Giovanni Crisostomo

De sacerdotio

Libro primo

Prologo

Amicizia di Giovanni e Basilio

I. Io avevo molti amici veraci e sinceri, i quali perfettamente conoscevano e osservavano le leggi dell’amicizia; ma uno fra gli altri molti vi era, il, quale tutti superandoli in intimità, studiava di lasciarne indietro di tanto, quanto essi distavano dalle persone semplicemente mie conoscenti. Questi era stato sempre in mia compagnia; avevamo intrapreso gli stessi studi sotto gli stessi maestri; eguale era fra noi la bramosia e diligenza per le esercitazioni retoriche a cui ci dedicavamo; eguale l’aspirazione e generata dallo stesso obbietto. Né solo al tempo in cui frequentavamo i nostri maestri, ma allorquando, toltone commiato, bisognava consigliarsi circa la miglior carriera da scegliere, anche in questo caso ci trovammo d’accordo. Esistevano inoltre fra noi altri rapporti indissolubilmente costanti. Poiché né l’uno poteva menare maggior vanto dell’altro circa l’importanza del luogo natio; né la sorte aveva dato a me ricchezza soverchia e a lui estrema povertà; ma anche la proporzione dei beni di fortuna eguagliava l’identità delle nostre intenzioni; egualmente distinto era il casato di ciascuno, ed eravamo unanimi in ogni pensiero. Se non che, quando fu deciso di dedicarci alla santa vita dei monaci e alla verace filosofia, non fu eguale per noi questo giogo; mentre dalla sua parte la bilancia alleggerita si elevava, io tuttora inceppato nei desideri mondani, trascinavo in basso la parte mia, e la impedivo di sollevarsi, opprimendola di vaneggiamenti giovanili. Qui pertanto durava bensì costante fra noi tutto il resto, come per l’innanzi, l’amicizia, ma la comunanza di vita venne spezzata, non essendo possibile intrattenere conversazioni fra persone che non condividevano le medesime cure. Quando poi anch’io un poco cominciai a emergere dal flutto della vita mondana, quegli mi accolse a braccia aperte, ma non riuscivo ancora a mantenermi di fronte a lui nell’eguaglianza in che ero stato sempre per l’innanzi. Poiché egli, superandomi d’età e dimostrando gran zelo, saliva più in su di me ed era tratto ad altezze grandi. Tuttavia essendo egli buono e facendo molto caso della mia amicizia, segregandosi da tutti gli altri s’intratteneva continuamente con me; e anche prima egli avrebbe voluto farlo, ma, come dissi, glielo impediva la mia indolenza. E per certo, uno che soleva sedere a giudice nel dicastero e che andava pazzo per gli spettacoli del teatro, non si sarebbe adattato a trovarsi sovente insieme con chi se ne stava di continuo inchiodato sui libri senza mai dare neanche una capatina in piazza. Per tal motivo egli stava separato da me; e poi che una buona volta mi ebbe guadagnato allo stesso regime di vita, d’un tratto soddisfece il desiderio concepito da lungo tempo, né tollerava d’abbandonarmi per ben che piccola parte della giornata, e finì per esortarmi affinché, lasciando ciascuno di noi la propria casa, avessimo ad abitare in comune; e a ciò m’aveva egli persuaso, e già si stava per attuare il disegno.

