XI (X) – La musica, sei libri

11.1 In seguito, come ho già ricordato, ho scritto sei libri su La musica. Di questi è stato soprattutto il sesto ad ottenere notorietà, data la dignità del tema in esso affrontato. Vi si descrive infatti come dai ritmi corporei e da quelli spirituali, ma mutevoli, si giunge a quelli immutabili, che già si trovano nella stessa immutabile verità e come, per conseguenza, attraverso le creature, vengono comprese e conosciute le realtà invisibili relative a Dio. Ma vi si dice anche che coloro che non possono fare questa esperienza, e pur tuttavia vivono della fede in Cristo, addivengono dopo questa vita alla contemplazione di quelle verità con maggiore certezza e provando una gioia più grande. Coloro invece che sono in grado di farla, se manca loro la fede in Cristo, che è l’unico Mediatore fra Dio e gli uomini, sono destinati a perire con tutta la loro sapienza.

11.2 In questo libro ho detto: I corpi tanto più si avvantaggiano in dignità quanto più fruiscono di tali ritmi; l’anima invece trae vantaggio proprio dalla mancanza di questi ritmi, che riceve per tramite del corpo, tutte le volte che si affranca dai sensi della carne e si lascia informare dai ritmi divini della Sapienza. Queste parole non vanno però intese nel senso che i ritmi corporei non sussisteranno più nei corpi spirituali e incorruttibili, in quanto questi saranno molto più belli e armoniosi; e neppure si deve pensare che l’anima, giunta al massimo della perfezione, non avvertirà più quei ritmi dalla cui mancanza oggi trae vantaggio. In questa vita occorre che si affranchi dai sensi della carne per recepire le realtà intelligibili, e ciò avviene per la sua debolezza e per la sua incapacità a volgersi con uguale intensità ad entrambe le realtà. Rimanendo inoltre in una dimensione dominata dalla materia l’anima deve guardarsi dai rischi della seduzione per tutto il tempo in cui può essere stornata verso un piacere indecoroso. Nell’altra vita invece si rafforzerà e perfezionerà a tal punto che i ritmi legati alla materia non potranno più stornarla dalla contemplazione della Sapienza e li avvertirà senza esserne sedotta, ma anche senza avvantaggiarsi della loro mancanza. Tale sarà il suo grado di bontà e di rettitudine che tali ritmi non le sfuggiranno e, al tempo stesso, non la domineranno.

11.3 Ho anche detto: Questo stato di salute raggiungerà il massimo di consistenza e di certezza quando, in un tempo e secondo un ordine stabilito, questo corpo sarà restituito alla sua originaria stabilità· Non si deve intendere però con questo che dopo la risurrezione i nostri corpi non sopravanzeranno quelli dei primi uomini collocati nel paradiso. Basti pensare che, a differenza di questi ultimi, i corpi risuscitati non avranno più bisogno di alimenti di cui nutrirsi. La stabilità originaria va invece intesa nel senso che quei corpi non soffriranno più alcuna affezione dolorosa, così come non avrebbero potuto soffrirla gli uomini nati prima del peccato.

