La nube della non-conoscenza

 

 

 

 

 

O Dio, che vedi i segreti dei cuori

e conosci i nostri pensieri,

infondi in noi il tuo Spirito santo,

perché purificati nell’intimo,

possiamo amarti con tutta l’anima
e celebrare degnamente la tua lode.

Amen.

 

 

 

 

 

PROLOGO

 

 

Nel nome del Padre

e del Figlio

e dello Spirito Santo.

 

 

Chiunque tu sia a essere venuto in possesso di questo libro (forse è di tua proprietà o semplicemente l’hai in custodia o lo devi consegnare ad altri oppure lo tieni in prestito), con tutta l’energia e la forza compatibili con il vincolo della carità ti prego e ti scongiuro, per quel che sta alla tua volontà e saggezza, di non leggerlo e di non farne menzione ad alcuno, scrivendone o parlandone, e di fare in modo che nessuno lo legga, ne scriva o ne parli, a meno che si tratti di uno che, a tuo giudizio, è veramente intenzionato a seguire Cristo in maniera totale e perfetta. E a seguirlo non solo nella vita attiva, ma fino al punto massimo della vita contemplativa a cui può giungere in questa vita, per grazia di Dio, l’anima perfetta ma ancora legata a questo corpo mortale. Inoltre, dovrebbe essere uno che, a tuo avviso, già da molto tempo mette in pratica quelle virtù della vita attiva che lo rendono adatto alla vita contemplativa. In caso contrario, questo libro non gli si addice in alcun modo.

E ancora ti prego e ti scongiuro con l’autorità che proviene dalla carità: se mai uno dovesse leggere, scrivere o parlare di questo libro oppure sentirlo leggere o sentirne parlare da altri, imponigli, come io faccio con te, di leggerlo in tutta la sua interezza. Può darsi, infatti, che ci sia qualche argomento, all’inizio come in mezzo, lasciato in sospeso e non trattato con la dovuta completezza in quel particolare contesto: sicuramente lo si farà più avanti, tutt’al più alla fine del libro. Cosicché, se uno dovesse vedere un certo brano e non un altro, potrebbe facilmente cadere in errore. Perciò, per evitare un simile errore, prego sia te che gli altri, per amore di Dio, di fare quanto ho detto.

Non era affatto nelle mie intenzioni che i ciarloni, gli adulatori, i falsi modesti, i criticoni, i pettegoli, i maldicenti, i linguacciuti e ogni sorta di mettimale vedessero questo libro. Non è per essi che ho scritto. Per questo vorrei che ne facessero a meno loro e anche tutti quegli uomini, dotti o ignoranti, che sono semplicemente curiosi. Sì, fossero anche buone persone, eccellenti nella vita attiva, questo libro non fa per loro.

Non così per quelli che, sebbene «attivi» come forma esteriore di vita, tuttavia per ispirazione dello Spirito di Dio, i cui giudizi sono insondabili, si trovano ben pronti per grazia ad avere parte, non di continuo, come nel caso dei veri contemplativi, ma di quando in quando, alle profondità della contemplazione. Se fossero uomini di tal genere a vedere questo libro, ne trarrebbero sicuramente, per grazia di Dio, un grande conforto.

Questo libro si divide in 75 capitoli, l’ultimo dei quali indica dei segni ben sicuri attraverso cui l’anima può verificare se è veramente chiamata da Dio al lavoro della contemplazione, oppure no.

Amico spirituale in Dio, ti prego e ti scongiuro di considerare, con la dovuta attenzione, le modalità e il cammino della tua vocazione. E ringrazia Dio di tutto cuore, così che tu possa, in forza della sua grazia, star ben saldo in quello stato, grado e modo di vita che hai intrapreso generosamente contro tutte le astuzie e gli assalti dei nemici materiali e spirituali, e possa così ottenere, in premio la corona della vita eterna.

 

CAPITOLO 1

I quattro gradi della vita cristiana, e il cammino della
vocazione di uno per il quale è stato scritto questo libro.

 

Amico spirituale in Dio, devi sapere che secondo me (ed è una visione piuttosto semplificata) esistono quattro gradi o forme di vita cristiana: comune, speciale, solitaria e perfetta. Le prime tre iniziano e terminano in questa vita; la quarta può si cominciare qui, per grazia di Dio, ma continuerà per sempre nella beatitudine celeste. Avrai sicuramente notato che io le ho messe tutt’e quattro in una certa successione: prima la vita comune, poi quella speciale, quindi quella solitaria e infine quella perfetta.

Penso infatti che Dio nella sua grande misericordia segue lo stesso ordine progressivo nel chiamarti e condurti a sé, attraverso il desiderio del tuo cuore.

E tu sai bene che quando eri ancora nello stato comune della vita cristiana e vivevi in compagnia dei tuoi amici del mondo, Dio, nel suo amore eterno — grazie al quale Egli ti creò e plasmò quando non eri niente, e poi ti riscattò a prezzo del suo prezioso sangue quando eri ormai perso in Adamo —, non poté soffrire che tu fossi in quel tipo di vita così distante da Lui.

Accese, allora, il tuo desiderio con la pienezza della sua grazia, lo rafforzò con la catena del fervore e ti condusse a quello stato di vita più speciale, qual è quello di servitore tra i suoi speciali servitori. E questo fece perché tu potessi imparare a servirlo in maniera più particolare e spirituale di quanto avevi mai potuto fare prima nel grado comune di vita.

E c’è di più: tale è l’amore che ha sempre avuto per te, sin da quando tu non eri niente, che a quanto pare non si accontentò tanto facilmente che tu rimanessi in questo stadio.

Che fece dunque? Non vedi con quale forza e con quali favori ti ha sollevato fino al terzo stadio, quello solitario? È proprio in questa forma di vita che puoi imparare a elevare più in alto i passi del tuo amore e incamminarti verso quella forma di vita che è l’ultima di tutte, quella perfetta.

 

CAPITOLO 2

Breve esortazione all’umiltà e al lavoro di cui parla questo libro

 

Ora alza gli occhi, miserabile creatura, e guarda la tua situazione. Che cosa sei tu, e che cosa hai mai fatto per meritare di essere chiamato a tanto da nostro Signore? Com’è spregevole quel cuore che, addormentato nella pigrizia, non si desta alle sollecitazioni del suo amore e alla voce della sua chiamata.

A questo punto, o miserabile, devi stare ben attento al tuo nemico. Non devi ritenerti affatto più santo o migliore per la semplice ragione che sei stato chiamato alla dignità della vita solitaria. Al contrario, sei ancor più disgraziato e maledetto se non ti impegni al massimo a vivere in conformità alla tua vocazione, aiutato come sei dalla grazia e dalla direzione spirituale. E dovresti essere tanto più umile e affettuoso verso il tuo sposo spirituale, se pensi che Lui, Dio onnipotente, Re dei re, e Signore dei signori, si è abbassato umilmente fino al tuo livello e, tra tutte le pecore del suo gregge, ha scelto per sua grazia proprio te, perché tu fossi uno dei suoi intimi. Come se non bastasse, ti ha posto in ricchi pascoli e lì ti nutre con la dolcezza del suo amore, come pegno della tua eredità nel regno dei cieli.

All’opera dunque, e senza indugio, te ne prego. Guarda avanti, ora, e lascia perdere ciò che ti sta dietro. Bada a quel che ancora ti manca, e non a quel che hai già; è questa la via più breve per acquistare e mantenere l’umiltà. Tutta la tua vita, d’ora in poi, deve essere presa da un unico desiderio, se vuoi veramente progredire nella perfezione. E questo desiderio deve venire dal profondo della tua volontà ed è opera della mano di Dio onnipotente, sempre se c’è il tuo consenso.

Ma c’è una cosa che voglio dirti: egli è un amante geloso e non sopporta rivali; né accetta di agire sulla tua volontà se non è lui solo ad avere a che fare con te. Non chiede aiuto, cerca solo te. Vuole soltanto che tu gli presti attenzione e gli lasci fare a modo suo. Tocca a te, però, difendere la tua porta e le tue finestre dagli attacchi delle mosche e dei nemici. Se vuoi veramente far questo, basta che tu insista umilmente con Dio nella preghiera ed egli verrà presto in tuo aiuto. Insisti, dunque: fa’ vedere quali sono le tue disposizioni! Dio è prontissimo e ti sta aspettando.

Ma che cosa devo fare, dirai, e come insistere?

 

CAPITOLO 3

In che cosa consiste questo lavoro e la sua superiorità
nei confronti di ogni altro lavoro

 

Eleva il tuo cuore a Dio in uno slancio di umiltà e d’amore: pensa a lui solo, e non ai suoi benefici. Perciò considera ripugnante qualsiasi altro pensiero che non riguardi Dio stesso, così che niente operi nella tua mente o nella tua volontà se non lui solo. Fa’ del tuo meglio per dimenticare tutte le creature che Dio abbia mai fatto, e anche le loro opere, così che il tuo pensiero e il tuo desiderio non si orientino e non tendano verso queste cose, né in generale, né in particolare. Ma lasciale stare e non prestarvi più attenzione.

Questa è il lavoro dell’anima che piace di più a Dio. Tutti gli angeli e i santi provano gioia per questo lavoro e si dànno da fare con tutte le loro forze per aiutarti. Tutti i demoni, al contrario, sono furibondi quando tu ti metti all’opera e cercano in tutti i modi di far naufragare il tuo lavoro. Inoltre tutti gli uomini di questo mondo, in una maniera meravigliosa e del tutto incomprensibile, risentono di un benefico influsso per quello che stai facendo. Certo, anche le anime del purgatorio trovano alleviata la loro pena. Quanto a te, non c’è nessun altro lavoro meglio di questo, che ti possa rendere puro e virtuoso. Tuttavia, è il lavoro più facile e più rapido che ci sia, quando l’anima è aiutata dalla grazia e vi si sente veramente portata. In caso contrario, il lavoro si rivela difficile ed è un vero miracolo se riesci a compierlo lo stesso.

Non lasciarti andare, dunque, ma continua a lavorare finché non senti questo desiderio intenso. La prima volta che lo fai non trovi altro che oscurità, come se ci fosse una nube, la nube della non-conoscenza. Tu non ne sai niente, ma semplicemente senti dentro di te un puro anelito verso Dio. Qualunque cosa tu faccia, questa oscurità e questa nube restano sempre tra te e Dio, e non ti permettono né di vederlo chiaramente alla luce della comprensione razionale, né di sentirlo nel tuo cuore con la dolcezza del suo amore.

Apprestati, dunque, a restare in questa oscurità più a lungo che puoi, e non smettere di sospirare per colui che ami. Infatti, se mai dovrai sentirlo o vederlo in questa vita, sarà senz’altro in questa nube e in questa oscurità. E se lavorerai sodo come ti ho raccomandato, son sicuro che per la sua misericordia giungerai a contemplarlo.

 

CAPITOLO 4

Brevità di questo lavoro.

Alla contemplazione non si giunge né attraverso la speculazione razionale
né attraverso l’immaginazione

 

Per far sì che tu non commetta errori e non fraintenda questa attività, lascia che te ne parli ancora un poco secondo il mio punto di vista.

Al contrario di quanto pensano alcuni, non ci vuole molto tempo per portare a termine questo lavoro. In realtà, è il lavoro più breve che si possa mai immaginare. Non è né più lungo né più corto di un atomo. Ora l’atomo, secondo la definizione degli stessi studiosi di astronomia, è la più piccola frazione di tempo. È così piccolo che, per via della sua piccolezza, non lo si può dividere ulteriormente, e quasi quasi non lo si può immaginare. È proprio questo il tempo di cui è stato scritto: «di tutto il tempo che ti è dato, ti verrà chiesto come l’hai speso». Ed è giustissimo che tu debba renderne conto. Questo tempo non è né più lungo né più corto ma corrisponde esattamente a un semplice impulso della tua volontà, che è la principale facoltà dell’anima in ordine all’agire. Infatti, nello spazio di un’ora ci possono essere e ci sono tanti impulsi o desideri della volontà, quanti sono gli atomi in quello stesso arco di tempo.

Orbene, se la grazia dovesse rendere la tua anima come quella di Adamo prima del peccato originale, tu saresti padrone, per via della stessa grazia, di tutti i tuoi impulsi. Allora nessuno di questi andrebbe per conto suo, ma tutti convergerebbero su Dio, somma di ogni desiderio e bene supremo. Egli scende al nostro livello, adattando la sua divinità alla nostra capacità di comprensione. D’altra parte, la nostra anima presenta qualche affinità con lui, dal momento che siamo stati creati a sua immagine e somiglianza. E lui solo, e nient’altro che lui, basta ad appagare in maniera piena e sovrabbondante la brama del nostro cuore. E in virtù di questa grazia risanatrice, l’anima è resa capace di comprenderlo pienamente attraverso l’amore. Dio resta incomprensibile a ogni essere razionale, uomo o angelo che sia, almeno per quanto riguarda la conoscenza intellettuale. Infatti con l’intelletto non lo si può conoscere, ma con l’amore sì.

Tutti gli esseri razionali, uomini e angeli, possiedono dentro di sé, ciascuno per proprio conto, due facoltà operative principali: la capacità di conoscere e quella di amare. Dio, che le ha fatte entrambe, resta per sempre incomprensibile alla prima facoltà, l’intelletto, mentre per la seconda, l’amore, è conoscibile appieno, anche se in maniera diversa a seconda dei singoli individui. Capita così che una semplice anima ricca d’amore riesce da sola, in virtù di questo stesso amore, a comprendere dentro di sé colui che basta ad appagare in maniera incomprensibile e sovrabbondante tutte le anime e gli angeli che ci possono essere. Questo è il meraviglioso miracolo dell’amore, miracolo che non avrà mai fine, poiché per sempre Dio lo farà e non smetterà mai di farlo. Prendi in considerazione quanto detto, se la grazia di Dio te lo concede: in questa conoscenza d’amore consiste la beatitudine eterna; senza tale conoscenza non c’è che la pena eterna.

Perciò chiunque fosse rinnovato dalla grazia di Dio così da badare continuamente a ogni impulso della volontà — dal momento che, per natura, non gli possono mancare questi impulsi —, costui pregusterebbe già in questa vita la dolcezza eterna, anche se il pieno godimento si ha solo nella beatitudine celeste. Non meravigliarti, dunque, se ti stimolo con insistenza a fare questo lavoro.

Se l’uomo non avesse commesso il peccato originale, starebbe facendo ancor oggi questo stesso lavoro, come dirò più innanzi. Ed è per questo lavoro che l’uomo fu fatto, e ogni altra cosa ha il compito di aiutarlo a raggiungere questo scopo. E grazie a questo lavoro, infine, l’uomo può sperare di tornare allo stato primitivo di grazia. Ma se vien meno a questo lavoro, l’uomo cade sempre più giù nel peccato e si allontana sempre più da Dio. Al contrario, se vi si applica con diligenza e costanza, trascurando il resto, allora si rialza sempre più dal peccato e si avvicina sempre più a Dio. Perciò sta’ ben attento a come usi il tempo: infatti non c’è niente di più prezioso del tempo. Basta un attimo, una minima frazione di tempo per guadagnare o perdere il paradiso.

A riprova che il tempo è prezioso, Dio, che ne è il dispensatore, non dà mai due momenti di tempo in una sola volta, ma sempre in successione. Diversamente, dovrebbe cambiare tutto l’ordine e il corso regolare della creazione. Il tempo è fatto per l’uomo, non l’uomo per il tempo. E Dio, che fissa le leggi di natura, ha voluto adattare il tempo alla natura dell’anima umana: infatti, gli impulsi naturali dell’uomo sorgono proprio uno alla volta. Perciò l’uomo non avrà scuse quando, nel giorno del giudizio, dovrà rendere conto a Dio di come avrà speso il suo tempo. Non potrà certo dire: «Tu mi dai due momenti in una volta sola, mentre io non ho che un solo impulso alla volta».

Ma ora sei tutto preoccupato e pensi: «Che debbo fare? Se quello che stai dicendo è vero, come farò a rendere conto di ogni momento della mia vita? Eccomi qui a ventiquattro anni, senza aver mai dato peso al tempo. Anche se volessi cambiare rotta d’ora innanzi, sai perfettamente in base alle giuste parole che hai appena scritto, che non mi è più concesso alcun momento di tempo, né secondo il corso naturale, né ricorrendo alla grazia comune, per poter rimediare al mio passato mal speso. Posso solo contare su quei momenti di tempo che ho ancora davanti a me. Ma come se non bastasse, so benissimo che anche per questo tempo futuro, a causa della mia eccessiva fragilità e della mia pigrizia spirituale, non riuscirei a prestare attenzione che a un impulso su cento. Eccomi qui completamente disorientato di fronte a questi ragionamenti. Aiutami dunque, per amore di Gesù!».

Come hai fatto bene a dire «per amore di Gesù!». Infatti è proprio nell’amore di Gesù che puoi trovare aiuto. L’amore è per sua natura condivisione. Ama Gesù, e tutto ciò che ha sarà tuo. Essendo Dio, egli ha fatto il tempo e ce l’ha donato. Essendo uomo, ha attribuito il giusto valore al tempo. Essendo sia Dio che uomo, è il miglior giudice dell’uso del tempo. Unisciti a lui con fede e amore: grazie a questa unione entrerai a far parte della comunità di vita che si stabilisce tra lui e tutti coloro che come te sono uniti a lui dall’amore. Sarai così in comunione con Maria santissima, che, piena di grazia, prestò attenzione a ogni momento della sua vita; con tutti gli angeli del cielo che non possono mai perdere tempo; con tutti i santi in cielo e in terra che con il loro amore, e per grazia di Gesù, tengono in giusto conto ogni momento. Tutto ciò è di grande conforto. Cerca di capirlo correttamente e di trarne adeguato profitto.

Ma una cosa mi preme sottolineare: nessuno può rivendicare una vera comunione con Gesù, con Maria, sua vera madre, con i suoi angeli e con i suoi santi, se non fa di tutto, con l’aiuto della grazia, per badare a ogni momento di tempo. Solo così può venire in aiuto alla comunità, facendo anch’egli, al pari degli altri membri, la sua parte, per quanto piccola possa essere.

Presta dunque attenzione a questo meraviglioso lavoro della grazia nella tua anima. Per chi lo capisce bene, non è altro che un impulso improvviso che sorge senza alcun preavviso e punta direttamente a Dio come una scintilla che si sprigiona dal fuoco. È incredibile il numero degli impulsi che sorgono nel breve spazio di un’ora nell’anima di chi è disposto a fare questo lavoro. E tuttavia basta una sola di queste fiammate per dimenticare completamente, e all’istante, il mondo esterno. Ma subito dopo ogni impulso, l’anima può ricadere, a causa della corruzione della carne, nei pensieri precedenti e nel ricordo delle cose fatte e non fatte. Ma non è finita ancora: in un batter d’occhio può riaccendersi di nuovo come prima.

Questo è, in breve, il procedimento del nostro lavoro. Come si vede, è ben lontano da ogni visione ò falsa immaginazione o stranezza di pensiero. Tutto ciò non sarebbe certo frutto di un nudo slancio d’amore umile e devoto, ma di un’intelligenza orgogliosa, avida di sapere e ricca di immaginativa. E questo spirito d’orgoglio e di curiosità va sempre soffocato e calpestato senza pietà: a questo prezzo si può intendere il significato genuino della contemplazione.

Chiunque, avendone letto o sentito parlare, pensa che il lavoro contemplativo consista in una attività mentale, e continua quindi a operare in questa direzione, è completamente fuori strada.

Si inventa, infatti, un’esperienza che non è né materiale né spirituale, e corre il rischio di prendere lucciole per lanterne. Chi cade in questo abbaglio è in così grave pericolo, che se Dio nella sua grande bontà non interviene con un miracolo di misericordia per farlo smettere di colpo e indurlo ad ascoltare i consigli di contemplativi di grande esperienza, diventerà matto o comunque soffrirà qualche altra terribile forma di male spirituale o qualche inganno diabolico. In verità, può facilmente perdersi per sempre, anima e corpo. Quindi, per amore di Dio, fa’ attenzione e non cercare in alcun modo di compiere questo lavoro con le facoltà intellettuali, e tanto meno con l’immaginazione. Te lo dico con tutta sincerità: non riusciresti a combinare un bel niente! Smettila, dunque, di far uso delle tue facoltà.

