cui si è parlato, rende intollerabili le vicissitudini della vita

Ma perché parlare delle donne? Anche gli uomini diventano infatti infelice preda di tali vicissitudini. Chi vive nella semplicità non teme i cambiamenti; chi invece si consuma nella vita molle e dissoluta, se per caso o per fatalità piomba nell'indigenza, muore prima ancora di poter sopportare tale cambiamento, non essendovi né abituato né preparato. Per questo il beato Paolo dice "Costoro soffriranno i tormenti della carne; io cerco di risparmiarvi", ed aggiunge subito dopo "Il tempo che resta è breve".

LXXIII. I1 momento presente non si addice al matrimonio

1. "Ma cos'ha a che fare tutto questo con il matrimonio?" qualcuno potrebbe forse chiedere. Ha molto a che fare. Se infatti il matrimonio è richiuso nella vita presente, mentre in quella futura gli uomini "nè sposano nè vengono sposati"; se il tempo presente volge al termine e la resurrezione è alle porte, questo non è il momento dei matrimoni e dei beni materiali, ma dell'indigenza e di tutta quella rimanente saggezza che ci può giovare nell'al di là. La vergine, finché resta a casa con la madre, si dà molto pensiero dei suoi giuochi infantili; una volta messo lo scrigno nella sua stanza, tiene con sè la chiave che racchiude tutti i giocattoli che vi sono riposti, e ne può disporre pienamente: si preoccupa di custodire quei piccoli e stupidi oggetti nella stessa misura in cui i sovrintendenti delle grandi case si preoccupano di amministrarle. Quando però si fidanza ed il momento delle nozze la costringe a lasciare la casa paterna, allora, staccatasi da quei vili ed umili balocchi, non può non pensare al governo della casa, al gran numero dei beni e degli schiavi, alla cura del marito, ed a tutte le altre incombenze più gravi ancora di queste, che pure sono numerose. Così dobbiamo fare anche noi: quando siamo condotti alla vita perfetta, degna degli uomini adulti, dobbiamo lasciare tutte le cose di questa terra - veri e propri giocattoli infantili - e pensare al cielo, ed allo splendore e alla gloria della vita celeste.

2. In effetti, siamo uniti ad uno sposo che esige di essere amato da noi a tal punto, che non dobbiamo esitare a separarci per amor suo non solo dalle cose di questa terra, piccola e di scarso valore, ma anche dalla vita stessa, qualora fosse necessario. Poiché dunque dobbiamo passare all'altra vita, stacchiamoci dai pensieri meschini. Se dovessimo lasciare una povera casa per trasferirci in una reggia, non penseremmo agli oggetti d’argilla, ai mobili, ed alle altre povere suppellettili domestiche. Neanche ora dobbiamo quindi preoccuparci delle cose terrene; il momento presente ci chiama ormai in cielo, come dice Paolo scrivendo ai Romani: "La salvezza è adesso più vicina di quanto non lo fosse nel momento in cui ricevemmo la fede: la notte è avanzata, il giorno è prossimo". Altrove dice: "Il tempo che ci resta qui è breve: chi ha la moglie si comporti come se non l'avesse ".

3. Perché dunque dovrebbero aver bisogno del matrimonio coloro che non ne usufruiranno più e che si troveranno nelle stesse condizioni di chi non è sposato? E perché dovrebbero pensare alle ricchezze, ai beni, alle cose della vita materiale, se il loro io è ormai fuori stagione ed inopportuno? Se chi è in procinto di presentarsi ad un tribunale terreno per rendere conto dei suoi misfatti, quando il giorno fatidico si avvicina non pensa più non solo alla moglie ma neppure a mangiare ed a bere e concentra il proprio pensiero unicamente sulla propria difesa, a maggior ragione noi, quando siamo sul punto di presentarci non ad un tribunale terreno, ma alla tribuna celeste per rendere conto delle nostre parole, delle nostre azioni e dei nostri pensieri, dobbiamo staccarci da tutte le gioie e da tutti i dolori relativi alle cose presenti e preoccuparci solo di quel terribile giorno. "Chi viene da me - dice il Signore - ma non è capace di odiare il padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e la propria anima, non può essere mio discepolo. E non può essere mio discepolo neanche chi non carica su di sè la propria croce e non mi segue".

