LEGGENDA MINORE

 

(Vita breve di san Francesco)

 

DI

 

SAN BONAVENTURA DA BAGNOREGIO

 

Composta da Bonaventura probabilmente a Parigi nel 1260/1262 contemporaneamente alla Leggenda maggiore, questa Vita breve o Leggenda minore fu scritta per essere letta ad uso corale durante l’ottava della festa di san Francesco (secondo l’uso del tempo), in sostituzione della precedente Leggenda corale che Tommaso da Celano aveva ricavato, verso il 1230, dalla sua Vita prima. Siccome quest’ultima non corrispondeva più all’immagine che del proprio fondatore l’Ordine francescano era venuto configurandosi, nell’occasione del Capitolo generale di Narbona del 1260 s’imposero anche alcuni ritocchi all’Ufficio ritmico composto da Giuliano da Spira attorno al 1231/1232 e che, insieme con le letture corali, costituiva la solenne ufficiatura del Santo.

Questa Vita breve è sostanzialmente, e spesso anche verbalmente, un compendio della Leggenda maggiore. Anche in così breve trattazione Bonaventura, com e già nella sua opera maggiore, (Leg. mag., Prologo, 3), non omette un particolare di carattere autobiografico: «Mia madre, quando io ero ancora fanciullo, fece voto per me a san Francesco, perché ero malato gravemente...» (VIII, Lezione VIII).

 

 


 

 

 

INCOMINCIA LA

VITA BREVE DEL BEATO FRANCESCO

 

 

LA CONVERSIONE

 

LEZIONE I

 

La grazia di Dio, nostro salvatore, è apparsa in questi ultimi tempi, nel suo servo Francesco.

Il Padre della misericordia e della luce gli venne incontro con la dolcezza e l’abbondanza delle sue benedizioni, come appare luminosamente dal corso della sua vita, e non soltanto dalle tenebre del mondo lo attrasse alla luce, ma lo rese anche famoso per il dono singolare di virtù perfette e per i meriti.

Lo indicò, inoltre, come segno particolarmente luminoso per mezzo degli splendenti misteri della Croce che dispiegò intorno a lui.

Nato nella città di Assisi, dalle parti della valle di Spoleto, egli dapprima fu chiamato Giovanni dalla madre; poi, Francesco, dal padre: e certo egli tenne, quanto al suono, il nome imposto dal padre, ma, quanto al significato, realizzò quello del nome imposto dalla madre.

Durante l’età giovanile fu allevato nelle vanità, in mezzo ai vani figli degli uomini, e, dopo un’istruzione sommaria, venne destinato alla lucrosa attività del commercio: eppure, per l’assistenza e la protezione divina, non seguì gli istinti sfrenati della carne, benché in mezzo a giovani licenziosi, e, benché in mezzo a mercanti tesi al guadagno, non ripose la sua speranza nel danaro e nei tesori.

 

LEZIONE II

 

Dio, infatti, aveva immesso nel cuore del giovane Francesco, insieme con una dolce mansuetudine, una particolare generosità e compassione verso i poveri.

Crescendo con lui fin dall’infanzia, questa aveva ricolmato il suo cuore di tanta bontà che egli si propose di dare a chiunque gli chiedesse, specialmente se chiedeva per amore di Dio: non era più, ormai, uno che ascoltasse il Vangelo da sordo.

Proprio nel fiore della giovinezza si legò al Signore con la ferma, solenne promessa di non dire mai di no, se ne aveva la possibilità, a quanti gli chiedevano qualcosa per amore del Signore. Continuando ad osservare così nobile promessa fino alla morte, incrementò in misura sempre più copiosa l’amore verso Dio e la grazia.

Era sempre viva nel suo cuore questa fiammella dell’amor di Dio; ma egli, adolescente ancora e involto nelle preoccupazioni terrene, non conosceva il mistero della chiamata celeste; finché scese su di lui la mano del Signore ed egli fu purificato nel corpo da una malattia grave e lunga e fu illuminato nell’anima dall’unzione dello Spirito Santo.

 

LEZIONE III

 

Quando, in seguito, ebbe riacquistate, comunque, le forze del corpo e mutato in meglio lo spirito, incontrò inaspettatamente un cavaliere, nobile di stirpe, ma povero di sostanze. Correndo col ricordo a Cristo, re generoso e povero, si sentì spinto verso quell’uomo da una pietà così grande che depose i suoi vestiti decorosi e appena acquistati e subito, spogliando se stesso, ne rivestì l’altro.

La notte successiva, mentre riposava, Colui per amore del quale aveva soccorso il cavaliere bisognoso, si degnò di mostrargli con una rivelazione un palazzo magnifico e grandioso, in cui c’erano armi da combattimento contraddistinte con il segno della croce e gli promise e garantì con sicurezza che tutto quanto aveva visto sarebbe stato suo e dei suoi commilitoni, se avesse impugnato intrepidamente il vessillo della Croce di Cristo.

Da allora egli si sottraeva al chiasso degli affari e del pubblico e cercava luoghi solitari, amici al pianto; là, abbandonandosi a gemiti inesprimibili, dopo lunghe e insistenti preghiere, con le quali chiedeva al Signore di indicargli la via della perfezione, meritò di essere esaudito, secondo i suoi desideri.

 

LEZIONE IV

 

Difatti, uno di quei giorni, mentre pregava, così, tagliato fuori dal mondo, gli apparve Cristo Gesù, con l’aspetto di uno confitto sulla croce e gli fece sentire, interiormente quella parola del Vangelo: Chi vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Quella parola fu tanto, efficace che, all’interno dello spirito, lo infiammò con il fuoco dell’amore e lo riempì con l’amarezza della compassione E mentre, guardando la visione sentiva sciogliersi l’anima, il ricordo della passione di Cristo si stampò nell’intimo del suo cuore, fin nelle midolla. Tanto che, dentro di sé, vedeva quasi ininterrottamente, con gli occhi dell’anima, le piaghe del Signore crocifisso e, al di fuori, riusciva a stento a trattenere le lacrime e i sospiri.

E siccome, a confronto dell’amore di Cristo, ormai gli riuscivano spregevoli tutti i beni della sua casa e li stimava come un nulla, sentiva di avere scoperto il tesoro nascosto e la splendente pietra preziosa. Attratto dal desiderio di possederli, decideva di staccarsi da tutte le cose sue e di scambiare, mercanteggiando secondo lo stile di Dio, gli affari del mondo con quelli del Vangelo.

 

LEZIONE V

 

Una volta uscì nella campagna, a meditare. Mentre passava vicino alla chiesa di San Damiano, che minacciava rovina per la eccessiva vecchiezza, si senti spinto dallo Spirito ed entrò a pregare. Prostratosi davanti all’immagine del Crocifisso, durante la preghiera fu ricolmato da non poca dolcezza e consolazione. E mentre, con gli occhi pieni di lacrime, fissava lo sguardo nella croce del Signore, udì con le orecchie del corpo in modo mirabile una voce che proveniva dalla croce e che per tre volte gli disse: «Francesco, va, ripara la mia casa, che, come vedi, va tutta in rovina».

Alla stupefacente esortazione di quella voce mirabile, l’uomo di Dio dapprima rimase atterrito; poi, colmo di gioia e di ammirazione, prontamente si alzò, e si impegnò totalmente a compiere l’incarico di riparare l’edificio esterno della chiesa: ma l’intenzione principale della Voce era diretta alla Chiesa, che Cristo acquistò con lo scambio prezioso del suo sangue, come lo Spirito Santo gli avrebbe insegnato ed egli stesso in seguito avrebbe rivelato ai suoi intimi.

 

LEZIONE VI

 

Poco dopo, nella misura in cui poté, distribuì tutto quanto per amore di Cristo; offrì del denaro al sacerdote poverello di quella chiesa, per la riparazione della medesima e per l’uso dei poveri e umilmente gli chiese che gli permettesse di dimorare con lui per qualche tempo.

Il sacerdote accondiscese a farlo rimanere, ma ricusò il denaro per paura dei genitori di lui. Perciò egli, ormai autentico spregiatore della ricchezza, scagliò su una finestra la borsa con l’oro, stimandolo merce vile, polvere abbietta.

Sentendo, poi, che, a causa di questo, suo padre era infuriato contro di lui, per lasciar tempo all’ira, si tenne nascosto per alcuni giorni in una fossa segreta, digiunando, pregando e piangendo. Finalmente, ricolmato di singolare letizia spirituale e rivestito di potenza dall’alto, uscì fuori fiduciosamente ed entrò animosamente in città. Vedendolo con il volto squallido e l’animo cambiato e, perciò, ritenendolo uscito di senno, i ragazzi gli scagliavano contro «il fango delle piazze», come si fa contro un pazzo, e lo insultavano con grandi schiamazzi: il servo del Signore, per nulla piegato o turbato da alcuna ingiuria, passava come sordo in mezzo a tutti.

 

LEZIONE VII

 

Suo padre, poi, più di tutti infuriato e fremente, quasi dimentico della pietà naturale, trascinò il figlio a casa e cominciò a tormentarlo: lo percosse e lo mise in catene, al fine di riuscire, mentre ne spezzava il corpo con le pene, a piegarne l’animo verso le attrattive del mondo.

Finalmente dovette costatare, per esperienza sicura, che il servo del Signore era prontissimo a sopportare qualsiasi difficoltà per Cristo. Siccome vide molto chiaramente che non avrebbe potuto farlo desistere, incominciò ad esercitare forti pressioni su di lui perché adisse insieme con lui il vescovo della città e, nelle mani di lui, rinunziasse ad ogni diritto di eredità sulle sostanze paterne.