La madre si oppone al ritiro di Giovanni con l’amico Basilio

II. Ma i continui lamenti di mia madre mi impedirono di dare a lui questa consolazione, o piuttosto, di ricevere da lui questo dono. Poiché, inteso ch’essa ebbe questo mio disegno, prendendomi per mano mi condusse nelle sue stanze; indi fattomi sedere vicino, sul letto nel quale ella mi aveva dato alla luce, cominciò a versare copiose lacrime, e, più pietose delle lacrime, aggiunse poi le parole, in simile modo meco lagnandosi: "Io, diceva, o figliolo, non potei godere a lungo delle virtù di tuo padre ciò essendo piaciuto a Dio; poiché la morte di lui che tenne dietro alla tua nascita, fece te orfano c piombò me in una precoce vedovanza e nei malanni a quella connessi, tali che solo chi li ha sofferti può adeguatamente comprenderli. Non si può immaginare a quale bufera e a quale tempesta soggiace una fanciulla che, appena uscita dalla dimora paterna e inesperta di affari, venga d’improvviso gettata in un cordoglio intollerabile e costretta a sobbarcarsi a cure superiori all’età sua e alla sua stessa natura. Deve infatti, io credo, sorvegliare la negligenza dei servi e porsi in guardia dalle loro malizie; sventare le insidie dei parenti, tollerare fortemente i soprusi degli esattori e la loro esosità nell’esigere il pagamento delle imposte. Se poi il defunto si dipartì lasciando prole in tenera età, se è una bambina, anche in tal caso ciò arreca molte preoccupazioni alle madri, sebbene non incomba la necessità di grandi spese, né il timore dell’indigenza. Ma se si tratta di un figlio maschio, la riempirà ogni giorno di mille timori e di innumerevoli cure; lascio da parte i sacrifici di denaro che è costretta a sostenete, volendogli procurate una distinta educazione. Ciò nonostante, nessuna di queste difficoltà mi poté indurre a legarmi in seconde nozze e introdurre un secondo marito nella dimora di tuo padre: ma mi rimasi sola nella tempesta e nel turbine, né mi sottrassi al ferreo crogiolo della vedovanza, e ciò anzitutto in forza dell’aiuto venutomi dall’alto, poi perché non piccola consolazione mi recava in mezzo a quelle distrette, il vederti sempre a me vicino e il serbarmisi in te vivamente riprodotto il gentile riflesso delle sembianze del defunto; per questo e per essere tu ancora bambino né capace di articolare parola, in quell’età nella quale maggiormente i figli sono di diletto a’ parenti, mi fosti causa di grande consolazione. Né potresti incolparmi d’aver io bensì sopportato fortemente la vedovanza, ma assottigliati d’altra parte a te i beni paterni per sopperire alle necessita vedovili; cosa che io vidi toccare a molti figli travagliati da orfanezza. Io tutte le tue sostanze serbai intatte, mentre nulla risparmiai di ciò che occorreva spendere per la tua educazione, sopperendovi con i miei beni e con la dote che recai dalla mia casa. Né devi credere che io dica questo per fartene debito; ma in compenso di ogni cosa ti chiedo un solo favore, di non infliggermi una seconda vedovanza, né ridestare in me l’ambascia ornai sopita; aspetta sino a che io muoia: forse fra poco me ne andrò. I giovani possono nutrire speranza di giungere fino ad una tarda età, ma noi vecchi null’altro omai aspettiamo se non la morte. Quando adunque m’avrai consegnata alla terra e riunita con le ossa del padre tuo, allora intraprendi pure lunghi viaggi e naviga quel mare che ti piacerà; niuno te ne farà ostacolo; ma fin che io respiro stattene a me vicino. Né voler offendere senza ragione Iddio col procurare un tanto cordoglio a me che niuna ingiuria t’ho arrecata. Poiché se tu puoi muovermi rimprovero che io ti distragga fra cure materiali e ti costringa ad assumere la tutela della tua sorte, in tal caso senza badare alle leggi di natura, né all’educazione da me ricevuta, né all’intimità, né ad altra cosa qualsiasi, fuggimi pure quale insidiatrice e nemica; ma se invece io faccio di tutto per renderti massimamente agevole il cammino di questa vita, se altro non fosse, almeno questo vincolo ti trattenga al mio fianco. Ché se pure innumerevoli altri tu dica che ti sono amici, niuno ti permetterà di godere tanta libertà, poiché nessuno v’è a cui tanto stia a cuore la tua onoratezza, come a me".

Basilio insiste nel suo proposito. Improvvisa designazione all’episcopato. Giovanni si sottrae a insaputa dell’amico

III. Queste ed altre cose ancor più toccanti disse la madre a me ed io riferii all’amico. Egli però, non solo non se ne turbava, ma vie più insisteva nella proposta che prima mi aveva fatta.

