XXXVI. L'apostolo chiama "grazia" la verginità perché vuole essere umile

1. "Ma ciascuno — dice Paolo — ha la propria grazia, chi in un modo, chi in un altro. Osserva come i tratti caratteristici dell'umiltà dell'apostolo non svaniscano mai, ma risplendano sempre in modo distinto. Egli chiama grazia di Dio la propria azione virtuosa, ed attribuisce al Signore tutto il frutto delle sue grandi fatiche. Ma perché ci si dovrebbe meravigliare se si comporta così a proposito della continenza, quando assume lo stesso atteggiamento nei riguardi della predicazione, per la quale sopportò infinite fatiche, tormenti continui, sofferenze indicibili, ed andò incontro a quotidiani pericoli di morte? Che cosa dice in proposito? "Mi sono affaticato più di tutti loro: non io però, ma la grazia di Dio che è in me". Non attribuisce una parte del merito a sé ed un'altra a Dio, ma fa risalire tutto a Dio. E' proprio di un buon servo credere che nulla gli appartenga e che tutto sia del padrone [e ritenere che nulla sia suo ma tutto del Signore].

2. Paolo si comporta così anche altrove. Dopo avere detto "Riceviamo dei favori differenti, secondo la grazia che ci è stata concessa ", un poco più avanti annovera tra questi favori le cariche, le opere di misericordia e le elargizioni. A tutti è chiaro che queste cose sono azioni virtuose, e non favori. Ho voluto ricordarlo, perché quando gli senti dire "Ognuno ha la propria grazia" tu non ti scoraggi e non dica a te stesso: "La cosa non richiede il mio impegno, se Paolo l’ha chiamata grazia". Egli parla così per umiltà, non perché voglia annoverare la temperanza tra le grazie. Non era infatti sua intenzione contraddire in tal modo se stesso e Cristo; Cristo aveva detto: "Ci sono degli eunuchi che si sono resi eunuchi per il regno dei cieli", ed aveva aggiunto: "Chi è in grado d'intendere, intenda"; ed egli stesso aveva condannato le donne che dopo avere scelto la vedovanza non avevano voluto tener fede a questo proposito. Se si tratta di una grazia, perché le minacci dicendo "Vengono giudicate, perché hanno rinnegato la fede primitiva"? Cristo non ha mai punito coloro che non avevano la grazia, ma ha condannato sempre coloro che non davano prova di una vita retta: le cose che soprattutto cercava, erano la perfetta condotta di vita e le azioni irreprensibili. La distribuzione delle grazie non dipende dalla scelta di chi le riceve, ma dal giudizio di chi le offre. Per questo Cristo non loda mai gli autori dei miracoli, e toglie ai discepoli che se ne vantano questa soddisfazione, dicendo: "Non rallegratevi perché i demoni vi ubbidiscono". Coloro che vengono sempre considerati beati sono gli umili, i miti, i puri di cuore, i pacifici, coloro che hanno tutte queste qualità ed altre simili.

3. Lo stesso Paolo, enumerando i propri atti virtuosi, ricorda tra essi anche la continenza. Dopo aver detto "Nella grande perseveranza, nei tormenti, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle oppressioni, nei colpi, nelle prigionie, nelle sofferenze, nei tumulti, nelle veglie, nei digiuni. aggiunge: "nella purezza": non l'avrebbe fatto, se si fosse trattato di una grazia. Egli deride coloro che non la possiedono, chiamandoli intemperanti Perché colui che non dà in sposa la propria figlia vergine si comporta meglio? Perché la vedova che resta tale è più felice? Come ho detto prima, le beatitudini ed i castighi dipendono non dai miracoli, ma dalle opere. Perché mai Paolo dovrebbe insistere ancora sulle stesse raccomandazioni se la cosa non ci riguardasse ed oltre all'intervento di Dio non fosse necessario il nostro impegno? Dopo aver detto "Voglio che tutti gli uomini siano come me", vale a dire continenti, aggiunge: "Dico ai celibi ed alle vedove che è meglio restare come me". Di nuovo, e per lo stesso motivo, si cita come esempio: a suo parere, i suoi ascoltatori, avendo un esempio così vicino e diretto, avrebbero affrontato con più impegno le fatiche della verginità. Non meravigliarti se, dopo aver detto prima "Voglio che tutti siano come me", e dopo avere aggiunto qui "E' bene per loro restare come me", non ne spiega affatto il motivo. Non fa questo per vanagloria, ma perché pensa che sia sufficiente la sua convinzione personale, con la quale realizzò questa virtù.