Il servo del Signore spontaneamente si offrì di eseguire questo progetto e, non appena giunse alla presenza del presule, non soffri indugi, non temporeggiò su nulla, non pretese parole e non ne rese: anzi, piuttosto, depose tutti quanti i vestiti, al punto che gettò via anche le mutande e, come ebbro di spirito, non temette di denudarsi totalmente, per amore di Colui che per noi pendette nudo sulla Croce.

 

LEZIONE VIII

 

Da allora, spregiatore del mondo, sciolto dalle catene delle bramosie terrestri, abbandonata la città, sicuro e libero andava cantando in mezzo ai boschi lodi al Signore, in lingua francese. Imbattutosi nei briganti, non ebbe paura, l’araldo del Gran Re, e non interruppe la laude: viandante seminudo e spoglio d’ogni cosa, godeva della tribolazione, secondo lo stile degli apostoli.

Da allora, amante di tutta l’umiltà, si dedicò ad onorare i lebbrosi, per imparare, prima di insegnarlo, il disprezzo di sé e del mondo, mentre si assoggettava alle persone miserabili e ripudiate, col giogo del servizio.

E in verità, prima egli era abituato ad avere in orrore i lebbrosi più che ogni altra categoria di uomini, ma quando l’effusione della grazia divenne in lui più copiosa egli si diede come schiavo ad ossequiarli con tanta umiltà di cuore che lavava i piedi e fasciava le piaghe e spremeva fuori la marcia e ripuliva la purulenza.

Perfino, per eccesso di fervore inaudito, si precipitava a baciare le piaghe incancrenite: poneva, così, la sua bocca nella polvere, saziandosi di obbrobri, per assoggettare con piena potestà l’arroganza della carne alla legge dello spirito e, soggiogato il nemico di casa, ottenere in pacifico possesso il dominio di sé.

 

LEZIONE IX

 

Fondato, ormai, nell’umiltà di Cristo e ricco di povertà, benché non possedesse proprio nulla, si diede tuttavia a riparare la chiesa, secondo la missione a lui assegnata dalla croce, con tale slancio che sottoponeva al peso delle pietre il corpo fiaccato dai digiuni e non aborriva dal richiedere l’aiuto dell’elemosina anche a coloro con i quali aveva avuto l’abitudine di vivere da ricco.

Inoltre, aiutato dalla pietà dei fedeli, che già avevano incominciato a riconoscere nell’uomo di Dio una virtù straordinaria, riparò non soltanto San Damiano, ma anche le chiese, cadenti e abbandonate, dedicate al Principe degli apostoli e alla Vergine gloriosa.

In tale modo egli preannunciava misteriosamente, col simbolo dell’azione esterna e sensibile, quanto il Signore si proponeva di realizzare per mezzo di lui negli spiriti.

Come, infatti, sotto la guida di quest’uomo santo furono riparati quei tre edifici, così doveva essere riparata in maniera triforme la Chiesa di Cristo; secondo la forma, la Regola e la dottrina da lui date. Di questo era stato un segno preannunciatore anche la voce venuta a lui dalla croce, che aveva replicato per tre volte l’incarico di riparare la casa di Dio e questo noi ora costatiamo realizzato nei tre Ordini da lui istituiti.

 

II

 

FONDAZIONE DELL’ORDINE.

EFFICACIA NELLA PREDICAZIONE

 

LEZIONE I

 

Così era ormai compiuto il restauro delle tre chiese. Mentre egli dimorava assiduamente in quella dedicata alla Vergine, favorito dai meriti di Colei che profferse il prezzo della nostra salvezza, meritò di scoprire la via della perfezione, mediante lo spirito della verità evangelica in lui divinamente infuso.

Un giorno, durante la celebrazione della Messa, si leggeva quel brano del Vangelo, nel quale i discepoli vengono inviati a predicare e viene dettata ad essi la norma della vita evangelica: non possedete oro né argento né rame nelle vostre cinture, non borsa da viaggio né due tuniche, né sandali, né bastone: subito, a tali parole, lo investì e rivestì lo Spirito di Cristo con tale potenza che lo trasformò in quella norma di vita, non solo in rapporto al modo di conoscere e di sentire, ma anche in rapporto al modo di vivere e di vestire.

Immediatamente depose le calzature, gettò via il bastone, ripudiò borsa e denaro e, contento di una sola tonacuccia, lasciò la cintura e come cingolo prese una fune e mise tutto lo slancio del cuore nel ricercare in quale modo realizzare le cose sentite e rendere se stesso in tutto conforme alla regola della santità apostolica.

 

LEZIONE II

 

Finalmente, tutto acceso dalla forza fiammeggiante dello Spirito di Cristo, cominciò, come un altro Elia, a farsi appassionato predicatore della verità; cominciò ad avviare alcuni alla giustizia perfetta; cominciò ad avviare tutti gli altri a penitenza.

Non erano, i suoi, discorsi vani o degni di riso: erano pieni della forza dello Spirito Santo; erano tali che penetravano nel profondo del cuore: suscitavano perciò, forte stupore negli ascoltatori e piegavano, con la loro forza e la loro efficacia, la mente degli ostinati.

Siccome il suo proposito, sublime e santo, veniva a conoscenza di molti attraverso la semplice veracità sia della sua dottrina sia della sua vita, alcuni incominciarono a sentirsi animati a penitenza dal suo esempio e a lasciare tutto per unirsi strettamente con lui, nell’abito e nella vita: l’umile uomo giudicò che si chiamassero «frati minori».

 

LEZIONE III

 

In seguito alla chiamata di Dio, il numero dei frati era ormai salito a sei. Il loro pio padre e pastore, trovato un luogo solitario, in molta amarezza di cuore piangeva sulla sua vita di adolescente, trascorsa non senza colpa: mentre chiedeva perdono e grazie, per sé e per la prole, che in Cristo aveva generato, si sentì invadere da una singolare, esuberante letizia e si sentì garantire che tutte le colpe gli erano state rimesse pienamente: fino all’ultimo quadrante.

Rapito, perciò, al di fuori di sé e totalmente assorbito in una luce vivificante, luminosamente vide gli avvenimenti futuri che riguardavano lui e i suoi frati, come egli stesso, in seguito, rivelò familiarmente a conforto del piccolo gregge, quando preannunciò che per la clemenza di Dio l’Ordine avrebbe progredito e si sarebbe ampliato.

In pochi giorni alcuni altri si unirono a lui e raggiunsero il numero di dodici. Perciò il servitore del Signore stabilì di presentarsi alla Sede Apostolica con quell’adunata di uomini semplici, per chiedere con umiltà e insistenza alla stessa santissima Sede di confermare con la sua autorità plenaria la norma di vita che il Signore antecedentemente gli aveva mostrata e che egli aveva anche scritta con brevi parole.

 

LEZIONE IV

 

Egli, dunque, si affrettava per presentarsi, secondo quanto stabilito, al cospetto del Sommo Pontefice, papa Innocenzo III. Ma lo prevenne, nella sua degnazione e clemenza, Cristo potenza e sapienza di Dio, che, per mezzo di una visione, ammonì il suo Vicario a prestare ascolto con dolcezza e ad acconsentire con benevolenza alle suppliche di quel poverello.

Difatti il Pontefice romano vide in sogno la Basilica Lateranense che stava ormai per crollare e un uomo poverello, piccolo e spregevole, che la sorreggeva, mettendovi sotto le proprie spalle, perché non cadesse.

Il saggio pontefice, pertanto, contemplando nel servitore di Dio la povertà, la costanza nel perseguire la perfezione, lo zelo per le anime, l’infocato fervore di una volontà santa, esclamò: «Veramente questi è colui che con l’opera e la dottrina sorreggerà la Chiesa di Cristo». Perciò, concependo da allora speciale devozione verso di lui e inchinandosi in tutto alle sue richieste, approvò la Regola, conferì il mandato di predicare la penitenza, concesse tutte le cose domandate e liberamente promise che di più ne avrebbe concesso in seguito.

 

LEZIONE V

 

Contando, da allora, sulla grazia che viene dall’alto e sull’autorità del Pontefice, Francesco affrontò con molta fiducia il cammino verso la valle Spoletana, deciso a realizzare coi fatti e ad insegnare con la parola la verità della perfezione evangelica, che aveva concepita nella mente e promessa in voto con la professione.

Mosse, inoltre, con i compagni la questione se dovevano vivere abitualmente in mezzo alla gente o appartarsi nei luoghi solitari. Dopo aver indagato con l’insistenza della preghiera quale fosse il volere divino su questo punto, fu illuminato dal responso di una rivelazione celeste e comprese che egli era stato inviato da Dio a questo scopo: guadagnare a Cristo le anime, che il diavolo si sforza di rapire.

Stabilì, perciò, che bisognava scegliere di vivere per tutti, piuttosto che per sé solo.

Si raccolse con i frati in un tugurio abbandonato, vicino ad Assisi, per viverci con tutti i rigori della vita religiosa, secondo la norma della santa povertà e predicare alle popolazioni la parola di Dio, secondo l’opportunità del tempo e del luogo.

Divenuto, dunque araldo del Vangelo, si aggirava per città e paesi, annunciando il regno di Dio non con il linguaggio dotto della sapienza umana, ma nella potenza dello Spirito Santo: il Signore dirigeva quel parlatore con rivelazioni anticipatrici e confermava la sua parola con i prodigi che la accompagnavano.

 

LEZIONE VI

 

Una volta, com’era suo costume, egli era intento a vegliare in preghiera, fisicamente lontano dai figli.

Verso la mezzanotte, mentre alcuni dei frati dormivano, alcuni pregavano, un carro di fuoco di mirabile splendore, sopra il quale era posto anche un globo di fuoco luminosissimo, in forma di sole, entrò dalla porticina della dimora dei frati e per tre volte si volse in qua e in là per l’abitazione.