4. E tu continui a perdere il tuo tempo desiderando tua moglie e pensando alle risa, alla dissolutezza ed al lusso? "Il Signore è vicino". Tu ti preoccupi e ti assilli per le ricchezze? "Il regno dei cieli è prossimo". Tu badi alla casa, al lusso ed agli altri piaceri? "Passa l'aspetto di questo mondo". Perché allora ti tormenti per le cose di quaggiù che non rimangono ma si consumano, e trascuri invece quelle che restano e sono durature? Non ci saranno più nè matrimoni, nè parti, nè piaceri, nè accoppiamenti, nè ricchezze abbondanti, nè cure dei beni materiali, nè nutrimenti, nè vesti, nè coltivazioni, nè viaggi per mare, nè arti, nè costruzioni, nè città, nè case: ci saranno invece un’altra condizione ed un altro modo di vivere. Tutte le cose di quaggiù scompariranno tra breve. Questo significa la frase: "Passa l'aspetto di questo mondo". Perché dunque mostriamo tanto zelo nel preoccuparci di cose da cui spesso ci separiamo prima di sera, come se dovessimo rimanere quaggiù per tutta l’eternità? Perché scegliamo questa vita penosa, mentre Cristo ci chiama a una vita tranquilla? "Voglio - dice infatti l'apostolo - che non abbiate preoccupazioni. Chi non è sposato pensa alle cose del Signore".

LXXIV. Come mai Paolo, pur volendoci liberi da ansie, ci comanda di preoccuparci

1. Come puoi allora volerci liberi da ansie, se poi ci getti in un’altra preoccupazione? Perché questa non è una vera preoccupazione, così come il provare tormenti per amore di Cristo non è un vero tormento: non perché la natura delle cose cambi, ma perché la volontà di chi sopporta con gioia questi dolori riesce a dominare anche la natura. E' giusto dire che prova ansie chi si preoccupa di cose di cui non potrà godere a lungo, e spesso neanche per poco tempo; ma è anche del tutto logico mettere nella schiera di coloro che se ne restano tranquilli chi dalle proprie preoccupazioni raccoglie dei frutti maggiori. Ma a parte questo, la differenza tra la prima e la seconda preoccupazione è così grande, che la seconda, paragonata alla prima, non può più essere ritenuta tale: tanto più leggera e sopportabile è rispetto all’altra. Tutto questo l'abbiamo dimostrato nel nostro discorso precedente. "L'uomo celibe si preoccupa delle cose del Signore, l’uomo sposato di quelle del mondo"; ma quest’ultimo passa, mentre il Signore resta.

2. Non basta forse questo a dimostrare il valore della verginità? La differenza che c’è tra Dio ed il mondo corrisponde alla superiorità della seconda preoccupazione rispetto alla prima. Come puoi dunque permettere il matrimonio, se esso c'inchioda alle preoccupazioni e ci allontana dalle cose dello spirito? "Per questo - risponde l’apostolo - ho detto "chi ha la moglie si comporti come se non l'avesse"; chi è già legato o sta per legarsi renda più lento questo legame in un altro modo". Giacchè non puoi romperlo una volta che te ne sei cinto, rendilo almeno più sopportabile. Se vogliamo, possiamo eliminare tutte le cose superflue ed evitare di aggiungere alle preoccupazioni insite nella natura del matrimonio altre maggiori, prodotte dalla nostra indolenza.