Quando parlo di «oscurità» o di «nube» non pensare ch’io voglia intendere quelle masse di vapori che vagano nel cielo o quell’oscurità che regna nella tua casa di notte quando la candela è spenta. Questo: tipo di oscurità e di nube te li puoi benissimo immaginare con gli occhi della tua mente anche nel più radioso meriggio d’estate, così come nella più buia notte invernale puoi figurarti una luce vivida e splendente. Non è certamente a questo che io faccio riferimento. Per «Oscurità» io intendo una mancanza di conoscenza, proprio come una cosa che non conosci o non ricordi è «oscura» per te, dal momento che non riesci a vederla con l’occhio del tuo spirito. Per questo motivo la chiamo «nube della non-conoscenza», e non nube del cielo: nube della non-conoscenza che si frappone tra te e il tuo Dio.

 

CAPITOLO 5

Durante la contemplazione tutte le creature che ci sono
state, ci sono e ci saranno vanno ricacciate sotto la nube d’oblio

 

E se mai tu dovessi giungere in questa nube e restarvi a lavorare seguendo il mio consiglio, allora, come questa nube della non-conoscenza è al di sopra di te, tra te e il tuo Dio, allo stesso modo devi mettere al di sotto di te una nube d’oblio tra te e tutte le creature.

Forse vai pensando di essere troppo lontano da Dio per via di questa nube della non-conoscenza tra te e il tuo Dio: in realtà è più giusto pensare che sei più lontano da lui quando non c’è nessuna nube d’oblio tra te e tutte le creature. Ogni volta che dico: «tutte le creature», mi riferisco non solo alle singole creature in se stesse, ma anche a tutte le loro opere e alle loro caratteristiche. Non faccio eccezione per nessuna creatura, sia materiale che spirituale, e per nessuna caratteristica o opera di qualsivoglia creatura, sia essa buona o cattiva. Insomma, ogni cosa va tenuta nascosta sotto questa nube d’oblio.

Infatti, sebbene sia sommamente utile pensare talvolta a certe caratteristiche e azioni di talune creature particolari, in questo lavoro, tuttavia, è di poca o di nessuna utilità. L’atto di ricordare o pensare a quel che una cosa è o fa, costituisce una specie di luce spirituale: l’occhio della tua anima, infatti, vi si concentra come l’occhio del tiratore è fisso sul bersaglio a cui mira. E una cosa voglio dirti: tutto ciò a cui pensi, per tutto il tempo che ci pensi, se ne sta al di sopra di te, tra te e il tuo Dio. E tanto più sei lontano da Dio, se una cosa qualsiasi diversa da Dio occupa il tuo spirito.

Sì, se è possibile dirlo senza essere irriverenti, in questo lavoro non serve a niente o a ben poco pensare alla bontà o alla perfezione di Dio, o alla Madonna, o ai santi e agli angeli in cielo, o ancora alle gioie celesti. Ti sbagli se pensi di poter nutrire e accrescere il tuo proposito con simili considerazioni: credo proprio che in questo caso non ti saranno di alcun aiuto. Anche se è bene meditare sulla bontà di Dio, e amarlo e glorificarlo per questo, tuttavia è molto meglio pensare al suo essere puro e semplice, e amarlo e glorificarlo per se stesso.

 

CAPITOLO 6

Breve considerazione sul lavoro dei libro, a partire da una domanda

 

Ma ora mi interroghi e dici: «Come faccio a pensare a Dio in se stesso, e che cos’è Dio?». In verità non posso risponderti che a questo modo: «Non ne so niente».

Con questa domanda tu mi hai proprio buttato in quella stessa oscurità e in quella stessa nube della non-conoscenza in cui vorrei che ti trovassi tu. Infatti, di tutte le creature e delle loro opere — sì, certo, anche delle opere di Dio stesso — un uomo può benissimo avere una piena conoscenza per mezzo della grazia e su esse fare delle meditazioni; ma su Dio com’è in sestesso nessuno può fare delle meditazioni. Per questo lascerò da parte tutto ciò che posso pensare e sceglierò per il mio amore quella cosa che non posso pensare. Perché? Perché Dio lo si può amare, ma non pensare. Solo con l’amore lo si può afferrare e trattenere, non certo con il pensiero.

Perciò anche se è bene talvolta pensare in particolare alla bontà e alla perfezione di Dio, e per quanto questo, possa rivelarsi illuminante e costituire una parte della contemplazione stessa, tuttavia nel nostro lavoro tutto ciò deve essere ricacciato in basso e ricoperto da una nube d’oblio. E tu devi camminarvi sopra con vigore e con zelo, sotto la spinta di un devoto e gioioso slancio d’amore, nell’intento di perforare quell’oscurità che ti sovrasta. Colpisci dunque questa fitta nube della non-conoscenza con la freccia acuminata del desiderio d’amore e non muoverti di lì, qualunque cosa capiti.

 

CAPITOLO 7

Come ci si deve comportare nei riguardi dei propri pensieri,

specie quelli che nascono dall’avidità di sapere e dall’intelligenza naturale

 

E se per caso sorge dentro di te qualche pensiero e viene a intromettersi tra te e questa oscurità, ponendoti continuamente queste domande: «Cosa cerchi? E che cosa vorresti avere?», allora devi rispondere che è Dio che vorresti possedere: «È lui che desidero, lui che cerco, lui e nient’altro che lui».

E se quel pensiero dovesse chiederti: «Che cos’è questo Dio?», rispondigli che è colui che ti ha creato e redento, e che per sua grazia ti ha chiamato al suo amore. E di lui — continua pure — tu non sai assolutamente niente.

Digli dunque: «In basso, vattene giù in basso!», e non esitare a calpestarlo con uno slancio d’amore, anche se può sembrarti un pensiero santo e inteso ad aiutarti nella tua ricerca di Dio. Forse ti richiamerà alla mente aspetti diversissimi della sua meravigliosa bontà, e riaffermerà che Dio è in sommo grado dolcezza e amore, grazia e misericordia. Se ti metterai ad ascoltarlo, ricordati che non chiede di meglio. Infatti, andrà avanti a chiacchierare sempre più, e per finire ti ricondurrà, giù al pensiero della passione di Cristo. Lì ti mostrerà la meravigliosa bontà di Dio, e se vi presterai attenzione, non farai altro che il suo gioco. Subito dopo, infatti, ti farà vedere la tua misera vita passata, e nel ripercorrerla può darsi che riesca a fermare la tua attenzione su qualche posto in cui hai vissuto tanto tempo prima. Cosicché, senza nemmeno rendertene conto, eccoti ricacciato non si sa dove, nella dispersione. E quale ne è la causa? Il semplice fatto che dapprima hai prestato ascolto di buon grado a quel pensiero, poi gli hai risposto, l’hai accettato, e infine l’hai lasciato fare.

Ciò nonostante, quel pensiero era buono e santo, sì, così santo che, paradossalmente, nessun uomo o donna può sperare di giungere alla contemplazione senza una buona base di dolci meditazioni sulla propria miseria, sulla passione di nostro Signore, sulla bontà di Dio, sulla sua magnanimità e perfezione. Tuttavia, quando uno ha fatto queste meditazioni per molto tempo, deve lasciarla e ricacciarle lontano sotto la nube d’oblio, se vuol veramente sperare di perforare un giorno quella nube della non-conoscenza che sta tra lui e Dio.

Perciò, quando senti che Dio ti chiama, per sua grazia, a questo lavoro e che tu sei pronto a rispondervi, eleva il tuo cuore verso di lui con umile slancio d’amore. E per Dio, intendi colui che ti ha creato e redento, e che ti ha chiamato per sua grazia a questo stato di vita. Non ammettere alcun altro pensiero su Dio. Non è che tu debba pensare a tutto ciò anche se non ne hai voglia: una pura intenzione diretta a Dio, e a lui solo, è più che sufficiente.

Se vuoi ripiegare e avvolgere questa intenzione in una sola parola così da tenerla più saldamente, prendi una parola corta, meglio se di una sola sillaba: più è corta, più si intona all’opera dello spirito. Una tale parola può essere «Dio» o ancora «Amore». Scegli una di queste due o un’altra di tuo gradimento, purché sia di una sola sillaba. E questa parola legala stretta al tuo cuore, così che non se ne stacchi più, qualunque cosa accada. Questa parola sarà il tuo scudo e la tua lancia, sia in pace che in guerra. Con questa parola picchierai sulla nube e sull’oscurità che ti sovrasta. Con questa parola sopprimerai ogni pensiero sotto la nube d’oblio. A tal punto che se qualche pensiero ti metterà sotto pressione chiedendoti cosa mai stai cercando, non gli risponderai se non con questa semplice parola. E se si farà avanti con la sua scienza per spiegarti il significato di quella stessa parola ed esporne le varie proprietà, gli dirai che vuoi conservarla intatta nella sua interezza, e non intendi ridurla in briciole.

Se ti terrai ben saldo in questo proposito, ti assicuro che quel pensiero se ne andrà immediatamente. E perché? Perché tu non gli avrai dato modo di nutrirsi di quelle dolci meditazioni di cui ho parlato prima.

 

CAPITOLO 8

Un chiarimento su alcuni problemi che possono presentarsi nel corso della contemplazione: il rifiuto della curiosità intellettuale propria dell’animo umano, e la distinzione dei gradi e delle parti tra la vita attiva e quella contemplativa

 

Ma ecco che mi chiedi: «Che cos’è quella cosa che si intromette nel mio lavoro? È buona o cattiva?». Se, come dici, si trattasse di una cosa cattiva, allora resto sorpreso dal fatto che viene ad accrescere così tanto la devozione di un uomo. Infatti, talvolta ho la netta impressione che si ottenga grande conforto ad ascoltare le sue ispirazioni. Queste mi fan piangere amaramente, allorché mi muovono a compassione ora per la passione di Cristo, ora per la mia propria miseria o per altri motivi che mi sembrano senz’altro santi e di grande aiuto. Per questo ritengo che quella casa non può assolutamente essere cattiva. Ma se invece è buona, e per di più mi fa del gran bene con le sue dolci ispirazioni, allora mi sembra molto strano che tu mi ordini di ricacciarla, e così lontano poi, sotto la nube d’oblio».

La tua mi pare proprio una domanda pertinente: per questo cercherò di risponderti meglio che posso, anche se in maniera sempre inadeguata.

Innanzitutto, quando mi chiedi cosa sia quella cosa che vuole intromettersi a tutti i costi nel tuo lavoro, prestandosi perfino ad aiutarti, rispondo che si tratta di una visione chiara e penetrante da parte della tua mente, che è la facoltà razionale dell’anima.

E quando mi chiedi se è una cosa buona o cattiva, dico che è fondamentalmente buona per sua natura, poiché la ragione è un raggio della rassomiglianza con Dio. Ma l’uso che se ne fa può essere buono o cattivo. Buono, quando la ragione riesce, per grazia, a farti aprir gli occhi sulla tua stessa miseria, sulla passione di nostro Signore, sulla bontà e sulle opere meravigliose di Dio nelle sue creature, sia quelle corporali che quelle spirituali. Allora non c’è da meravigliarsi se accresce a tal punto la tua devozione, come tu stesso dici.

Ma vi è anche un cattivo uso della ragione, che si ha quando questa si gonfia d’orgoglio e di quella curiosità di sapere e di erudizione che si può ritrovare in certi uomini di chiesa. Questi si dan da fare per avere una reputazione non di umili scolari nelle cose divine e di maestri nell’umile devozione, ma di orgogliosi scolari del diavolo e di maestri di vanità e menzogne. Ma anche tutti gli altri uomini e donne, siano essi religiosi o secolari, fanno cattivo uso della ragione, quando questa li gonfia d’orgoglio e di curiosità per tutte le vanità terrene e li rende avidi di lodi, ricchezze, sfarzi inutili e popolarità di questo mondo.

Se però mi chiedi il motivo per cui devi ricacciare tutto ciò sotto la nube d’oblio, dal momento che si tratta di una cosa fondamentalmente buona e che per di più, una volta usata bene, si rivela di grande aiuto nell’accrescere la tua devozione, ti rispondo prontamente in questo modo.

Devi sapere che esistono due tipi di vita all’interno della santa chiesa: una è la vita attiva, l’altra è quella contemplativa. Delle due la prima è inferiore, la seconda è superiore.

La vita attiva ha due gradi, uno inferiore e uno superiore, così come la vita contemplativa ha due gradi, uno inferiore e uno superiore.

Ancora, queste due maniere di vita sono così strettamente legate. pur nella loro diversità, che non è possibile viverne Una senza una parte dell’altra. Tant’è vero che la parte superiore della vita attiva è ancora la stessa parte inferiore della vita contemplativa. Pertanto nessun uomo può dirsi pienamente attivo se non è, almeno in parte, contemplativo; allo stesso modo, non ci può essere un vero contemplativo, almeno in terra, che non sia in parte attivo.

La vita attiva inizia e termina in questa vita, non così la vita contemplativa. Essa, infatti, inizia in questa vita, ma dura per sempre. Quella parte che Maria ha scelto non le sarà tolta mai. L’attivo si preoccupa e si affanna per molte cose; il contemplativo invece si accontenta di una sola.

La parte inferiore della vita attiva consiste in opere di carità e misericordia corporale, tutte cose buone e oneste. La parte superiore della vita attiva, che è poi quella inferiore della vita contemplativa, è fatta di varie cose: efficaci meditazioni spirituali, una chiara coscienza della propria miseria, oltre a dolore e contrizione; una pietosa e compassionevole considerazione della passione di Cristo e dei suoi servi; un’immensa gratitudine e lode a Dio per i suoi doni meravigliosi, per la sua bontà e le sue opere in tutte le creature, materiali e spirituali.

Ma la parte superiore della contemplazione, così come la si può vivere su questa terra, è tutta racchiusa in questa oscurità e in questa nube della non-conoscenza, con un impulso d’amore che spinge a cercare atastoni nel buio il puro essere di Dio; sì, lui e lui solo.

Nella parte inferiore della vita attiva l’uomo agisce esteriormente e sta, per così dire, al di sotto di se stesso o. Nella parte superiore, che è poi quella inferiore della vita contemplativa, l’attività dell’uomo riguarda la sua interiorità, per cui egli si trova al suo stesso livello. Nella parte superiore della vita contemplativa, invece, l’uomo si innalza al di sopra di se stesso ed è inferiore, solamente a Dio. Sì, al di sopra di se stesso, perché è suo fermo proposito ottenere per grazia quello che non può conseguire per natura, cioè l’unione con Dio in spirito: essere una sola cosa con lui in conformità d’amore e volontà.

E come è impossibile, dal nostro punto di vista terreno, giungere alla parte superiore della vita attiva senza aver lasciato per un poco di tempo quella inferiore, così non si può passare alla, parte superiore della vita contemplativa senza aver lasciato per un poco di tempo quella inferiore. Allo stesso modo, com’è sconveniente e dannoso per chi è impegnato nella meditazione fissare l’attenzione sulle proprie azioni esteriori — già fatte o da fare, per quanto possano essere sante in se stesse —, così è senz’altro sconveniente e dannoso, per chi lavora in questa oscurità e in questa nube della non-conoscenza con un affettuoso slancio d’amore verso Dio in se stesso, lasciare che si frapponga tra sé e il suo Dio qualche pensiero o meditazione sui doni meravigliosi di Dio, sulla sua bontà e sulle sue opere in tutte le creature, materiali e spirituali, per quanto questi pensieri possano essere santi, piacevoli, o comunque di grande conforto.

Ed è per questo motivo che ti dico di sopprimere questi pensieri così sottili e insidiosi, e di ricoprirli con una fitta nube d’oblio, anche se sono santi e promettono fermamente di aiutarti a raggiungere la meta. È l’amore, infatti, che può portare a Dio già in questa vita, e non il sapere. E per tutto il tempo in cui l’anima dimora in questo corpo mortale, la nostra acuta comprensione nei riguardi delle cose spirituali, e in particolar modo di Dio, è contaminata da ogni sorta d’immaginazioni che rendono impuro il nostro lavoro u. Di conseguenza, ci sarebbe veramente da meravigliarsi se tutto questo non dovesse farci cadere in grave errore.

 

CAPITOLO 9

Durante la contemplazione, ogni ricordo,

anche se si tratta delle cose più sante, è più di ostacolo che di aiuto

 

Perciò devi sempre sopprimere l’intensa attività della tua immaginazione che vien sempre a disturbarti allorché ti disponi a questa cieca contemplazione. Che se tu non la sopprimi, sarà lei a farlo con te. Così che quando sei convinto di trovarti in questa oscurità e di non aver altro pensiero all’infuori di Dio, se vi fai ben attenzione noterai che la tua mente non è affatto occupata da questa oscurità, ma dalla chiara considerazione di qualcosa al di sotto di Dio. In tal caso, questo qualcosa se ne sta per il momento al di sopra di te, in mezzo tra te e il tuo Dio. Fa’ dunque il serio proposito di rigettare simili considerazioni, per quanto possano essere sante e attraenti.

Una cosa ti voglio dire: giova di più alla salvezza della tua anima, ha più valore, in se stesso e piace di più a Dio e a tutti gli angeli e i santi in cielo — sì, è di maggiore aiuto a tutti i tuoi amici nel corpo e nello spirito, vivi o morti — questo cieco slancio d’amore verso Dio in se stesso e questa continua e segreta pressione d’amore verso la nube della non-conoscenza. Meglio dunque sarebbe avere un simile atteggiamento e provarlo come fosse un sentimento spirituale, piuttosto che contemplare o fissare l’attenzione sugli angeli o i santi in cielo, o ancora ascoltare la gioiosa melodia che circonda beati.

Non meravigliarti di quanto ti dico. Se tu potessi anche una sola volta percepire chiaramente questo slancio d’amore e questa segreta pressione, così da giungere per grazia a impossessartene e a sperimentarli in questa vita, la penseresti anche tu come me. Stai pur certo, però, che non potrai mai avere la chiara visione di Dio qui in questa vita. Puoi comunque aver coscienza di lui, se Dio stesso te lo concede per sua grazia. Eleva dunque il tuo amore fino a quella nube. O, per meglio dire, lascia che Ilio attiri il tuo amore su su fino a quella nube. E sforzati, con l’aiuto della sua grazia, di dimenticare tutto il resto.

Se il semplice pensiero di qualcosa al di sotto di Dio, pensiero spontaneo e nient’affatto ricercato, ti allontana di più da Dio che se non ci fosse stato nemmeno, e ti danneggia a tal punto da renderti meno capace di sperimentare il frutto del suo amore, quanto più dannoso si rivelerà un pensiero deliberatamente preso in considerazione e assecondato. E se il ricordo di qualche santo in particolare o di qualche oggetto puramente spirituale ti ostacola così tanto nel tuo lavoro, che ne sarà del ricordo di qualcuno che ancora vive in questa vita miserabile, o di qualsiasi altra cosa materiale o mondana?

Io non dico che quel pensiero improvviso e spontaneo, assolutamente involontario, pensiero riguardante una cosa buona e puramente spirituale che si trova al di sotto di Dio, o quell’altro pensiero suscitato appositamente per accrescere la propria devozione, siano di per se stessi un male, anche se sono di ostacolo in questo lavoro.

Dio non voglia che tu mi fraintenda. Quello che voglio dire è che, per quanto possa essere buono e santo, quel pensiero è più di ostacolo che di aiuto, almeno per il momento. Infatti, chi cerca Dio nella perfezione non troverà mai il proprio riposo nel ricordo di qualche angelo o santo del cielo.

 

CAPITOLO 10

Come si fa a sapere se un pensiero è da considerare peccato o meno;
e se è peccato, quando è mortale e quando 
è veniale

 

Ma questo non vale per qualsiasi ricordo di una persona vivente o, di qualunque altra cosa materiale o mondana. Quel pensiero spontaneo e improvviso che nasce dentro di te senza che tu lo abbia cercato o voluto, non ti può certo essere imputato a peccato. Lo si può sì considerare peccato, in un certo senso, in quanto è la conseguenza del peccato originale, che ti ha privato del dominio sui tuoi pensieri. Dal peccato originale però sei stato purificato nel battesimo.

Diventa, invece, un vero e proprio peccato se questo impulso improvviso non lo metti subito a tacere. Il tuo cuore di carne è così fragile che ne sarebbe facilmente attratto o per una specie di compiacimento, se si tratta di qualcosa che ti piace o ti è piaciuto in passato, o per una specie di risentimento, se si tratta di qualcosa che ti fa soffrire o ti ha fatto soffrire in passato.