A quella vista meravigliosa e preclara, rimasero stupefatti quelli che vegliavano; furono, insieme destati e atterriti quelli che dormivano: e avvertirono con pari intensità la chiarezza del cuore e quella del corpo, giacché, per virtù di quella luce mirabile, la coscienza di ciascuno fu nuda davanti alla coscienza di tutti gli altri.

Compresero tutti concordemente, mentre tutti leggevano nel cuore di ciascuno, che il Signore aveva fatto vedere loro il santo padre Francesco trasfigurato in quella immagine, per significare che egli era venuto nello spirito e nella potenza di Elia ed era stato eletto principe della milizia spirituale, cocchio di Israele e suo auriga.

E, appunto, il Santo, ritornato tra i frati, incominciò a fortificarli spiritualmente, sulla base della visione mostrata loro dal cielo, cominciò a scrutare minutamente i segreti delle loro coscienze e a predire, inoltre, il futuro e a risplendere con tali miracoli da mostrare chiaramente e palesemente come il duplice spirito di Elia si era posato su di lui con la sua pienezza, così che incamminarsi dietro la sua dottrina e la sua vita era per tutti la cosa più sicura.

 

LEZIONE VII

 

Un religioso, di nome Morico, che apparteneva allora all’Ordine dei Crociferi, si trovava in un ospedale vicino ad Assisi, colpito da una infermità così grave e così prolungata da farlo credere ormai prossimo a morte.

Divenuto un supplicante per interposta persona, chiedeva insistentemente all’uomo di Dio di volere intercedere presso Dio in suo favore.

Accondiscese benevolmente l’uomo pietoso e, dopo aver pregato, prese delle briciole di pane, le mescolò con l’olio della lampada che ardeva davanti all’altare della Vergine e, per mano dei frati, fece portare all’infermo quello speciale elettuario, dicendo: «Questa medicina, portatela al nostro fratello Morico: per mezzo di essa la potenza di Cristo non soltanto gli ridonerà piena salute, ma lo farà diventare un robusto combattente tra le nostre file, e ci resterà per sempre».

Appena l’infermo ebbe assaggiato quell’antidoto, fabbricato per invenzione dello Spirito Santo, si alzò sano e ottenne da Dio tanta vigoria di corpo e di spirito che di lì a poco entrò nella Religione del Santo, dove per lungo tempo portò sulle carni la lorica e, contento al più di cibi crudi, non beveva vino e non mangiava niente di cotto.

 

LEZIONE VIII

 

Sempre in quel tempo, un sacerdote della città di Assisi, di nome Silvestro – uomo di onorata condotta e semplice come colomba – vide in sogno tutta quella contrada circondata da un dragone immenso: sembrava che, a causa della sua schifosissima e orribile figura, la distruzione fosse ormai imminente su diverse parti del mondo.

Vedeva, dopo questa immagine, uscir fuori dalla bocca di Francesco una croce d’oro e risplendente: la sua punta toccava il cielo, mentre le braccia, protese per il largo, sembravano estendersi fino ai confini del mondo. Quella apparizione fulgentissima metteva definitivamente in fuga il drago schifoso e orrendo.

Quando gli fu mostrato ciò per la terza volta, l’uomo pio e devoto a Dio comprese che Francesco era destinato dal Signore a questa missione: brandire il vessillo glorioso della Croce per infrangere la potenza del dragone maligno e illuminare i fedeli con le splendide luci della verità, contenuta nella sua vita e nella sua dottrina.

Narrò la visione per ordine all’uomo di Dio e ai frati e, non molto tempo dopo, lasciò il mondo e si mise sulle orme di Cristo, sull’esempio del beato padre, con tale perseveranza che, mediante la sua condotta nell’Ordine, rese autentica la visione avuta nel secolo.

 

LEZIONE IX

 

Un frate di nome Pacifico, quando ancora viveva da secolare, incontrò il servitore del Signore, che stava predicando in un monastero vicino al Borgo di San Severino.

Scesa la mano del Signore sopra di lui, vide Francesco segnato in forma di croce da due splendentissime spade, poste trasversalmente: una delle spade si stendeva dalla testa fino ai piedi e una si estendeva da una mano all’altra, attraverso il petto.

Egli non conosceva Francesco di persona, ma lo riconobbe subito, dopo che gli fu mostrato per mezzo di quella visione miracolosa. Fortemente stupito, compunto ed atterrito dalla forza delle sue parole, venne, per così dire, trafitto dalla spada dello spirito che usciva dalla sua bocca e, disprezzati definitivamente gli onori vani del mondo, si unì al beato padre mediante la professione della sua stessa vita.

In seguito, costui progredì in ogni forma di santità propria della vita religiosa e divenne ministro dell’Ordine in Francia – difatti fu il primo ad esercitare l’ufficio di ministro in quel paese. Ma, prima, meritò di vedere sulla fronte di Francesco un grande Tau, che spiccava per la varietà dei colori e rendeva meravigliosamente bella e adorna la sua faccia.

Poiché bisogna sapere che l’uomo di Dio venerava questo segno e gli era molto affezionato, lo raccomandava spesso nel parlare, con esso dava inizio alle sue azioni e lo scriveva di propria mano sotto quei bigliettini che inviava per motivo di carità, quasi che tutto il suo impegno fosse, come dice il profeta, nel segnare il Tau sulla fronte degli uomini che gemono e piangono, convertendosi a Cristo sinceramente.

 

III

 

VIRTÙ PRIVILEGIATE

 

LEZIONE I

 

L’insigne seguace di Gesù Crocifisso, l’uomo di Dio Francesco, fin dagli inizi della sua conversione crocifiggeva la carne e le sue passioni con il rigore della disciplina e frenava i moti dei sensi con la legge della moderazione in maniera tanto severa che a stento prendeva il sostentamento indispensabile alla natura.

Nei tempi in cui era sano, a fatica e di raro si permetteva vivande cotte e, quando se le permetteva, qualche volta le rendeva amare col mescolarvi della cenere oppure, per lo più, le rendeva insipide col versarci liquor d’acqua. Usò severa parchezza nel bere e tenne lontano il corpo dal vino, per poter applicare la mente alla luce della sapienza. Siamo in grado di costatarlo con chiarezza da questo particolare: quando era tormentato dall’arsura della sete, a stento osava bere a sufficienza perfino l’acqua fresca. Il più delle volte era la nuda terra il letto per il corpicciuolo stanco; guanciale, una pietra; e coperta era un vestito semplice, grinzoso ed ispido, giacché per esperienza sicura aveva imparato che i nemici maligni vengono messi in fuga dalle vesti dure e ruvide, mentre da quelle delicate e molli vengono animati a tentare con maggior baldanza.

 

LEZIONE II

 

Rigoroso nella disciplina, vigilava assai attentamente su se stesso e aveva cura speciale nel custodire quel tesoro inestimabile della castità, che noi portiamo nel fragile vaso del corpo: e anche il corpo egli si studiava di tenere con rispetto e santità, mediante l’integerrima purezza di tutto se stesso, carne e spirito.

Per questo agli inizi della sua conversione, nel tempo del gelo invernale, forte e fervente nello spirito, si immergeva per lo più in una fossa colma di ghiaccio o di neve, sia per rendersi perfettamente soggetto il nemico di casa, sia per preservare dal fuoco della concupiscenza la veste candida della purezza.

Con pratiche di questa specie incominciò anche ad apparire, nell’uso dei sensi, adorno di un pudore così luminoso e bello, che pareva aver conseguito ormai il pieno dominio della carne e stabilito con i suoi occhi il patto non solo di rifuggire da ogni sguardo sensuale, ma di astenersi totalmente da qualsiasi sguardo curioso o inutile.

 

LEZIONE III

 

Eppure, anche se aveva conquistato la purità del cuore e del corpo e si stava in certo modo avvicinando alla cima della santificazione, non cessava di purificare continuamente con là pioggia delle lacrime gli occhi dello spirito: bramava la purezza delle chiarità celesti e non si preoccupava che gli occhi del corpo si deteriorassero.

Infatti a causa del continuo piangere era incorso in una gravissima malattia di occhi. Il medico cercava di persuaderlo ad astenersi dalle lacrime, se voleva sfuggire alla cecità; ma egli non accondiscese in alcun modo, affermando che preferiva perdere la luce della vista corporale che frenare le lacrime e reprimere, così, la devozione dello spirito, poiché con le lacrime l’occhio interiore diventa mondo e riesce a vedere Dio.

L’uomo a Dio devoto, pur in mezzo a quel fluire di lacrime, era sereno, per dir così, di una giocondità celeste, sia nel cuore sia nel volto: il nitore della coscienza santa lo inondava di tanta letizia che il suo spirito era di continuo rapito in Dio e sempre esultava per l’opera delle Sue mani.

 

LEZIONE IV

 

L’umiltà, custode e ornamento di tutte le virtù, si era giuridicamente impadronita dell’uomo di Dio. Difatti, benché egli risplendesse per il privilegio di molte virtù, sembrava tuttavia che l’umiltà avesse conseguito un dominio particolare su di lui: minore di tutti i minori.

E certo secondo il criterio con cui lui stesso si giudicava, dichiarandosi il più grande peccatore, egli era proprio e soltanto un piccolo e sudicio vaso di creta: in realtà, invece, era un vaso eletto di santità, fulgido e adorno di molteplici virtù e di grazia, consacrato dalla purezza.

Si studiava di essere spregevole agli occhi propri ed altrui; di ripulire, confessandoli in pubblico, le macchie in lui nascoste e di celare nel segreto del cuore i doni del Datore supremo: non voleva in alcun modo che venisse rivelato, per averne gloria, quanto poteva essere occasione di rovina.