11.4 Ho anche detto in un altro passo: L’amore di questo mondo è fonte di maggiore affanno. Ciò che in esso l’anima cerca, l’eternità e la stabilità, non riesce a trovarlo: la bellezza di quaggiù trova il suo limite nel fluire delle cose e ciò che in esso imita la stabilità è trasmesso da Dio per tramite dell’anima, in quanto la bellezza che muta soltanto nel tempo precede quella che muta a seconda del tempo e dello spazio. Se possiamo intendere queste parole nel senso che per bellezza di quaggiù s’intende solo quella dei corpi degli uomini e degli animali che vivono fruendo del senso corporeo, l’affermazione risulta manifestamente conforme a ragione. Ciò che in questo tipo di bellezza imita la stabilità è il fatto che questi medesimi corpi conservano la loro struttura finché sussistono, una peculiarità che viene loro trasmessa dal sommo Iddio per tramite dell’anima. È l’anima che conserva tale struttura evitando che si dissolva e svanisca, il che è proprio quello che constatiamo nei corpi degli animali quando l’anima se ne allontana. Se però si deve intendere che la bellezza di quaggiù è presente in tutti i corpi, questa affermazione ci costringe a credere che il mondo stesso sia animato e che ciò che in esso imita la stabilità vi sia stato immesso dal sommo Iddio per tramite dell’anima. Ma che codesto mondo sia un essere vivente, come hanno ritenuto Platone e moltissimi altri filosofi, non ho potuto appurarlo con certezza né mi risulta che ce ne possa convincere l’autorità delle divine Scritture. Ho perciò definito avventata una consimile affermazione che mi è occorso di fare nel libro su L’immortalità dell’anima e che può essere interpretata in questo senso. Ciò però non significa che giudichi falsa questa dottrina, ma solo che non riesco neppure a convincermi che il mondo sia veramente un essere vivente. Non ho dubbi però che una cosa si debba dare per certa, che non è un dio codesto mondo, sia che possegga un’anima, sia che non la possegga. Se la possiede è stato certamente il nostro Dio a crearla; in caso contrario codesto dio non può essere di nessuno, né tanto meno il nostro. Anche però nel caso che il mondo non sia un essere vivente, è perfettamente legittimo credere che vi sia una potenzialità spirituale e vitale, una potenzialità che nei santi angeli è al servizio di Dio al fine di conferire al mondo bellezza e ordine e che ad essi stessi rimane incomprensibile. Intenderei qui designare con l’espressione angeli santi ogni santa creatura d’ordine spirituale impegnata nell’occulto e misterioso servizio di Dio. Ma non è nell’uso della Sacra Scrittura ricorrere al termine anima per indicare gli spiriti angelici. E veniamo a quanto ho detto verso la fine di questo libro: I ritmi razionali e intelligibili propri delle anime sante e beate accolgono in sé, senza intermediari, la stessa legge divina senza la quale non cade foglia dall’albero e dalla quale è fissato il numero dei nostri capelli e la trasmettono all’ordine giuridico che domina la terra e gli inferi. Non vedo come il termine anime possa trovare una giustificazione sulla base delle Sacre Scritture, dal momento che in questo passo non intendevo riferirmi se non agli angeli a proposito dei quali non ricordo di aver mai letto nei testi canonici che abbiano un’anima.

Questo libro incomincia così: Troppo a lungo in realtà.

XII (XI) – Il maestro, un libro

12 Nel medesimo periodo scrissi un libro intitolato Il maestro. In esso si discute, si indaga e si scopre che il maestro che insegna la scienza all’uomo altro non è se non Dio, secondo quanto è scritto nel Vangelo: L’unico vostro maestro è Cristo· Questo libro incomincia così: Che cosa ti sembra che noi intendiamo fare quando parliamo?

XIII (XII) – La vera religione, un libro

13.1 Allora scrissi anche un libro su La vera religione. Nella discussione ivi contenuta si dimostra con svariate e numerose argomentazioni che con la vera religione si deve onorare l’unico vero Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo; si mette inoltre in evidenza con quale suo grande atto di misericordia la religione cristiana, che è la vera religione, sia stata concessa agli uomini attraverso un disegno legato alla temporalità e si illustra come l’uomo debba essere predisposto al medesimo culto di Dio mediante una ben definita condotta di vita. Questo libro però parla soprattutto contro le due nature dei Manichei.