XXXVII. Nelle seconde nozze accadono molte cose spiacevoli

1. Chi vuole ascoltare anche dei ragionamenti, esamini in primo luogo l'opinione comune, e poi ciò che si verifica in tali frangenti. Anche se i legislatori non puniscono le seconde nozze ma le consentono e le autorizzano, molte persone, sia in privato che in pubblico, ne parlano spesso male, dileggiandole, biasimandole e rifiutandole. Tutti respingono coloro che le contraggono come se fossero, per così dire, degli spergiuri; nessuno se la sente di farseli amici, o di stringere accordi con loro, o di concedere loro la benché minima fiducia. Le persone infatti, quando vedono che costoro scacciano dalla loro mente con tanta disinvoltura il ricordo di una familiarità, di un amore, di un’intimità, di una vita comune, sono vittime di una sorta di paralisi; non possono avvicinarli con animo del tutto sincero, perché li considerano volubili ed instabili, e li allontanano non solo per questi motivi, ma anche per le cose spiacevoli che si verificano.

2. Dimmi: che cosa c'è di più spiacevole del fatto che ai molti gemiti, ai lamenti, alle lacrime, ai capelli in disordine, alle vesti nere, subentrino improvvisamente gli applausi, le camere nuziali, e delle agitazioni opposte alle precedenti, come se degli attori recitassero sulla scena e diventassero ora l'uno, ora l'altro personaggio? Sulla scena, si può vedere lo stesso attore nelle vesti ora di un re, ora del più povero degli uomini; nel nostro caso, colui che prima si rotolava vicino alla tomba, diventa improvvisamente sposo; colui che si strappava i capelli, porta di nuovo sullo stesso capo la corona; colui che era abbattuto e cupo, che spesso pronunziava piangendo molti elogi della sposa defunta di fronte a coloro che cercavano di consolarlo, che diceva che la vita gli era divenuta impossibile, che s'irritava contro chi cercava di distoglierlo dai suoi lamenti, spesso, proprio nel mezzo del suo lutto, si abbellisce e si adorna di nuovo, sorride alle stesse persone con gli stessi occhi con cui prima piangeva, si mostra affabile ed accoglie tutti con la stessa bocca con cui prima pronunciava degli scongiuri contro tutto.

3. Ma la cosa più pietosa è la guerra condotta contro i figli, provocata dalla leonessa che abita assieme alle figlie: tale veste assume sempre la matrigna. Da lei si originano i disordini ed i litigi quotidiani, e l'animosità strana ed insolita contro la defunta che non le dà alcun fastidio. I vivi colpiscono con l'invidia e ne sono colpiti, ma con i morti anche i nemici si rappacificano. Ciò non avviene però in questo caso: la polvere e la cenere sono oggetto d’invidia, la sepolta è bersaglio di un odio indicibile, colei che è divenuta terra riceve biasimi, motteggi ed accuse; un'inimicizia implacabile si accende contro colei che non ha fatto alcun male. Che cosa c'è di peggiore o di piú crudele di questa follia? La nuova sposa, che non ha ricevuto alcun torto dalla defunta — ma perché usare quest'espressione? La nuova sposa, che trae profitto dalle sue fatiche e che gode dei suoi beni, non cessa di combattere contro la sua ombra; ogni giorno colpisce con infiniti motteggi colei che spesso non ha neppure visto, si vendica di colei che non è piú, facendo del male ai suoi figli, e spesso, quando non riesce nel suo intento, aizza il marito contro di loro. Eppure, gli uomini trovano tutto questo facile e sopportabile, pur di non essere costretti a sottomettersi alla tirannia della concupiscenza.