Mentre noi discutevamo intorno a ciò, pregandomi egli continuamente e non avendo io per anco dato il mio assenso, d’un tratto una certa novella che giunse al nostro orecchio ci gettò ambedue nello sgomento: la novella era che noi avevamo da essere elevati alla dignità dell’episcopato. Io all’udire ciò fui preso da timore e ansietà: da timore di essere forzato anche contro mio volere; da ansietà perché non potevo raccapezzarmi, per quanto cercassi, donde mai fosse venuta a quelle persone una simile idea a mio riguardo; ché scrutando me stesso non trovavo nulla che fosse meritevole di quella dignità. Frattanto quell’impareggiabile amico recatosi da me in privato e confidandomi la cosa come se io nulla ne avessi per anco udito, mi pregava che anche in questa circostanza noi dovessimo dimostrarci di pieno accordo nell’agire e nel deliberare, come prima sempre avevamo fatto; soggiungeva che egli m’avrebbe accompagnato in qualunque parte avessi voluto condurlo, sia che fuggissimo, sia che dovessimo essere eletti. Vedendo io pertanto il suo zelo, e stimando di recare danno a tutta la comunità ecclesiastica qualora, a cagione della mia inettitudine privassi il gregge di Cristo d’un giovane così buono e così adattato per esercitare il governo degli uomini, non gli svelai il mio disegno riguardo a quella faccenda, sebbene per lo innanzi non avessi mai sopportato che rimanesse a lui nascosta qualsiasi parte delle mie intenzioni; ma dicendo che bisognava rimandare ad altro tempo la decisione, poiché per allora la cosa non era urgente, lo ebbi tosto persuaso di non pensare a ciò e di starsi tranquillo sul conto mio, che certo sarei stato d’accordo con lui qualora ci trovassimo in simile circostanza. Trascorso non molto tempo, giunto colui che doveva consacrarci ed essendomi io nascosto, egli non sapendo nulla di ciò, venne condotto via con una ragione plausibile; ricevette pertanto il giogo, confidando, da quanto gli avevo promesso, che io l’avrei senz’altro seguito, anzi credendo di venirmi addietro. E intanto alcuni fra i presenti, vedendolo triste per esser stato preso, lo ingannarono dicendo essere cosa strana che colui il quale sembrava a tutti più impetuoso, e alludevano a me, cedesse con molta calma al giudizio dei padri, e al contrario colui che era più assennato e modesto s’incaponisse e riluttasse, agitandosi, ricalcitrando e contraddicendo. Avendo poi egli ceduto a queste parole, appena seppe che io ero fuggito, venne presso di me, e dopo essersi rimasto a lungo costernato, alfine si sedette vicino e voleva pur dire qualcosa, ma trattenutone dall’ansietà, né potendo adeguare colla parola l’agitazione da cui era preso, tosto che apriva la bocca per parlare, n’era impedito, essendo la parola troncata dalla confusione prima di uscire fuori dai denti. Vedendolo io pertanto lacrimoso e tutto ripieno di turbamento e sapendone la cagione, mi posi a ridere per il gran piacere che provavo, e tenendogli la destra mi sforzavo di baciarlo, lodando Iddio che avesse fatto riuscire bene il tranello e secondo il mio desiderio. Ma egli come mi vide raggiante di gioia, e come prima intese d’essere stato da me ingannato, più fortemente si rodeva e si adontava.