Per coloro che già vivono in peccato mortale, l’attaccamento a questo impulso non è altro che un ulteriore peccato mortale; ma per te e per tutti coloro che hanno volontariamente lasciato il mondo per vivere devotamente, in un modo o nell’altro, in obbedienza alla santa chiesa (non importa se con voti pubblici o privati), intendendo così essere governati non dalla vostra volontà o opinione personale, ma dalla volontà e dai consigli dei vostri superiori, religiosi o secolari; per voi, dunque, un tale attaccamento del vostro cuore carnale, o per compiacimento, o per risentimento, non va certo al di là di un peccato veniale.

La ragione di tutto questo è che la tua intenzione era già basata e radicata in Dio quando ancora eri all’inizio dello stato di vita in cui ora ti trovi, grazie anche all’assistenza e ai consigli di qualche buon padre spirituale. Ma se tu concedi ampio spazio a questo compiacimento o risentimento legato al tuo cuore carnale, senza far niente per reprimerlo, allora finisce per piantar radici nel tuo cuore spirituale, cioè nella tua volontà, e tutto questo con il tuo pieno consenso. In tal caso è peccato mortale.

E questo accade ogni qualvolta tu, o uno di quelli di cui ho appena parlato, rievochi deliberatamente alla memoria qualche persona vivente o qualche oggetto materiale o mondano. Se si tratta di qualcosa o di qualcuno che ti fa soffrire o ti ha fatto soffrire in passato, allora nasce in te una passione furiosa e una sete di vendetta: ecco l’ira.

Oppure ti mostri sdegnato e provi un certo disgusto nei confronti di quella persona, e fai dei giudizi severi e malevoli sul suo conto: ecco l’invidia.

O ancora, si fa strada dentro di te una certa stanchezza e indifferenza di fronte a qualsiasi buona occupazione, sia materiale che spirituale: ecco l’accidia.

Se invece si tratta di qualcosa che ti piace o ti è piaciuto in passato, allora provi uno smodato piacere ogni qualvolta ci pensi sopra, qualunque cosa sia, così che ti riposi all’ombra di questo pensiero, e finisci per legarvi il tuo cuore e la tua volontà, e per nutrire di questo solo pensiero il tuo cuore carnale. A questo punto non pensi di poter desiderare nient’altro di meglio se non di vivere e riposare in pace, in compagnia di questo piacevole pensiero. Ora, se questo pensiero che tu rievochi deliberatamente o a cui fai spazio quando viene o su cui ti soffermi con piacere, riguarda l’eccellenza della natura o del sapere, il fascino o la posizione sociale, i privilegi o la bellezza, allora ecco la superbia.

Se invece si tratta di beni terreni, ricchezze o proprietà, o qualsiasi altra cosa si può possedere o di cui si può essere padroni, ecco la cupidigia.

Se poi si tratta di cibi e bevande raffinati, o di qualsiasi altra forma di delizie del palato, ecco la golosità.

Infine, se c’entra l’amore o il piacere, o una forma qualsiasi di impurità, di allettamento o di lusinga, verso gli altri o verso se stessi, allora ecco la lussuria.

 

CAPITOLO 11

Occorre dare la giusta importanza a ogni pensiero e a ogni impulso,

e stare attenti a non trascurare il peccato veniale

 

Se dico questo non è perché ritengo che tu e tutti gli altri di cui ho fatto menzione siate colpevoli e gravati di tali peccati. Quel che io voglio è che tu dia la giusta importanza a ogni pensiero e a ogni impulso, e lavori alacremente per distruggerli alla radice, non appena fanno la loro comparsa, e ti dànno perciò l’occasione di peccare.

Ho una cosa da dirti: chiunque non valuta attentamente o non dà troppo peso ai primi pensieri, e questo anche se non vi trova alcun motivo di peccato, si macchia sicuramente di trascuratezza nei confronti del peccato veniale. Nessun uomo riesce a sfuggire completamente al peccato veniale in questa vita mortale. Però, tutti i veri discepoli della perfezione devono evitare la trascuratezza nei confronti del peccato veniale. In caso contrario, non c’è da meravigliarsi se prima o poi questi cadono in peccato mortale.

 

CAPITOLO 12

Con questo lavoro non solo si distrugge il peccato,

ma si acquistano anche le virtù

 

Perciò, se vuoi tenerti in piedi e non cadere, non recedere mai dal tuo fermo proposito: colpisci a più riprese la nube della non-conoscenza che si trova tra te e il tuo Dio, con la freccia acuminata del desiderio d’amore. Non aver l’ardire di pensare a qualsiasi cosa inferiore a Dio, e non venir via di lì qualunque cosa capiti. È solo grazie a questo lavoro che puoi sperare di distruggere il fondamento e la radice del peccato so

Se anche dovessi digiunare oltre misura o vegliare fino a tarda notte o alzarti alle prime luci dell’alba o dormire su un tavolaccio e portare il cilicio — sì, se anche ti fosse permesso, ma non lo è!, di cavarti gli occhi o di tagliarti la lingua o di tapparti le orecchie o le narici o di amputarti le membra, insomma, di torturarti il corpo in maniera inverosimile —, tutto questo non ti servirebbe assolutamente a niente. Sentiresti ancora dentro di te gli stimoli e gli impulsi del peccato.

E c’è di più: se anche dovessi piangere lacrime di dolore per tuoi peccati o per le sofferenze di Cristo, o pregustare le gioie del cielo, a che servirebbe? Certamente ricaveresti molto bene, un grande aiuto e giovamento e, in definitiva, molta grazia. Ma in confronto a questo cieco slancio d’amore è veramente ben poca cosa quel che può farti tutto ciò, se manca l’amore. Proprio in questo, e non in altro, consiste «l’ottima parte» che Maria ha scelto. Tutto il resto, senza di essa, è praticamente inutile. E questo amore non solo distrugge il fondamento e la radice del peccato, per quel che è possibile nella vita presente, ma in più suscita le virtù. Infatti, se c’è l’amore, tutte le altre virtù vi sono comprese in maniera vera, perfetta e sensibile, senza che nulla renda meno retta la nostra intenzione. Se manca l’amore, invece, si possono avere tante virtù quante se ne vogliono: saranno tutte in qualche modo viziate da un’intenzione non retta, e quindi imperfette.

Infatti, la virtù non è altro che una tendenza dell’animo ben ordinata e misurata, rivolta direttamente a Dio per amor suo.

Perché? Ma è lui, in se stesso, la pura causa di tutte le virtù! Tanto è vero che se qualcuno fosse spinto a ricercare una particolare virtù per motivi diversi, anche se Dio fosse il motivo principale, una virtù del genere sarebbe imperfetta. E questo lo si vedrà meglio prendendo come esempi una o due virtù, quali l’umiltà e la carità. Chiunque possiede veramente queste due virtù non ha bisogno d’altro: ha già tutto.

 

CAPITOLO 13

In che cosa consiste l’umiltà;

quando è perfetta e quando è imperfetta

 

Esaminiamo innanzitutto la virtù dell’umiltà.

Vedremo che questa è imperfetta quando è originata da motivi diversi da Dio, anche se Dio è quello principale; è invece perfetta quando trae origine da Dio, e da lui solo.

Iri primo luogo dobbiamo sapere che cos’è l’umiltà, se vogliamo intenderla adeguatamente: solo allora saremo in grado di stabilire con maggior verità da dove trae origine. In se stessa, l’umiltà non è nient’altro che la vera conoscenza e la piena coscienza del proprio io, così com’è. Poiché, senz’altro, chiunque riesce a vedere e sentire se stesso così com’è, in verità di spirito, costui è veramente umile.

Due sono le cause dell’umiltà.

La prima è la degradazione, la miseria e la fragilità dell’uomo, conseguenze dirette del peccato d’origine: di queste cose dobbiamo aver coscienza per tutto il tempo della nostra vita mortale, quand’anche fossimo dei santi.

La seconda è l’amore sovrabbondante e la perfezione di Dio in se stesso: nel contemplarlo tutta la natura trema, tutti i dotti diventano stolti, tutti gli angeli e i santi, ciechi. Che se egli, nella sua saggezza divina, non avesse ben dosato la loro contemplazione a seconda della capacità naturale e del progresso nella grazia, non ci sarebbero parole per dire quello che potrebbe capitare a essi.

La seconda delle cause che stiamo considerando è perfetta: durerà per sempre. La prima, invece, è imperfetta. Infatti non solo vien meno alla fine della nostra esistenza, ma ancora può capitare che un’anima, non importa se è santa o miserabile, mentre vive in un corpo mortale, perda completamente e improvvisamente ogni conoscenza e coscienza del proprio essere; e tutto questo avviene allorché la grazia di Dio accresce a dismisura il suo desiderio, con una frequenza e una durata che dipendono solo da Dio.

Sia che capiti spesso o raramente a un’anima che vi è ben preparata, non penso che quest’esperienza duri più di un brevissimo istante.

Ma in quell’istante l’anima è perfettamente umile, poiché non conosce e non sente nessun’altra causa se non quella principale che è Dio stesso. Ma ogniqualvolta sa e sente che vi è qualche altra causa oltre a Dio, anche se questi è la ragione principale, allora la sua umiltà è ancora imperfetta. Nonostante tutto anche questa è buona, ed è sempre necessario averla. Dio non voglia che tu mi abbia a fraintendere.

 

CAPITOLO 14

È impossibile che un peccatore giunga all’umiltà perfetta
in questa vita senza passare prima per quella imperfetta

 

Anche se la chiamo umiltà imperfetta, tuttavia è solo attraverso questa vera conoscenza e coscienza di me stesso, così come sono, che posso giungere alla causa perfetta e alla virtù stessa dell’umiltà. E penso proprio che si faccia più presto in questo modo, che non se tutti gli angeli e i santi in cielo, in unità con tutti gli uomini e le donne della santa chiesa in terra, sia religiosi che secolari, di ogni ordine e grado, si mettessero tutti insieme per quest’unico scopo: pregare Dio perché mi dia la perfetta umiltà. Sì, è veramente impossibile che un peccatore riesca a ottenere, o a conservare quando già ce l’ha, la virtù perfetta dell’umiltà senza quella imperfetta.

Perciò sgobba e suda più che puoi per conoscerti a fondo e costatane la tua miseria. Penso proprio che in tal caso non passerà troppo tempo che tu potrai avere una vera conoscenza ed esperienza di Dio, così com’è. Naturalmente non così com’è in se stesso, poiché nessuno può giungere a tanto, se non Dio solo; e nemmeno così come lo conoscerai in cielo, anima e corpo. Ma nella misura in cui può conoscerlo e farne esperienza un’anima umile che ancora vive in un corpo mortale, sempre se Dio stesso lo concede.

E adesso non pensare che per il semplice fatto che ho individuato due cause dell’umiltà, una perfetta e l’altra imperfetta, io voglio che tu smetta di lavorar dietro all’umiltà imperfetta per concentrarti interamente su quella perfetta. No di certo, in questo modo non riusciresti mai ad acquistarla. Ma se ti ho dato queste indicazioni è perché voglio che tu ti renda conto della preminenza di quest’esercizio spirituale nei confronti di qualsiasi altro esercizio, fisico o spirituale, anche se vien fatto per ispirazione della grazia. Voglio anche che tu sappia che quest’amore segreto che preme continuamente sulla nube della non-conoscenza frapposta tra te e il tuo Dio, se nasce da uno spirito puro contiene veramente e perfettamente dentro di sé la virtù perfetta dell’umiltà, dal momento che non va alla ricerca di niente altro in particolare all’infuori di Dio. Voglio insomma che tu sappia in che cosa consiste l’umiltà perfetta, perché una volta capìta, tu la possa amare, a vantaggio sia mio che tuo; e attraverso questa conoscenza tu possa diventare più umile.

Spesso, infatti, accade che l’ignoranza è causa di molto orgoglio; almeno, questo è il mio parere. Con ogni probabilità, se tu non sapessi qual è l’umiltà perfetta, ti basterebbe avere un po’ di conoscenza e di esperienza di quella che io chiamo umiltà imperfetta, per credere di aver quasi acquisito l’umiltà perfetta. E così inganneresti te stesso, credendo di essere totalmente umile, quando invece sei divorato da un orgoglio ripugnante e puzzolente. Cerca dunque di lavorare a più non posso per acquistare l’umiltà perfetta. Chi l’ha, infatti — e per tutto il tempo che l’ha —, non commette alcun peccato. E anche quando non l’avrà più, non commetterà molti peccati.

 

CAPITOLO 15

Breve argomentazione contro l’errore di coloro che sostengono

che l’umiltà perfetta deriva dalla coscienza della propria miseria

 

Devi credere fermamente a questo: che esiste un’umiltà perfetta così come io te l’ho spiegata, e che la si può conseguire, per grazia di Dio, già su questa terra. Questo discorso io lo faccio per confutare l’errore di chi sostiene che non vi è causa più perfetta di umiltà, se non quella che nasce dal ricordo della nostra miseria e dei peccati commessi.

Sono pienamente d’accordo sul fatto che per i peccatori incalliti come me, il modo più necessario ed efficace per ottenere l’umiltà sta nel ricordo della nostra miseria e dei peccati commessi, almeno fin quando non sia stata in gran parte raschiata la spessa ruggine del peccato, testimoni la nostra coscienza e il nostro direttore spirituale. Ma per quelli che potremmo definire giusti, che non hanno cioè mai commesso un peccato mortale con piena avvertenza e deliberato proposito, ma solo per debolezza e ignoranza, e che ora si fanno contemplativi — e anche per noi due, se la nostra coscienza e il nostro direttore spirituale attestano che abbiam fatto debita ammenda dei nostri peccati attraverso la contrizione, la confessione e la penitenza secondo la procedura stabilita dalla santa chiesa, sempre se ci sentiamo chiamati grazia a diventare contemplativi —; per tutti costoro, dunque, c’è un’altra causa che li renderà umili.

Questa causa è a tal punto superiore a quella imperfetta, come la vita della Madonna è superiore a quella del più accanito peccatore che conduce vita penitente nella santa chiesa, o come la vita di Cristo è superiore a quella di ogni altro uomo al mondo, o come la vita di un angelo in cielo, il quale non ha mai conosciuto né mai conoscerà la fragilità umana, è superiore a quella dell’uomo più fragile qui su questa terra.

Che se non ci fosse una causa più perfetta di umiltà se non quella di vedere e sentire la nostra miseria e debolezza, allora vorrei proprio sapere da coloro che la pensano a questo modo, che cos’è che rende umili quelli che non hanno mai conosciuto né mai conosceranno l’assalto del peccato o la miseria umana. Mi riferisco a nostro Signore Gesù Cristo, alla Madonna e a tutti gli angeli e i santi in cielo. Che noi dobbiamo essere perfetti, in questo come in tutte le cose, è nostro Signore Gesù Cristo che ce lo ricorda nel vangelo, quando ci ordina di essere perfetti per grazia cosa come lui lo è per natura.

 

CAPITOLO 16

Grazie a questo lavoro, un peccatore veramente convertito

e chiamato alla contemplazione giunge prima alla perfezione

che non facendo qualsiasi altro lavoro;

e perdi più in brevissimo tempo può ottenere da Dio il perdono dei peccati

 

Che nessuno accusi di presunzione chi, fosse anche il più miserabile peccatore di questo mondo, dopo aver fatto debita ammenda dei propri peccati e aver sentito dentro di sé la vocazione alla vita contemplativa, con pieno consenso del suo direttore spirituale e della propria coscienza, osa offrire a Dio il suo umile slancio d’amore e premere in segreto quella nube della non-conoscenza che sta tra lui e il suo Dio.

Quando nostro Signore disse a Maria, tipica rappresentante di tutti i peccatori chiamati alla vita contemplativa: «Ti sono rimessi i tuoi peccati», ella non fu perdonata né per il semplice ricordo dei suoi peccati, né per il grande dolore che ne aveva, e neppure per L’umiltà che aveva acquistato nel considerare la propria miseria. Perché allora? Fu senz’altro perché amava tanto.

Ecco! Qui si può vedere quel che riesce a ottenere da nostro Signore una segreta pressione d’amore; ed è ben al di là di ogni altra cosa che possiamo fare o immaginare. Tuttavia devo riconoscere che grande era il suo dolore e versava lacrime amare per i suoi peccati ed era veramente ricolma d’umiltà al pensiero della sua miseria. Allo stesso modo anche noi, che siamo dei miserabili e dei peccatori incalliti per tutto il tempo della nostra vita, dovremmo provare un immenso dolore per i nostri peccati e diventare veramente umili al pensiero della nostra miseria.

Ma come? Certamente come ha fatto Maria. Ella non poteva non sentire un sincero e profondo dolore per i suoi peccati, poiché in tutta la sua vita li portava con sé dovunque andasse, legati assieme come in un fardello riposto nell’intimo del suo cuore, così da non scordarli mai. Ciò nonostante, secondo quanto afferma la bibbia, Maria aveva un dolore ancora più vivo, una brama più penosa, un sospiro più profondo, e ancor più si struggeva quasi a morte, perché voleva amare Dio in misura maggiore: era questo ad angosciarla più che non il ricordo dei suoi peccati. E tutto ciò, quando già grande era il suo amore per Dio. Non devi però meravigliarti, poiché a chi ama sui serio capita veramente così: più ama e più vorrebbe amare.

Tuttavia, ella era pienamente cosciente di essere la più infame tra tutti i peccatori e sentiva dentro di sé con rigorosa verità l’abisso che i suoi peccati avevano creato tra lei e quel Dio che tanto amava. Ed erano proprio i suoi peccati la causa principale per cui era debole e non riusciva ad amare Dio come avrebbe voluto.

E allora? Forse che discese dall’alto del suo desiderio nell’abisso della sua vita peccaminosa, per frugare nel letamaio e nelle acque luride e stagnanti dei suoi peccati? E si mise forse a tirarli fuori accuratamente uno alla volta, così da rimuginare, dolersi e piangere sopra ciascuno di essi? No di certo! Perché? Perché Dio, per sua grazia, le aveva dato di comprendere nell’intimo del proprio cuore che non ne sarebbe mai venuta a capo in questo modo. Se avesse agito così, avrebbe ripreso con ogni probabilità a peccare prima ancora di ottenere con ciò il perdono di tutti i suoi peccati. Ecco perché appese il suo amore e il suo ardente desiderio a questa nube della non-conoscenza e imparò ad amare quel che non sarebbe mai riuscita a vedere chiaramente in questa vita alla luce della ragione, né a gustare pienamente nell’intimo con la dolcezza del suo affetto.

E amava a tal punto, che spesso non si ricordava nemmeno più di essere stata una peccatrice. Per la maggior parte del tempo era così presa dall’amore per Dio che, penso, non faceva più caso alla bellezza e alla grazia del corpo fisico di Cristo, per quanto fosse santo e prezioso, quando egli sedeva a parlare con lei; e non badava a nessun’altra cosa, né materiale né spirituale. Questo sembra essere l’insegnamento del vangelo su questo punto.

 

CAPITOLO 17

Il vero contemplativo non ama interessarsi della vita attiva,

né di quanto si dice o si fa nei suoi confronti, e non sta a confutare i suoi detrattori

 

Nel vangelo secondo s. Luca sta scritto che mentre nostro Signore si trovava nella casa di Marta, sorella di Maria, per tutto il tempo in cui Marta si affaccendava a preparargli da mangiare, Maria se ne stava seduta ai suoi piedi. E mentre ascoltava la sua parola, non si curava né dell’affanno della sorella (anche se era un affanno del tutto buono e santo: non è, infatti, la prima parte della vita attiva?), né della preziosità del sacro corpo di Cristo, né della dolcezza umana della sua voce e delle sue parole (anche se tutto ciò sta a indicare un progresso, poiché si tratta della seconda parte della vita attiva, ovvero della prima parte di quella contemplativa).

Ma quel che le interessava era la suprema saggezza della divinità del Signore velata dalle parole della sua umanità: a questo mirava con tutto l’amore del suo cuore. Con tutto quello che vedeva intorno a sé o si diceva o si faceva nei suoi confronti, non voleva assolutamente staccarsi di lì: se ne stava seduta senza batter ciglio e indirizzava un segreto anelito e molti, dolcissimi slanci d’amore verso quell’alta nube della non-conoscenza che si frapponeva tra lei e Dio. Voglio dirti questo: non c’è mai stata e non ci sarà mai in questa vita una creatura, per quanta pura ed estasiata nel contemplare e amare Dio, che non abbia sempre tra sé e Dio questa nube della non-conoscenza così alta e misteriosa. Proprio in questa nube Maria era tutta presa dai molti slanci segreti del suo amore. Perché? Perché è la parte migliore della contemplazione, e la più santa che ci possa essere su questa terra. Per niente al mondo ella avrebbe la sciato questa sua occupazione. Tant’è vero che quando sua sorella Marta si lamentò di lei con nostro Signore e lo pregò di dirle di alzarsi ad aiutarla e di non lasciarla sola a servire, ella se ne restò seduta senza dire una parola e non mostrò alcun segno di risentimento, né protestò nei confronti della sorella, come invece avrebbe potuto fare. Niente di strano: ella era intenta a fare un altro lavoro, di cui Marta non si rendeva conto. Per questo non si curò di ascoltarla, né di rispondere alle sue lamentele.