Piuttosto, per compiere ogni giustizia nella realizzazione dell’umiltà perfetta, si impegnò a rimanere soggetto non solo ai superiori, ma anche agli inferiori, a tal punto che aveva l’abitudine di promettere obbedienza anche al compagno di viaggio, fosse stato anche il più semplice. In questo modo egli non comandava autoritariamente, alla maniera di un prelato; ma, alla maniera di un ministro e di un servo, obbediva per umiltà anche ai sudditi.

 

LEZIONE V

 

Perfetto seguace di Cristo, si studiò pure di prendersi in isposa con amore eterno la eccelsa povertà, compagna della santa umiltà, e per essa non soltanto lasciò il padre e la madre, ma distribuì ai poveri tutto quanto poté avere.

Nessuno fu tanto avido di oro quanto costui della povertà; nessuno, più preoccupato di custodire un tesoro, quanto costui di custodire la pietra preziosa del Vangelo. Difatti, dai tempi della fondazione dell’Ordine fino alla morte, lo si vide, ricco di tonaca, corda e mutande, gloriarsi della penuria e godere dell’indigenza.

Se gli capitava d’incontrare qualcuno che, all’abito esterno, sembrava più povero di lui, immediatamente rimproverava se stesso e si incitava ad essere come lui, come se, nella gara per la povertà, temesse di essere vinto su questo punto, perché meno nobile di spirito.

A tutte le cose caduche aveva preferito la povertà, in quanto è pegno dell’eredità eterna, e riteneva un niente le ricchezze ingannevoli: un feudo concesso per un momento amava la povertà a preferenza delle grandi ricchezze e. in essa, desiderava superare tutti gli altri, lui che dalla povertà aveva imparato a ritenersi inferiore a tutti.

 

LEZIONE VI

 

Attraverso l’amore per l’altissima povertà, l’uomo di Dio divenne così florido e ricco di santa semplicità che, pur non avendo assolutamente nulla di proprio tra le cose del mondo, sembrava il possessore di tutti i beni, poiché possedeva l’Autore stesso di questo mondo. Infatti con l’acutezza della colomba, cioè con la penetrazione che è propria della mente semplice, e con lo sguardo puro della riflessione, egli riportava tutte le cose al Sommo Artefice e in tutte riconosceva, amava e lodava lo stesso Fattore. E così avveniva, per dono della clemenza celeste, che egli possedeva tutte le cose in Dio e Dio in tutte le cose.

Inoltre, in considerazione della prima origine di tutte le cose, chiamava tutte le creature, per quanto modeste, col nome di fratello e di sorella, considerando che, insieme con lui, provenivano da un unico Principio. Abbracciava, però, più appassionatamente e con maggiore dolcezza quelle che per somiglianza naturale rappresentano la pia mansuetudine di Cristo e la raffigurano per il significato loro attribuito dalla Scrittura.

A causa di questo, avveniva, per l’influsso della potenza soprannaturale, che gli animali si sentivano attratti verso di lui come da un senso di pietà; ma anche gli esseri insensibili obbedivano al suo cenno, come se quell’uomo santo, in quanto semplice e retto, fosse già stato ristabilito nello stato di innocenza.

 

LEZIONE VII

 

La Fonte della Misericordia aveva riversato nel servo del Signore anche una dolce compassione, con tale abbondanza e pienezza che egli, nel sollevare le miserie delle persone miserevoli, pareva portare in sé un cuore di madre. Gli era connaturale anche la clemenza, che la pietà di Cristo, infusa dall’alto, raddoppiava.

E così, per i malati e per i poveri, egli si sentiva struggere l’anima ed offriva l’affetto, quando non poteva offrire la mano. Ciò, perché qualunque forma di penuria o di privazione scorgesse in qualcuno, con la dolcezza del suo cuore pietoso la riferiva a Cristo.

In tutti quanti i poveri intravedeva il volto di Cristo e, perciò, se gli veniva dato qualcosa di necessario per vivere, quando li incontrava non soltanto generosamente l’offriva a loro, ma giudicava pure che a loro si doveva restituire, come se appunto a loro appartenesse.

Non la perdonava assolutamente a nulla: mantelli, tonache, libri e perfino la suppellettile dell’altare: se appena lo poteva, tutto donava ai bisognosi a bramava anche di spendere tutto se stesso, per realizzare appieno il dovere della pietà perfetta.

 

LEZIONE VIII

 

Lo zelo per la salvezza dei fratelli, che si sprigionava dal fuoco della carità, trapassò come spada affilata e fiammeggiante le intime fibre di Francesco, a tal punto che quest’ uomo appariva tutto gelosia, acceso da uno zelo bruciante, tormentato dalle pene della compassione.

Quando vedeva che le anime redente dal sangue prezioso di Cristo venivano insozzate dalla bruttura del peccato, Si sentiva trapassato da un dolore straordinario e trafìggente; le compiangeva con una commiserazione così tenera che ogni giorno le partoriva in Cristo, come una madre.

Da qui il suo accanimento nella preghiera, quel correre dovunque a predicare, quell’eccesso nel dare l’esempio: perché non si riteneva amico di Cristo, se non curava teneramente le anime che egli ha redento.

Per questa ragione, benché l’innocente sua carne, che già si assoggettava spontaneamente allo spirito, non avesse alcun bisogno di flagello, egli le moltiplicava i castighi e i pesi, in vista dell’esempio: in vista degli altri obbligava se stesso a percorrere duri cammini, per seguire perfettamente le orme di Colui che, per la salvezza degli altri, consegnò la sua vita alla morte.

 

LEZIONE IX

 

Quanto, poi, al fervore della carità perfetta, da cui l’amico dello Sposo si sentiva trasportato in Dio, ognuno può costatarlo da questo soprattutto: egli bramava ardentemente di immolarsi con la fiamma del martirio, ostia viva, a Dio.

 

Tre volte, per tale cagione, egli intraprese il cammino verso i paesi degli infedeli; ma le prime due volte ne fu impedito da disposizione divina. Finalmente la terza volta, dopo aver provato molti oltraggi, catene, percosse e fatiche innumerevoli, con la guida di Dio venne condotto al cospetto del Soldano di Babilonia: là predicò il Vangelo di Cristo, con una manifestazione così efficace di spirito e di potenza che lo stesso Soldano ne fu ammirato e, diventato mansueto per divina disposizione, lo ascoltò con benevolenza.

In realtà, egli notò in lui fervore di spirito, costanza d’animo, disprezzo della vita presente, efficacia nella Parola di Dio e concepì verso di lui tanta devozione che lo stimò degno di molto onore, gli offrì doni preziosi e lo invitò insistentemente a prolungare il soggiorno presso di lui.

Ma quel vero spregiatore di se stesso e del mondo rifiutò come fango tutte le cose offerte e, costatando che non poteva conseguire quanto si era proposto, dopo avere fatto schiettamente tutto ciò che poteva fare per ottenerlo, tornò tra i paesi cristiani come una rivelazione gli aveva suggerito.

E così avvenne che l’amico di Cristo cercasse con tutte le forze di morire per Lui e non potesse assolutamente riuscirvi. In tal modo, da una parte non gli mancò il merito del martirio desiderato, e, dall’altra, venne risparmiato per essere, più tardi insignito di un privilegio singolare.

 

 

 


 

 

IV

 

DEDIZIONE ALLA PREGHIERA

E SPIRITO DI PROFEZIA

 

LEZIONE I

 

Il servo di Cristo, vivendo nel corpo, si sentiva in esilio dal Signore e, mentre al di fuori era divenuto totalmente insensibile, per amor di Cristo, ai desideri della terra, si sforzava, pregando senza interruzione, di mantenere lo spirito alla presenza di Dio, per non rimanere privo della consolazione del Diletto.

Camminando e sedendo, in casa e fuori, lavorando e riposando, con la forza della mente restava così intento nella orazione da sembrare che avesse dedicato ad essa ogni parte di se stesso: non solo il cuore e il corpo, ma anche l’azione e il tempo.

Molte volte veniva investito da tale eccesso di devozione che, rapito al di sopra di se stesso, e oltrepassando i limiti della sensibilità umana, ignorava totalmente quanto avveniva al di fuori, intorno a lui.

 

LEZIONE II

 

Per accogliere con maggior raccoglimento l’interiore elargizione delle consolazioni spirituali, si recava nella solitudine e nelle chiese abbandonate, per pregarvi di notte, quantunque anche là provasse le orrende battaglie dei demoni, che venivano a conflitto con lui, quasi con un contatto fisico, e si sforzavano di stornarlo dall’impegno della preghiera.

Ma l’uomo di Dio li metteva in fuga con la potenza e l’instancabile fervore delle preghiere, e così se ne restava solo e in pace.

Riempiva i boschi di gemiti, cospargeva quei luoghi di lacrime, si percuoteva il petto e, quasi dall’intimità di un più segreto santuario, ora rispondeva al giudice, ora supplicava il Padre, ora scherzava con lo Sposo, ora dialogava con l’amico.

 

Là fu visto, di notte, mentre pregava, con le mani e le braccia stese in forma di croce, sollevato da terra con tutto il corpo e circondato da una nuvoletta rifulgente: così la meravigliosa luminosità e il sollevarsi del corpo diventavano testimonianza della illuminazione e della elevazione avvenuta dentro il suo spirito.

 

LEZIONE III

 

Indizi sicuri comprovano, inoltre, che durante queste elevazioni, per virtù soprannaturale, gli venivano rivelate le cose incerte ed occulte della sapienza divina, anche se egli non le divulgava all’esterno, se non nella misura in cui urgeva lo zelo della salvezza dei fratelli e dettava l’impulso della rivelazione dall’alto.