4. La vergine, al contrario, non prova le vertigini di fronte a questo combattimento, e non fugge lo scontro che sembra cosí insostenibile ai piú, ma, grazie alla sua nobiltà d'animo, rimane ferma ed accetta la battaglia voluta dalla natura. Come la si può ammirare secondo i suoi meriti? Mentre infatti gli altri per non bruciare hanno bisogno di nuove nozze, lei, che non si è sposata neanche una volta, resta sempre santa ed incolume. Per questo motivo, ed ancora di piú perché pensava ai premi riservati nei cieli alla vedovanza, colui che fa parlare Cristo in sé disse: "E' bene per loro se rimangono come me". Non hai avuto la forza di salire fino alla cima piú alta? Raggiungi almeno quella che si trova subito dopo di essa: la vergine ti sia superiore solo in questo, nel non essersi lasciata vincere dal desiderio neanche una volta; nel tuo caso, invece, la concupiscenza, dopo averti vinto in un primo tempo, non è riuscita a tenerti sempre in suo potere. Tu hai vinto dopo una sconfitta, lei gode di una vittoria che non conosce sconfitte: solo all'inizio ti supera, mentre alla fine ti è pari.

XXXVIII. Perchè Paolo consola tanto le persone sposate, mentre non concede tregua alle fatiche della vergine

1. Come mai dunque Paolo consola le persone sposate fino al punto da non farle separare se una delle due non vuole, e da non prolungare il distacco avvenuto di comune accordo? Inoltre, se vogliono, concede un secondo matrimonio, perché non brucino. Verso le persone vergini, invece, non si mostra affatto cosí indulgente: mentre, dopo un breve intervallo, lascia di nuovo libere le persone sposate, alla vergine che non ha un attimo di respiro e che combatte continuamente, ingiunge di stare sempre al suo posto e di farsi bersagliare dai desideri, senza concederle neanche una piccola pausa. Perché mai non ha detto anche a proposito di lei: "Se non è continente, si sposi"? Perché neanche all'atleta si potrebbe dire, dopo che ha gettato via la veste, che si è unto, che è entrato nell'arena e che si è cosparso di polvere: "Ritirati e fuggi via dall'avversario"; al contrario, non può non verificarsi una di queste due eventualità: l'atleta se ne andrà o con la corona della vittoria, o pieno di vergogna, dopo essere caduto. Nel ginnasio e nella palestra, quando si esercita con altri che conosce bene, quando affronta gli amici come se fossero avversari, l'atleta è padrone d'impegnarsi o no; quando è invece iscritto alla gara, quando la folla si raduna nel teatro, quando l'arbitro è presente, quando gli spettatori sono seduti e l'avversario gli si trova di fronte, la legge della gara non gli lascia scelta.

2. Anche per la vergine, prima che decida se sposarsi o no, il matrimonio non presenta alcun pericolo. Ma dopo che ha preso la decisione e si è iscritta, allora fa il suo ingresso nello stadio. Quando il teatro è affollato, quando gli angeli la guardano dall'alto, quando Cristo fa da arbitro, quando il diavolo s'infuria, digrigna i denti, è stretto nella lotta ed è afferrato alla vita, chi oserebbe farsi avanti e dirle: "Fuggi via dal nemico, rinunzia alle tue fatiche, lascia la presa, non abbattere l'avversario, non fargli lo sgambetto, e lasciagli la vittoria"?

3. Ma perché parlare delle vergim? Neanche alle vedove qualcuno oserebbe fare tale discorso, ma pronuncerebbe al loro indirizzo queste terribili parole: "Se mettono da parte Cristo e vogliono sposarsi, saranno giudicate, perché sono venute meno al primo impegno". Eppure, Paolo stesso dice: "Dico ai non sposati ed alle vedove che è megho se rimangono come me; se però non riescono ad essere continenti, si sposino". E ancora: "Se suo marito muore, è libera di sposare chi vuole, purché lo faccia nel Signore".

XXXIX. A quali vedove ed a quali vergini Paolo permette di sposarsi

1. Come mai danque Paolo condanna colei che lascia libera, e giudica illegittimo il matrimonio che dice "essere nel Signore"? Non temere: non si tratta dello stesso matrimonio, ma di due matrimoni diversi. Come, quando dice "Se la vergine si sposa, non pecca", intende parlare non di colei che ha rinunziato al matrimonio (è evidente a tutti che costei commette un peccato, ed un peccato intollerabile), ma di colei che, non ancora sposata, non ha preso ancora nessuma decisione in merito, ma resta indecisa tra le due soluzioni, cosí, per quanto riguarda la vedova, nel secondo caso intende parlare di quella che, non avendo piú il marito, non è ancora legata alla decisione presa liberamente e che è ancora libera di scegliere l'una o l'altra soluzione, mentre nel primo caso si riferisce a quella che non è piú padrona di stare con un altro sposo, e che si è impegnata nelle lotte della continenza.