Vedi, amico mio: tutto quel che avvenne tra nostro Signore e queste due sorelle, in opere, parole e gesti, vale come esempio per tutti gli attivi e i contemplativi che da allora sono sorti nella santa chiesa e che ancora vi saranno fino al giorno del giudizio.

Maria impersona tutti i contemplativi, perché questi devono modellare la loro vita sulla sua; allo stesso modo e per le stesse ragioni Marta raffigura tutti gli attivi.

 

CAPITOLO 18

Anche ai nostri giorni gli attivi si lamentano dei contemplativi,

così come Marta fece con Maria.

Causa di tutte queste lamentele è l’ignoranza

 

Proprio come allora Marta si lamentò di sua sorella Maria, così ancor oggi gli attivi si lamentano dei contemplativi. Infatti, ammettiamo che ci sia uno — non importa se uomo o donna, secolare o religioso: non faccio eccezioni — che si sente portato dalla grazia di Dio e da una buona direzione spirituale ad abbandonare ogni attività esteriore per dedicarsi completamente alla vita contemplativa, secondo le sue attitudini e la sua coscienza, non senza il permesso del suo direttore spirituale: in men che non si dica ecco i suoi fratelli e le sue sorelle, i suoi migliori amici e molti altri ancora che non sanno niente del suo forte desiderio interiore o del tipo di vita a cui si consacra, levare contro. di lui ogni genere di lamentele, rimproverarlo aspramente e dirgli a chiare lettere che sta perdendo tempo. Ed eccoli poi raccontare un mucchio di storie, alcune vere, altre false, sulla caduta di uomini o donne, che si eran votati anch’essi a tal genere di vita in passato. Mai una volta, però, che parlino di chi è riuscito a perseverare.

Sì, lo riconosco: molti di quelli che hanno abbandonato il mondo solo in apparenza, sono poi caduti, e questo càpita ancor oggi. Siccome non hanno voluto lasciarsi guidare da un vero direttore spirituale, invece di diventare servi di Dio e suoi contemplativi, sono divenuti servi e contemplativi del diavolo, si sono rivolti all’ipocrisia e all’eresia, oppure sono caduti nella follia e in molti altri mali, a scandalo di tutta la santa chiesa.

Ma non è di questo che voglio continuare a parlare, altrimenti, ci allontaneremmo troppo dal nostro argomento. Semmai più in là, se Dio vuole ed e necessario, potremo: osservare qualche aspetto della loro condizione e trovare la ragione della loro caduta. Ma ora basta: dobbiamo andare avanti nel nostro argomento.

 

CAPITOLO 19

Una breve giustificazione dell’autore del libro sul fatto
che tutti i contemplativi dovrebbero scusare pienamente
gli attivi che parlano o agiscono contro di loro

 

Qualcuno potrebbe pensare che io porto poco rispetto a Marta, questa santa del tutto particolare, paragonando le sue parole di rimprovero nei confronti della sorella a quelle degli uomini del mondo o viceversa. Sia ben chiaro che io non intendo affatto mancare di rispetto né a lei né a essi. Dio non voglia che io dica in questo libro qualcosa che possa gettar discredito su qualcuno dei servi del Signore, a qualunque grado appartenga, e in special modo su questa sua santa del tutto particolare.

Penso, infatti, che si debba comprendere e scusare appieno la sua lamentela se si considera il momento e il modo in cui la fece. La causa prima di tutto quel che disse, era la sua ignoranza. Non c’è da stupirsi se in quel momento. Marta non sapeva in qual modo Maria era occupata: credo proprio che non avesse sentito parlar molto in precedenza di una simile perfezione. Inoltre, quel che disse, lo disse in maniera cortese e succinta. Perciò la si deve considerare pienamente scusata.

Allo stesso modo, penso che questi uomini e queste donne del mondo che vivono nella vita attiva, hanno tutte le buone ragioni per essere scusati delle loro parole di rimprovero, cui si è accennato poco sopra. E non importa se si esprimono in maniera rude: bisogna tener conto della loro ignoranza. Come Marta sapeva ben poco di quel che sua sorella Maria stava facendo, quando lei si lamentava con nostro Signore, così le persone del nostro tempo sanno anch’esse ben poco o niente di quel che si propongono i giovani discepoli di Dio quando lascian da parte gli affari di questo mondo e si sforzano di diventare servi speciali di Dio in spirito di santità e giustizia. Che se invece lo sapessero, son proprio sicuro che non parlerebbero e non agirebbero a quel modo. Perciò penso che dobbiamo ritenerli scusati in qualsiasi caso: non conoscono alcun genere di vita migliore di quel che essi stessi vivono.

Inoltre, quando penso alle innumerevoli colpe che io ho commesso in passato, sia in parole che in opere, a causa della mia ignoranza, allora mi viene in mente che se voglio essere scusato da Dio per questi miei peccati d’ignoranza, anch’io devo aver pietà e misericordia per gli altri, scusando sempre quelle parole e azioni che derivano dalla loro ignoranza. Altrimenti, non farei certo agli altri quel che vorrei che essi facessero a me.

 

CAPITOLO 20

La bontà di Dio onnipotente che risponde per conto di tutti quelli che, piuttosto che difendersi dalle accuse, non smettono di amarlo

 

Penso, dunque, che quanti intendono diventare contemplativi non solo dovrebbero scusare gli altri per le loro parole di rimprovero, ma dovrebbero altresì essere così occupati spiritualmente da prestare poca o addirittura nessuna attenzione a ciò che si va dicendo o facendo nei loro confronti. È quel che fece Maria, nostro esempio in tutto questo, quando sua sorella Marta si lamentò di lei con nostro Signore. E se noi faremo altrettanto, nostro Signore non mancherà di fare per noi oggi quel che fece allora per Maria.

Ecco quanto fece, nella sua bontà, nostro Signore Gesù Cristo, a cui non può sfuggire nessun segreto. Quando Marta gli chiese di far da giudice e di dire a Maria di alzarsi per aiutarla a servire, siccome vedeva che Maria era tutta spiritualmente intenta ad amare la sua divinità, con grande cortesia e correttezza rispose lui al suo posto. Ella, infatti, non se la sentiva di lasciar da parte il suo amore per lui, per poter così discolparsi. E come rispose nostro Signore? Certo non come, giudice, secondo quanto aveva invocato Marta; ma come avvocato prese legittimamente le difese di colei che lo amava e disse: «Marta, Marta!». Per ben due volte pronunciò il suo nome, e questo fece per il suo bene, perché voleva che ella lo sentisse e prestasse attenzione alle sue parole. «Tu ti preoccupi — le disse — e ti affanni per molte cose». Gli attivi, infatti, devono sempre occuparsi e interessarsi di una gran varietà di cose, dapprima per provvedere ai loro bisogni, e poi per fare delle opere di misericordia verso il prossimo, come richiede la carità cristiana. Così disse a Marta perché voleva farle comprendere che il suo affanno era cosa buona e utile alla salute dell’anima. Ma perché non pensasse che il suo lavoro fosse il migliore che si potesse fare, aggiunse: «Ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno».

Qual è dunque questa cosa? Certamente che si ami e lodi Dio per se stesso, al di sopra di ogni altra attività, materiale o spirituale, che l’uomo possa fare. E affinché Marta non pensasse di poter amare e lodare Dio al di sopra di ogni altra attività materiale o spirituale, e contemporaneamente occuparsi delle necessità di questa vita, per liberarla dunque dal dubbio di poter servire Dio in maniera perfetta attraverso le attività materiali e spirituali nello stesso tempo — poteva sì farlo, ma in maniera imperfetta aggiunse che Maria aveva scelto «l’ottima parte» che non le sarebbe mai stata tolta.

Infatti, quel perfetto slancio d’amore che inizia qui sulla terra è ancora lo stesso che durerà per sempre nella beatitudine del cielo: l’uno e l’altro sono una sola cosa.

 

CAPITOLO 21

L’esatta interpretazione di questa frase del Vangelo:
«Maria ha scelto l’ottima parte»

 

Cosa significa questa frase: «Maria ha scelto l’ottima parte»? Ogni qualvolta si stabilisce o si nomina una cosa come «ottima», si presume l’esistenza di altre due prima di essa: l’una «buona», l’altra «migliore», cosicché vi sia «l’ottima», che è terza per numero. Ma quali sono queste tre cose buone di cui Maria ha scelto «l’ottima»? Tre tipi di vita, no di certo, poiché la santa chiesa ne conosce soltanto due: la vita attiva e quella contemplativa. E questi due tipi di vita sono allegoricamente raffigurati nel brano evangelico dove si parla delle due sorelle, Marta e Maria. Marta rappresenta la vita attiva, Maria quella contemplativa. Nessun uomo si può salvare senza l’una o l’altra di queste vite; d’altra parte, è impossibile scegliere quale sia l’ottima, dal momento che fra due cose soltanto se ne dà unicamente una migliore dell’altra.

Ma sebbene ci siano solo due tipi di vita, tuttavia in essi sono comprese tre parti, ognuna superiore all’altra. Di queste tre parti si è già parlato prima in questo libro e ciascuna è stata. messa secondo un certo ordine.

La prima parte, come si è detto, consiste in opere di carità e di misericordia corporale, tutte cose buone e oneste. Questo è il primo stadio della vita attiva.

La seconda parte di questi due tipi di vita è composta da efficaci meditazioni spirituali sulla nostra miseria., sulla passione di Cristo e sulle gioie celesti. Se la prima parte e buona, questa e ancora migliore, poiché e il secondo stadio della vita attiva e il primo di quella contemplativa. In questa seconda parte, la vita attiva e quella contemplativa sono unite insieme in una sorta di parentela spirituale, e fatte sorelle come Marta e Maria. Fino a tale altezza di contemplazione può giungere un attivo, e non più in alto, tranne in rarissime occasioni e per una grazia tutta particolare. Fino a tale profondità può scendere verso la vita attiva un contemplativo, e non più in basso, se non in casi rarissimi e per grave necessita.

La terza parte di questi due tipi di vita e tutta racchiusa nella nube della non-conoscenza ed è fatta di innumerevoli slanci d’amore rivolti a Dio così com’è, nel segreto del proprio cuore.

La prima parte è buona, la seconda è migliore, la terza è ottima sotto ogni aspetto. Questa è «l’ottima parte» di Maria. Di qui si può facilmente comprendere perché nostro Signore non disse che Maria aveva scelto «l’ottima vita», dal momento che ci son solo due vite e che tra le due non si può scegliere l’ottima, ma solo la migliore. Di questi due generi di vita «Maria ha scelto — disse — l’ottima parte, quella che non le sarà tolta mai».

La prima e la seconda parte sono sì buone e sante, ma terminano con questa vita. Infatti, nell’altra vita non ci sarà bisogno, come adesso, delle opere di misericordia, né di piangere per la nostra miseria o per la passione di Cristo. E nessuno soffrirà la fame o la sete, come invece su questa terra; nessuno morirà di freddo, né sarà ammalato o senza casa o in prigione; e nessuno avrà bisogno di essere seppellito, perché nessuno dovrà più morire. Ma la terza parte che Maria ha scelto, la scelga chi per grazia di Dio si sente chiamato a seguirla. O meglio, chiunque è scelto da Dio per quella parte, segua con lena e con gioia la sua inclinazione. Quella parte non gli sarà tolta mai: infatti, anche se comincia in questa vita, durerà per sempre.

Lasciate, dunque, che la voce del Signore si levi contro questi attivi, come se stesse parlando loro in questo momento in nostro favore, così come fece allora con Marta per difendere Maria, dicendo: «Marta, Marta!». «Attivi, attivi!, datevi da fare più che potete nella prima e nella seconda parte, ora nell’una, ora nell’altra, o se proprio volete e vi sentite pronti, in tutt’e due contemporaneamente. Ma non impicciatevi degli affari dei contemplativi. Voi non sapete niente del loro travaglio interiore. Lasciateli stare, seduti nel loro riposo a godersi la terza e ottima parte scelta da Maria».

 

CAPITOLO 22

L’amore meraviglioso di Cristo per Maria, che rappresenta tutti i peccatori

sinceramente pentiti e chiamati alla grazia della contemplazione

 

Davvero dolce era l’amore tra nostro Signore e Maria. Ella lo amava tanto, ma ancor più grande era il suo amore per lei. Chiunque si mettesse a esaminare attentamente il rapporto stabilito tra loro due, non secondo quanto può riferire un ciarlatano qualsiasi, ma secondo la testimonianza che deriva dal racconto del vangelo, in cui non vi può essere niente di falso, troverebbe che l’amore di Maria per Cristo era così vivo che nessuna cosa al di sotto di Lui riusciva a soddisfarla o ad allontanare il suo cuore da Lui.

Colei di cui stiamo parlando, è la stessa Maria che non volle essere consolata dall’angelo, quando cercava il Signore al sepolcro tutta piangente. Nonostante le dolci e amorevoli parole degli angeli: «Non piangere, Maria; colui che cerchi, nostro Signore, è risorto; potrai averlo e vederlo vivo in tutta la sua bellezza tra i suoi discepoli in Galilea, così come aveva preannunciato», ella non smise di piangere. Infatti pensava che chiunque intende veramente cercare il Re degli angeli, non vuol fermarsi a dei semplici angeli.

Che c’è ancora? Indubbiamente chi esamina con attenzione i racconti evangelici riguardanti Maria, vi può trovare molti altri episodi meravigliosi di amore perfetto, scritti sul suo conto a nostra edificazione e in così stretta armonia con l’insegnamento di questo libro, come se fossero stati redatti a tal proposito. E certamente è così. Chi ha orecchie per intendere, intenda.

E se qualcuno vuol vedere scritto nel vangelo quell’amore meraviglioso e particolare che nostro Signore aveva verso Maria, figura di tutti i peccatori abituali sinceramente pentiti e chiamati alla grazia della contemplazione, costui troverà che nostro Signore non permise a nessuno, uomo o donna che fosse, e nemmeno a Marta, di pronunciare una sola parola contro la sorella; anzi, si mise a difenderla lui stesso. Ancora, rimproverò Simone il lebbroso nella sua stessa casa per aver pensato male di lei. Questo sì che è un grande amore; un amore davvero impareggiabile.

 

CAPITOLO 23

Dio risponde e provvede in modo spirituale

a favore di coloro che per amor suo dimenticano se stessi

 

Indubbiamente, se avremo un vero desiderio e ci sforzeremo, almeno per quanto sta a noi e con l’aiuto della grazia e della direzione spirituale, di conformare il nostro amore e il nostro modo di vivere a quello di Maria, nostro Signore non mancherà di rispondere in maniera spirituale anche per noi, oggi e sempre, nell’intimo del cuore di coloro che dicono o, pensano male di noi.

Con questo non intendo dire che per tutto il tempo che passiamo in questa vita piena di affanni, non avremo più detrattori o criticoni, come li ebbe invece Maria. Dico piuttosto che se non presteremo orecchio alle loro critiche e non lasceremo a metà il nostro interiore lavoro spirituale a causa delle loro parole e dei loro pensieri — seguendo così l’esempio di Maria —, allora nostro Signore risponderà a essi in spirito, se avranno parlato o pensato senza pregiudizi, così che nel giro di pochi giorni si vergogneranno delle loro parole e dei loro pensieri.

E come risponderà per noi in spirito, così indurrà altri in maniera tutta spirituale a darci il necessario per vivere: cibo, vestiti, e cosa via, sempre se vedrà che noi non abbiamo alcuna intenzione di smettere di amarlo per attendere a queste cose. Questo dico per confutare l’errore di quanti sostengono che non è giusto mettersi a servire Dio nella vita contemplativa, se prima non ci si è assicurati il necessario per il proprio sostentamento. Essi dicono: «Aiutati che Dio ti aiuta». In realtà sparlino di Dio, e lo sanno bene. Infatti, chiunque tu sia ad aver abbandonato con tutta sincerità il mondo per volgerti a Dio, sta’ pur certo che egli ti manderà, indipendentemente dai tuoi sforzi personali, l’una o l’altra di queste due cose: una gran quantità di beni o la forza fisica e la pazienza spirituale per sopportare.

Che importa quale delle due si ottiene? Per il vero contemplativo non c’è alcuna differenza.

Per chi ha dei dubbi a questo proposito, si dovrà dire che ha in cuore il diavolo che gli impedisce di credere, oppure non si è ancora convertito cosa sinceramente come dovrebbe, per quanto possano essere ingegnose e pie le scuse da lui addotte. Perciò, tu che ti proponi di diventare un contemplativo al pari di Maria, accetta di buon grado di essere umiliato dall’incomparabile grandezza e perfezione di Dio (questa è l’umiltà perfetta), piuttosto che dalla tua miseria personale (questa è l’umiltà imperfetta). In altre parole, fissa in maniera speciale la tua attenzione più sull’eminenza di Dio che sulla tua pochezza. A quelli che possiedono l’umiltà perfetta non manca assolutamente niente, né di materiale né di spirituale. Essi, infatti, hanno Dio, in cui sta tutta la pienezza, e chi possiede lui, come questo libro va continuamente dicendo, non ha bisogno di nient’altro in questa vita.

 

CAPITOLO 24

Che cos’è la carità, e come è veramente e perfettamente
contenuta nella contemplazione

 

Abbiamo parlato dell’umiltà, di come essa è tutta racchiusa, in maniera vera e perfetta, in quello slancio d’amore così piccolo e cieco che va a colpire l’oscura nube della non-conoscenza, dopo aver soppresso e rigettato, nell’oblio ogni altra cosa. Questo vale, tuttavia, per tutte le virtù, e in particolare per la carità.

La carità, infatti, consiste unicamente (e tu non dovresti intenderla in altro modo) nell’amare Dio in se stesso, al di sopra di ogni creatura, e nell’amare il prossimo come se stessi, per amore di Dio.

Ora, che nella contemplazione si debba amare Dio in se stesso, al di sopra di ogni creatura, mi sembra abbastanza evidente: come ho già detto prima, in sostanza questo lavoro non è nient’altro che un puro anelito diretto a Dio in se stesso, e a lui solo. Sì, l’ho chiamato puro anelito, perché in quest’opera chi sta diventando vero contemplativo non pretende né una riduzione della pena, né un aumento della ricompensa, ma per dirla in breve, non chiede altro che Dio. Cosicché non gli importa più niente se è afflitto o contento: la sua unica preoccupazione è che sia fatta la volontà di colui che egli ama. Ecco come in questo lavoro si arriva ad amare Dio in se stesso, al di sopra di ogni creatura e in maniera perfetta. Chi compie alla perfezione il lavoro, non permetterà mai che il semplice ricordo di una creatura, fosse anche la più santa che Dio abbia mai creato, venga ad occupare la sua attenzione.

Nella contemplazione si realizza in maniera perfetta anche il secondo aspetto della carità, quello relativo al prossimo. Che ciò sia vero non ci vuol molto a dimostrarlo. Infatti il perfetto contemplativo non tiene in particolare considerazione nessun uomo in quanto tale, parente o estraneo, amico o nemico che sia. Tutti gli uomini sono suoi fratelli in egual misura e nessuno gli è estraneo; tutti gli uomini sono suoi amici e nessuno è suo nemico: ecco come la pensa. E giunge al punto di considerare come suoi amici carissimi proprio quelli che gli fan del male o che lo fanno soffrire, e si sente spinto ad augurar loro lo stesso bene che si augura all’amico più caro.

 

CAPITOLO 25

Durante la contemplazione l’anima perfetta

non si interessa di nessuna persona in particolare

 

Naturalmente non intendo dire che in questo lavoro il contemplativo debba avere un particolare riguardo nei confronti di chicchessia su questa terra, amico o nemico, parente o estraneo. Questo, infatti, non può assolutamente avvenire nella contemplazione perfetta, quando ogni cosa, tranne Dio, deve essere rigettata nell’oblio più completo.

Ma quel che voglio dire è che, grazie a questo lavoro, egli sarà reso così virtuoso e caritatevole, che anche quando scenderà dalle sue altezze per conversare o pregare per il suo prossimo, si mostrerà sollecito in egual misura verso il suo amico come verso il suo nemico, verso gli estranei come verso i parenti. Sì, e talvolta più verso i suoi nemici che verso i suoi amici. Non è che per fare questo egli smetta di contemplare, il che sarebbe peccato grave. Ma di tanto in tanto è bene che discenda in fretta dalle sue altezze, per soddisfare le esigenze della carità.