Lagnanze di Basilio per l’inganno dell’amico

IV. Alfine riavutosi alquanto da quel turbamento di spirito: "Se anche, disse, hai posto in non cale i fatti miei e ormai non fai più nessun conto di me, per qual motivo non so, dovevi pur darti pensiero almeno della tua riputazione. Ora hai aperto le bocche di tutti, e ognuno va dicendo che tu hai rifiutato questo ministero per mondano attaccamento, né v’è alcuno che pensi a scolparti da simile accusa. A me poi non dà l’animo neanche di mostrarmi sulla piazza, tanti sono quelli che mi vengono incontro e ogni giorno mi fanno rimproveri. Se poi mi vedono apparire in qualche parte della città, prendendomi a quattr’occhi quanti sono con noi in rapporti di familiarità, versano su di me la maggior parte delle accuse. Poiché, dicono, conoscendo tu la sua intenzione né a te era mai nascosto nulla de’ suoi disegni non dovevi celarla a noi, ma rendercene informati; chè non ci sarebbe affatto mancato il mezzo di prenderlo. Onde io, che proprio ignoravo che tu da lungo tempo andassi maturando tale progetto, mi vergogno e arrossisco di rispondere a coloro, per timore che non abbiano a stimare la nostra una finta amicizia. E se anche è così, come non v’ha ormai dubbio, né potresti negarlo dopo quello che mi hai fatto, è pur cosa prudente il celare le nostre magagne agli altri, che hanno buona opinione di noi. Io rifuggo adunque dallo spiattellare loro in faccia la verità, dicendo come stanno fra noi le cose; sono quindi costretto a tacere e chinare gli occhi a terra, cercando di evitare e fuggire gli incontri, Ma se io pure sfuggirò alla prima accusa, sarò poi tacciato di menzogna, perché certo non vorranno credere mai che tu abbia collocato Basilio al livello di coloro ai quali non è lecito confidare i tuoi secreti. Or non voglio far troppe parole su ciò, poiché a te è così piaciuto; ma riguardo al resto, come potremo noi sopportare la vergogna? chi ti accusa di arroganza, chi di vanagloria; quelli poi fra i nostri accusatori che si mostrano più accaniti, ti addossano l’una e l’altra colpa, e aggiungono che tu hai fatto ingiuria a quelli che ti avevano proposto alla dignità. Aggiungono ancora esser ben giusto che quelli soffrano tale affronto da noi e che ne meriterebbero di maggiori; perché lasciati da parte tanti e tali altri candidati, prendono fanciulli ancor ieri e ieri l’altro ingolfati nelle affezioni mondane, e se appena abbiano per qualche tempo portato in giro gli occhi bassi, vestito panni bruni e ostentato compunzione, d’improvviso li elevano a una si augusta dignità, a cui neppure avrebbero sognato di giungere mai; mentre uomini che hanno durato in penitenza dalla prima età fino all’estrema vecchiezza, rimangono fra i sudditi, e comandano a loro gli imberbi che potrebbero esser loro figli, ignari delle leggi secondo le quali si deve questo governo esercitare. Queste ed altrettali dicerie ripetendo, mi stanno continuamente ai panni. Io non ho che rispondere in difesa a queste imputazioni, e però ti prego di suggerirmelo. Poiché io non credo già che tu abbia perpetrata questa tua fuga ingenuamente e senza un piano premeditato, affrontando l’inimicizia di sì alti personaggi, ma che ciò tu abbia fatto con qualche calcolo riflesso e con qualche idea preconcetta; onde io mi penso che avrai pronti gli argomenti per la tua difesa. Di’ adunque, se v’è qualche giusto pretesto che possiamo addurre ai nostri accusatori. Dell’ingiuria da te arrecatami non cerco alcuna ragione, né per avermi ingannato, né per avermi tradito, né di quanto nel passato ho fatto per te. Io veramente avevo preso, per così dire, l’anima mia e postala nelle tue mani; tu invece hai usato meco in guisa tanto subdola, come se