La dedizione instancabile alla preghiera, insieme con l’esercizio ininterrotto delle virtù, aveva fatto pervenire l’uomo di Dio a così grande chiarezza di spirito che, pur non avendo acquisito la competenza nelle Sacre Scritture mediante lo studio e l’erudizione umana, tuttavia, irradiato dai fulgori della luce eterna, scrutava la profondità della Scrittura stessa con intelletto limpido e acuto.

Si posò su di lui anche lo spirito multiforme dei profeti con tale pienezza e varietà di grazie che, per la potenza mirifica di quello spirito, egli si faceva vedere presente ai suoi frati assenti ed aveva notizia sicura dei lontani.

Penetrava pure i segreti dei cuori, come pure preannunziava gli eventi del futuro.

Lo dimostrano con evidenza molti esempi e noi ne riporteremo qui alcuni.

 

LEZIONE IV

 

Una volta quell’Antonio santo, che era allora predicatore egregio ed è ora, invece, luminoso confessore di Cristo, stava predicando ai frati e commentava, con parole dolci come il miele, l’iscrizione posta sopra la croce: Gesù Nazareno, re dei Giudei.

Si era durante il capitolo provinciale, tenuto ad Arles. L’uomo di Dio Francesco, che allora si trovava assai lontano, apparve alla porta del capitolo, elevato nell’aria e, benedicendo i frati con le mani stese in forma di croce, ricolmò il loro spirito con tanta varietà di consolazioni da renderli sicuri che quella apparizione meravigliosa era dotata di potenza celeste: era il loro stesso spirito a testimoniarlo, dentro di loro.

D’altronde, siccome il fatto non rimase nascosto al beato padre, palesemente da ciò stesso risulta chiaro quanto il suo spirito fosse aperto alla luce della Sapienza eterna, quella che è più mobile di ogni moto e per la sua purezza penetra e riempie ogni cosa, si trasfonde nelle anime sante e forma gli amici di Dio e i profeti.

 

LEZIONE V

 

Una volta i frati si erano radunati a Capitolo a Santa Maria degli Angeli, secondo l’usanza. Uno di loro, protetto dal mantelletto di qualcuno che lo difendeva, non voleva assoggettarsi alla disciplina. Il Santo, che allora stava segregato in cella a pregare, per fare da intermediario tra i frati e Dio, vide ciò in ispirito, fece chiamare a sé uno di loro e gli disse: «O fratello, ho visto sulla schiena di quel frate disobbediente un diavolo, che gli stringeva il collo: soggiogato da un simile cavaliere, egli seguiva le sue redini e i suoi incitamenti e disprezzava il freno dell’obbedienza. Va, dunque, e dì al frate che senza indugio pieghi il collo sotto la santa obbedienza: così suggerisce di fare anche colui per le cui insistenti preghiere quel demonio si è allontanato sconfitto». Ammonito per ambasciatore, il frate sentì spirito di pentimento e ricevette la luce della verità; si prostrò con la faccia a terra davanti al vicario del Santo, si riconobbe colpevole, chiese perdono, accolse e sopportò pazientemente la disciplina e d’allora in poi obbedì umilmente in ogni cosa.

 

LEZIONE VI

 

Al tempo in cui egli, sul monte della Verna, se ne restava rinchiuso nella cella, uno dei suoi compagni provava gran desiderio di avere un qualche scritto con le parole del Signore, firmato da lui di propria mano.

Credeva, infatti che con questo mezzo avrebbe potuto eliminare o almeno, di certo, sopportare con minor pena la grave tentazione, da cui era vessato: tentazione non carnale, ma di spirito.

Languiva per tale desiderio ed era interiormente angustiato, perché, umile qual era, riservato e semplice, si lasciava vincere dalla vergogna e non osava confidare la cosa al reverendo Padre. Ma se non lo disse a lui l’uomo, glielo rivelò lo Spirito.

Francesco, infatti, ordinò a quel frate di portargli inchiostro e carta e, scrivendo le lodi del Signore con una benedizione per lui di propria mano, come quello desiderava, gli offrì benignamente quanto aveva scritto – e tutta quella tentazione scomparve definitivamente.

Quello stesso bigliettino, poi, fu tenuto in serbo e, in seguito, apportò a moltissimi la guarigione: così, da questo risulta chiaramente a tutti quale merito abbia avuto davanti a Dio chi lo ha scritto ed ha lasciato in un fogliettino firmato una potenza così grande ed efficace.

 

LEZIONE VII

 

In un’altra circostanza, una nobildonna a Dio devota, si recò fiduciosamente dal Santo e lo supplicava con tutte le forze a voler intercedere presso il Signore per suo marito, che era molto cattivo con lei e la faceva soffrire, perché la osteggiava nel servizio di Cristo: che il Signore, con una larga infusione della sua grazia, ne mitigasse la durezza di cuore.

Udito questo, l’uomo santo e pietoso, con santi discorsi la confermò nel bene, l’assicurò che sarebbe venuta presto la consolazione da lei desiderata e, finalmente, le comandò di far sapere al marito, da parte di Dio e sua, che «ora eta tempo di clemenza, poi sarebbe stato tempo di giustizia». Credette la donna alle parole, che il servo del Signore le aveva detto e, ricevuta la benedizione, ritornò in fretta a casa. Incontrato il marito, gli narrò il colloquio avuto, aspettando senza dubitare che si realizzasse la promessa, secondo il suo desiderio.

Non appena quelle parole risonarono alle orecchie di quell’uomo, cadde sopra di lui lo spirito di grazia e gli intenerì il cuore, tanto che, da allora in poi, lasciò che la devota coniuge servisse liberamente a Dio e si offrì di servire il Signore insieme con lei.

Dietro persuasione della santa moglie, condussero per molti anni vita da celibi e poi, nello stesso giorno, la donna al mattino e l’uomo a vespro tornarono al Signore: sacrificio mattutino, la prima; l’altro, sacrificio vespertino.

 

LEZIONE VIII

 

Nel tempo in cui il servitore del Signore giaceva malato a Rieti, fu colpito da grave infermità un canonico di nome Gedeone, vizioso e mondano.

Lo portarono, steso sul lettuccio, da lui: e lo pregava, insieme con gli astanti, di benedirlo con il segno della croce.

Ed egli a lui: «Siccome un tempo sei vissuto secondo i desideri della carne, senza temere i giudizi di Dio, io ti benedirò con il segno della croce – non per te, ma per le devote preghiere di costoro. Però in questo modo: che fin d’ora io ti faccio sapere con certezza che soffrirai pene più gravi se, quando sarai guarito, ritornerai al vomito».

Fece su di lui il segno della croce, dalla testa ai piedi: scricchiolarono le ossa della sua schiena – e tutti sentirono – come quando si rompe legna secca con le mani. Subito colui che giaceva rattrappito si alzò sano e, prorompendo in lodi a Dio disse: «Sono guarito».

Ma, trascorso un po’ di tempo, si dimenticò di Dio e si abbandonò di nuovo all’impudicizia.

Una sera era andato a cena, ospite di un canonico, ed era rimasto la notte a dormire con lui: il tetto della casa improvvisamente precipitò su tutti loro ed uccise lui solo. Tutti gli altri sfuggirono alla morte.

E così avvenne che, simultaneamente, in quell’unico avvenimento si manifestò chiaramente quanto sia severo contro gli ingrati lo zelo della giustizia divina e quanto fosse veritiero e sicuro nel predire eventi dubbi lo spirito di profezia, di cui Francesco era ricolmo.

 

LEZIONE IX

 

Dopo il suo ritorno dai paesi d’oltremare, si recò una volta a Celano per predicare.

Un cavaliere lo invitò, con umiltà e devozione e con grande insistenza, a pranzo, e quasi lo costrinse contro sua voglia.

Ma prima che prendessero cibo, l’uomo devoto stava, secondo la sua abitudine, offrendo con la mente preci e lodi a Dio, quando vide in spirito che per quell’uomo ormai era imminente la morte, e il giudizio.

Rapito fuori di sé, rimaneva con gli occhi levati al cielo. Terminata finalmente l’orazione, prese in disparte il buon ospitante e gli predisse che la morte era vicina, lo ammonì a confessarsi e lo stimolò, con tutte le sue forze, al bene.

L’uomo acconsentì subito alle parole del Santo e manifestò al compagno di lui in confessione tutti quanti i peccati: mise ordine alle cose sue, si affidò alla misericordia divina e si preparò megIio che poté ad accogliere la morte.

Pertanto: mentre gli altri attendevano a rifocillare il corpo, il cavaliere, che appariva sano e forte, esalò improvvisamente l’anima, secondo la parola dell’uomo di Dio. Certo egli fu portato via da una morte repentina; ma, per lo spirito profetico del Santo, poté premunirsi con le armi della penitenza e così sfuggì alla dannazione eterna ed entrò nei tabernacoli eterni, secondo la promessa del Vangelo.

 

V

 

OBBEDIENZA DELLE CREATURE

E ACCONDISCENDENZA DI DIO

 

LEZIONE I

 

Certamente. nel suo servo Francesco. era presente quello Spirito del Signore che lo aveva unto e lo stesso Cristo, potenza e sapienza di Dio: per la potenza e la grazia di questo spirito non soltanto gli venivano manifestate le cose incerte ed occulte, ma anche gli obbedivano le creature di questo mondo.

Ci fu un tempo in cui i medici lo consigliavano e i frati lo esortavano con insistenza ad accettare di lasciarsi curare la malattia degli occhi mediante la cauterizzazione. L’uomo di Dio acconsentì umilmente, persuaso che l’intervento non solo sarebbe stato una medicina contro l’infermità del corpo, ma anche materia per esercitare la virtù.

Poiché la sensibilità della sua carne, alla vista dello strumento di ferro ormai incandescente, era rimasta scossa da un naturale orrore, il Santo prese a parlare al fuoco come a un fratello e gli comandò, nel nome e nella potenza del Creatore, di moderare il suo calore e di bruciare con dolcezza, in modo che lui riuscisse a sopportarlo.