In questo lavoro d’amore non ha tempo di considerare chi è amico o nemico, parente o estraneo. Non voglio negare che a volte, e anche frequentemente, sente un affetto più intenso verso alcuni piuttosto che verso altri: si tratta di una cosa del tutto legittima, e per molte ragioni. È la carità stessa che lo richiede. Anche Cristo, infatti, sentiva un affetto più intenso verso Giovanni e Maria e Pietro, piuttosto che verso molti altri. Ma quando uno tutto preso da questo lavoro, allora, qualsiasi persona gli è ugualmente cara, poiché non trova altro motivo d’amore se non Dio stesso. Così che egli ama tutti come se stesso, in maniera piena e semplicemente per amore di Dio.

Tutti gli uomini sono sulla via della perdizione in Adamo, ma quelli che testimoniano con le opere il loro desiderio di salvezza sono salvati in virtù della passione di Cristo, e di nessun altro. Ora, in maniera non troppo dissimile, un’anima dedita totalmente alla contemplazione, e quindi unita a Dio in spirito, fa tutto il possibile (ne è prova questo stesso lavoro) per rendere gli altri perfetti come lei. Se un membro del nostro corpo e malato, tutte le altre membra ne risentono e soffrono con lui; se invece un membro è sano, gioiscono con lui tutte le altre membra. La stessa cosa vale spiritualmente per le membra della santa chiesa. Cristo, infatti, è il nostro capo, e noi. siamo le membra, sempre se restiamo nella carità. E chiunque vuol farsi discepolo perfetto di nostro Signore, deve compiere ogni sforzo in questo lavoro spirituale per la salvezza, di tutti coloro che per natura sono a lui fratelli e sorelle, cosa come nostro Signore diede la sua vita sulla croce. E non la diede solo per i suoi amici più intimi o per i suoi parenti più prossimi, per tutta l’umanità in generale, senza alcuna particolare attenzione nei confronti dell’uno o dell’altro. Cosicché quanti intendono rinunciare al peccato e invocare la misericordia di Dio saranno salvati in virtù della passione di Cristo.

Quanto è stato detto a proposito dell’umiltà e della carità vale anche per tutte le altre virtù. Queste, infatti, sono tutte veramente racchiuse in quel piccolo slancio d’amore a cui si è già fatto cenno.

 

CAPITOLO 26

Senza una grazia del tutto speciale o una lunga pratica nella grazia comune,

la contemplazione si rivela un lavoro molto faticoso.

E in questo lavoro qual è il compito dell’anima,

aiutata dalla grazia, e quello di Dio

 

Perciò lavora sodo, almeno per il momento, e picchia a più non posso su quest’alta nube della non-conoscenza. Ti riposerai più tardi. È un lavoro duro, è inutile nasconderlo, per chiunque voglia intraprendere la strada della contemplazione. Sì, è davvero un lavoro faticoso, a meno che non sia reso più agevole da una grazia del tutto speciale o dal fatto che ormai uno vi si è abituato da lungo tempo.

Ma in che cosa consiste la fatica che accompagna questo lavoro? Certo, non in quel devoto slancio d’amore che sgorga senza sosta dall’animo del contemplativo, non per sua propria virtù, ma per mano di Dio onnipotente. Egli, infatti, è sempre pronto a suscitare questo forte desiderio in ogni anima volonterosa, che fa tutto il possibile, e già da molto tempo, per prepararsi adeguatamente a un simile lavoro.

Ma in che cosa consiste, allora, questa fatica? Senz’altro nel soffocare il ricordo di tutte le creature che Dio ha creato e nel ricacciarle sotto quella nube d’oblio di cui abbiamo già parlato. Qui sta tutta la fatica, poiché essa è opera dell’uomo, anche se è aiutato dalla grazia di Dio. Quello invece a cui si è fatto cenno prima, lo slancio d’amore, è opera di Dio, e di lui solo. Continua, dunque, a fare la tua parte; ti assicuro che egli non mancherà di fare la sua.

Su, datti da fare, e in tutta fretta! Vediamo come te la cavi. Non vedi che è lì ad aspettarti? Vergognati! Basta che tu ti metta a lavorar sodo per un momento, e ben presto ti accorgerai che il tuo lavoro non è così immane e difficile. Infatti, anche se all’inizio, quando la tua devozione è ancora scarsa, risulta difficile e arduo da compiere, tuttavia in seguito, una volta che la tua devozione sarà giunta a buon punto, quel che prima era così duro e gravoso diventerà soave e leggero. Può darsi che in certi momenti tu non abbia più niente da fare,. o comunque pochissimo, dal momento che Dio, talvolta compirà egli stesso tutto il lavoro. Non sempre però, né per lungo tempo, ma quando vuole lui e come vuole lui. In questo caso, sarai tutto contento di lasciargli fare a modo suo.

A questo punto può anche darsi che, di tanto in tanto, egli emani un raggio di luce spirituale cosa da trapassare la nube della non-conoscenza che sta tra te e lui, e ti sveli parte dei suoi segreti, dei quali l’uomo non ha né il permesso né la facoltà di parlare. Allora sentirai ardere in cuore la fiamma del suo amore più di quanto io non riesca a dire in questo momento. Non mi arrischio infatti a parlare, con la mia lingua carnale così balbuziente, di quel lavoro che spetta a Dio, e a lui solo; e in definitiva, se anche potessi farlo, non lo farei ugualmente. Ma del lavoro che spetta all’uomo, quando si sente stimolato e aiutato dalla grazia, di questo parlo volentieri, poiché è meno rischioso che parlare del lavoro di Dio.

 

CAPITOLO 27

Chi dovrebbe impegnarsi in questo lavoro di grazia

 

Per prima cosa ti voglio indicare chi deve darsi al lavoro contemplativo, e poi quando e come, e infine con quale moderazione.

Se mi domandi chi deve assumersi questo lavoro, ecco la mia risposta: tutti coloro che hanno veramente abbandonato il mondo cori decisione per dedicarsi non alla vita attiva, ma alla vita contemplativa. Sono proprio costoro che dovrebbero impegnarsi in questo lavoro di grazia, chiunque essi siano, peccatori incalliti o meno.

 

CAPITOLO 28

Nessuno dovrebbe presumere di poter diventare
un contemplativo senza aver prima debitamente purificato
la propria coscienza da tutte le azioni peccaminose

 

Ma se vuoi sapere quando devono dedicarsi al lavoro contemplativo, allora ti rispondo a questo modo: non prima di aver purificato la loro coscienza da tutti i peccati commessi in precedenza, secondo la comune disciplina della santa chiesa.

In questo lavoro l’anima fa seccare completamente le radici e le fondamenta del peccato, che ancor restano anche dopo la confessione, a dispetto di tutto l’impegno che uno vi può mettere. Perciò chiunque vuol compiere ogni sforzo per diventare contemplativo, deve innanzitutto purificare la sua coscienza, e solo in seguito, dopo aver fatto debita ammenda dei propri peccati, può disporsi alla contemplazione con coraggio, sì, ma anche con umiltà. E farebbe bene a ricordarsi di tutto il tempo in cui ha fatto tutt’altro.

Infatti, è questo il lavoro in cui l’anima dovrebbe impegnarsi per tutta la vita, anche se non avesse mai commesso un peccato grave. E per tutto il tempo in cui abiterà in questo corpo mortale, l’anima avvertirà sempre la presenza ingombrante della nube della non-conoscenza tra sé e Dio. Inoltre, come conseguenza del peccato originale, vedrà e sentirà costantemente dentro di sé qualcuna delle creature che Dio ha fatto, o qualche loro opera, tutte protese a intromettersi tra sé e Dio.

Anche questo fa parte della saggezza e della giustizia di Dio: l’uomo, quand’era signore e padrone di tutte le altre creature, si rese volontariamente schiavo dei suoi stessi sudditi, disubbidendo al comando di Dio, suo creatore, cosicché ora, ogniqualvolta vuol eseguire quel comando, vede e sente ergersi al di sopra di sé e intromettersi di prepotenza tra sé e Dio, quelle stesse creature che dovrebbero star sotto di lui.

 

CAPITOLO 29

Bisogna impegnarsi continuamente in questo lavoro,
sopportarne pazientemente le sofferenze, e non giudicare nessuno

 

Perciò chi vuol veramente riacquistare la purezza persa con il peccato e conseguire quello stato salutare in cui non vi è, più dolore, deve impegnarsi continuamente in questo lavoro, sopportandone pazientemente le conseguenze: questo vale sia per un peccatore incallito che per chiunque altro.

Tutti trovano estremamente, faticoso questo lavoro: sia i peccatori, sia i giusti che non hanno mai commesso un peccato mortale.

Ma in definitiva è molto più gravoso per i primi che non per gli altri, ed è anche giusto che sia così. Tuttavia, capita spesso che alcuni peccatori incalliti, colpevoli di peccati orribili, giungano alla contemplazione perfetta prima di altri che non han mai peccato gravemente. Questo è un miracolo della misericordia di nostro Signore, il quale dona loro la sua grazia particolare per riempire di stupore il mondo intero. Ma non ci sarà certo stupore al giorno del giudizio — almeno, io credo —, quando potremo vedere Dio e tutti i suoi doni con chiarezza. Alcuni che ora sono disprezzati e che non godono la minima stima, poiché sono comuni peccatori o forse anche peccatori incorsi in orribili mancanze, in quel giorno siederanno a buon diritto al cospetto di Dio in compagnia dei santi. Altri, invece, che ora sembrano aver raggiunto la perfezione della santità, che son venerati dagli uomini al pari degli angeli e che forse non hanno mai commesso un peccato mortale, troveranno posto negli abissi dell’inferno, là dov’è pianto e stridor di denti.

Di qui si può vedere come nessun uomo dovrebbe giudicare un altro in questa vita, né in bene; né in male. Le azioni, quelle sì, possono essere legittimamente giudicate buone o cattive, ma non gli uomini.

 

CAPITOLO 30
Chi può biasimare e condannare le colpe degli altri

 

Ma chi potrà giudicare le azioni degli uomini?

Senza alcun dubbio quelli che hanno in cura le loro anime e che sono investiti della debita autorità: non importa se ufficialmente, secondo gli ordinamenti della santa chiesa, oppure privatamente e spiritualmente, per una particolare ispirazione dello Spirito santo, in carità perfetta. Ciascuno, dunque, stia attento a non arrogarsi la facoltà di biasimare e condannare le colpe altrui, a meno che non vi si senta veramente stimolato dentro di sé dallo Spirito santo. Diversamente; potrebbe incorrere in errore con sorprendente facilità nel dare dei giudizi. Perciò, fa’ attenzione: giudica te stesso se vuoi, con l’aiuto di Dio o del tuo padre spirituale, ma lascia stare gli altri.

 

CAPITOLO 31

Come si deve comportare il principiante nei confronti
dei pensieri e degli impulsi peccaminosi

 

Quando avrai la sensazione di aver fatto tutto il possibile per correggere adeguatamente i tuoi peccati, secondo quanto stabilisce la santa chiesa, da quel momento mettiti subito a lavorare con decisione in questo lavoro. A questo punto, se tra te e Dio si intromette continuamente il ricordo delle tue azioni passate, o qualche nuovo pensiero o impulso peccaminoso, devi camminarvi sopra con passo fermo, in un fervente slancio d’amore, calpestarli sotto i piedi. E cerca di ricoprirli con una fitta nube d’oblio, come se non avessero niente da spartire né con te né con nessun altro. Se anche si fan vivi spesso, non avere indecisioni: ogniqualvolta alzano la testa, tu ricacciali in basso.

E se pensi di non potercela fare normalmente, niente t’impedisce di ricorrere a ogni sorta di trucchi, sotterfugi e stratagemmi spirituali per eliminarli. E questi espedienti te li insegnerà molto meglio Dio per esperienza che non qualsiasi altro uomo su questa terra.

 

CAPITOLO 32

Due stratagemmi spirituali che possono essere di aiuto al principiante

 

Tuttavia, penso di poterti suggerire alcuni di questi stratagemmi spirituali. Prova a metterli in pratica e vedi di trovare qualcosa di meglio, se ci riesci. Fa’ in modo di comportarti come se non sapessi niente della continua pressione esercitata da quei pensieri tra te e Dio. Prova a guardare, come dire?, sopra le loro spalle, quasi a cercare qualcosa d’altro: e questo qualcosa è Dio, avvolto nella nube della non-conoscenza. Se fai così, ti assicuro che in pochissimo tempo ti sentirai sollevato nel tuo lavoro. Credo proprio che questo stratagemma, se lo si considera nella giusta luce, non è nient’altro che un ardente desiderio di gustare e vedere Dio, per quanto è possibile quaggiù. Tale desiderio è la carità, che riesce sempre a ottenere un certo appagamento.

Ed ecco un altro stratagemma spirituale che puoi benissimo adottare, se vuoi. Quando ti accorgi di non potercela fare in nessun modo a ricacciare quei pensieri, mettiti tutto accovacciato dinanzi a loro, come un soldato povero e debole sopraffatto in battaglia, e ragiona così dentro di te: «È da pazzi continuare a lottare con loro, ormai sono perduto per sempre». In questo modo ti abbandoni a Dio, mentre sei nelle mani dei tuoi nemici. Ti prego di prestare molta attenzione a questo espediente. Infatti, se tu lo metti in pratica, va a finire, secondo me, che ti sciogli in lacrime. Sono peraltro certo che questo stratagemma, se lo si intende bene e per il verso giusto, non è altro che la vera conoscenza e la piena coscienza di quel che sei in realtà: un essere miserabile e corrotto, ancor peggio che niente. Una tale conoscenza e coscienza di sé è l’umiltà stessa. E quest’umiltà fa sì che Dio in persona, nella sua potenza, scenda a vendicarti dei tuoi nemici, e che nel suo amore infinito ti risollevi a sé per asciugare i tuoi occhi spirituali, così come fa un padre con il proprio figlio che sta per finire, nelle fauci dei cinghiali o di orsi inferociti.

 

CAPITOLO 33

In questo lavoro il peccatore viene purificato

dai suoi peccati particolari e anche dalla pena che ne consegue:
tuttavia non c’è mai un perfetto riposo per lui in questa vita

 

Per il momento non ti voglio indicare altri stratagemmi, anche perché se ti sarà data la grazia di metterli in pratica, sono convinto che sarai tu a dovere insegnare a me, e non il contrario. E se ora sono io a insegnare a te, devo comunque confessare con tutta sincerità che ho ancora molta strada da percorrere per esserne degno. Perciò ti prego di aiutarmi e di agire per il tuo bene, ma anche per il mio.

Forza, allora, e non perdere un attimo, te ne prego. Se anche non ottieni immediato successo con questi espedienti, non prendertela, ma sopporta in tutta umiltà questa pena: in verità, è il tuo purgatorio. Quando avrai penato abbastanza e avrai ormai acquisito, per grazia di Dio, quei mezzi che lui stesso ti avrà suggerito, allora, non ho alcun dubbio, sarai senz’altro purificato non solo dal peccato, ma anche dalla pena conseguente. Mi riferisco naturalmente alla pena particolare che deriva dai tuoi peccati personali commessi in passato, e non alla pena del peccato originale. Quest’ultima, infatti, peserà su di te fino al giorno della tua morte, per quanto tu possa darti da fare. Tuttavia non ti darà gran fastidio, in confronto alla pena particolare dei tuoi peccati personali. Non per questo dovrai ritenerti dispensato da un faticoso lavoro. Infatti, ogni giorno il peccato originale produce impulsi peccaminosi sempre nuovi e allettanti, e ogni giorno tu devi impegnarti ad abbatterli e a reciderli a colpi terribili con la spada del discernimento, un’arma affilata e a doppio taglio. Al che puoi ben vedere e comprendere come non vi è né definitiva vittoria, né vero riposo in questa vita.

Nondimeno, non devi tirarti indietro per questo motivo, né lasciarti spaventare dalla paura dell’insuccesso. Poiché se ti sarà data la grazia di distruggere la pena dei tuoi peccati commessi in passato, nel modo che ho appena descritto, o meglio ancora a modo tuo, se sai far meglio, sta’ pur sicuro che la pena del peccato originale, o gli impulsi peccaminosi che esso man mano produce, non ti daranno granché fastidio.

 

CAPITOLO 34

Dio dona liberamente e senza vie intermedie la grazia
della contemplazione, che non si può in alcun modo meritare

 

E se mi domandi in qual modo tu possa giungere al lavoro contemplativo, prego Dio onnipotente perché nella sua grande grazia e benevolenza te lo insegni lui stesso. E io faccio veramente una cosa buona a farti capire che non sono in grado di dirtelo. Non c’è da meravigliarsi: la contemplazione è lavoro di Dio solo, che egli compie di sua volontà nell’anima di quanti gli sono graditi, senza tener conto dei loro meriti.

Se manca l’aiuto di Dio, non c’è angelo o santo che possa, anche lontanamente, sentire il bisogno di un simile lavoro. E credo che nostro Signore è disposto a compiere questo lavoro con ugual premura e frequenza, anzi, forse con premura e frequenza maggiori, nei peccatori incalliti, piuttosto che in quanti, rispetto a essi, non l’hanno mai offeso gravemente. E Dio agisce a questo modo perché noi possiamo riconoscere la sua infinita misericordia e onnipotenza: egli lavora come vuole, dove vuole, quando vuole.

Tuttavia, non dà questa grazia, né compie questo lavoro in un’anima incapace di riceverli, anche se non c’è nessun’anima, peccatrice o innocente, in grado di accogliere questa grazia senza l’aiuto della grazia stessa. Né Dio l’accorda in base all’innocenza, né la rifiuta per via del peccato. Fa’ bene attenzione a quel che ho detto: la rifiuta, e non la ritira. Ti prego, sta’ attento a non sbagliarti su questo punto, perché quanto più ci si avvicina alla verità, tanto più si deve stare in guardia dall’errore. Quel che intendo dire è ben chiaro e preciso, ma se non riesci a capirlo, lascialo da parte finché Dio non venga a fartelo comprendere. Fa’ dunque così e non ti angustiare.

Attenzione all’orgoglio, che bestemmia Dio nei suoi doni e incoraggia i peccatori. Se tu fossi veramente umile, la penseresti come me riguardo alla contemplazione: Dio la accorda liberamente, senza tener conto dei meriti. Questo dono divino è tale che, quando è presente, mette l’anima in grado di possederlo e di gustarlo. È impossibile ottenerlo in altro modo. La capacità di contemplare costituisce una cosa sola con la contemplazione, senza alcuna differenza, cosicché chi è attratto verso il lavoro contemplativo, costui e non altri è in grado di farlo effettivamente. Se Dio non opera in essa, l’anima è come morta, e non sente né la voglia né il desiderio della contemplazione. Quanto più la vuoi e la desideri, tanto più la possiedi: né più né meno. Tuttavia, non è né la tua volontà né il tuo desiderio, ma un qualcosa di insondabile che ti spinge a volere e desiderare ciò che non conosci. Non preoccuparti, te ne prego, se il tuo intelletto non riesce ad andar oltre: al contrario, continua imperterrito nel tuo lavoro cosa da avanzare sempre più.

Per farla breve, lascia che quel qualcosa di insondabile agisca in te a suo piacimento e ti conduca dove vuole lui. Lascia che sia lui a operare e tu a subire la sua azione. Guarda pure, se ti pare, ma lascialo lavorare da solo. Non immischiarti, come se tu volessi aiutarlo: finiresti per rovinare tutto. Tu devi essere il legno, e lui il falegname; tu la casa, e lui il padrone che vi abita. Per il momento fatti cieco e rigetta il desiderio di sapere il perché e il percome: una simile conoscenza ti sarebbe più di ostacolo che di aiuto. Infatti è già abbastanza se senti dentro di te l’autorevole spinta di quel non so che, e se in questo movimento interiore non hai alcun pensiero particolare nei riguardi di qualsiasi cosa inferiore a Dio: il tuo puro anelito deve andare direttamente a Dio.

Se le cose stanno in questo modo, allora puoi essere ben certo che è Dio in persona, e non altri, a muovere la tua volontà e il tuo desiderio, e senza vie intermedie né da parte tua né da parte sua. Ora, non aver paura del diavolo, poiché non può avvicinarsi a te più di quel tanto. Infatti, per quanto possa essere scaltro, il diavolo può muovere la volontà di un uomo solo saltuariamente, e per vie traverse. Nemmeno un angelo buono può muovere direttamente e in maniera adeguata la tua volontà. Insomma, non c’è nessun altro che possa farlo, se non Dio solo.