2. La vedova, se non ha ancora accettato di rimanere tale, può infatti, pur essendo vedova, non essere ammessa alla digmtà di questo stato. Per questo Paolo dice: "Venga ammessa alla dignità di vedova colei che ha non meno di sessant'anni e che è stata la moglie di un unico marito. Alla semplice vedova consente, se vuole, di risposarsi, mentre condanna aspramente la vedova che, dopo avere promesso a Dio di rimanere tale, poi si risposa calpestando il patto stretto con Dio. Non parla a quest'ultima, ma alla prima quando dice: "Se non sono continenti, si sposino; è meglio sposarsi che bruciare". Non vedi che il matrimonio non è mai ammirato di per sé, ma solo in rapporto alla fornicazione, alle tentazioni ed all'incontinenza? In precedenza aveva impiegato questi termini; ora invece, dopo averli fatti segno di violenti rimproveri, usa per la stessa cosa parole piú benevole, chiamandola incendio e fuoco.

3. Neanche qui però è riuscito a passare oltre senza rimproverare l'ascoltatore. Non ha detto infatti "Se subiscono violenze da parte dei desideri, se vengono sconvolti, se non possono". Non ha usato nessuna di queste espressioni, che si addicono a chi soffre ed è degno di perdono. Che cosa ha detto invece? "Se non sono continenti", frase che si riferisce a coloro che per pigrizia non vogliono impegnarsi: in tal modo, egli fa vedere che costoro, pur potendo riuscire, non riescono perché non vogliono faticare. Ciò nonostante, non li punisce né li condanna alla pena, ma si imita a non lodarli ed a mostrarsi severo solo con rimproveri verbali; non ricorda la procreazione, il motivo piú bello e piú nobile del matrimonio, ma solo il fuoco, l'imtemperanza, la fornicazione e le tentazioni sataniche, consentendo le nozze solo per evitare quei mali.

4. "E che importanza ha questo? — mi si potrebbe obiettare —. Finché il matrimonio tiene lontana la punizione, sopporteremo di buon grado ogni condanna ed ogni offesa: basta che ci sia consentito di godere dei piaceri e di soddisfare sempre i nostri desideri". E che cosa succederebbe, o caro, se, non potendo piú godere dei piaceri, ci attirassimo solo il biasimo? "Come? — mi si direbbe — non si può godere, dopo che Paolo ha detto "Se non sono continenti, si sposino"?".

5. Ascolta però anche le parole che vengono dopo di queste. Hai sentito che è meglio sposarsi che bruciare; hai accolto di buon grado il piacere, hai lodato la concessione, hai ammirato la condiscendenza dell'apostolo; ma non fermarti a questo: accetta anche quello che viene dopo, giacché l'una e l'altra prescrizione provengono dalla stessa persona. Che cosa dice dunque dopo? "Agli sposati prescrivo — non io, ma il Signore — che la moglie non si separi dal marito; se si separa, la moglie non si risposi, o si riconcili con il marito; ed il marito non ripudi la propria moglie.

XL. Aspra ed inevitabile è la schiavitú del matrimonio

1. Che cosa succede quando il marito è affabile, mentre la moglie è cattiva, incline al biasimo, ciarliera, prodiga — malattia quest'ultima che è comume a tutte le donne — e piena di molti vizi? Come farà il poveretto a sopportare questo tormento quotidiano, quest'orgoglio e quest'impudenza? E che cosa succede, se al contrario la moglie è modesta e mite, mentre il marito è insolente, portato al disprezzo, irascibile e gonfio di orgoglio per le sue ricchezze e la sua potenza, e tratta la consorte — che pure è libera — come una schiava, senza amarla piú delle ancelle? Come farà la sposa a sopportare tale costrizione e violenza? E che cosa succede, se il marito non fa che allontanarla, e continua a comportarsi cosí per tutta la vita? "Sopporta — dice l'apostolo — tutta questa schiavitú: sarai libera solo quando morirà; finché vivi, delle due l'una: o dovrai impegnarti molto per educarlo e renderlo migliore, oppure, se questo è impossibile, dovrai sopportare nobilmente questa guerra implacabile e questa battaglia senza tregua".

