IV – I Soliloqui, due libri

4.1 Nel frattempo scrissi altri due volumi per soddisfare una mia ardente aspirazione, quella di cercare razionalmente la verità su ciò che più intensamente desideravo conoscere; e l’ho fatto rivolgendo domande e rispondendo a me stesso, quasi che io e la mia ragione fossimo due realtà distinte, mentre ero presente io solo. Di qui il titolo di Soliloqui da me assegnato a quest’opera. Essa è rimasta incompiuta e pur tuttavia nel primo libro, attraverso la ricerca, si giunge comunque alla rappresentazione delle caratteristiche di chi aspira ad attingere la sapienza, quella sapienza che si raggiunge non col senso del corpo, ma con la mente; e alla fine del libro, con una ben definita argomentazione, si conclude che ciò che partecipa veramente dell’essere è immortale; nel secondo libro si dibatte a lungo, senza terminare il discorso, il tema dell’immortalità dell’anima.

4.2 In questi libri non approvo di aver detto in una preghiera: O Dio, che hai voluto che solo i puri conoscessero il vero·. Si può obiettare che anche molti che non sono puri conoscono molte verità. Inoltre in quella sede non vien definito quale sia il vero che solo i puri possono conoscere né che cosa significhi conoscere. Non approvo neppure l’altra frase: O Dio, il cui regno è tutto il mondo, che il senso non può conoscere·. Se per oggetto del conoscere si deve intendere Dio si sarebbe dovuto integrare così: che il senso del corpo mortale non può conoscere; se invece è il mondo ad essere ignorato dal senso, si dovrà intendere quello che verrà con cielo nuovo e terra nuova·. Ma anche in questo caso sarebbe stata necessaria l’integrazione: "·senso del corpo mortale·". Io però seguivo la comune consuetudine per cui si parla propriamente di senso solo in rapporto a quello del corpo. Non occorre comunque continuamente ripetere ciò che ho già scritto anche in precedenza· basta ricordarlo ogni qualvolta questo modo di esprimersi ricorre nei miei scritti.

4.3 E quando ho detto del Padre e del Figlio: È una cosa sola chi genera e chi è generato·, avrei dovuto dire "·sono una cosa sola·", come la Verità stessa proclama quando dice: Io e il Padre siamo una cosa sola·. Non approvo neppure di aver detto che in questa vita l’anima può esser felice una volta che abbia conosciuto Dio·: l’affermazione potrebbe forse essere valida, ma solo a patto che tale felicità sia oggetto di speranza. Quanto all’affermazione che l’unione con la sapienza non si raggiunge seguendo un’unica via·, non suona bene, è come se si affermasse che esiste un’altra via oltre al Cristo il quale ha affermato: Io sono la via. Si sarebbe dovuto evitare di turbare in questo modo la sensibilità degli spiriti religiosi, anche se è vero che altra è la via universale, altre le vie a proposito delle quali cantiamo nel Salmo: Fammi conoscere le tue vie, Signore, e insegnami i tuoi sentieri·. Anche nell’affermazione che bisogna del tutto fuggire da codeste realtà sensibili·, si sarebbe dovuto evitare il sospetto che facessimo nostra la posizione dello pseudofilosofo Porfirio, secondo il quale si deve fuggire da ogni realtà corporea·. Non ho detto " da tutte le realtà sensibili ", ma solo da quelle di questo mondo soggette a corruzione. Avrei dovuto piuttosto dire: non ci saranno più realtà sensibili come queste nel cielo nuovo e nella terra nuova del mondo che verrà.

4.4 Ho anche detto in un passo che gli esperti nelle discipline liberali ne recuperano sicuramente la conoscenza in se stessi dove giace nell’oblio attraverso l’apprendimento e, in certo qual senso, la dissotterrano·. Anche questo non incontra la mia approvazione. C’è piuttosto da ritenere che anche degli indotti siano in grado di fornire risposte conformi a verità su talune discipline, quando vengon fatte loro delle domande in forma corretta; ma ciò avviene perché risplende in loro la luce della ragione eterna nella quale contemplano, nei limiti in cui è dato loro di farlo, le verità immutabili, non perché le abbiano conosciute un tempo e se ne siano poi dimenticati, come hanno creduto Platone e quelli che la pensano come lui. Contro la loro opinione ho già dissertato nel dodicesimo libro su La Trinità, nei limiti in cui l’argomento affrontato me ne offriva l’occasione.