Il ferro crepitante affondò nella tenera carne e il cauterio venne esteso dall’orecchio fino al sopracciglio; eppure l’uomo pieno di Dio, con lo spirito esultante, disse ai frati: «Lodate l’Altissimo, perché, dico la verità, il calore del fuoco non mi ha dato molestia e il dolore della carne non mi ha procurato afflizione».

 

LEZIONE II

 

Mentre il servo di Dio era travagliato da una malattia gravissima, presso l’eremo di sant’Urbano, sentendosi venir meno, chiese un bicchiere di vino. Gli fu risposto che vino non ce n’era proprio, da potergliene dare.

Allora comandò di portargli dell’acqua e, quando gli fu portata, la benedisse, tracciando il segno della croce. Subito diventa vino ottimo quella ch’era stata acqua pura: ciò che la povertà del luogo non poteva dare, lo impetrò la purità del Santo.

Al gustar di quel vino, subito si ristabilì con estrema facilità. E così fu chiaro ed evidente che il generoso Datore gli aveva concesso la bevanda desiderata, non perché valevole per il sapore, ma perché valida per la salute.

 

LEZIONE III

 

Un’altra volta l’uomo di Dio si era voluto trasferire in un certo eremo, dove avrebbe potuto dedicarsi più liberamente alla contemplazione.

Siccome era debole, veniva condotto da un poveruomo sul suo asinello.

Era d’estate e quell’uomo, scortando il servitore di Dio su per le montagne, spossato dal camminare e dalla strada assai difficoltosa, molto dura e molto lunga, si sentì venir meno per la gran sete e si mise a gridare con veemenza e a dire che, se non beveva un po’, avrebbe tirato subito l’ultimo respiro.

Senza indugio l’uomo di Dio saltò giù dall’asinello e, inginocchiatosi per terra, alzò le mani al cielo, e non smise di pregare finché comprese di essere stato esaudito.

Terminata, finalmente, l’orazione: «Va in fretta – disse all’uomo – vicino alla roccia e là troverai l’acqua viva: in questo momento Cristo misericordiosamente l’ha fatta scaturire dalla pietra, per farla bere a te».

L’uomo, assetato, corse al luogo indicato e bevve l’acqua fatta scaturire dalla pietra, per la virtù di quell’orante, e attinse la bevanda che Dio gli aveva somministrato dal sasso durissimo.

 

LEZIONE IV

 

Una volta il servitore del Signore stava predicando in riva al mare, a Gaeta. Volendo sottrarsi alla calca della folla che per devozione si riversava su di lui, saltò su da solo su una barca, che si trovava presso il lido. E quella, come fosse pilotata dalla forza di una misteriosa spinta interiore, senza alcun rematore si allontanò un bel pezzo da terra, sotto lo sguardo ammirato di tutti i presenti.

Addentratasi per un po’ nel mare, restò poi immobile in mezzo alle onde, per tutto il tempo che all’uomo di Dio piacque di predicare alle turbe in attesa sul lido.

Ascoltato il discorso e visto il miracolo, la moltitudine, dietro preghiera del Santo stesso, si stava allontanando, dopo aver ricevuta la benedizione: e allora, non per altra spinta che per quella di un comando celeste, la barca venne a riva: così la creatura, per servire al suo Fattore, si assoggettava senza ribellione e obbediva senza indugio a colui che era un adoratore perfetto del Creatore.

 

LEZIONE V

 

Una volta egli si trovava nell’eremo di Greccio.

Gli abitanti del luogo erano oppressi da molti malanni: ogni anno una tempesta di grandine devastava i raccolti e le vigne e una moltitudine di lupi rapaci sterminava non soltanto gli animali, ma anche gli uomini.

Il servitore del Signore onnipotente, che provava una benevola compassione per quegli uomini così fortemente afflitti, durante una predica promise loro pubblicamente, facendosene personalmente garante, che tutta quella calamità sarebbe scomparsa, se essi si fossero confessati e avessero voluto fare degni frutti di penitenza.

Poiché quelli, alla sua esortazione, avevano fatto penitenza, da quel momento cessarono le stragi, si dispersero i pericoli, lupi O grandine non recarono più danno. Anzi, cosa ancor più notevole, se qualche volta la grandine cadeva sui seminati dei confinanti, quando si appressava ai terreni di costoro restava circoscritta sul posto stesso o si dirigeva da un’altra parte.

 

LEZIONE VI

 

Un’altra volta l’uomo di Dio, mentre si aggirava per la valle Spoletana a scopo di predicazione, giunse, vicino a Bevagna, in Un luogo dove si era dato convegno una grandissima quantità di uccelli di vario genere. Mentre stava ad osservarli con occhio pio, fu investito dallo Spirito del Signore; corse veloce verso quel luogo, li salutò vivacemente e impose loro silenzio, perché potessero ascoltare con attenzione la parola di Dio.

Intanto che egli parlava loro e portava molti argomenti per dimostrare i benefici che Dio ha fatto alle creature e le lodi che essi dovevano tributargli, gli uccelli, dimenandosi in mirabil modo, si misero ad allungare il collo, a stendere le ali, ad aprire il becco e a fissarlo con attenzione, come se si sforzassero di sentire quei suoi discorsi così ammirevoli ed efficaci.

Era davvero giusto che l’uomo pieno di Dio si sentisse attratto da un sentimento di pietà e d’umanità verso tali creature prive di ragione, mentre esse, a loro volta, in un modo così meraviglioso si sentivano attratte verso di lui e stavano attente quando le istruiva, obbedivano quando comandava; si rifugiavano da lui con sicurezza, ed egli le accoglieva; senza difficoltà rimanevano con lui, ed egli le teneva con sé.

 

LEZIONE VII

 

Nel tempo in cui egli, per conseguire la palma del martirio, aveva cercato di andare nei paesi d’oltremare, senza per altro riuscirvi, perché impedito dalle tempeste del mare, il Timoniere di tutte le cose lo assisté con la sua Provvidenza e si degnò di strappare lui e molti altri con lui dal pericolo di morte, dispiegando in suo favore le meraviglie della sua Potenza nelle profondità del mare.

Volendo ritornare dalla Schiavonia in Italia, egli salì su una nave, totalmente sprovvisto di mezzi per pagare. E, proprio mentre egIi saliva vi fu un uomo mandato da Dio in aiuto di quest’uomo poverello: costui non solo portò con sé le provviste necessarie, ma fece venire dalla nave una persona timorata di Dio e gliele consegnò, perché a tempo opportuno le servisse a coloro che non avevano proprio niente.

Se non che, per la violenza dei venti, i marinai non riuscivano a sbarcare in nessun posto e, perciò, tutte le loro provviste di cibo si esaurirono: rimase soltanto una piccola porzione dell’elemosina donata dal cielo all’uomo beato. Quella porzione, per le sue preghiere e i suoi meriti e per l’intervento della Potenza celeste, crebbe talmente che soddisfece appieno alle necessità di tutti, durante i molti giorni di continua burrasca, finché giunsero al porto desiderato, cioè ad Ancona.

 

LEZIONE VIII

 

Un’altra volta, mentre quest’uomo di Dio era in viaggio con un compagno, a scopo di predicazione, fra la Lombardia e la Marca Trevigiana, fu sorpreso dal buio e dalle tenebre della notte nei pressi di Padova. Siccome la strada era esposta a molti e gravi pericoli, a causa del fiume, delle paludi e delle tenebre, il compagno insisteva con l’uomo di Dio, perché in una necessita così grande, implorasse l’aiuto di Dio. Ed egli rispose con molta fiducia: «Dio può bene se piace alla sua cortesia, scacciare il buio e le tenebre e illuminarci con la sua luce benefica».

Meraviglia davvero: aveva appena finito di parlare, ed ecco: per l’onnipotenza celeste una grande luce incominciò a risplendere attorno a loro, tanto che, mentre altrove persisteva l’oscurità della notte, essi vedevano distintamente non soltanto la strada, ma anche molte cose tutt’intorno, dall’altra parte del fiume.

 

LEZIONE IX

 

Era davvero giusto che, in mezzo alle tenebre dense della notte, lo precedesse la chiarità celeste: così, il fatto stesso ci manifesta che non possono essere avviluppati dal buio della morte quanti seguono con retto sentiero la luce della vita.

Guidati nel corpo dallo splendore meraviglioso di tale luce e confortati nello spirito, fecero un lungo tratto di strada cantando e lodando Dio, finché giunsero all’ospizio. O uomo veramente luminosissimo e ammirabile!, davanti al quale il fuoco modera il calore, l’acqua cambia sapore, la pietra somministra bevanda abbondante, gli esseri inanimati si mettono a servire, gli animali selvatici diventano mansueti e gli esseri privi di ragione si mostrano solleciti di capire; perfino il Signore di tutte le cose si piega ad obbedire, per sua benignità, accogliendone i desideri: prepara con liberalità il cibo, offre la sua luce chiara come guida. Veramente, in questo modo, a lui, come ad uomo d’esimia santità, tutte le creature si piegano a servire e lo stesso Creatore di tutti si fa accondiscendente.

 

VI

 

LE SACRE STIMMATE

 

LEZIONE I

 

Il servitore e ministro veramente fedele di Cristo, Francesco, due anni prima di rendere lo spirito al cielo, incominciò un digiuno di quaranta giorni ad onore dell’arcangelo Michele, nel segreto di un luogo eccelso.

Inondato dall’alto dalla dolcezza celeste della contemplazione con maggior abbondanza del solito e acceso da una più ardente fiamma di celesti desideri, incominciò a sentire con maggior profusione i doni delle divine elargizioni.