2. Prima aveva detto: "Non separatevi se non di comune accordo". Qui, ingiunge alla sposa che si è separata di restare d'ora in poi continente anche contro la sua volontà. Dice infatti: "Non si risposi, oppure si riconcili con il marito". Vedi com'è presa tra due fuochi? O deve sopportare la violenza del desiderio, o, se non vuole farlo, adulare chi l'offende e consegnarsi a lui perché faccia di lei ciò che vuole: egli può infierire con le percosse, sommergerla di rimproveri, consegnarla al disprezzo dei servi o fare altre simili cose.

3. Molti mezzi sanno escogitare i mariti, quando vogliono punire le loro mogli. Se la sposa non sopporta tutto questo, deve praticare una continenza sterile: dico sterile perché le manca il presupposto adatto, in quanto è prodotta non dal desiderio di santità, ma dall'ira verso il marito "Non si risposi — dice l'apostolo — o si riconcili con il marito". "Che cosa accade, se non vuole piú riconciliarsi?" ci si potrebbe chiedere. Hai un'altra soluzione ed un'altra via di uscita. Quale? Attendi la sua morte.

4. Come infatti la vergine non può mai sposarsi perché il suo sposo vive sempre ed è immortale, cosí alla donna sposata è consentito di risposarsi solo quando muore il marito. Se infatti, mentre vive, potesse passare da lui ad un altro uomo, e poi da quest'ultimo ad un altro ancora, a che cosa servirebbe piú il matrimonio? In tal caso, gli uomini si prenderebbero gli uni le mogli degli altri senza piú distinzioni, e tutti si unirebbero con tutte le donne. E come non si deteriorerebbero i nostri rapporti con coloro che coabitano con noi, se ora l'uno, ora l'altro, ora altri ancora, convivessero con la stessa donna? Giustamente il Signore ha chiamato tale condotta adulterio.

XLI. Perché Dio consentì ai Giudei il ripudio

1. Come ha potuto dunque Dio permettere questo ai Giudei? E' chiaro che l’ha fatto a causa della durezza dei loro cuori, perché non riempissero le loro case del sangue dei congiunti. Dimmi, cos'è meglio, scacciare la sposa odiata o trucidarla in casa? Avrebbero fatto questo, se non avessero avuto il permesso di scacciarla. Per questo è detto: "Se la odi, ripudiala". Quando invece parla con le persone piú miti e con quelle alle quali non permette neppure di adirarsi, che cosa dice l'apostolo? "Se si separa, non si risposi". Vedi la costrizione, la schiavitú inevitabile, il legame che stringe entrambi? Un vero e proprio legame è infatti il matrimonio, non solo a causa del gran numero di preoccupazioni e di angustie quotidiame, ma anche perché costringe i coniugi a sottostare l'uno all'altro, in un modo piú severo di quello usato con i servi.

2. E' detto: "Il marito abbia autorità sulla moglie". Ma quale guadagno ricava da tale signoria? Dio infatti, rendendolo a sua volta schiavo di colei che gli è sottoposta, ha escogitato un nuovo e strano scambio di schiavitú. Come i servi che hanno cercato di fuggire, quando vengono legati dai padroni sia uno per uno che l'uno all'altro e fissati da entrambe le parti ai ceppi con una breve catena, non possono camminare liberamente perché l'uno è costretto a seguire l'altro; cosí anche le anime delle persone sposate, pur avendo dei pensieri propri, subiscono la costrizione dovuta al legame che le stringe l'una all'altra: si tratta di una costrizione piú pesante di qualsiasi catena, perché le soffoca, le priva entrambe di ogni libertà, non dà mai il comando a nessuna delle due, ed insegna ad entrambe la facoltà di decidere. Dove sono coloro che sono pronti a sopportare tutte le condanne pur di essere consolati dal piacere?

3. In effetti, quando le liti e gli odi reciproci portano via molto tempo, una non piccola parte del piacere viene spesso annullata. La schiavitú dovuta al fatto che l'uno è costretto a sopportare suo malgrado la cattiveria dell'altro, basta a gettare un’ombra su ogni godimento. Per questo quel beato apostolo cercò in un primo tempo di frenare con le esortazioni l'impulso del desiderio, ricordando la fornicazione, l'intemperanza ed il fuoco. Accortosi però che queste parole di rimprovero non avevano molta presa sui piú, per distoglierli ricorse ad un argomento molto piú forte, quello che aveva fatto dire ai discepoli "Non conviene sposarsi": si tratta del fatto che nessuna delle persone sposate è piú padrona di sé. Egli non l'introduce sotto forma di esortazione, ma dà ad esso la costrizione del precetto e del comandamento. Mentre dipende da noi lo sposarsi o no, non dipende piú da noi sopportare la schiavitú non volontariamente, ma nostro malgrado.