LXXV. Com’è possibile non avere la moglie pur avendola

1. Chi poi volesse sapere con maggiore chiarezza che cosa significa la frase "Non avere la moglie pur avendola", pensi allo stato in cui si trovano i "crocifissi" che non l’hanno. Qual à la loro condizione? Non sono costretti a comprare un gran numero di ancelle, di oggetti d'oro e di collane, case splendide e grandi, e tante misure di terreno: lasciate tutte queste cose, si preoccupano di un’unica veste e del nutrimento. Si può giungere a praticare questa filosofia anche se si ha una moglie. Le parole dette prima "Non negatevi l’uno all’altro" riguardano solo l'unione carnale: in questo caso specifico l'apostolo prescrive che l’uno deve seguire l'altro, e non lascia nessuno dei due sposi padrone di sè; ma quando si tratta della pratica della filosofia riguardante le vesti, il modo di vita e tutte le altre cose, i coniugi non sono più soggetti l’uno all'altro. I mariti possono, anche se le mogli non vogliono, eliminare ogni lusso e scacciare la folla delle preoccupazioni che li sommerge; ed analogamente le mogli, da parte loro, se non vogliono non possono essere costrette a truccarsi, ad essere vanagloriose ed a preoccuparsi delle cose superflue. E' giusto che sia così. Il desiderio carnale è infatti naturale: per questo è degno di molta commiserazione, e per questo nessuno dei due sposi può negarsi all’altro contro la sua volontà. Al contrario, il desiderio del lusso, della servitù superflua, delle preoccupazioni inutili non proviene dalla natura, ma nasce dall’indolenza e dalla grande tracotanza. Per questo l’apostolo non costringe le persone sposate ad essere soggette l'una all'altra in tali casi, come avviene invece nell'altro.

2. Non abbiamo la moglie pur avendola quando non diamo ascolto ai pensieri superflui delle donne, dettati dalla loro leziosità e dalla loro mollezza, e quando ci limitiamo ad accogliere solo quella preoccupazione aggiuntiva che riguarda l'anima della donna che ci è stata affidata e che ha scelto una vita basata sulla saggezza e la semplicità. Che intende dire proprio questo, l’apostolo lo mostra nelle parole seguenti: "Chi piange si comporti come chi non piange, chi gioisce dei beni come chi non gioisce". Chi non gioisce non si preoccupa dei beni, e chi non piange non sopporta a malincuore la povertà nè respinge la frugalità. Questo significa "non avere la moglie pur avendola", questo significa fare uso del mondo senza abusarne.

3. "Chi è sposato si preoccupa delle cose del mondo". Se dunque in entrambi i casi ci sono le preoccupazioni - nel primo però sono vane ed inutili, anzi dolorose, giacchè, come dice l’apostolo, "costoro soffriranno i tormenti nella carne", mentre nel secondo producono dei beni ineffabili - perchè non scegliamo questo secondo tipo di ansie, che non solo ci procurano così belle e numerose ricompense, ma sono anche meno forti delle altre? A che cosa pensa la donna non sposata? Forse alle ricchezze, ai servi, agli amministratori, ai terreni ed al resto? Deve forse sorvegliare i cuochi, i tessitori e la rimanente servitù? Per carità! Non pensa a nulla di tutto ciò ma soltanto ad edificare la propria anima e ad adornare il suo santo tempio non con trecce, ori o perle, non con cosmetici e belletti, non con altre cose fastidiose e misere, ma con la santità di corpo e di spirito.

4. "La donna sposata - dice Paolo - si preoccupa invece di piacere al marito". Sagace com’è, non si mette ad esaminare i particolari, e non ricorda le sofferenze fisiche e psichiche a cui vanno incontro le mogli per piacere ai mariti - il loro corpo è torturato, imbellettato e tormentato con altre punizioni, mentre la loro anima è riempita di bassezze, adulazioni, ipocrisie, meschinità e pensieri superflui ed inutili. Alludendo a tutto ciò con una sola parola, lascia riflettere sull'argomento la coscienza degli ascoltatori; e dopo aver mostrato in tal modo l'eccellenza della verginità ed averla sollevata fimo al cielo, passa di nuovo a parlare della liceità del matrimonio, sempre nel timore che qualcuno scambi la verginità per un precetto. Non si contenta quindi delle esortazioni fatte in precedenza: dopo aver detto "Non ho un ordine del Signore" e "La vergine se si sposa non pecca", aggiunge qui "Non perché voglia gettare su di voi un laccio".