Puoi ben capire da queste mie parole, ma ancor più chiaramente per esperienza, che in quest’opera gli uomini non devono assolutamente far uso di mezzi e di vie, né possono sperare di giungere alla contemplazione grazie a chissà quali aiuti. Tutti i mezzi efficaci dipendono da Dio, mentre lui non dipende da niente, e nessun mezzo può portare alla contemplazione.

 

CAPITOLO 35

I tre mezzi che dovrebbe impiegare il principiante nella
contemplazione: la «lectio», la «meditatio» e l’«oratio».

 

Tuttavia, ci sono dei mezzi che dovrebbe impiegare chi vuoi diventare vero contemplativo, e precisamente: la «lectio», la «meditatio» e l’«oratio», ovvero, secondo una terminologia più comune e comprensibile: la lettura, la riflessione e la preghiera.

Di questo ha già trattato in un suo libro un altro autore e molto meglio di quanto non sappia fare io: perciò è inutile che mi dilunghi su questo argomento. Ma c’è una cosa che voglio sottolineare: quei tre mezzi sono così correlati tra loro, che è impossibile per uno ai primi passi — non certo per chi è perfetto, per quanto è possibile quaggiù — fare una buona meditazione, se prima non vi è stata una lettura o un ascolto adeguati. Lettura o ascolto, è sempre la stessa cosa: infatti, i chierici leggono i libri e il volgo «legge» i chierici quando li ascolta predicare la parola di. Dio. D’altra parte, i contemplativi incipienti e proficienti non possono nemmeno pregare bene senza l’esercizio preliminare della meditazione.

Una prova di quest’ordine progressivo è data da quanto segue. La parola di Dio, orale o scritta, può essere paragonata a uno specchio. Spiritualmente, l’«occhio» della tua anima è la ragione, mentre la coscienza è il tuo «volto» spirituale. Ora, come gli occhi del tuo vero volto non possono vedere né immaginare la presenza di una macchia sporca sul tuo stesso volto, senza l’aiuto di uno specchio o di qualcun altro che te lo dica, così spiritualmente è impossibile, almeno per la ragione umana, che un’anima accecata dall’abitudine al peccato riesca a vedere la corruzione nella propria coscienza, senza aver letto o sentito la parola di Dio.

E proseguendo di questo passo, quando un uomo vede nello specchio, oppure apprende da altri, dove si trova esattamente quella sporca macchia sul suo viso — tutto ciò sia in senso letterale che spirituale allora, e non prima, egli corre alla fontana a lavarsi. Se questa macchia è un peccato particolare, allora la fontana è la santa chiesa e l’acqua il sacramento della penitenza, con quel che comporta. Se invece si tratta della radice stessa del peccato, allora la fontana è Dio misericordioso e l’acqua è la preghiera, con quel che comporta. Questo sta a dimostrare che i contemplativi incipienti e proficienti non possono meditare senza l’esercizio preliminare della lettura o dell’ascolto, né pregare senza una adeguata meditazione.

 

CAPITOLO 36

Le meditazioni di coloro che sono già avanti nella contemplazione

 

Certamente questo non vale per coloro che sono già avanti nel lavoro contemplativo di cui stiamo trattando. Le loro meditazioni, infatti, consistono nella consapevolezza improvvisa e nel cieco sentimento della propria miseria o della bontà di Dio. E non hanno bisogno di far ricorso a un esercizio preliminare di lettura o di ascolto, o alla considerazione particolare di qualsiasi cosa al di sotto di Dio. Questa consapevolezza improvvisa e questo cieco sentimento si imparano prima da Dio che dagli uomini.

Non mi preoccupo affatto se tu per il momento non dovessi avere altre meditazioni sulla tua miseria, o sulla bontà di Dio (naturalmente do per scontato che tu sia mosso dalla grazia di Dio e ti trovi sotto una buona direzione), se non quelle suggerite dalla parola «peccato» o da quest’altra, «Dio», o da qualsiasi altra parola di tuo piacimento. Non devi né analizzare né esplorare queste parole con avidità di sapere, come se la considerazione delle loro proprietà potesse accrescere la tua devozione. Sono convinto che nel nostro caso e in quest’opera, non capiterebbe mai una cosa di tal genere.

Piuttosto, prendi queste parole così come sono nella loro interezza. Per «peccato» intendi un blocco massiccio di cui non conosci niente, se non che si tratta essenzialmente di te stesso. A mio parere questa maniera di considerare il peccato come un tutt’uno, a cui bai dato la forma di un blocco massiccio e che alla fin fine non è altro che te stesso, dovrebbe mandarti su tutte le furie e farti impazzire. Tuttavia, se qualcuno per caso ti vedesse in questo frangente, non si accorgerebbe di nulla, anzi ti penserebbe nelle più sobrie disposizioni fisiche; e sia che ti trovi seduto o in piedi, fermo o in cammino, in ginocchio o prostrato, nulla trasparirebbe dal tuo comportamento se non una calma assoluta.

 

CAPITOLO 37

Le preghiere personali di coloro che sono già avanti nella contemplazione

 

Come le meditazioni di coloro che cercano di vivere la vita contemplativa sorgono improvvisamente e senza alcun aiuto esterno, così anche le loro preghiere. Mi riferisco alle loro preghiere private, non a quelle prescritte dalla santa chiesa. I veri contemplativi non potrebbero stimare maggiormente queste ultime, tanto che ne fanno largo uso, secondo la forma e le regole stabilite dai santi padri prima di noi.

Ma le loro preghiere personali s’innalzano a Dio in maniera spontanea e repentina, senza alcuna premeditazione o altro espediente, né prima né durante la preghiera stessa. E se anche son fatte di parole, il che capita raramente, si tratta pur sempre di pochissime parole: meno sono, meglio è. E se si tratta di una piccola parola d’una sola sillaba, a mio parere è ancor meglio che una di due, ed è più conforme all’opera dello spirito. Infatti chi si dedica al lavoro contemplativo dovrebbe sempre trovarsi nel punto più alto ed eccelso dello spirito. Che ciò sia vero, lo si può vedere in questo esempio preso dalla realtà quotidiana. Una persona in preda al terrore, per lo scoppio improvviso di un incendio o per la morte repentina di un uomo o per qualcos’altro, raggiunge immediatamente il punto più alto del suo spirito e si sente spinta dalla fretta e dalla necessità a gridare o invocare aiuto. E in qual modo? Certo non con una valanga di parole, e neppure con una semplice parola di due sillabe. Perché mai? Perché gli sembra di perdere troppo tempo per dichiarare il suo urgente bisogno e l’agitazione del suo spirito. Perciò prorompe in un grido lancinante, fatto di una sola parola e di una sola sillaba, come «Fuoco!», oppure «Aiuto!».

Come questa breve parola: «fuoco!», scuote immediatamente la gente e penetra più in fretta nelle orecchie di chi ascolta, così succede con una parolina di una sola sillaba, quando non solo vien pensata o pronunciata, ma è semplicemente formulata in segreto nelle profondità dello spirito. Dire profondità a proposito dello spirito è come dire altezza, perché in questo caso non vi è differenza tra lunghezza e larghezza, altezza e profondità. E questa parolina penetra nelle orecchie di Dio onnipotente molto prima di un’interminabile salmodia mormorata con le labbra senza pensarci. Per questo sta scritto che «la preghiera breve penetra il cielo».

 

CAPITOLO 38
Come e perché la preghiera breve penetra il cielo

 

E perché penetra il cielo, questa breve e corta preghiera di una sola sillaba? Senz’altro perché viene fatta con tutto il cuore, nell’altezza e nella profondità, nella lunghezza e nella larghezza dello spirito di chi prega così. Nell’altezza, poiché possiede tutta la potenza dello spirito; nella profondità, poiché in questa piccola sillaba è Racchiuso tutto ciò che lo spirito sa; nella lunghezza, poiché se potesse sempre sentire quel che adesso prova, griderebbe in continuazione a Dio come fa ora; in larghezza, poiché vorrebbe estendere a tutti gli altri quel che desidera per sé.

È a questo punto che l’anima, secondo le parole di s. Paolo, «è in grado di comprendere con tutti i santi — certo non pienamente, ma solo in parte e in una maniera confacente a quest’opera — qual è la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità» dell’onnipotente ed eterno Dio, sommo amore e saggezza infinita. L’eternità di Dio è la sua lunghezza, l’amore è la sua larghezza, la potenza è la sua altezza, e la saggezza è la sua profondità. Non c’è da stupirsi se un’anima, così plasmata dalla grazia a stretta immagine e somiglianza di Dio suo creatore, vien subito ascoltata da Dio stesso. Sì, se anche fosse l’anima di un grande peccatore — che è come il nemico di Dio — a gridare, spinta dalla grazia, una breve sillaba di tal genere nell’altezza e nella profondità, nella lunghezza e nella larghezza del suo spirito, Dio la sentirebbe ugualmente per via del tono accorato del suo grido, e l’aiuterebbe senz’altro.

Eccone una prova. Se tu dovessi sentire il tuo nemico mortale che, in preda al terrore, grida dal profondo del suo spirito questa breve parola: «Fuoco!» o «Aiuto!», tu, senza pensare che si tratta del tuo nemico, ma mosso a pietà, e preso da compassione per il suo grido lancinante, ti alzeresti senz’altro — sì, fors’anche in una notte di pieno inverno — e andresti in suo soccorso per aiutarlo a spegnere il fuoco o per confortarlo e calmarlo nella sua angoscia. Mio Dio!, se un uomo può diventare, per la grazia, così misericordioso da mostrare tanta pietà e compassione per il suo nemico, nonostante l’odio che gli porta, quale pietà e misericordia avrà allora il Signore — che possiede per natura quel che l’uomo ha per grazia — verso l’anima che lancia un tal grido spirituale dall’altezza e profondità, dalla lunghezza e larghezza del suo spirito? Certamente il Signore avrà molto più misericordia, senza alcun confronto, poiché è molto più vicina alle realtà eterne una cosa posseduta per natura, che non una ricevuta per grazia.

 

CAPITOLO 39

Come deve pregare il contemplativo, e in che cosa consiste la preghiera;

quali parole sono più adatte se si intende pregare oralmente

 

Perciò dobbiamo pregare nell’altezza e nella profondità, nella lunghezza e nella larghezza del nostro spirito. E non con molte parole, ma con una semplice parola di una sola sillaba.

Quale sarà questa parola? Certo una che si accorda per il meglio alla natura della preghiera. E quale parola corrisponde a questo requisito? Vediamo innanzitutto cos’è essenzialmente la preghiera in se stessa; solo allora potremo sapere più chiaramente qual è la parola che meglio si accorda alla natura della preghiera.

Di sua natura la preghiera non è altro che un pio anelito verso Dio, per ottenere il bene e allontanare il male.

Poiché tutto il male si può riassumere nel peccato, che ne è la causa e l’essenza stessa, allora quando preghiamo con la ferma intenzione di allontanare il male, non dobbiamo dire né pensare né intendere nient’altro che questa breve parola: «peccato». Se invece preghiamo con la ferma intenzione di ottenere il bene, non ci resta che gridare a parole, con il pensiero o con il desiderio questa semplice parola, e nessun’altra: «Dio». In Dio infatti si trova tutto il bene: egli ne è la causa e l’essenza stessa.

Non meravigliarti se ho preferito mettere queste parole al posto di altre. Infatti, se potessi trovare delle parole più corte, capaci di riassumere in sé tutto il bene e il male, come fan queste due, oppure se Dio mi avesse insegnato a sceglierne delle altre, avrei certamente preso quelle e avrei lasciato queste. E così che consiglio di fare anche a te.

Non metterti a ricercare delle nuove parole, perché non raggiungeresti mai il tuo obiettivo: al lavoro della contemplazione non si giunge attraverso lo studio, ma solamente per grazia. Perciò non prendere altre parole per la tua preghiera, malgrado io te ne abbia indicate due, se non quelle che Dio ti induce a usare.

Ma se Dio ti induce a usare quelle che ti ho proposto, ti consiglio di non lasciarle perdere, sempre che tu faccia uso di parole nella tua preghiera. La loro efficacia consiste nell’essere parole molto corte.

Quantunque abbia raccomandato soprattutto la brevità della preghiera, non ne va assolutamente rallentata la frequenza, poiché, come ho già detto, si prega nella lunghezza dello spirito. Di conseguenza, una tale preghiera non dovrebbe mai interrompersi, se non quando abbia ottenuto pienamente quello a cui mirava. Un esempio a questo proposito lo ritroviamo nella persona in preda al terrore descritta poc’anzi. Essa non la smette di gridare questa breve parola: «Fuoco!» o «Aiuto», finché non abbia ottenuto il soccorso necessario nella sua disgrazia.

 

CAPITOLO 40

Nella contemplazione l’anima non presta particolare attenzione

a nessun tipo di vizio o di virtù

 

E tu, fa’ lo stesso: riempi il tuo spirito del significato profondo della semplice parola «peccato», senza analizzare di quale peccato si tratta, se veniale o mortale, di orgoglio, d’ira o d’invidia, di cupidigia, di accidia, di gola o di lussuria. Che importa al contemplativo il tipo e la gravità del peccato? Quando è impegnato nel lavoro contemplativo, tutti i peccati li considera ugualmente gravi in se stessi, dal momento che il più piccolo di essi lo separa da Dio e gli toglie la pace interiore.

Cerca di sentire il peccato nella sua totalità, come un blocco massiccio, di cui sai solo che è il tuo stesso io.

E allora emetti a più non posso nel tuo spirito quest’unico grido: «Peccato! Peccato! Peccato! Aiuto! Aiuto! Aiuto!». Questo grido spirituale lo si impara meglio da Dio per esperienza che non dalla bocca di un uomo. È meglio quando scaturisce esclusivamente dallo spirito, senza nemmeno essere pensato o espresso a parole. In rarissimi momenti può capitare, tuttavia, che l’anima e il corpo siano così oppressi dal dolore e dal peso del peccato, che lo spirito sopraffatto non può fare a meno di prorompere in parole.

Allo stesso modo devi comportarti con la breve parola «Dio». Riempi il tuo spirito del suo significato profondo, senza fare nessuna considerazione particolare su una qualsiasi delle opere di Dio: per esempio, se siano buone, migliori o ottime, se siano materiali o spirituali. E non devi cercare di far distinzione tra le varie virtù che possono essere suscitate nell’anima umana dalla grazia: umiltà o carità, pazienza o astinenza, speranza, fede o temperanza, castità o povertà volontaria. Che importa questo al contemplativo, dal momento che tutte le virtù le trova e le sperimenta in Dio? È Dio infatti che ha dato vita a tutte le cose e tutte sussistono in lui. Il contemplativo sa che se ha Dio, possiede ogni bene: per questo non brama nessun bene in particolare, ma l’unico vero bene, Dio. Fa’ anche tu così, per quanto ti sarà possibile con l’aiuto della grazia, e guarda esclusivamente a Dio, a Dio nella sua interezza, così che niente lavori nella tua mente e nella tua volontà, se non Dio solo.

E poiché per tutto il tempo che passi in questa valle di lacrime devi sempre far esperienza in qualche modo di questo blocco massiccio, orribile e puzzolente, qual è il peccato, come se fosse unito e fuso con la sostanza del tuo essere, allora devi continuamente far ricorso prima all’una e poi all’altra di queste due parole: «peccato» e «Dio». E non dimenticare che se tu avessi Dio, allora non avresti più il peccato, e se tu non avessi più il peccato, allora avresti Dio.

 

CAPITOLO 41

In qualsiasi cosa bisogna usare moderazione,

ma non nella contemplazione

 

Inoltre, se tu dovessi chiedermi quale moderazione bisogna avere nel lavoro della contemplazione, ti risponderei in questi termini: «Nessuna, assolutamente!» In qualsiasi altra cosa tu faccia devi usare moderazione, come per esempio nel mangiare, nel bere, nel dormire, nel proteggere il corpo dall’eccessivo calore o dai rigori del freddo, nel tempo da dedicare alla preghiera o alla lettura o alla conversazione con il tuo prossimo. In tutto questo devi usare moderazione, in modo da non sconfinare nel troppo o nel troppo poco. Ma nel lavoro contemplativo non c’è misura che tenga: vorrei che tu non smettessi mai di contemplare per tutto il tempo della tua vita.

Non dirò che devi essere sempre in grado di impegnarti con uguale vigore e freschezza: sarebbe pretendere l’impossibile. Infatti, talvolta la malattia o qualche malessere del corpo o dell’anima, insieme a molte altre necessità naturali, costituiranno un grosso ostacolo e spesso ti faranno scendere dall’alto della contemplazione. Ma tu dovresti sempre essere all’opera, sia che lavori, sia che ti diverta, e questo almeno nelle intenzioni, se non di fatto. Di conseguenza, guardati più che puoi, per amore di Dio, dalla malattia, cosa che non sia tu stesso, per quanto è possibile, la causa della tua debolezza. Ti dico con tutta verità che quest’opera richiede una grande pace, e una totale e pura disposizione d’anima e di corpo.

Dunque, per amore di Dio, controllati nel corpo e nell’anima con gran cura, e mantieniti in salute, per quel che sta in te. E se malgrado il tuo impegno, dovesse sopraggiungere la malattia, sopportala con pazienza e affidati umilmente alla misericordia di Dio: da te non si pretende altro. In verità ti dico: spesso la pazienza nella malattia e in altri tipi di tribolazione, piace a Dio molto di più di qualsiasi pratica devota che tu puoi esercitare quando sei in buona salute.

 

CAPITOLO 42

Solo chi è senza moderazione nel lavoro contemplativo,

può avere una giusta moderazione nelle altre cose; altrimenti no

 

Ma forse mi chiederai come ci si deve comportare con moderazione per quel che riguarda il cibo, il sonno, e così via. Al che la mia risposta è molto breve: «Prendi le cose come si presentano». Continua nel lavoro della contemplazione senza mai fermarti e senza alcuna moderazione, e saprai ben regolarti quando cominciare o smettere in tutto il resto. Non mi par possibile che un’anima, tutta presa da quest’opera notte e giorno senza alcuna moderazione, possa commettere errori di valutazione in questioni concernenti la vita esteriore In caso contrario, secondo me si tratta di un’anima che sbaglierebbe sempre, in qualunque situazione.

Pertanto; se sarò capace di prestare viva attenzione e vigile cura a quest’attività spirituale interna alla mia anima, allora potrò anche avere una certa qual indifferenza nel mangiare e nel bere, nel dormire e nel conversare, e in tutte le altre azioni esteriori. Sono pienamente certo di giungere alla giusta moderazione in queste cose attraverso una tale indifferenza, piuttosto che mostrando viva attenzione per esse o soppesandone accuratamente tutti i pro e i contro. In verità non ne verrei mai a capo in questo modo, per quanto io possa fare o dire.

Gli uomini dicano quello che han voglia: l’esperienza insegna. Perciò, eleva il tuo cuore con questo cieco slancio d’amore e considera ora il «peccato», ora «Dio». Dio lo vorresti avere, il peccato, invece, non lo vorresti aver più. Dio, quello sì ti manca: il peccato sei ben sicuro di averlo. Che il buon Dio ti aiuti in questo frangente, perché ne hai veramente bisogno.

 

CAPITOLO 43

Se uno vuol diventare perfetto contemplativo,

deve per forza perdere ogni conoscenza e coscienza di sé

 

Vedi che non ci sia nulla che lavori nella tua mente e nel tuo cuore, se non Dio solo. Cerca di sopprimere ogni conoscenza e coscienza di qualsiasi cosa che sta al di sotto di Dio, e ricaccia il tutto ben lontano, giù giù sotto la nube d’oblio.

Devi capire che in quest’opera vanno dimenticate non solo tutte le altre creature al di fuori di te (e le loro azioni, nonché le tue personali), ma anche il tuo io, e perfino le azioni che hai fatto per amore di Dio. Infatti, questa è la condizione di chi ama in maniera perfetta: costui non solo ha un grande amore per la cosa che ama più di se stesso, ma in certo qual modo ha anche in odio se stesso per amore della cosa che ama.