Quest’opera incomincia così: Considerando dentro di me molte e svariate questioni.

V – L’immortalità dell’anima, un libro

5.1 Dopo i libri dei Soliloqui, rientrato a Milano dalla campagna, scrissi un libro Sull’immortalità dell’anima, che avevo concepito come un promemoria in vista del completamento dei Soliloqui, che erano rimasti incompiuti. Non so come, però, e contro le mie intenzioni lo scritto divenne di pubblica ragione ed è menzionato fra i miei opuscoli. Innanzitutto per il procedere contorto delle argomentazioni e per l’estrema concisione è così oscuro, che è anche per me molto faticoso concentrarmi nella sua lettura, e a malapena riesco a ricavarne un senso.

5.2 Ma c’è dell’altro. In un’argomentazione di quel libro, nella quale prendo in considerazione solo le anime degli uomini, ho detto: Non ci può essere disciplina in chi non apprende·; analogamente in un altro passo ho detto: Nulla abbraccia la scienza se non ciò che è di pertinenza di una qualche disciplina·. Non avevo considerato che Dio non apprende nessuna disciplina, ma possiede la conoscenza di tutto e che in tale conoscenza è compresa anche quella del futuro. Pure erronea è l’altra mia affermazione che l’unione di vita e ragione non appartengono che all’anima·; neppure in Dio infatti c’è vita senza ragione, che anzi vita e ragione sono in lui al massimo grado; altrettanto errato è quanto ho detto un po’ prima: Ciò che è oggetto del pensiero è sempre lo stesso·. Anche l’anima è oggetto del pensiero, eppure non è sempre la stessa. Quanto all’altra affermazione – l’anima non si può separare dalla ragione eterna poiché non è ad essa unita spazialmente· – non mi sarei espresso così se fossi stato tanto esperto nelle Sacre Scritture da ricordarmi quanto è scritto: I vostri peccati vi separano da Dio·. Da ciò è possibile comprendere che ci può essere separazione anche di quanto era unito non spazialmente, ma spiritualmente.

5.3 Non sono riuscito a ricordare che cosa intendessi dire con la frase: L’anima, se manca del corpo, non è in questo mondo·. Forse che l’alternativa per le anime dei morti è o di non mancare del corpo o di non essere in questo mondo, quasi che gli inferi non siano in questo mondo?. Poiché però assegnavo all’espressione mancare del corpo una valenza positiva, è possibile che col termine corpo intendessi designare i mali del corpo. Se è così devo ammettere di essermi servito in modo troppo inusitato del vocabolo corpo. Frutto di sconsideratezza è anche quest’altro tratto: Attraverso l’anima da parte della Somma Essenza vien data una forma al corpo, in virtù della quale è tutto ciò che è. In virtù dell’anima dunque il corpo sussiste ed acquista esistenza, per il principio stesso da cui è animato sia in generale come il mondo sia in particolare come un qualsiasi essere fornito d’anima che è nel mondo·. Tutto ciò è stato detto con estrema sconsideratezza.

Questo libro incomincia così: Se una disciplina ha una sua sede specifica.

VI – Libri sulle discipline, un libro*

6. Nel medesimo torno di tempo in cui soggiornavo a Milano in attesa di ricevere il battesimo tentai anche di portare avanti un’opera in più libri sulle discipline, coinvolgendo nella discussione, attraverso la tecnica dell’interrogazione, le persone che erano con me e che non rifuggivano da quel tipo di interessi. Mi ripromettevo così, seguendo un ben articolato e graduale percorso, di giungere io stesso e di condurre gli altri alla conoscenza delle realtà incorporee passando prima attraverso quelle corporee. Di quel progetto sono però riuscito a condurre a termine solo il libro su La grammatica, che non ho più trovato nel mio armadio, e sei libri su La musica limitati a quella parte che prende il nome di ritmo. Ho scritto questi sei libri da battezzato, dopo essere rientrato in Africa dall’Italia: in quel di Milano infatti avevo appena abbordato la trattazione di tale disciplina. Delle altre cinque discipline, alle quali avevo pure posto mano in quella medesima circostanza, vale a dire la dialettica, la retorica, la geometria, l’aritmetica, la filosofia, sono rimasti solo gli inizi appena abbozzati, anch’essi scomparsi dall’armadio, ma che suppongo siano ancora in possesso di qualcuno.