avessi dovuto porti in guardia da un nemico. Per certo, se riputavi vantaggiosa questa nostra elezione, non dovevi privare te di tale vantaggio; se poi la credevi dannosa, dovevi allontanare il danno anche da me, che pur dicevi di apprezzare più d’ogni altro. Invece facesti il possibile per farmici cascare, e ti fu mestieri dell’inganno e della finzione verso chi soleva sempre fare e dire ogni cosa con te senza sotterfugi e con piena sincerità. Ma, come ho detto, non voglio rampognarti di questo ora, né rimpiango la solitudine in cui mi hai posto, troncando quelle conversazioni comuni, da cui sì gran piacere e non piccolo vantaggio tante volte ritraemmo. Lascio da parte ogni cosa, sopportando in silenzio e mitemente: già non facesti mitemente tu, ponendomi in non cale; ma da quel giorno in cui ricambiai d’affetto la tua amicizia, mi ero imposto questa legge, di non chiederti ragione di qualunque offesa piacesse a te di recarmi. Che poi non lieve danno tu m’abbia inflitto, lo sai tu stesso, seppure ti sovviene delle parole che gli estranei dicevano di noi e di quello che noi stessi dicevamo: cioè che grande vantaggio era per noi l’essere concordi e il farci riparo della reciproca affezione. E gli altri tutti asseveravano che pur a molti non poco frutto avrebbe portato la nostra unanimità. Io per vero non mi pensavo, per quanto dipendeva da me, di portar frutto ad alcuno; ma ben ritenevo che assai ci avrebbe giovato per non essere agevolmente sopraffatti da coloro che avessero voluto muoverci guerra. E non cessavo mai di ricordarti che l’età nostra è perversa; molti ci tendono insidie; l’amore sincero è sparito e vi è sottentrata la peste della gelosia; procediamo in mezzo ai tranelli e siamo esposti come coloro che combattono sugli spalti della città. Numerosi e da molte parti sopraggiungono quelli che sono pronti a rallegrarsi dei nostri mali, qualora alcuno ce ne accada, e niuno v’è che alle nostre sciagure vorrebbe partecipare, o pochissimi per certo. Guardati pertanto che, essendo noi discordi, non ci tocchi gran derisione, o peggio ancora, qualche malanno. "Il fratello sorretto dal fratello è come città forte e come un regno sbarrato"(Prv. 23,19); non voler dissolvere questa fraternità sincera, né infrangere la barra. Queste e molte altre cose io ti venivo sempre dicendo, nulla sospettando mai di simile, ma stimando i tuoi sentimenti verso di me saldi e intatti, e volendo suggerire rimedi non necessari a uno spirito sano; non mi pensavo certo, come sembra, che porgevo medicine a chi in realtà era malato. Ma, misero me, che neppure così trassi giovamento, né m’ebbi miglior sorte per questa mia gran previdenza! Gettando via in un fascio tutti quegli ammaestramenti, anzi neppur accogliendoli nel cuore, spingesti me inesperto in mezzo al pelago, come una nave priva di zavorra, senza pensare alle fiere tempeste che dovrò sostenere. Ché se mi occorrerà talora d’aver a sopportare calunnia o scherno o altra insolenza ed oltraggio ed è forza che. ciò m’accada, presso chi potrò cercare rifugio? a chi confidare i miei timori? chi vorrà assumere la mia tutela e, reprimendo gli oltraggiatori e impedendo loro di più oltre farmi ingiuria, mi conforterà e mi aggiungerà lena per tollerare l’ignoranza altrui? Nessuno v’è ormai, poi che tu ti rimani lontano da questo fiero o conflitto, né ti dà l’animo di udirne pur anco il frastuono. Or comprendi qual male hai commesso? riconosci ora, dopo aver inflitto il colpo, qual mortale ferita mi recasti? Ma questo lasciamolo, ché non si può disfare quel che oramai è fatto, né è dato trovare l’adito quand’è chiusa ogni via. Dimmi piuttosto: che cosa ho da dire agli estranei? come rispondere alle loro accuse?".