L’ardore serafico del desiderio, dunque, lo sopraelevava in Dio e un tenero sentimento di compassione lo trasformava in colui, al quale piacque, per eccesso di carità, di essere crocifisso. Un mattino, all’appressarsi della festa dell’Esaltazione della santa Croce, mentre pregava sul fianco del monte, vide come la figura di un serafino, con sei ali tanto luminose quanto infocate, discendere dalle sublimità dei cieli: esso, con rapidissimo volo, giunse, tenendosi librato nella aria, vicino all’uomo di Dio, e allora apparve non soltanto alato, ma anche crocifisso. Aveva le mani e i piedi stesi e confitti sulla croce e le ali disposte, da una parte e dall’altra, in così meravigliosa maniera, che due ne drizzava sopra il capo, due le stendeva per volare e con le due rimanenti avvolgeva e velava tutto il corpo.

 

LEZIONE II

 

Ciò vedendo, stupì fortemente e sentì riversarsi nella anima gaudio e dolore: provava in sé un eccesso di letizia all’aspetto cortese di Cristo che gli si mostrava in forma così meravigliosa e pur così familiare, ma la cruda visione dell’affissione alla croce trapassava la sua anima con la spada dolorosa della compassione.

Ammaestrato interiormente da colui che gli si mostrava anche esteriormente, comprese che, certo, l’infermità della passione non si addice in alcuna maniera alla natura immortale e spirituale del serafino; ma che, tuttavia, tale visione era stata offerta ai suoi sguardi per questo scopo: fargli conoscere anticipatamente che lui, l’amico di Cristo, stava per essere trasformato tutto nel ritratto visibile di Cristo Gesù crocifisso, non mediante il martirio della carne, ma mediante l’incendio dello spirito.

La visione, che scomparve dopo un colloquio arcano e familiare, lo infiammò di ardore serafico nell’interno dell’anima e impresse, all’esterno, come un sigillo, sulla sua carne l’immagine perfettamente somigliante del Crocifisso: come se la potenza divina prima l’avesse fatto liquefare e poi vi avesse stampato il suo sigillo.

 

LEZIONE III

 

Subito, nelle sue mani e nei piedi incominciarono ad apparire i segni dei chiodi: le loro capocchie si vedevano nella parte interna delle mani e nella parte superiore dei piedi e le punte emergevano dalla parte opposta.

E le capocchie dei chiodi, nelle mani e nei piedi, erano rotonde e nere, mentre le punte erano allungate, piegate all’indietro e ribattute, ed uscivano dalla carne stessa, sporgendo sopra il resto della carne.

La ribattitura dei chiodi, sotto i piedi, era così prominente e sporgeva tanto all’infuori, che non permetteva di appoggiare liberamente la pianta del piede al suolo.

Inoltre si poteva facilmente far passare un dito dentro l’incurvatura arcuata delle punte stesse, come ho sentito dire io stesso da coloro che avevano osservato con i propri occhi.

Il fianco destro, poi, era come trafitto da una lancia ed era ricoperto da una cicatrice rossa, che spesso emetteva sacro sangue e cospargeva abbondantemente la tonaca e le mutande. Tanto che quando poi i suoi compagni, a tempo opportuno, le lavavano, potevano costatate senza alcun dubbio che il servitore di Cristo portava impressa visibilmente l’immagine rassomigliante del Crocifisso anche nel costato, così come nelle mani e nei piedi.

 

LEZIONE IV

 

Vedeva, l’uomo pieno di Dio, che le stimmate impresse così palesemente nella carne non potevano restare nascoste ai compagni più intimi; temeva, non di meno, di mettere in pubblico il sacramento del Signore ed era combattuto da un grande dubbio: se dire quanto aveva visto oppure tacere. Spinto, finalmente, dallo stimolo della coscienza, riferì ad alcuni tra i frati a lui più familiari, con molto timore, lo svolgimento della visione che abbiamo raccontato. Colui che gli era apparso – aggiunse – gli aveva detto alcune cose che egli non avrebbe mai svelato a nessuno, finché era in vita.

Dopo che il verace amore di Cristo ebbe trasformato l’Amante nell’’’ immagine perfetta dell’Amato, si compì il numero dei quaranta giorni, che egli aveva stabilito di trascorrere su quel monte di solitudine e sopravvenne anche la solennità dell’arcangelo Michele. L’uomo angelico, Francesco, scese dal monte: e portava con sé l’effigie del Crocifisso, non raffigurata su tavole di pietra o di legno dalla mano di un artefice, ma scritta nelle membra della carne dal dito del Dio vivo.

 

LEZIONE V

 

L’uomo santo e umile si sforzava con ogni diligenza di nascondere quei sacri sigilli; piacque, tuttavia, al Signore, a propria gloria, di mostrare per mezzo di essi alcune evidenti meraviglie, affinché la potenza occulta di essi si rivelasse palesemente per chiari segni ed egli risplendesse come astro fulgentissimo fra le dense tenebre del secolo oscuro.

Per esempio, nel territorio intorno al predetto monte della Verna, prima che il Santo vi avesse soggiornato, di solito una violenta tempesta, provocata da una nube fosca che si alzava dalla montagna stessa, distruggeva i raccolti. Ma dopo quella beata apparizione, non senza ammirazione e gioia degli abitanti, la grandine consueta scomparve: anche l’aspetto stesso del cielo, divenuto sereno in maniera inusitata, dichiarava così l’eccellenza di quella visione celeste e la potenza delle stimmate, che proprio là erano state impresse.

 

LEZIONE VI

 

Sempre in quel periodo, infierì nella provincia di Rieti una epidemia molto grave e incominciò a colpire con tale violenza ovini e bovini, che sembravano quasi tutti destinati a morte irrimediabilmente. Però un uomo timorato di Dio, una notte, si sentì esortare per mezzo di una visione a recarsi in fretta nel romitorio dei frati, dove allora il beato padre dimorava, e a chiedere ai frati suoi compagni l’acqua con la quale egli aveva lavato le mani e i piedi: doveva spruzzarla sugli animali colpiti – e così tutta quella epidemia sarebbe cessata.

Quell’uomo eseguì tutto questo con premura e Dio conferì all’acqua, che aveva toccato le sacre piaghe, tanta potenza, che, aspersa anche in piccola quantità sui greggi ammalati, debellava totalmente il contagio, e gli animali, ricuperato il vigore primitivo, correvano al pascolo, come se prima non avessero provato proprio nessun malanno.

 

LEZIONE VII

 

Insomma, da allora quelle mani acquistarono tale potenza che, con il loro contatto serafico, restituivano la salute agli infermi, sensibilità e vita alle membra ormai paralizzate e inaridite e, cosa maggiore di tutte, la vita e l’integrità agli uomini mortalmente feriti.

Ricordo due dei suoi molti prodigi, anticipando e insieme abbreviando alcune circostanze. Ad Ilerda, un uomo di nome Giovanni, devoto di san Francesco, una sera fu massacrato con ferite così orrende da far credere che a stento sarebbe sopravvissuto fino all’indomani. Ma gli apparve, in modo meraviglioso, il padre santissimo; toccò quelle ferite con le sacre mani e sull’istante lo rese perfettamente sano ed integro: tutta quella regione proclamò che l’ammirabile alfiere della Croce era degnissimo di ogni venerazione.

Chi, infatti, potrebbe, senza stupirsi, vedere una persona, che conosce bene, straziata da ferite crudelissime e, quasi nel medesimo istante, sana e salva? Chi ripensare a questo, senza elevare ringraziamenti? Chi, infine, potrebbe esaminare con spirito di fede un miracolo così pietoso, potente e luminoso, senza provare devozione?

 

LEZIONE VIII

 

A Potenza, città della Puglia, un chierico di nome Ruggero, siccome nutriva «pensieri vani» a proposito delle sacre stimmate del beato padre, improvvisamente si sentì colpito nella mano sinistra, sotto il guanto: pareva un colpo di freccia scagliata da una balestra. Eppure il guanto era rimasto perfettamente intatto.

Per tre giorni fu tormentato dal dolore, forte e trafiggente.

Ormai pentito nel cuore, invocava il beato e scongiurava Francesco che lo soccorresse in nome di quelle stimmate gloriose: ottenne un risanamento così perfetto che ogni dolore scomparve e non rimase assolutamente segno alcuno del colpo subito.

Da questo appare luminosamente come quei sacri sigilli furono impressi dalla «potenza» e sono dotati della virtù di Colui che può procurare le piaghe, apprestare il rimedio, colpire gli ostinati e risanare i contriti di cuore.

 

LEZIONE IX

 

Davvero era giusto che quest’uomo beato apparisse insignito di questo privilegio singolare, giacché tutta la sua opera, pubblica e privata, aveva di mira la croce del Signore.

Anche quella meravigliosa dolcezza, mansuetudine ed austerità di vita; quell’umiltà profonda, quell’obbedienza pronta, quella povertà esimia, quella castità illibata, quella amara contrizione di cuore, quel profluvio di lacrime, quella pietà appassionata, quello zelo ardente, quel desiderio di martirio, quell’eccesso di carità; insomma, quel patrimonio così vario di virtù cristiformi, che altro mostra in lui, se non un progressivo assimilarsi a Cristo e, per così dire, un predisporsi alle sue sacre stimmate?

Per questa ragione, come tutta la sua vita, dalla conversione in poi, era stata abbellita dai misteri luminosi della Croce, cosi, alla fine, alla vista del Serafino sublime e dell’umile Crocifisso, egli fu tutto trasformato nell’immagine di colui che gli era apparso, mediante la forza di un fuoco deiformante.

Così hanno testimoniato coloro che hanno veduto hanno toccato con mano e hanno baciato: essi, giurando sul Vangelo, che così era stato e così avevano visto, ci hanno confermato in una più ricca certezza.