4. E perché mai? Perché quando all'inizio la scegliemmo, non l'ignoravamo, ma conoscevamo bene le sue prescrizioni e le sue leggi, e ci sottomettemmo spontaneamente al suo giogo. Dopo avere parlato di coloro che coabitano con mogli non credenti, avere passato in rassegna minutamente tutte le leggi del matrimonio, avere fatto un discorso su servi ed avere consolato questi ultimi in misura sufficiente, esortandoli a non degradare con lo stato di schiavitú la loro nobiltà spirituale, Paolo passa quindi a parlare della verginità: già da tempo teneva dentro di sé queste parole e desiderava spargerle come semi, ma solo ora le fa venire alla luce; neanche durante il discorso sul matrimonio era però riuscito a tacere del tutto.

5. Nella sua esortazione al matrimonio ne aveva infatti parlato, sia pure in modo breve e frammentario: esercitate le orecchie e disposte bene le menti degli ascoltatori con quest'ottimo metodo, preparò per le sue parole il migliore ingresso. Dopo avere rivolto un'esortazione ai servi — "siete stati comprati ad un certo prezzo, non diventate schiavi degli uomini" -, dopo avere ricordato i benefici del Signore; dopo avere cosí innalzato ed elevato al cielo i pensieri di tutti, pronunziò il discorso sulla verginità dicendo: "Per quanto riguarda le vergini, non ho un ordine del Signore, ma esprimo un parere, giacché se sono credente, lo devo alla sua misericordia". Eppure, pur non avendo degli ordini, quando parlavi dei credenti sposati alle non credenti legiferavi con grande autorità e prescrivevi: "Agli altri parlo io, non il Signore: un fratello che ha una moglie non credente, se costei desidera vivere con lui, non la scacci".

6. Perché allora non ti esprimi allo stesso modo a proposito delle vergini? Perché su quest’argomento Cristo ha chiaramente manifestato il suo volere, vietando che la cosa assumesse la costrizione propria di un ordine. La frase "chi è in grado d'intendere, intenda" lascia l'ascoltatore libero di scegliere. Parlando della continenza, l'apostolo dice: "Voglio che tutti gli uomini siano come me", vale a dire continenti. E ancora: "Dico ai non sposati ed alle vedove: è una buona cosa se rimangono come me". Parlando invece della verginità, non si cita mai come esempio, ma si esprime con molta riservatezza e circospezione, perché egli stesso non era riuscito a realizzare questa virtú: "Non ho un'ordine, dice.

7. Egli dà il suo consiglio solo dopo avere lasciata libera la scelta ed essersi conquistato il favore dell'ascoltatore. Poiché infatti la parola "verginità", non appena profferita, fa subito pensare ad un gran numero di fatiche, non dà subito inizio alla sua esortazione, ma predispone prima il discepolo, lasciandolo libero di vedere o no nelle sue parole un ordine e rendendo la sua anima docile e malleabile: solo dopo aver fatto questo si spiega meglio. Hai sentito parlare di verginità, parola che comporta fatiche e sudori. Non temere: non hai a che fare con un ordine, né con la costrizione di un comandamento; la verginità concede in cambio i propri beni a coloro che l'abbracciano spontaneamente, di loro libera scelta, mettendo sul loro capo una corona splendida e fiorente, mentre non punisce né forza contro il suo volere chi la rifiuta e non la vuole avvicinare.

8. L'apostolo ha saputo eliminare dal suo discorso ogni aspetto sgradevole e renderlo piacevole non solo cosí, ma anche dicendo che non era lui, ma Cristo, a concedere questo favore. Non ha detto infatti: per quanto riguarda le vergini non comando, ma "non ho un comando". E' come se avesse detto: se avessi rivolto quest’esortazione mosso dai miei pensieri umani, non avrei meritato alcuna fiducia; ma poiché essa corrisponde ai voleri di Dio, il pegno della fiducia è sicuro. Sono privo della facolta di dare un simile ordine, ma se volete ascoltare uno che come voi è schiavo di Cristo, ricordatevi che "esprimo un parere, come un uomo che deve alla misericordia del Signore la sua fede in lui".