VII (VI) – La morale della Chiesa cattolica e la morale dei Manichei, due libri

7.1 Avevo già ricevuto il battesimo e, soggiornando a Roma, non me la sentii di tollerare in silenzio la presunzione dei Manichei. Forti della loro ingannevole continenza o astinenza costoro, per ingannare gli ignari, si pongono al di sopra dei veri Cristiani, coi quali non possono ambire ad alcun possibile confronto. Scrissi allora due libri, uno su La morale della Chiesa cattolica, l’altro su La morale dei Manichei.

7.2 Nel libro su La morale della Chiesa Cattolica avevo adottato come testimonianza un passo scritturistico così redatto: Per causa tua veniamo colpiti per una intera giornata, siamo stati considerati alla stregua di pecore da macello·. Mi aveva tratto in inganno la scorrettezza del mio esemplare, non avendo io ricordato l’esatta lezione, data la scarsa consuetudine che allora avevo con le Scritture. Infatti altri esemplari contenenti la stessa traduzione non recano: per causa tua siamo colpiti, bensì: per causa tua siamo colpiti a morte, espressione che altri, servendosi di un unico vocabolo, rendono con: siamo fatti morire. Che si tratti del testo esatto è provato dai codici recanti la versione greca delle Scritture antiche fatta dai Settanta e dalla quale deriva quella latina. Eppure proprio partendo dalle parole: per causa tua siamo colpiti, ho potuto impostare delle discussioni la cui sostanza non me la sento di disapprovare. Non sono però assolutamente riuscito a provare, partendo da quelle parole, l’accordo fra antiche e nuove Scritture. Ho chiarito l’origine del mio errore: sono però ugualmente riuscito a dimostrare sufficientemente quell’accordo sulla base di altri testi.

7.3 Poco più avanti, ho addotto un passo del Libro della Sapienza secondo l’esemplare in nostro possesso dove si leggeva: La Sapienza insegna la sobrietà, la giustizia e la virtù·. Anche partendo da queste parole ho potuto discutere delle verità, ma ero occasionalmente addivenuto alla loro scoperta attraverso un errore. Che c’è di più vero del fatto che la Sapienza insegna la verità della contemplazione, concetto che ritenevo espresso dal termine "·sobrietà·", o che insegna la correttezza dell’agire, che pensavo indicata dagli altri due termini: "·giustizia·" e "·virtù·"? Ma i codici migliori di quella traduzione recano: insegna la sobrietà e la sapienza e la giustizia e la virtù. Con questi termini il traduttore latino ha inteso designare le quattro virtù che entrano soprattutto nel linguaggio filosofico: chiama sobrietà la temperanza, assegna alla prudenza il nome di sapienza, nomina la fortezza mediante il termine virtù ed ha tradotto solo la giustizia col suo nome. Molto tempo dopo, consultando gli esemplari greci, ho constatato che nel Libro della Sapienza le quattro virtù sono designate con gli esatti vocaboli loro assegnati dai Greci. Analogo è il caso di questo passo del libro di Salomone – Vanità dei vanitosiha detto l’Ecclesiaste – una frase che ho letto in questa forma in molti manoscritti. Non così però il testo greco che reca: Vanità delle vanità·. In seguito ho constatato che erano migliori gli esemplari latini che recano delle vanità, non dei vanitosi. Risulta comunque tutto vero ciò che ho detto traendo spunto da questo errore, come si evince dal contenuto di tutta la mia esposizione.