13.2 In un passo di questo libro ho detto: Abbi per certo e per acquisito che non avrebbe potuto esserci alcun errore nella religione se l’anima non onorasse, in luogo del suo Dio, un’anima o un corpo o delle creazioni della sua immaginazione· In questo caso ho usato il termine anima per indicare una qualsiasi creatura incorporea. Non ho però seguito l’uso delle Scritture che, ove non ne facciano un uso traslato, sembrano ricorrere a quel termine per indicare il principio vitale degli animali mortali dei quali fanno parte anche gli uomini finché sono mortali. Poco dopo ho espresso in forma migliore e più breve il medesimo concetto con le parole: Non poniamoci al servizio della creatura in luogo del Creatore·e non perdiamoci nei nostri vani pensieri·se così facciamo la nostra religiosità raggiunge la perfezione. Col medesimo termine ho indicato entrambe le creature, sia quella spirituale, sia quella materiale. Resta l’espressione: creazioni della sua immaginazione, che spiega perché nel nuovo passo ho detto: e non perdiamoci nei nostri vani pensieri.

13.3 Ho anche detto: Questa è, ai nostri tempi, la religione cristiana conoscendo e seguendo la quale si ottiene la salvezza col massimo di sicurezza e di certezza. Mi sono espresso così facendo riferimento al nome e non alla realtà ch’esso designa. In effetti quella che ora prende il nome di religione cristiana, esisteva già in antico e non fu assente neppure all’origine del genere umano, finché venne Cristo nella carne. Fu allora che la vera religione, che già esisteva, incominciò ad essere chiamata cristiana. Quando, dopo la risurrezione e l’ascensione in cielo, gli Apostoli incominciarono a predicare il Cristo e moltissimi divennero credenti, fu ad Antiochia che per la prima volta, come è scritto, i suoi discepoli furono chiamati "·Cristiani·"·. Per questo ho detto: Questa è ai nostri tempi la religione cristiana, non perché un tempo non esistesse, ma perché più tardi prese questo nome.

13.4 In un altro passo ho detto: Concentrati, con la maggiore attenzione e pietà possibile, su quanto dirò, è a chi segue tale linea che Dio porge il suo aiuto. L’affermazione non va però intesa nel senso che Dio aiuti solo costoro e non anche quelli che hanno un diverso comportamento; e li aiuta per far sì che siano anch’essi come i primi, perché si impegnino nella ricerca con diligenza e pietà. Quanto ai primi li aiuta perché riescano a trovare. Ho anche detto in un altro passo: Ne deriverà quindi che, dopo la morte del corpo, che dobbiamo al primo peccato, il nostro corpo, a suo tempo e secondo l’ordine che gli è proprio, sarà restituito alla stabile condizione che aveva all’origine. L’affermazione va intesa nel senso che l’originaria, stabile condizione del nostro corpo, che abbiam perso col peccato, era così vantaggiosa da non subire il decadimento della vecchiaia. A questo stato originario il nostro corpo sarà restituito al momento della risurrezione dei morti. Ma avrà in più il vantaggio di non doversi sostenere con alimenti materiali: a lui basterà per alimentarsi essere vivificato dal solo spiritouna volta che sarà risuscitato come spirito datore di vita· ed allora sarà anche spirituale. Quello che fu il primo corpo, benché non fosse destinato a morire, qualora l’uomo non avesse peccato, fu invece creato animale, vale a dire come anima vivente.