Così bisogna che tu faccia con te stesso: devi provar disgusto e fastidio. per tutto quanto lavora nella tua mente o nella tua volontà, a meno che non si tratti di Dio. Qualunque altra cosa al di fuori di lui, verrebbe sempre a inserirsi tra te e il tuo Dio. Non meravigliarti se hai in odio e ti ripugna pensare a te stesso, dal momento che devi aver sempre coscienza del peccato

come di un blocco massiccio orribile e puzzolente, un non so che di frapposto tra te e il tuo Dio. Questo blocco massiccio, infatti, non è altro che il tuo io. E tu devi pensarlo unito e fuso con la sostanza del tuo essere, come se fosse inseparabile da te.

Perciò spazza via qualsiasi conoscenza e coscienza di ogni genere di creature, ma in particolar modo di te stesso. Dalla conoscenza e coscienza di te stesso dipende quella di ogni altra creatura. Al suo confronto ogni altra creatura la si dimentica facilmente. Infatti, se vorrai metterti alla prova per verificare questa mia affermazione, troverai che quand’anche tu avessi dimenticato tutte le altre creature e le loro opere (anche le tue personali), rimarrà pur sempre tra te e Dio la coscienza pura e semplice del tuo essere. E anche questa coscienza deve andar distrutta, prima di poter veramente sperimentare la perfezione del lavoro contemplativo.

 

CAPITOLO 44

Quale deve essere l’atteggiamento dell’anima

nel distruggere ogni conoscenza e coscienza del proprio essere

 

Ma ora vuoi sapere come distruggere questa coscienza pura e semplice del tuo essere. E forse vai pensando che se tu riuscissi a distruggerla, cadrebbero anche tutti gli altri ostacoli: se questo è il tuo ragionamento non ti sbagli di certo.

Voglio comunque dirti che senza una grazia tutta particolare, liberamente elargita da Dio, e senza una totale disponibilità e capacità da parte tua a ricevere questa grazia, tale coscienza pura e semplice del tuo essere non la puoi distruggere in alcun modo. E questa disposizione d’animo non è altro che un sincero e profondo dolore spirituale. Ma in questo dolore è bene che tu abbia molta discrezione. Devi star attento, quando lo avverti, a non tendere troppo violentemente il tuo corpo o il tuo spirito. Piuttosto, mettiti a sedere completamente tranquillo, quasi tu volessi dormire, tutto preso e immerso nel tuo dolore. Questo, infatti, è il vero dolore; questo il dolore perfetto. E beato colui che riesce a provare un simile dolore.

Tutti gli uomini hanno di che affliggersi, ma nessuno più di chi ha conoscenza e coscienza del fatto di esistere. Ogni altro dolore, rispetto a questo, è come uno scherzo in rapporto a una cosa seria. Infatti prova un vero dolore chi ha conoscenza e coscienza non tanto della propria fragilità, quanto piuttosto della propria esistenza. Chi non ha mai provato un simile dolore, può ben rammaricarsi: non sa ancora cosa sia il dolore perfetto.

Questo dolore, quando lo si ha, purifica l’anima non solo dal peccato, ma anche dalla pena che essa ha meritato con il peccato. Inoltre, rende l’anima capace di ricevere quella gioia che libera l’uomo da ogni conoscenza e coscienza del proprio essere.

Questo dolore, quando è genuino, è ripieno di un desiderio ardente e santo: altrimenti nessuno su questa terra riuscirebbe a resistere o a sopportarlo. Intatti, se non fosse perché riceve un certo qual conforto dal bene che opera, l’anima non sarebbe capace di sopportare la pena derivante dalla coscienza della propria esistenza.

Tante volte l’uomo, nella purezza del suo spirito, vuol avere una vera conoscenza e coscienza di Dio, per quel che è possibile quaggiù, e poi sente di non potercela fare, perché si accorge sempre più che la sua conoscenza e la sua coscienza sono come occupate e riempite dalla massa orribile e puzzolente del proprio io, che egli deve sempre odiare, disprezzare e rinnegare, se vuol essere un perfetto discepolo di Dio, secondo l’insegnamento del Signore stesso sul monte della perfezione. Ne segue che l’uomo diventa quasi pazzo dal dolore, al punto che si mette a piangere e a gemere, lotta accanitamente con se stesso, maledice e stramaledice. Insomma, gli sembra di portare un fardello tanto pesante che non si dà più pensiero per quel che gli può succedere, almeno finché Dio vuole così. E pur in mezzo a tanto dolore, non desidera por fine alla sua esistenza: sarebbe soltanto pazzia diabolica e disprezzo per Dio. Al contrario, è ben contento di vivere, e ringrazia Dio di tutto cuore per il prezioso dono dell’esistenza, anche se continua a sospirare di essere liberato dalla coscienza della propria esistenza.

In un modo o in un altro, ogni anima deve provare questo dolore e sentire dentro di sé quest’ardente desiderio. Dio stesso si degna di insegnarlo ai suoi discepoli spirituali, secondo la sua volontà d’amore; deve trovare però corrispondenza nella loro disposizione d’animo e di corpo, tenendo conto del grado a cui son giunti e anche del loro carattere. Solo a questo punto, e se Dio lo permette, essi potranno essere uniti a lui in carità perfetta, per quel che è possibile in questa vita.

 

CAPITOLO 45

Si chiariscono alcuni errori e illusioni che possono capitare in questo lavoro

 

Ma attento a quanto ti dico: è molto facile per un giovane discepolo, non ancora pratico ed esperto in materia spirituale, prendere degli abbagli in questo lavoro. Che se non si accorge subito della sua situazione e se non ha la grazia di piantar li quel che sta facendo e di ubbidire umilmente al suo direttore, rischia facilmente di estenuarsi nel fisico e di danneggiare le proprie facoltà spirituali. E tutto questo a causa dell’orgoglio, delle passioni carnali e dell’avidità di sapere.

Ecco come ci si può illudere. Un giovane o una giovane da poco iniziati alla scuola della devozione, sentono leggere o parlare di questo dolore e di questo desiderio, e vengono cosi a sapere che l’uomo deve elevare il cuore a Dio e desiderare incessantemente di sentire l’amore del suo Dio. E subito, nella loro mente avida di sapere, essi intendono queste parole non in senso spirituale, com’è bene che sia, ma in senso letterale e materiale: così mettono sotto sforzo il loro cuore di carne e lo strapazzano dentro al petto.

Privi della grazia — e se lo meritano ampiamente —, orgogliosi e avidi di sapere, tendono le loro vene e le loro forze fisiche in maniera così rude e violenta, che in breve tempo son presi da stanchezza e un certo qual torpore si insinua nel loro corpo e nel loro spirito. Ed ecco che si allontanano dalla vita interiore, per ricercare all’esterno qualche vana e falsa consolazione materiale, quasi a voler soddisfare il corpo e lo spirito. Oppure, se non avvertono quel torpore, sentono in petto un bruciore del tutto innaturale, causato dall’abuso del loro corpo o dalla loro falsa spiritualità. E ben meritano

questa sensazione, per via della loro cecità spirituale e della violenza fatta alla loro stessa natura umana durante questo lavoro apparentemente spirituale, in realtà più che mai bestiale. O, ancora, si sentono dentro uno strano calore, suscitato dal diavolo, loro nemico spirituale; la causa di tutto questo è il loro orgoglio, la loro sensualità e la loro avidità di sapere. Eppure sono capaci di pensare che si tratta di quel fuoco d’amore portato e acceso dallo Spirito santo, per sua grazia e bontà.

In realtà, da questa illusione e da quelle connesse deriva una gran quantità di mali: molte ipocrisie, eresie ed errori. Come a una falsa esperienza di tal genere segue subito dopo una falsa conoscenza alla scuola del diavolo, così dopo una vera esperienza segue una vera conoscenza alla scuola di Dio.

In verità ti dico: il demonio ha anche lui i suoi contemplativi al pari di Dio.

Le illusioni provocate da questa falsa esperienza, e dalla falsa conoscenza che ne consegue, subiscono variazioni innumerevoli e sorprendenti, a seconda dei vari caratteri e delle complesse situazioni in cui si trova chi rimane ingannato. Allo stesso modo diversi sono gli effetti prodotti dalla vera esperienza e dalla vera conoscenza dei salvati. Ma a questo punto non voglio metterti davanti altri errori se non quelli a cui, credo, sei più esposto, se vuoi diventare veramente un contemplativo. A che ti serve, infatti, sapere quali sono le illusioni degli uomini di cultura e di quelli che si trovano in condizioni diverse dalle tue? Assolutamente niente, questo è certo. Perciò non te ne indico altre, se non quelle che possono capitarti se ti dedichi con impegno al lavoro contemplativo. E quel che ti dico ha lo scopo di metterti in guardia, se mai dovessero assalirti durante il tuo lavoro illusioni del genere.

 

CAPITOLO 46

Un buon insegnamento su come evitare questi errori
e lavorare con ardore spirituale piuttosto che con vigore fisico

 

Quindi, per l’amore di Dio, fa’ bene attenzione quando ti dedichi al lavoro contemplativo, e non strapazzare il tuo cuore dentro al petto in maniera troppo rude, o comunque fuori misura. Lavora con un ardente desiderio piuttosto che con la forza bruta Quanto più il tuo lavoro è fatto con ardente desiderio, tanto più risulta umile e spirituale; al contrario, quanto più è fatto in maniera rude, tanto più risulta materiale e bestiale. Perciò sta’ attento, perché l’animale (in questo caso l’uomo che usa maniere bestiali) che osa toccare l’alto monte della contemplazione, sarà certamente cacciato via a sassate.

I sassi sono delle cose dure e aride, e dove colpiscono lasciano il segno. Così quegli sforzi violenti sono strettamente legati a una visione carnale e puramente fisica, e sono completamente aridi perché non vengono bagnati da una conoscenza di grazia. Inoltre feriscono in modo grave e doloroso l’anima così ottusa, e la avvelenano di fantasticherie e visioni demoniache.

Perciò sta’ attento a non usare maniere violente e bestiali: impara piuttosto ad amare con il desiderio, assumendo un atteggiamento calmo e dolce sia nel corpo che nello spirito. Accetta con rispetto e umiltà la volontà di nostro Signore, e non afferrarla come un levriero vorace, per quanto grande e acuta sia la tua fame.

E se posso darti questo consiglio a mo’ di gioco, io ti inviterei a mascherare più che puoi quell’impulso impetuoso e violento che senti nel tuo spirito, come se tu non volessi in alcun modo far sapere a Dio il tuo ardente desiderio di vederlo, di possederlo, di sentirlo. Forse tu pensi che io stia parlando in maniera infantile e scherzosa. Ma io ti dico, in verità, che chiunque avrà la grazia di mettere in pratica il mio consiglio, si renderà conto di fare un bellissimo gioco con lui, come fa il papà con il suo bambino quando lo bacia e lo stringe al petto, e grande sarà la sua felicità per tutto questo.

 

CAPITOLO 47

Un buon insegnamento sulla purezza di spirito necessaria in questo lavoro: l’anima rivela il suo desiderio in una certa maniera a Dio, e in maniera del tutto differente all’uomo.

 

Non devi meravigliarti se uso questo linguaggio infantile, che può apparire anche insensato o comunque niente affatto appropriato. Lo faccio per diversi motivi, e poi perché mi sembra che già parecchie volte ho avvertito il bisogno di sentire, pensare e parlare in questi termini ad altri miei intimi amici in Dio, proprio come ora nei tuoi confronti.

Ecco uno dei motivi per cui ti invito a nascondere a Dio il desiderio del tuo cuore: secondo me, lo si porta a sua conoscenza ancor più chiaramente nascondendolo, che non mettendolo in mostra in un modo o nell’altro. E questo atteggiamento è anche più vantaggioso per te, perché appaga prima il tuo desiderio.

C’è anche un altro motivo: con una rivelazione occulta di tal genere vorrei sottrarti alla violenza e superficialità dell’emozione fisica, per condurti alla purezza e profondità dell’esperienza spirituale. E così, in definitiva, vorrei aiutarti a stringere quel legame spirituale di amore ardente tra te e Dio, in unità di spirito e armonia di volontà.

Tu sai bene che Dio è spirito; ora, chiunque vuol diventare una sola cosa con lui, deve farlo nella verità e nella profondità dello spirito, ben lontano da ogni apparenza o immaginazione corporea. È ben vero che non c’è cosa, materiale o spirituale, che Dio non conosca, e che niente può restargli nascosto. Ma poiché è spirito, ciò che è nascosto nel profondo dello spirito umano, Dio lo conosce ancor più chiaramente e per lui è ancor più in vista che non qualsiasi altra realtà materiale. Per sua natura ogni realtà materiale è più lontana da Dio di qualsiasi realtà spirituale. Per questo motivo il nostro desiderio, durante tutto il tempo in cui si accompagna a elementi di natura fisica — come avviene quando mettiamo contemporaneamente sotto sforzo e in tensione il nostro corpo e il nostro spirito —, è più lontano da Dio di quanto non sarebbe se scaturisse da maggior devozione e ardore, ma in sobrietà, purezza e profondità di spirito.

Ed eccoti qui spiegato, almeno in parte, il motivo per cui ti consiglio di mascherare e nascondere a Dio, un po’ come fanno i bambini a nascondino, l’impulso. pressante del tuo desiderio. Nello stesso tempo, però, non ti dico di nasconderlo completamente: sarebbe roba da pazzi darti un consiglio di questo genere, perché è assolutamente impossibile metterlo in pratica. Ma quel che ti raccomando è di mettercela tutta per nascondere il tuo desiderio. Perché mai ti dico questo? Perché vorrei che tu lo cacciassi nelle profondità del tuo spirito, ben lontano da ogni possibilità di contaminazione con la materia, che lo renderebbe meno spirituale, e quindi sempre più distante da Dio. E inoltre so bene che più la tua anima diventa spirituale, meno subisce l’influsso delle realtà materiali e quindi si avvicina sempre più a Dio, diviene più piacevole e più chiara ai suoi occhi. Però non è Dio, eternamente immutabile, a vedere qualcosa in modo più chiaro in un certo momento piuttosto che in un altro; ma è la tua anima che si fa più simile a lui, quando vive in purezza di spirito, dal momento che egli stesso è spirito.

E c’è un altro motivo per cui ti dico di fare il possibile perché egli non sappia qual è il tuo desiderio. Io, tu e noi tutti, siamo così pronti a intendere in termini materiali anche quel che viene detto in senso spirituale, che se ti avessi comandato di manifestare a Dio il desiderio intenso del tuo cuore, forse l’avresti espresso in maniera fisica, a gesti, o a voce, o a parole, o in qualche altra rozza manifestazione corporea, allo stesso modo, cioè, con cui riveli a un amico una cosa celata nel cuore; a questo punto il tuo lavoro non sarebbe stato più puro. In effetti, c’è un modo con cui si manifestano le cose agli uomini, e ce n’è un altro con cui si manifestano a Dio.

 

CAPITOLO 48

Dio lo si serve con l’anima e con il corpo, e la sua ricompensa giunge sia all’uno che all’altra; come si fa a sapere se tutte le armonie e soavità che il corpo avverte durante la preghiera sono buone o cattive

 

Non dico questo perché voglio che tu smetta di pregare oralmente ogniqualvolta ti senti portato a farlo, e nemmeno per impedire che, nella traboccante devozione dei tuo spirito, tu ti metta improvvisamente a parlare a Dio come a un uomo, dicendogli qualche buona parolina che senti di dovergli rivolgere, quale: «Buon Gesù! Bel Gesù! Dolce Gesù!» o qualche altra di questo genere. No! Dio non voglia che tu abbia a fraintendere il mio pensiero! In verità, non intendo dire questo. Dio non voglia che io separi quello che lui ha unito: il corpo e l’anima. Dio vuol essere servito con l’anima e con il corpo, tutt’e due insieme, ed è giusto che sia così, e vuol dare all’uomo la ricompensa celeste sia nel corpo che nell’anima. E come pegno di questa ricompensa, di quando in quando infiamma il corpo di un suo devoto servitore qui su questa terra — non una volta o due, ma probabilmente molto spesso, e quando a lui piace —, riempiendolo di meravigliose dolcezze e consolazioni.

Di queste, alcune non entrano nel corpo dall’esterno, attraverso le finestre dei nostri sensi, bensì dall’interno: sorgono e scaturiscono dalla sovrabbondanza di felicità spirituale e da una vera devozione nello spirito. Queste dolcezze e consolazioni non devono essere guardate con sospetto; insomma, chi le sente dentro di sé, può fare a meno di essere prevenuto sul loro conto.

Ma tutte le altre consolazioni e armonie e gioie e dolcezze che vengono improvvisamente dall’esterno, non si sa bene da dove, ti prego di guardarle con sospetto. Infatti possono essere buone o cattive: vengono suscitate da un angelo buono, se sono buone; da un angelo cattivo se sono cattive.

Ma anche queste non procurano alcun male, se nei modi che io ti ho insegnato o in altri migliori, qualora tu li conosca, hai eliminato le illusioni dovute all’avidità di sapere e all’uso sregolato dei sentimenti e delle emozioni. E questo perché? Perché la causa delle consolazioni che tu cos? sperimenti, è proprio quel devoto slancio d’amore che abita in uno spirito puro. È Dio, con la sua mano onnipotente, a suscitare direttamente nell’anima questo devoto slancio d’amore, che di conseguenza deve essere sempre ben distinto da ogni immaginazione o falsa opinione che l’uomo può farsi in questa vita.

Quanto alle altre consolazioni, armonie e dolcezze, e al modo con cui distinguere quelle buone da quelle cattive, non ho intenzione di continuare il discorso per adesso.

Infatti, non ce n’è alcun bisogno, dal momento che questo stesso argomento lo puoi trovare in un altro libro di un altro autore m, e lì è trattato mille volte meglio di quanto non sappia fare io. E così vi puoi trovare tutto quello che c’è qui, ma trattato in maniera migliore. E allora? Non smetterò, né mi stancherò di trovare il mezzo per soddisfare quell’ardente desiderio e quella brama che mi hai mostrato di possedere nel tuo cuore, prima a parole e ora a fatti.

Ma questo ti posso dire a proposito delle dolci armonie e dolcezze che entrano dalle finestre dei sensi e che possono essere buone o cattive. Fa’ uso continuamente di questo cieco, devoto e ardente slancio d’amore di cui ti ho parlato, e poi vedrai che sarà lui stesso a indicarti quali siano buone e quali cattive.

E se anche a tutta prima tu dovessi restare un po’ stupito davanti a esse, perché ti possono apparire strane, questo slancio d’amore darà una tale solidità al tuo cuore, che tu non annetterai grande importanza né presterai fede a quelle dolcezze, finché non sarai sicuro sulla loro natura. E questo avverrà o interiormente, per opera meravigliosa dello Spirito di Dio, o esteriormente, in seguito al consiglio di qualche padre spirituale dotato di particolare discernimento.

 

CAPITOLO 49

La sostanza della perfezione sta tutta in una retta intenzione; tutte le armonie e dolcezze e consolazioni che si possono avere in questa vita sono puramente accidentali

 

Perciò, ti prego, disponiti di buona voglia a seguire quest’umile slancio d’amore del tuo cuore, perché esso vuol essere la tua guida in questa vita e vuol condurti alla felicità eterna nell’altra. Quest’impulso d’amore, senza il quale non c’è opera buona che si possa cominciare o finire, è l’essenza e la sostanza di ogni retta esistenza. In poche parole, non è altro che una retta intenzione in armonia con Dio, e una sorta d’appagamento e di contentezza che senti nella tua volontà per tutto quello che egli fa.

Questa retta intenzione è la sostanza della perfezione. Per quanto possano essere sante, tutte le dolcezze e le consolazioni, sia fisiche che spirituali, non sono che accidenti al suo confronto, e non fanno altro che dipendere da questa retta intenzione. Accidenti li chiamo, perché possono esserci o meno senza che la perfezione ne risenta. Naturalmente, mi riferisco a questa vita, perché non sarà così nella beatitudine celeste, dove tali dolcezze saranno unite in maniera inseparabile alla loro sostanza, così come il corpo in cui operano attualmente sarà unito all’anima. E così la loro sostanza qui in terra non è altro che una retta intenzione del tutto spirituale. E son proprio certo che chi giunge alla perfezione di questo volere, per quel che è possibile quaggiù, è ugualmente contento e felice quando ha le dolcezze e consolazioni che possono capitare all’uomo in questa vita, come quando non le ha, se tale è la volontà di Dio.

 

CAPITOLO 50

L’amore casto; alcuni provano tali consolazioni solo di rado,

altri invece con grande frequenza.

 

Di qui puoi vedere come dobbiamo concentrare tutta la nostra attenzione su quest’umile slancio d’amore che si trova nella nostra volontà. Invece, nei riguardi di tutte le altre forme di consolazione spirituale o materiale, per quanto possano essere sante e piacevoli, dobbiamo mostrare, se è consentito dirlo, una sorta di indifferenza.