Fine del prologo. Prima parte della difesa di Giovanni. L’inganno può essere opportuno e lecito

V. Fa’ cuore, dissi, non solo sono pronto a dar ragione di tutto, ma mi studierò di giustificarmi, come saprò meglio, anche di quello onde mi accusi senz’ammettere giustificazione. Anzi, se ti piace, da questo appunto prenderò la mia difesa, perché sarebbe cosa sconveniente e molto irragionevole se, preoccupandomi dell’opinione degli estranei e adoperandomi in ogni modo per distruggere le imputazioni che ci muovono, non riuscissi a tranquillizzare il mio più diletto amico (colui che pur dicendosi da me ingiuriato, usò meco tanta moderazione da non voler neppure chiedermene conto, ma dimenticando le sue querele si preoccupa solo de’ fatti miei), dimostrandogli che non gli ho fatto alcuna ingiustizia; e sembrassi per tal modo più trascurato a suo riguardo di quanto egli si mostrò sollecito verso di me. In che dunque ti ho fatto ingiuria? Poiché da questo punto ho deciso di muovere nel pelago della mia difesa; gli è dunque perché t’ho ingannato e t’ho celato la mia intenzione? Ma io ti dico che ciò fu per tuo vantaggio e per vantaggio di coloro ai quali io ti ho consegnato mediante l’inganno. Infatti, se in ogni caso la frode è un male e in nessuno modo mai è da farne uso, allora io sono pronto a subire la pena che a te piacerà di richiedere; o meglio, poiché tu non sosterresti di infliggermela, io stesso pronuncerei contro di me quella condanna che i giudici recano contro i colpevoli quando questi vengono presi da’ loro accusatori. Se invece la frode non è sempre dannosa, ma diviene buona o cattiva a norma dell’intenzione di chi l’adopera, cessando di imputarmi l’inganno, tu devi dimostrare che questo io feci per tuo svantaggio; che se ciò non è, lungi dal muovere. biasimi e querele, le persone assennate dovrebbero per giustizia saper grado all’ingannatore. Ora l’inganno ben adoperato e applicato con retta intenzione è talmente vantaggioso, che molti dovettero spesso sottostare a pena per non averlo messo in opera.

Esempio tolto dall’arte militare

VI. Se ti piace di cercare fra i capitani da lunga pezza celebrati, troverai che la maggior parte di loro vittorie fu effetto di stratagemmi e vedrai pure che sono più lodati costoro di quelli altri i quali vinsero pugnando in campo aperto. Questi infatti pagando la vittoria con molto dispendio di denaro e di uomini, diedero vantaggio al nemico, di guisa che nulla giovò loro l’aver vinto, ma i vincitori furono in non minore angustia dei vinti, per via dei soldati da loro perduti e dell’erario esaurito. Inoltre non è dato loro di godersi la gloria delle armi, perché non piccola parte di essa tocca ai caduti nella battaglia i quali, pur vinti nei corpi, rimangono tuttavia vincitori nelle anime, e se era dato loro di serbarsi incolumi fra i colpi dei nemici e sfuggire così alla morte, non avrebbero certamente rallentato di coraggio. Ma il duce che riuscì a vincere mediante l’inganno, infligge ai nemici, oltre lo scacco, la derisione; perocché la lode di sagacia non tocca questa volta ad ambedue le parti come la lode della forza nel primo caso, ma qui il premio è tutto intero dei vincitori, e, ciò che non vale meno, essi serbano intera alla città la gioia della vittoria. Sono infatti cose diverse la ricchezza e il numero dall’accortezza della mente: quelle, col continuo usarne durante la guerra, si dissipano e lasciano all’asciutto i loro possessori; questa invece quanto più uno l’adopera, tanto più aumenta. Né solo durante la guerra, ma anche in tempo di pace può esservi grande e urgente bisogno d’usare l’inganno, non solo nei pubblici affari, ma anche in casa la moglie verso il marito e viceversa, il padre verso i figli, l’amico con l’amico e pur verso il padre i figlioli. La figlia di Saul non riuscì a trarre suo marito dalle mani del padre suo, se non usando verso di lui l’inganno. Il fratello di lei poi, volendo a sua volta salvare dal pericolo estremo quegli che già da lei era stato salvato, nuovamente pose in opera le stesse armi a cui la donna aveva ricorso.

Esempio tolto dall’arte medica

VII. Qui Basilio: Ma ciò non mi riguarda punto, disse; poiché io non sono per te nemico né avversario, né del numero di coloro che perpetrano l’ingiustizia, ma tutto all’opposto: perché essendomi io rimesso sempre al tuo consiglio, ti seguii là dove tu avevi indicato.