13.5 E ancora: Ora il peccato è un male talmente legato alla volontà che in nessun modo potrebbe essere peccato se non fosse volontario· Questa definizione può sembrare falsa, ma, a ben esaminarla, si rivela verissima. Bisogna qui pensare a quel peccato che è solo peccato, non a quello che è anche punizione del peccato, come ho dimostrato in precedenza nel ricordare alcune espressioni tratte dal terzo libro del mio scritto su Il libero arbitrio Eppureanche quelli che non senza ragione son detti peccati involontari, perché perpetrati per ignoranza o costrizione, non possono in ogni caso essere commessi senza l’intervento della volontà: anche chi pecca per ignoranza, pecca comunque volontariamente, in quanto ritiene di dover fare ciò che non va fatto. E anche chi, per la violenza esercitata dalla concupiscenza della carne contro lo spirito, non fa ciò che vuole, dà sfogo alla sua concupiscenza senza volerlo e, in tale condizione, non fa ciò che vuole; se però si lascia vincere, ciò significa che acconsente volontariamente alla concupiscenza e non fa, in tal caso, se non ciò che vuole, non vincolato alla giustizia e schiavo del peccato· E anche quello che nei bambini è detto peccato originale, benché essi non fruiscano ancora del libero arbitrio della volontà, non è assurdo chiamarlo volontario in quanto, una volta contratto a causa del primo cattivo uso della volontà da parte dell’uomo, è divenuto, in certo qual modo, ereditario. Non è dunque falso quanto ho detto: Il peccato è un male talmente legato alla volontà che in nessun modo potrebbe essere peccato se non fosse volontario. È in virtù della grazia divina che non solo vien cancellata la colpa dei peccati passati in tutti coloro che vengono battezzati in Cristo, il che avviene per l’azione dello Spirito di rigenerazione, ma anche negli adulti vien sanata la stessa volontà e vien predisposta da Dio, il che si deve allo spirito di fede e di carità.

13.6 In un altro passo in cui ho detto del Signore Gesù Cristo che non operò nulla con la violenza, ma tutto con la persuasione e l’ammonizione· non mi ero ricordato che cacciò dal tempio con la frusta i venditori e i compratori· Ma qual è la sostanza e l’effettiva portata di tale episodio (anche se è vero che cacciò, loro malgrado, i demoni dagli uomini non con parole persuasive, ma con la forza del suo potere)? E in un altro passo: Bisogna in primo luogo seguire coloro che ritengono che l’unico Dio supremo sia anche l’unico vero e l’unico degno di culto. Se poi in loro non dovesse risplendere la verità, ci si dovrebbe rivolgere altrove. Potrà sembrare che io mi sia espresso così quasi che dubitassi della verità di questa religione. In realtà ho usato quelle parole perché si addicevano a colui al quale al momento mi stavo rivolgendo. Ho detto infatti così: Se poi in loro non dovesse risplendere la verità, senza avere il minimo dubbio ch’essa risplende di fatto in loro. Anche l’Apostolo dice: Se Cristo non è risuscitato·, ma non certo perché dubiti che la risurrezione sia avvenuta.

13.7 È certamente vero quanto ho scritto: Non si è permesso che quegli straordinari miracoli si protraessero fino ai nostri tempi, per evitare che l’anima cercasse sempre segni visibili e che il genere umano, che si era esaltato per la straordinarietà di quei fatti, diminuisse la tensione a causa dell’abitudine·. Oggi non accade più, quando si impone la mano ai battezzati, ch’essi ricevano lo Spirito Santo unitamente alla facoltà di esprimersi nelle lingue di tutti i popoli. Neppure accade più che i malati riacquistino la salute se sfiorati dall’ombra provocata dal passaggio dei predicatori di Cristo. E ciò vale per tutti gli altri fatti di allora che, come si sa, non si sono più verificati. Ma quanto ho detto non va certo inteso nel senso di escludere che oggi si verifichino dei miracoli in nome di Cristo. Io stesso, nel tempo in cui attendevo alla stesura di questo libro, ero venuto a conoscenza di un cieco che aveva riacquistato la vista a Milano, vicino ai corpi dei martiri di quella città e sapevo di altri fatti del genere di quelli che anche oggi si verificano in così gran numero che non possiamo né conoscerli tutti né contare quelli che conosciamo.