7.4 Ho anche detto: Quello stesso che desideriamo conoscere, cioè Dio, amiamolo prima con amore pieno·. Sarebbe stato meglio dire "·sincero·", anziché pieno, per evitare che si pensasse che l’amore di Dio non sarà maggiore quando lo vedremo faccia a faccia·. S’accetti dunque l’espressione, ma intendendo per pieno ciò di cui non vi può essere nulla di più grande durante la nostra peregrinazione terrena guidata dalla fede. Il nostro amore sarà pieno, anzi pienissimo, ma al momento della visione diretta? Analogamente di coloro che soccorrono i bisognosi ho detto che vengono chiamati misericordiosi, anche se sono talmente saggi da non provare più alcun dolore nell’animo. La frase non va intesa nel senso che, secondo me, vi sarebbero in questa vita saggi di questo tipo: infatti non ho detto "·quando sono·", ma: anche se sono.

7.5 In un altro passo ho detto: Una volta che questo amore umano abbia nutrito e rafforzato l’anima e questa, attaccata alle tue mammelle, sia stata messa in grado di seguire Dio, una volta che la sua Maestà abbia incominciato a manifestarsi entro limiti sufficientemente ampi per chi soggiorna in questa terra, ne nasce un tale ardore di carità e l’amore divino erompe in un tale incendio da distruggere col fuoco ogni vizio, da restituire all’essere umano santità e purezza e da mostrare quanto sia degna di Dio l’affermazione: "·sono un fuoco che consuma·"·. I Pelagiani su questa base potrebbero attribuirmi l’affermazione che tale perfezione possa toccarci in questa vita mortale. Si guardino però bene dal farlo. L’ardore della carità, messo in grado di seguire Dio e reso così grande da consumare tutti i vizi, può senza dubbio nascere e svilupparsi in questa vita. Non può però raggiungere compiutamente quaggiù lo scopo per cui ha nascimento, quello di togliere all’uomo ogni menda, anche se resta vero che un risultato così grande si realizza compiutamente grazie a questo stesso ardore di carità quando e dove è possibile. E come il bagno della rigenerazione lava la macchia di tutti i peccati che la nascita dell’uomo portò con sé e che contrasse la sua iniquità, così possa quella perfezione purificarlo dalle brutture di tutti i vizi senza dei quali non vi sarebbe per l’uomo debolezza alcuna in questo mondo. Così vanno intese anche le parole dell’Apostolo: Cristo ha amato la Chiesa e si è offerto per essa purificandola col bagno dell’acqua unito alla parola, sì da far sorgere dinanzi a sé una Chiesa gloriosa, senza macchia né ruga né consimili imperfezioni·. Nella attuale situazione è il bagno dell’acqua unito alla parola che purifica la Chiesa. Ma poiché essa, finché è quaggiù, è unanime nel dire: rimetti i nostri peccati·, è chiaro che in tale situazione non è del tutto senza macchia o ruga o difetti consimili. Da quanto tuttavia riceve quaggiù, vien condotta verso quella gloria e quella perfezione che qui non esiste.

7.6 Nell’altro libro intitolato La morale dei Manichei ho scritto: La bontà di Dio dispone le creature che hanno deviato in modo ch’esse vengano a trovarsi nella posizione che loro maggiormente conviene, in attesa che, restaurato l’ordine dei loro movimenti, ritornino al punto a partire dal quale avevano deviato·. Queste parole non vanno intese nel senso che tutte ritorneranno al punto a partire dal quale avevano deviato, come aveva sostenuto Origene ·, ma vanno riferite solo a quelle creature che di fatto compiono questo ritorno. Non ritorneranno infatti a Dio, dal quale si sono allontanati, coloro che saranno puniti col fuoco eterno; né ciò è in contrasto col fatto che tutte le creature che hanno deviato sono disposte in modo da trovarsi nella posizione che loro maggiormente conviene: per coloro infatti che non ritorneranno è perfettamente congruente trovarsi nei tormenti. In un altro passo ho scritto: Nessuno dubita che gli scarabei nascano da fimo plasmato a forma di palla e da essi sepolto·; in realtà molti dubitano che ciò sia vero e molti altri non ne hanno neppure sentito parlare.

Quest’opera inizia così: In altri libri penso di aver sufficientemente trattato.

 

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