Ottimo e impareggiabile uomo, soggiunsi, appunto per questo io dissi prima che non solo in guerra ne solo contro i nemici, ma anche in pace e coi più intimi è buona cosa usare la frode. Per persuaderti poi che questa giova non solo a chi l’adopera, ma pure a chi la subisce, va’ e domanda a qualche medico con quali mezzi essi liberano gl’infermi dai loro malanni, e udrai che non solo con l’arte allontanano i morbi, ma che vi sono casi nei quali appigliandosi allo stratagemma e venendo con esso in soccorso all’arte, possono talora ricondurre l’infermo a sanità. E infatti, quando l’irritabilità dei malati e la perversità del male stesso non s’adattano ai consigli dei medici, allora é mestieri vestire la maschera dell’inganno per celare la vera natura delle cose, come accade sulle scene. Ti narrerò, se ti piace, uno stratagemma fra i molti che udii essere stati usati dai cultori dell’arte medica. Era sopraggiunta a un tale d’improvviso una gran febbre e l’ardore andava crescendo; il malato rifiutava i calmanti che gli si davano per sedarla e pregava con molta insistenza chi si recava a fargli visita, affinché gli porgesse vino in copia e gli desse di poter saziare quella brama mortale. Or chi gli avesse soddisfatto questo desiderio, non solo gli avrebbe vie più accesa là febbre, ma avrebbe gettato quell’infelice in preda al delirio. Allora, vacillando l’arte né avendo alcun rimedio ed essendo posta al tutto da un canto, vi sottentrò l’inganno, facendo prova di sua benefica efficacia, come tosto udrai. Il medico, preso un vaso di terra cotta uscito di fresco dalla fornace, lo immerse in grande quantità di vino; indi trattolo fuori vuoto e riempitolo d’acqua, ordina di oscurare con molte tende la stanza ove giaceva l’infermo, affinché la luce non palesasse l’inganno, e gli porge quindi il vaso da bere, come se fosse pieno di vino puro. Quegli, prima ancora di averlo tra mano, subito ingannato dal profumo che se ne spandeva, non sofferse neppure d’investigare su ciò che gli era porto, ma fidandosi all’odore e illuso dall’oscurità, spinto dalla brama tracannò con grande avidità il liquido e saziatosi spense tosto l’ardore che lo soffocava, scampando così dal pericolo imminente. Vedi il vantaggio dell’inganno? Ché se si volesse addurre tutti gli stratagemmi dei medici, non la si finirebbe più. Né solo coloro che curano i corpi, ma anche fra coloro che danno opera a curare le infermità spirituali, si può trovarne di quelli che spesso usarono tale rimedio. Con questo infatti il beato Paolo acquietò quella moltitudine di Giudei; con tale intenzione pure circoncise Timoteo colui il quale aveva mandato a dire ai Galati che Cristo non avrebbe giovato per nulla ai circoncisi; onde si sottopose alla Legge colui stesso che stimava un danno la giustificazione della legge dopo la fede in Cristo. Grande è invero l’efficacia dell’inganno, purché non venga adoperato con intenzione maligna; anzi non inganno si deve dire questo modo di agire, ma piuttosto una certa economia e saggezza, un’arte capace di trovare molte vie d’uscita nei luoghi impervi, e di correggere anche le negligenze dell’anima. Poiché io non chiamerei omicida Finees, sebbene d’un sol colpo uccidesse due persone; e neppure Elia in seguito ai cento soldati e a’ loro duci, e al torrente di sangue che fece scorrere con la strage dei sacerdoti idolatri. Che se ciò ammettiamo e se le azioni di coloro che quelle cose compirono, si considerano per se stesse, separatamente dall’intenzione, taluno potrà, se gli talenta, chiamare Abramo uccisore di suo figlio, ed il nipote ed il discendente di lui parimenti incolperà di misfatto e d’ingiustizia: perocché in tal guisa l’uno conquistò la precedenza naturale e l’altro trasferì le ricchezze degli Egizi nell’esercito degli Israeliti. Ma no, non é certo così: lungi tale empietà! Ché non solo li riteniamo incolpevoli, ma anzi, per queste stesse loro azioni li ammiriamo, poiché Dio stesso ne li lodò. Ed invero si deve chiamare giustamente ingannatore colui che usa il ripiego con fine ingiusto, non chi vi ricorre con retto consiglio. Ma d’altra parte spesso torna utile l’ingannare, per ritrarre da tale artificio i maggiori vantaggi: onde colui che vi s’induce con retto fine, cagionerebbe gravi mali a chi non venisse ingannato.

 

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