13.8 In un altro passo ho detto: Come dice l’Apostolo: "·Ogni ordine deriva da Dio·". In realtà l’Apostolo non si è espresso con queste parole, anche se il senso risulta identico. Le esatte parole da lui pronunciate sono: Tutto ciò che esiste è ordinato da Dio. Altrove ho detto: Nessuno ci inganni: ciò che è con giusta ragione biasimato, vien respinto al paragone con ciò che è meglio. L’affermazione riguardava le nature e le sostanze: queste erano infatti l’oggetto della disputa, non le buone azioni e i peccati. Così pure in un altro passo ho detto: Un uomo non deve essere amato da un altro uomo alla stregua dei fratelli di sangue, o dei figli, o dei coniugi, o di coloro che sono fra loro parenti o affini o concittadini: si tratta anche in questo caso di forme di affetto limitate nel tempo. E noi non avremmo questo tipo di relazioni che ci riguarda in conseguenza della nascita o della morte se la nostra natura si fosse conservata ligia ai precetti e coerente con l’immagine di Dio e non fosse caduta nel presente stato di corruzione. Per parte mia disapprovo del tutto questa posizione come ho già fatto a proposito del primo libro de La Genesi difesa contro i Manichei. Essa conduce alla conclusione che quella prima coppia non avrebbe generato altri uomini se non avesse peccato, quasi che dall’unione di un uomo e di una donna dovessero nascere di necessità creature destinate a morire. Non avevo ancora considerato la possibilità che da creature immortali potessero nascere altre creature immortali, ove la natura umana non si fosse corrotta in conseguenza di quel grave peccato. Non avevo supposto che, permanendo in genitori e figli una favorevole disposizione a generare, gli uomini potessero moltiplicarsi fino a raggiungere un numero di santi pari a quelli predestinati da Dio e che gli uomini potessero nascere non per succedere ai loro genitori quando sopravvenisse la morte, ma per regnare assieme a loro in vita. Se nessuno avesse peccato, ci sarebbero stati ugualmente questi rapporti di parentela e affinità e nessuno morirebbe.

13.9 In un altro passo ho detto: Volgendoci all’unico Dio e legando a lui solo le nostre anime – di qui si ritiene che derivi il termine religione – teniamoci al sicuro da ogni superstizione. In queste mie parole è espressa l’etimologia del termine religione che più mi soddisfaceva. So che autorevoli studiosi della lingua latina hanno proposto per questo vocabolo un’altra origine, supponendo che religio sia detto così perché religitur [è rieletto, scelto di nuovo]. Questo verbo è un composto di legere, cioè eligere [eleggere, scegliere], sì che in latino religere equivale a eligere [eleggere].

Questo libro incomincia così: Poiché la via per ogni vita buona e felice.

XIV (XIII) – Sull’utilità di credere, a Onorato, un libro

14.1 Quando ero già sacerdote ad Ippona scrissi un libro su L’utilità di credere. Ne era destinatario un mio amico che sapevo irretito dai Manichei e ancora invischiato in quell’errore. Per lui nella disciplina imposta dalla fede cattolica era oggetto di riso che agli uomini fosse ordinato di credere senza che venisse loro insegnato con solidi argomenti quale fosse la verità. In questo libro ho detto: Nei precetti e nei comandamenti della legge ai quali, nel tempo presente, non è lecito al cristiano attenersi, quali o il sabato o la circoncisione o i sacrifici e altre consimili imposizioni, sono contenuti misteri così grandi che chiunque abbia sentimento religioso comprende che non v’è nulla di più dannoso che interpretare alla lettera, cioè parola per parola, il contenuto di quelle leggi, nulla di più salutare che farlo rivelare dallo Spirito. Di qui il detto: "·La lettera uccide, lo Spirito dà la vita·". Ho spiegato diversamente queste parole dell’apostolo Paolo nel libro intitolato Lo spirito e la lettera e quella spiegazione, per quanto sembra a me o, piuttosto, per quanto emerge dalle cose stesse, è più adeguata. Anche però quella che si dà qui non è da respingere.