LXXVI. Il "laccio" non è rappresentato dalla verginità, ma dalla nostra mancanza di entusiasmo

1. A tal proposito, ci si potrebbe chiedere a buon diritto come mai l'apostolo dica qui "Non perché voglia gettare su di voi un laccio": eppure, in precedenza aveva chiamato la verginità "liberazione dai legami", aveva detto che ci consigliava per il nostro bene per evitarci tormenti e preoccupazioni e per risparmiarci, ed aveva in tal modo mostrato che questa pratica era leggera e sopportabile. Di che cosa si tratta? A dire il vero egli ha chiamato "laccio" non la verginità - non sia mai! - ma la scelta di questo bene compiuta sotto la spinta della violenza e della costrizione. In effetti, le cose stanno proprio così. Tutto ciò che si accetta sotto la spinta della violenza e contro la propria volontà, anche se è molto leggero, diventa la cosa più insopportabile e soffoca la nostra anima più di un laccio. Per questo Paolo ha detto "Non perché voglia gettare su di voi un laccio". Queste parole significano: vi ho enumerato e mostrato tutti i beni della verginità; pur tuttavia, dopo aver fatto questo, lascio a voi la scelta e non voglio condurvi alla virtù contro la vostra volontà. Vi ho dato questi consigli non perché volessi tormentarvi, ma perché la vostra bella assiduità non venisse distrutta dalle occupazioni materiali.

2. Osserva anche qui la sagacia di Paolo: alla preghiera aggiunge di nuovo l'esortazione, e attraverso la concessione fa trapelare il consiglio. Le sue parole "Non vi costringo ma vi esorto", e le altre che ha aggiunto "A causa del decoro e dell’assiduità", mostrano il carattere meraviglioso della verginità, ed i grandi vantaggi che da essa si ricavano nella vita conforme ai voleri di Dio. La donna non può essere assidua se è prigioniera di preoccupazioni materiali e se si lascia trascinare da ogni parte, perché in tal caso il suo impegno ed il suo tempo libero si disperdono in più direzioni: verso il marito, verso la cura della casa e verso tutte le cose che il matrimonio è solito trascinare con sè.

LXXVII. La donna che si affanna per le cose materiali non può essere vergine

Che cosa dice dunque Paolo quando scaccia dal coro delle vergini quella vergine che - non sia mai! - ha varie occupazioni ed è alle prese con i problemi materiali? Per essere vergini non basta infatti non sposarsi: occorre anche la purezza dell'anima, e per purezza io intendo non solo la lontananza dai desideri cattivi e turpi, dai belletti e dalle occupazioni, ma anche l'assenza di pensieri relativi a cose materiali. Se ciò non si verifica, di quale utilità può essere la purezza fisica? Come non c’è nulla di più vergognoso di un soldato che getta le armi e passa il suo tempo nelle bettole, cosi non c’è nulla di più indecoroso delle vergini prigioniere di preoccupazioni materiali. Anche le cinque vergini avevano le lampade, ed avevano praticato la verginità, ma non ne avevano ricavato alcun frutto: le porte si chiusero, ed esse rimasero fuori e perirono. La verginità è bella proprio perché elimina ogni motivo di preoccupazioni superflue e perché permette di consacrare tutto il tempo libero alle opere gradite a Dio: se questo non si verifica, diventa di gran lunga peggiore del matrimonio, giacchè ricopre di spine l’anima e soffoca tutti i semi puri e celesti.

Questo sito utilizza i cookie e tecnologie simili necessarie al funzionamento e per una migliore navigazione. Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookies

Privacy Policy