9. E' giusto ammirare, in questo contesto, la grande abilità ed intelligenza del beato apostolo: preso tra due esigenze contrarie, raccomandare la sua persona in modo che il suo consiglio trovasse una buona accoglienza e non vantarsi troppo giacché non aveva saputo raggiungere questa virtú, riuscí subito in entrambi gl’intenti. Dicendo "Come un uomo che deve alla misericordia del Signore", raccomanda in un certo senso se stesso; d'altra parte, non mettendosi troppo in luce nel momento in cui agisce cosí, si umilia e si abbassa.

XLII. Dell'umiltà di Paolo

1. Egli non ha detto infatti: esprimo un parere perché mi è stato affidato il messaggio evangelico, perché sono stato ritenuto degno di essere il predicatore dei popoli, perché sono stato incaricato di dirigervi, perché sono il vostro maestro e la vostra guida. Che cosa dice invece? "Perché devo alla misericordia del Signore la mia fede in lui": in tal modo, adduce un motivo meno importante. L'essere semplicemente un fedele è infatti meno importante dell'essere il maestro dei fedeli. Ma anche ad un altro modo di umiliarsi egli ha pensato. A quale? Non ha detto: perché sono divenuto un fedele di Cristo, ma perché "devo alla misericordia del Signore la mia fede". Non ritenere doni di Dio solo l'apostolato, la predicazione e l'insegnamento: anche la mia fede in lui viene dalla sua misericordia. Sono stato ritenuto degno della fede non perché ne fossi degno, ma solo perché sono stato commiserato; e la misericordia è frutto della grazia, non del merito.

2. Di conseguenza, se Dio non fosse stato tanto misericordioso, non avrei potuto essere chiamato non solo "apostolo", ma neanche "fedele". Hai notato la buona disposizione d'animo del servitore, e la contrizione del suo cuore? Non si attribuisce nulla in piú degli altri, e quello che ha in comune con i suoi discepoli deriva, a suo dire, non da lui stesso ma dalla misericordia e dalla grazia di Dio usando queste parole, come se volesse dire: non rifiutatevi di accogliere il mio consiglio, giacché Dio non mi ha rifiutato la sua misericordia. Non rifiutatevi, anche perché si tratta di un parere, non di un ordine: dò un consiglio, non una legge. Nessuna legge ci proibisce di rivelare le cose utili che vengono in mente ad ognuno di noi, specie poi quando ciò avviene in seguito ad una richiesta degli ascoltatori, come nel vostro caso. "Penso — dice — che questa sia una buona cosa. Non vedi che il suo discorso si fa di nuovo umile, e si priva di ogni autorita? Avrebbe anche potuto dire: poiché il Signore non ha comandato la verginità, neanch'io la comando; visto che sono il vostro apostolo, mi limito a consigliarla e vi esorto ad imitarla.

3. Piú avanti, infatti, rivolgendosi a loro, dice: "Se per gli altri non sono l'apostolo, lo sono però per voi". Qui, invece, non dice nulla di tutto questo, ma usa le sue parole con molta circospezione: invece di "consiglio" dice "esprimo un parere", invece di "come maestro" dice "perché devo alla misericordia del Signore la mia fede im lui". E come se tutto ciò non bastasse a rendere dimesso il suo discorso, nel momento in cui comincia a dare i consigli ne diminuisce ancor piú l'autorità, in quanto non si limita ad enunciarli, ma ne spiega il motivo. "Penso che ciò sia una buona cosa — dice — a causa delle necessità presenti". Eppure, parlando della continenza, non aveva detto "penso", né aveva fornito spiegazioni, ma aveva detto soltanto "per loro è bene rimanere come me"; qui, invece, dice: "Penso che sia una buona cosa, a causa delle necessità presenti". Dicendo questo, non nutre dubbi sull'argomento — non sia mai! — ma intende rimettere tutto al giudizio degli ascoltatori. Il consigliere non pronunzia il verdetto con le sue parole, ma lascia dipendere tutto dalla decisione dell'uditorio.

 

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