14.2 Ho anche detto: Due sono le categorie di persone che meritano lode in fatto di religione. L’una è quella di coloro che hanno già trovato e che si debbono necessariamente giudicare i più felici. All’altra appartengono quelli che conducono la loro ricerca con grande impegno ed onestà. I primi sono già pervenuti al possesso dell’oggetto della loro aspirazione, gli altri sono in cammino, ma seguono un percorso che permette di giungere con assoluta certezza alla mèta. Se queste mie parole vanno intese nel senso che coloro che han già trovato e che abbiamo detto essere giunti al possesso, debbono essere considerati i più felici, non in quanto già lo sono in questa vita, ma lo saranno in quella che è nelle nostre speranze e alla quale tendiamo attraverso la via della fede, non c’è errore nella mia affermazione. Si deve infatti ritenere che a trovare ciò che va ricercato siano stati coloro che già dimorano dove noi desideriamo giungere cercando e credendo, seguendo cioè la via della fede. Se invece si ritiene che costoro siano felici o lo siano stati in questa vita, non mi sembra che sia questa la verità. Ed affermo questo non perché durante questa vita non vi sia alcuna verità che sia comprensibile dalle nostre facoltà intellettuali, e non oggetto di sola fede, ma perché tale verità, quale che sia, non può fornire il massimo di felicità a chi la possiede. Né si può dire che per la nostra mente rimanga incomprensibile l’oggetto dell’espressione dell’Apostolo: Ora vediamo attraverso uno specchio, confusamente come in un enigma, o dell’altra: Ora solo in parte. È certamente comprensibile, ma non conferisce ancora il massimo della felicità. A concedere il massimo della felicità è la situazione espressa nelle parole: allora faccia a faccia, e: allora conoscerò allo stesso modo in cui sono conosciuto. Di coloro che hanno sperimentato tale situazione si può veramente dire che sono in possesso della felicità alla quale ci conduce il cammino di fede che percorriamo e che costituisce il punto d’arrivo che desideriamo raggiungere credendo. Molto però si discute sull’individuazione delle creature al massimo della felicità che già posseggono ciò cui tende questa nostra via. Che già si trovino in tale situazione gli angeli santi non è oggetto di controversia. La questione invece riguarda giustamente gli uomini santi già defunti, dei quali ci si chiede se debbano essere considerati fruitori di quel possesso. Già sono stati liberati dal corpo corruttibile, che è un peso per l’anima, ma ancora attendono, anche loro, la redenzione del proprio corpo, mentre la loro carne si acqueta nella speranza, ma non risplende ancora nel futuro stato di incorruttibilità. Non è però questa la sede per discutere e indagare se da questa loro condizione possa derivare un qualche impedimento a contemplare la verità con gli occhi del cuore e, secondo quanto è detto, faccia a faccia. Allo stato di felicità di cui s’è detto va riferita anche l’altra mia affermazione: È motivo di grandissima felicità conoscere tutto quanto è grande, degno d’onore o anche divino. In questa vita, quale che sia l’estensione di tale conoscenza, si è ancora ben lontani dal massimo della felicità in quanto incomparabilmente più ampia del noto è la dimensione dell’ignoto.

14.3 Consideriamo quanto ho detto: C’è molta differenza fra il tenere per certa una verità sulla base di una precisa argomentazione del pensiero – un procedimento che denominiamo sapere per scienza – e l’affidarla alla tradizione orale o agli scritti perché i posteri, credendo ad essa, ne siano avvantaggiati. E consideriamo anche ciò che ho detto poco dopo: Ciò che sappiamo per scienza lo dobbiamo alla ragione, ciò che crediamo all’autorità. Orbene, non si pensi che con affermazioni siffatte abbiamo inteso esprimere il timore che nel nostro comune modo di esprimerci si dica di avere scienza di qualcosa cui in realtà si crede soltanto sulla base di adeguate testimonianze. Quando ci esprimiamo secondo una rigorosa proprietà di linguaggio diciamo di avere scienza solo di ciò che comprendiamo attraverso una solida argomentazione mentale. Quando invece ricorriamo a espressioni più vicine all’uso corrente, che è poi il linguaggio della divina Scrittura, non esitiamo a dichiarare di avere scienza sia di ciò che percepiamo attraverso i sensi del nostro corpo, sia di ciò che crediamo sulla base di testimoni degni di fede, pur comprendendo la differenza che c’è fra i due tipi di conoscenza.