 

VII

 

IL TRANSITO

 

LEZIONE I

 

L’uomo di Dio ormai era confitto con Cristo sulla croce, con la carne e con lo spirito, e perciò non solo veniva elevato in Dio dall’incendio dell’amore serafico, ma si sentiva anche trafitto dal fervore dello zelo per le anime, e insieme con il suo crocifisso Signore sentiva la sete di salvare tutti quelli che si devono salvare.

E, siccome non poteva camminare a causa dei chiodi sporgenti sui piedi, faceva portare attorno per città e paesi quel suo corpo mezzo morto. Così, quale secondo Angelo che sale dal luogo dove sorge il sole, egli voleva infiammare il cuore dei servi di Dio con una divina fiamma di fuoco: dirigerli sulla via della pace e segnare col sigillo del Dio vivo la loro fronte. Ardeva anche d’un gran desiderio di ritornare a quella sua umiltà degli inizi, per servire, come da principio, ai lebbrosi e per richiamare al primitivo servizio il corpo ormai consumato dalla fatica.

 

LEZIONE II

 

Si proponeva di fare grandi imprese, con Cristo come condottiero, e, mentre le membra si sfasciavano, forte e fervido nello spirito, sognava di rinnovare il combattimento e di trionfare sul nemico.

Ma, certo perché crescesse il cumulo dei suoi meriti per quella pazienza perfetta che porta veramente tutti i meriti a compimento, il piccolino di Cristo incominciò ad essere colpito da varie malattie. Erano così gravi che in ognuna delle membra eran diffuse sofferenze e dolori, la carne era ormai consumata e sulle ossa ormai rimaneva soltanto la pelle.

Pressato dalle aspre sofferenze del corpo, quelle penose angosce non le chiamava pene, ma sorelle sue e, nella lieta sopportazione delle stesse, innalzava al Signore grandi lodi e ringraziamenti: ai frati che lo assistevano sembrava quasi di avere sotto gli occhi un altro Paolo, a causa di quel gloriarsi gioioso ed umile nelle infermità, e di vedere un altro Giobbe, a causa di quella vigoria e imperturbabilità d’animo.

 

LEZIONE III

 

Egli, del resto, aveva conosciuto molto tempo prima il momento del suo transito. Quando il giorno della morte fu imminente, disse ai frati che presto doveva deporre il tabernacolo del proprio corpo, come gli era stato mostrato da Cristo.

Erano passati due anni dall’impressione delle stimmate e vent’anni dalla sua conversione. Egli chiese che lo portassero a Santa Maria della Porziuncola: voleva pagare il suo debito alla morte e avviarsi al premio della ricompensa eterna, proprio là dove, ad opera della Vergine Madre di Dio, aveva concepito lo spirito di perfezione e di grazia. Condotto al luogo predetto, per mostrare con l’autenticità dell’esempio che nulla egli aveva in comune col mondo, durante quella malattia che mise fine a ogni infermità, si pose tutto nudo sulla terra: voleva, in quell’ora estrema, lottare nudo con il nemico nudo.

Giacendo, così denudato, nella polvere della terra, l’atleta di Cristo con la mano sinistra ricoprì la ferita del fianco destro, che non si vedesse, e, levata al cielo, secondo il suo solito, la serena faccia, tutto teso a quella gloria, incominciò a magnificare l’Altissimo, perché – sciolto da tutto – liberamente ormai stava per passare a Lui.

 

LEZIONE IV

 

Finalmente, quando sovrastava ormai l’ora del suo trapasso, fece venire a sé tutti i frati che dimoravano nel luogo e, consolandoli della sua morte con parole carezzevoli, li esortò con affetto paterno all’amore di Dio.

Inoltre lasciò loro in testamento, per diritto di successione, il possedimento della povertà e della pace e li ammonì premurosamente a tenersi fissi alle realtà eterne e a premunirsi contro i pericoli di questo mondo; li indusse, con le parole più efficaci che poté, a seguire perfettamente le orme di Gesù crocifisso.

E mentre i figli stavano tutt’intorno a lui, il patriarca dei poveri, con gli occhi ormai offuscati, non per la vecchiaia ma per le lacrime, l’uomo santo, quasi cieco e ormai prossimo a morire, incrociò le braccia e stese su di loro le mani in forma di croce (aveva sempre amato questo gesto) e benedisse tutti i frati, presenti e assenti, nella potenza e nel nome del Crocifisso.

 

LEZIONE V

 

Chiese, poi, che gli venisse letto il Vangelo secondo Giovanni, a incominciare dal versetto: Prima del giorno della Pasqua: voleva sentire in esso la voce del Diletto che bussava, dal quale lo divideva ormai soltanto la parete della carne. Finalmente, siccome si erano compiuti in lui tutti i misteri, pregando e salmeggiando l’uomo beato s’addormentò nel Signore. E quell’anima santissima, sciolta dalla carne, venne sommersa nell’abisso della chiarità eterna.

In quello stesso momento uno dei suoi frati e discepoli veramente famoso per la sua santità, vide quell’anima beata salire direttamente in cielo: aveva la forma di una stella fulgentissima, e una nuvoletta candida la sollevava al di sopra di molte acque: quell’anima, fulgida per il candore della coscienza e risplendente di meriti, veniva portata in alto dalla sovrabbondanza della grazia e delle virtù deiformi; perciò non si poteva, per lei, neppure un poco, ritardare la visione della luce celeste e della gloria.

 

LEZIONE VI

 

Così pure: l’allora ministro dei frati nella Terra di Lavoro, che si chiamava Agostino, uomo caro a Dio, si trovava in punto di morte. Pur avendo perso ormai da tempo la parola, improvvisamente esclamò, in modo che tutti i presenti lo sentirono: «Aspettami, Padre, aspetta! Ecco: sto già venendo con te!».

Siccome i frati chiedevano, stupiti, a chi stava parlando in quella maniera, egli affermò di vedere il beato Francesco che stava andando in cielo; e subito, detto questo, anche lui felicemente spirò.

Nella medesima circostanza, il vescovo d’Assisi si trovava al santuario di San Michele sul monte Gargano: il beato Francesco gli apparve, tutto lieto, nel momento del suo transito e gli disse che stava lasciando il mondo per passare gioiosamente in cielo. Al mattino, il vescovo, alzatosi, raccontò ai compagni quanto aveva visto e, ritornato ad Assisi indagò sollecitamente e riscontrò con certezza che il beato Padre era uscito da questa vita nel momento in cui glielo aveva notificato per visione.

 

LEZIONE VII

 

L’immensa bontà del cielo si è degnata, poi, di mostrare con molti prodigi e miracoli, anche dopo la sua morte, quanto sia stata eccelsa la santità di quest’uomo preclaro.

Per l’invocazione di lui e per i suoi meriti, la onnipotente virtù di Dio restituì la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, la parola ai muti, la giusta andatura agli zoppi, la sensibilità e il moto ai paralitici; inoltre ridonò la piena efficienza fisica alle membra paralizzate, rattrappite e rotte; potentemente sottrasse dal carcere i rinchiusi, ai naufraghi concesse il porto della salvezza, un parto felice alle gestanti in pericolo, e cacciò i demoni dal corpo degli ossessi, finalmente restituì a mondezza e salute chi era afflitto da perdite di sangue e da lebbra, integrità perfetta a chi era stato mortalmente ferito e, cosa maggiore di tutte, i morti alla vita.

 

LEZIONE VIII

 

Continuano, per opera sua, in grande abbondanza, nelle varie parti del mondo, i benefici di Dio, come ho provato anch’io, che ho descritto i fatti antecedenti, per esperienza diretta, in me stesso.

Mia madre, infatti, quando io ero ancora fanciullino, fece voto per me a san Francesco, perché ero malato molto gravemente: ed io fui strappato dalle fauci stesse della morte e restituito, sano e salvo, nel vigore della vita.

Siccome ho ben vivo questo fatto nella memoria, ora lo proclamo e ne do testimonianza veritiera: non voglio essere rimproverato come ingrato, se taccio un beneficio così grande.

Accetta, dunque, o padre beato, il mio ringraziamento, per quanto scarno e inadeguato ai tuoi meriti e ai tuoi benefici, e, accogliendo i nostri desideri, scusa le nostre colpe; libera i tuoi fedeli devoti dai mali presenti e fa che raggiungano i beni sempiterni.

 

LEZIONE IX

 

Concludiamo il discorso con una specie di ricapitolazione sommaria.

Chiunque ha letto fino in fondo le pagine precedenti, rifletta su questa considerazione conclusiva: la conversione avvenuta in modo ammirabile, l’efficacia nel proclamare la Parola di Dio, il privilegio delle virtù sublimi, lo spirito di profezia unito alla penetrazione delle Scritture, l’obbedienza da parte delle creature prive di ragione, l’impressione delle sacre stimmate e il celebre transito da questo mondo al cielo, sono, in Francesco, sette luminose testimonianze che dimostrano e garantiscono a tutto il mondo che egli, preclaro araldo di Cristo, porta in se stesso il sigillo del Dio vivente e, perciò, è degno di venerazione per la missione ricevuta, ci propone una dottrina autentica, è ammirevole nella santità.

Con sicurezza, dunque, seguano Lui coloro che escono dall’Egitto: le acque del mare verranno divise dal bastone della croce di Cristo; essi passeranno il deserto e, attraversato il Giordano della vita mortale, per la meravigliosa potenza della Croce stessa, entreranno nella terra promessa dei viventi.

Là, per i buoni uffici del beato padre, ci introduca Gesù, inclito salvatore e nostra guida.

A Lui, in Trinità perfetta con il Padre e con lo Spirito Santo, ogni lode, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

 

FINE DELLA VITA BREVE

DEL BEATO FRANCESCO

 

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