14.4 Ho anche detto: È un principio non soggetto a dubbio che tutti gli uomini sono o stolti o saggi. L’affermazione potrebbe sembrare in contrasto con quanto si legge nel terzo libro Sul libero arbitrioQuasi che la natura umana non fosse in grado di tenere un atteggiamento intermedio fra la stoltezza e la saggezza. In realtà questo è stato detto al momento in cui ci si chiedeva, a proposito del primo uomo, se fosse stato creato saggio o stolto o non contemplasse, in origine, nessuna delle due tipologie. Non potevamo infatti in nessun modo definire stolto chi era stato creato senza difetto – mentre grave difetto è la stoltezza – e d’altra parte non risultava abbastanza chiaro come potessimo definire saggia una creatura che poté essere sedotta. È per questo che, per riassumere, ho deciso di dire: Quasi che la natura umana non fosse in grado di tenere un atteggiamento intermedio fra la stoltezza e la saggezza. Mi rendevo conto che anche dei bambini, che dobbiamo ammettere abbiano contratto il peccato originale, non possiamo dire che siano né saggi né stolti, visto che non fruiscono né in bene né in male del libero arbitrio. Dicendo in questo passo che gli uomini sono o stolti o saggi ho voluto che l’affermazione s’intendesse riferita a quelli che già fruiscono della ragione, la facoltà che distingue gli uomini dagli animali. E’ nello stesso senso che noi diciamo che tutti gli uomini vogliono essere felici. Forse che nel fare questa affermazione così vera ed evidente dobbiamo temere che vengano implicati anche i bambini che ancora non possono avere questa aspirazione?

14.5 In un altro passo, dopo aver ricordato che le azioni miracolose compiute dal Signore quando dimorava in un corpo di carne, ho aggiunto queste parole: Perché, si dirà, questi fatti non accadono più? Ed ho risposto: Perché non desterebbero meraviglia se non fossero straordinari, mentre se rientrassero negli eventi consueti, non desterebbero più meraviglia. Ho detto questo poiché non si danno più né fatti così imponenti né in così gran numero e tutti assieme, non perché non se ne verifichino di simili anche oggi.

14.6 Ho detto alla fine del libro: Poiché questo nostro discorso si è protratto oltre i limiti che mi aspettavo, è giunto il momento di por fine al libro. Voglio però tu tenga presente che in esso non ho ancora incominciato a confutare i Manichei e non mi sono ancora gettato sulle loro sciocchezze né ho detto qualcosa di importante sulla stessa Chiesa cattolica. Ho solo voluto scalzare da te, ove mi fosse possibile, la falsa opinione sui veri Cristiani che ci è stata insinuata con malizia o per ignoranza e di elevarti alla conoscenza di verità sublimi e divine. Questo volume resti dunque qual è. Quando il tuo animo sarà più sereno, io sarò forse più disponibile per spiegarti tutto il resto. Non avevo affermato questo volendo dare ad intendere che non avevo ancora scritto nulla contro i Manichei o che nulla avevo affidato ai miei scritti che riguardasse la dottrina cattolica. Al contrario i tanti volumi da me precedentemente pubblicati testimoniano che da parte mia non era stato passato sotto silenzio né l’uno né l’altro tema. È in questo libro indirizzato a lui che

non avevo ancora incominciato a confutare i Manichei e non mi ero ancora gettato sulle loro sciocchezze  avevo detto qualcosa di importante sulla stessa Chiesa Cattolica. Speravo, dopo questo inizio, di mettere per iscritto per lui quanto in quest’opera non avevo ancora scritto.

Questo libro incomincia così: Se a te, o Onorato, apparisse la stessa e identica cosa.

 

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