Se vengono, accoglile. Ma non dipendere eccessivamente da esse, perché potresti indebolirti per niente; dovresti pagare un prezzo troppo alto per gustare a lungo quelle dolci emozioni e quelle lacrime così soavi. E può anche darsi che ti senta spinto ad amare Dio per causa loro. Ecco come puoi essere certo di questo difetto: se ti lamenti in maniera eccessiva quando esse non ci sono. Se le cose stanno a questo modo, allora il tuo amore non è ancora né casto né perfetto.

L’amore casto e perfetto, se anche soffre perché per il momento il corpo non può godere o aver conforto dalla presenza di tali emozioni e lacrime soavi, tuttavia non si lamenta in alcun modo per la loro mancanza; al contrario, è ben contento di non averle, se questa è la volontà di Dio. Va però notato che in alcune persone la contemplazione è normalmente accompagnata da consolazioni di questo tipo; in altre, invece, rappresentano un caso rarissimo. Tutto questo rientra nell’ordinato disegno di Dio e risponde al bene e ai bisogni di ogni singola persona.

Ci sono, infatti, degli uomini così deboli e, sensibili nello spirito, che se non fossero in qualche modo confortati da tali consolazioni, non riuscirebbero assolutamente a sopportare e a sostenere le diverse tentazioni e tribolazioni a cui sono sottoposti nel corso della loro vita, e che provengono dai nemici del corpo e dell’anima. Altri, invece, sono così deboli di costituzione, che non possono fare delle grandi penitenze per purificarsi. Allora nostro Signore, per sua grazia, purifica queste persone nello spirito, attraverso dolci emozioni e lacrime soavi di tal genere.

D’altra parte, ci sono anche delle persone dallo spirito così forte, che sanno trovare sufficiente conforto all’interno delle loro anime, nell’offrire questo pio e umile slancio d’amore e quest’accordo di volontà, tanto che non hanno neanche bisogno del conforto di soavi emozioni e dolci sentimenti.

Quale delle due categorie è più santa o più cara a Dio, la prima o la seconda? Dio solo lo sa, io no di certo.

 

CAPITOLO 51

Bisogna stare molto attenti a non intendere in senso materiale quel che vien detto in senso spirituale, in particolare le parole «dentro» e «in alto»

 

Perciò abbandonati umilmente a questo cieco slancio d’amore che si trova nel tuo cuore. Naturalmente, non intendo il tuo cuore fisico, ma quello spirituale, cioè la tua volontà. E sta’ ben attento a non interpretare in senso materiale quel che vien detto in senso spirituale. In verità ti dico che i pensieri materiali e carnali di menti curiose, o comunque fervide d’immaginazione, sono causa di molti errori.

Un esempio a questo proposito lo puoi trovare quando ti ho detto di nascondere a Dio il tuo desiderio, almeno per quel che ti è possibile. Infatti, se per caso ti avessi detto di rivelare a Dio il tuo desiderio, forse avresti interpretato la mia affermazione in maniera più letterale di quanto tu non faccia ora, quando ti dico di nasconderlo. E tu sai bene che una cosa, quando la si nasconde volutamente, viene ricacciata e riposta nelle profondità dello spirito.

Ne segue che è estremamente necessario fare molta attenzione nell’interpretare le parole che sono dette con intendimento spirituale, così da poterle recepire nel loro vero senso, che è quello spirituale, e non materiale. In modo particolare, bisogna stare attenti a non fraintendere queste due parole: «dentro» e «in alto», perché in tal caso derivano, a mio parere, molti errori e illusioni per chi si propone di diventare contemplativo. Io ne so qualcosa per esperienza, e qualcos’altro per sentito dire. E ora credo proprio di doverti parlare un poco di queste illusioni.

Un giovane discepolo che ha appena lasciato il mondo e si è messo alla scuola di Dio, per il semplice fatto di essersi dedicato per un poco di tempo alla preghiera e alla penitenza (seguendo così il consiglio del suo confessore), pensa di essere già in grado di sobbarcarsi il lavoro della contemplazione. Ne ha sentito parlare o leggere da altri, o ha letto qualcosa egli stesso. Orbene, quando lui o altre persone di questo genere leggono o sentono qualche descrizione del lavoro spirituale e in particolare come un uomo debba «rientrare dentro se stesso» o ancora come debba «arrampicarsi al di sopra di se stesso» —, subito, per via della loro cecità spirituale e della visione angusta e distorta della loro mente, fraintendono queste parole e pensano di essere chiamati a un tale lavoro dalla grazia, dal momento che sentono dentro di sé un innato desiderio per le realtà mistiche.

E sono così sicuri di sé che, se il direttore spirituale non è d’accordo con loro sul fatto che essi debbano dedicarsi alla contemplazione, si mettono subito a mormorare contro di lui e pensano immediatamente — e forse dicono ad altri della loro stessa risma — che non c’è nessuno che possa veramente capirli. E spinti dall’audacia e dalla presunzione della loro mente perversa, eccoli tralasciare troppo presto l’umile preghiera e la penitenza per mettersi a fare, così credono, un lavoro del tutto spirituale dentro la loro anima. Ma il lavoro che essi fanno, se lo si guarda bene, non è né spirituale né materiale. In breve, è un lavoro contro natura, e il diavolo ne è il principale artefice. È la maniera più sbrigativa per morire sia nel corpo che nello spirito, perché è follia e non saggezza, e può condurre l’uomo sull’orlo della pazzia.

Ma essi non se lo immaginano nemmeno, perché in questo lavoro si propongono di pensare a Dio, e a lui solo.

 

CAPITOLO 52

Come i giovani discepoli presuntuosi fraintendono «dentro»; gli errori che ne derivano

 

Ed è così che si produce la pazzia di cui parlo. Essi leggono o sentono dire giustamente che devono lasciar perdere qualsiasi occupazione esteriore delle loro facoltà mentali per mettersi a lavorare interiormente. E poiché non sanno cosa vuol dire lavorare interiormente, fanno un lavoro sbagliato. Rivolgono i loro sensi verso l’in terno del loro corpo, andando così contro natura; e in maniera inverosimile, quasi a voler vedere di dentro con i loro occhi corporei o sentire all’interno con le loro orecchie, e così via per tutti gli altri sensi, l’odorato, il gusto e il tatto. A questo modo li distorcono, scombussolando l’ordine naturale, e con questa curiosità di spirito finiscono per estenuare la loro immaginazione in maniera così dissennata che rimangono col cervello stravolto. E subito il diavolo mette in atto il suo potere di emanare luci o suoni falsi, odori soavi nelle loro narici, sapori squisiti nelle loro bocche, e prova ad accendere passioni e ardori strani nel loro petto o nelle loro viscere, nella loro schiena o nei loro lombi o nei loro genitali.

Pur in mezzo a questi fenomeni illusori, sono tuttavia convinti di contemplare in tutta tranquillità il loro Dio, senza essere ostacolati da vani pensieri. E in certo qual modo hanno ragione, perché son così pieni di falsità, che la vanità non può nemmeno sfiorarli. E perché? Perché quello stesso nemico che dovrebbe suscitare in loro dei pensieri vani se fossero sulla buona strada, è il principale artefice del lavoro che stan facendo. E tu sai bene che non gli piace, né gli conviene, ostacolare se stesso. Egli non toglie loro il pensiero di Dio, per paura che si insospettiscano.

 

CAPITOLO 53

I vari atteggiamenti disdicevoli che assumono i falsi contemplativi

 

I gesti e le espressioni che assumono quanti sono fuorviati da questa falsa contemplazione, o da qualche altra contraffazione, sono veramente strani a vedersi, specie se rapportati a quelli dei veri discepoli di Dio Questi ultimi, infatti, sono sempre a modo nei loro atteggiamenti, sia corporali che spirituali. Non così invece i primi.

Chiunque volesse prendersi la briga di osservare il loro comportamento nel tempo della contemplazione, li troverebbe con gli occhi sbarrati, ammesso che abbiano gli occhi aperti, come se fossero pazzi, e lo sguardo di sbieco, come se vedessero il diavolo. E fan bene a stare in guardia, poiché in effetti il nemico non è poi molto lontano. Alcuni strabuzzano gli occhi come fossero pecore stordite da una mazzata in testa, e come se stessero per morire. Altri piegano la testa da una parte, come se avessero un verme nell’orecchio. Altri ancora, quando devono parlare emettono suoni rauchi e fiochi, come se non avessero più fiato in corpo: questo è l’atteggiamento proprio degli ipocriti. Altri, infine, urlano e strepitano a squarciagola, tanto sono impetuosi e avidi di dire quel che pensano: così si comportano gli eretici e quanti sostengono sempre l’errore con senso di presunzione e con attività incessante.

Se uno potesse vedere tutti questi atteggiamenti, si accorgerebbe che molte sono le abitudini strane e le pratiche sregolate che derivano da un simile errore. Tuttavia, ci sono alcuni così cauti e diligenti che sanno frenarsi quasi completamente quando sono in pubblico. Ma se si potesse osservarli così come sono in privato, allora credo proprio che cadrebbero tutti i veli. Allo stesso modo, credo che essi si svelerebbero, almeno in parte, a chi osasse contraddire in pieno la loro opinione: si metterebbero a inveire e ad alzare la voce. Eppure, tutto quel che fanno pensano di farlo per amor di Dio e per tener fede alla verità.

Orbene, credo proprio che se Dio non compie un miracolo di misericordia per fermarli in tempo, continueranno ad amare Dio in questo modo, cosicché finiranno pazzi nelle mani del diavolo.

Non intendo dire che il diavolo ha dei servitori così perfetti in questa vita da restare ingannati e contagiati da tutte quante le illusioni che ti ho mostrato. No, non capita sempre così, anche se è possibile che uno, e forse più di uno, rimanga contagiato da tutte insieme. Quel che voglio dire è che non c’è perfetto ipocrita o eretico su questa terra che non sia chiamato in causa da qualcuno degli esempi che ho fatto o che farò più innanzi, se Dio vuole.

Ci sono alcuni che sono così pieni di pose ed espressioni strane, e così affettati nel loro comportamento, che quando devono sentire qualcosa, storcono la testa da una parte in modo bizzarro e drizzano il mento all’insù. Se ne stanno a bocca aperta, come se dovessero sentire con la bocca, e non con le orecchie. Alcuni, invece, quando parlano gesticolano a più non posso: sembrano parlare con le loro dita z, le portano al proprio petto o le posano su quello del loro interlocutore. Alcuni non son capaci di star fermi, siano pure seduti o in piedi o sdraiati; devono sempre ciondolare i piedi o aver qualcosa tra le mani con cui giocherellare. Altri remano con le, braccia quando parlano, come se dovessero attraversare a nuoto un oceano. Altri ancora si mettono sempre a ridere e a sghignazzare a ogni parola che esce dalla loro bocca, quasi fossero sgualdrine o buffoni ridanciani o mattacchioni senza il senso della misura. Sarebbe bene, invece, comportarsi con sobrietà e compostezza e avere in sé una gioia genuina, e non smodata.

Con ciò non voglio dire che tutti questi atteggiamenti eccentrici sono di per sé peccati gravi, e nemmeno che tutti coloro che li assumono sono di per sé grandi peccatori: Ma quel che voglio dire è che se simili atteggiamenti inusitati e sconvenienti prendono piede a tal punto da diventare padroni di chi li possiede, tanto che costui non riesce più a liberarsene, allora sono segni sicuri di orgoglio, di mente perversa, di sregolata mostra di sé e di avidità di sapere. In particolare rivelano un cuore instabile e una mente irrequieta, e, quel che più conta, un’assoluta incapacità a compiere il lavoro di cui parla questo libro. È questo l’unico motivo per cui mi sono dilungato su questi errori e su queste illusioni: perché in tal modo il contemplativo può verificare il proprio lavoro.

 

CAPITOLO 54

Grazie a questo lavoro l’uomo sa governare se stesso
con tutta saggezza e diventa piacevole sia nel corpo che nell’anima

 

Chiunque si dedica al lavoro della contemplazione, si accorge che ne riceve benefici effetti sia nel corpo che nell’anima, tanto da riuscire gradevole e simpatico agli occhi di tutti coloro che lo guardano. Tutto questo è così vero, che se l’uomo o la donna più brutti del mondo dovessero diventare, per grazia di Dio, dei contemplativi, si ritroverebbero improvvisamente cambiati, per effetto della grazia, anche nell’aspetto fisico. Qualsiasi persona buona, nell’incontrarli, resterebbe contenta e felice di godere della loro compagnia, e per di più si sentirebbe riconfortata spiritualmente dalla loro presenza e in qualche modo ravvicinata a Dio.

Chiunque può, cerchi dunque di avere per grazia questo dono; infatti, chi l’ha veramente, è in grado di governare se stesso e tutto ciò che gli appartiene, in virtù di questo dono. Sa, anche usare moderazione quando occorre, per tutti i tipi e i caratteri. Sa essere a suo agio con tutti, peccatori incalliti o meno, senza che in lui ci sia peccato, meravigliando così tutti quelli che lo vedono, e attirando altri, con l’aiuto della grazia, allo stesso lavoro spirituale che fa lui. La sua condotta e le sue parole sono piene di saggezza spirituale, di fuoco e di frutti, sono ferme e veraci, e non conoscono falsità, né ogni altra finzione o lusinga propria degli ipocriti.

In effetti ci sono certuni che sprecano tutte le loro energie, esteriori e interiori, per abbellire i loro discorsi, e pensano soltanto a rinforzare la loro figura e a puntellarla da ogni lato, per timore che cada, con numerose paroline, umili piagnucolii e gesti appariscenti di devozione. Costoro si preoccupano più di apparire santi agli occhi degli uomini, che non di esserlo effettivamente agli occhi di Dio e dei suoi angeli. Se la prendono di più e restano maggiormente afflitti per un gesto inconsulto o una parola indecente o sconveniente detta in pubblico, che non per mille pensieri vani e altrettanti impulsi peccaminosi e maleodoranti che, essi hanno deliberatamente ammassato dentro di sé o che hanno depositato con noncuranza davanti a Dio, ai santi e agli angeli del cielo. Ah, Signore Iddio! Se di dentro c’è l’orgoglio, allora all’esterno si ritrovano con uguale abbondanza dolci parole e umili piagnucolii.

Sono pronto a riconoscere come giusto e conveniente che le persone umili di dentro manifestino all’esterno la loro umiltà con parole e gesti appropriati. Ma non per questo devono esprimersi con voce rotta o piagnucolosa, andando contro la loro stessa natura e il loro carattere. Se la loro umiltà è genuina, allora devono parlare con fermezza e pienezza di voce e di spirito. E se uno ha per natura una voce normale o addirittura potente, ma poi parla a bisbigli e piagnucolii — a meno che sia malato, o stia parlando con Dio o con il suo confessore —, questo è un segno evidente di ipocrisia. Può trattarsi di ipocrisia propria di un principiante o di uno già avanti negli anni: resta sempre ipocrisia.

Che devo dire ancora a proposito di simili malefici errori? Credo proprio che se questi ipocriti non hanno la grazia di smettere dalla loro condotta, tra l’orgoglio segretamente nascosto nel loro cuore e le umili parole che escono dalle loro labbra, l’anima smarrita rischia di sprofondare nel dolore e nella disperazione.

 

CAPITOLO 55

L’errore di quanti seguono il fervore del loro spirito
nel disapprovare il peccato senza la debita moderazione

 

Alcuni, invece, il diavolo li ingannerà in questo modo: infiammerà in maniera del tutto meravigliosa il loro cuore, perché abbiano a far rispettare la legge di Dio e a distruggere il peccato di tutti gli altri uomini. Non li istigherà mai a fare qualcosa di manifestamente cattivo. Egli li rende piuttosto simili a quei prelati pieni di zelo, che hanno il compito di sorvegliare in ogni minima parte tutta la nostra vita cristiana, così come fa l’abate con i suoi monaci. Essi si mettono a rimproverare a tutti gli uomini le loro colpe, come se avessero in cura le loro anime. Pensano di non poter fare altro per amore di Dio, se non denunciare le colpe che vedono. E dicono di essere mossi dal fuoco della carità e dall’amore di Dio che c’è nei loro cuori. In realtà, si ingannano, perché il fuoco che infiamma la loro mente e la loro immaginazione viene dall’inferno.

Che questo sia vero, lo si può vedere da quanto segue. Il diavolo è uno spirito, e per sua stessa natura non ha corpo, al pari degli angeli. Tuttavia, quando il demonio o un angelo, con il consenso di Dio, assumono forma corporea per svolgere una missione presso gli uomini, il loro corpo ha una certa qual forma e qualità, a seconda del compito che è loro affidato. La sacra Scrittura ci presenta molti esempi. Ogniqualvolta un angelo veniva inviato in forma umana, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, era sempre possibile riconoscere — attraverso il suo nome o qualche oggetto particolare o una qualità del suo corpo — qual era l’oggetto o il messaggio della sua missione spirituale.

La stessa cosa vale per il diavolo: quando appare in forma corporea, traspare in qualche modo dal suo aspetto visibile quel che i suoi servitori sono spiritualmente.

A questo proposito mi basta fare un solo esempio. Ho saputo da alcuni cultori di negromanzia — quel l’arte che pretende di evocare gli spiriti maligni — da altri a cui il diavolo è apparso in forma corporea, che qualunque sia l’aspetto che egli assume, non ha mai più di una narice, e questa è grande e vasta. Egli è ben contento di tirarla in su per far sì che l’uomo vi affondi lo sguardo e giunga a vedere il cervello nella sua testa. E il suo cervello non è altro che il fuoco dell’inferno, perché il diavolo non può avere altro cervello. E non domanda niente di meglio che farvi guardar dentro un uomo; perché costui diventerebbe pazzo per sempre. Ma un perfetto professionista dell’arte negromantica sa bene tutto questo, e quindi prende ogni precauzione perché il diavolo non abbia a fargli del male.

Quindi ho ragione quando affermo, come ho già detto, che ogniqualvolta il diavolo assume una forma corporea, traspare in qualche modo dal suo aspetto visibile quel che i suoi servitori sono in spirito. Infatti egli infiamma a tal punto l’immaginazione dei suoi contemplativi con il fuoco dell’inferno, che questi, improvvisamente, pronunciano giudizi a destra e a manca senza alcun discernimento, e si arrogano il diritto di giudicare le colpe degli altri, senza avere nemmeno gli elementi per farlo.

Questo avviene perché anch’essi non hanno che una sola narice, spiritualmente parlando. La divisione che c’è nel naso umano, e che separa una narice dall’altra, sta a significare che l’uomo deve avere il discernimento spirituale, e saper distinguere il bene dal male; il male dal peggio, il bene dal meglio, prima di poter esprimere un giudizio su qualsiasi cosa abbia sentito dire o vistò fare attorno a lui. Il cervello umano è, in senso spirituale, l’immaginazione, perché per sua natura questa si trova e lavora nella testa.

 

CAPITOLO 56

Le illusioni che subiscono quelli che fanno affidamento sulle proprie risorse intellettuali e sulla sapienza umana, piuttosto che sulla dottrina e sugli insegnamenti della santa chiesa

 

Ci sono poi alcuni che se anche non cadono nell’errore che ho appena esposto, tuttavia, a causa del loro orgoglio, della loro mente speculativa e avida di sapere, e della loro erudizione, abbandonano la dottrina e gli insegnamenti della santa chiesa. Tutti costoro, e anche i loro sostenitori, fanno troppo affidamento sul proprio sapere. E poiché non sono fondati, né lo sono mai stati, sull’umile cieca esperienza contemplativa e su una vita virtuosa, allora meritano di avere un’esperienza falsa e illusoria, contraffatta e prodotta dal nemico spirituale.

Avviene così che alla fine prorompono in bestemmie contro tutti i santi, i sacramenti, e gli ordinamenti della santa chiesa. Non mancano poi uomini di mondo dediti ai piaceri della vita, i quali ritengono troppo dure le leggi imposte dalla santa chiesa a chi vuol emendarsi. Costoro, con prontezza e leggerezza sconcertante, passano dalla parte di questi eretici e sostengono fermamente, perché pensano di poter fare, sotto la loro guida, una via più comoda di quella ordinata dalla santa chiesa.

In verità, chi non vorrà percorrere la via stretta che porta al cielo, si ritroverà su quella larga che porta all’inferno. Questo è quel che penso io, ma ognuno potrà rendersene conto di persona. E credo pure che se noi potessimo vedere chiaramente questi eretici e i loro sostenitori, così come saranno l’ultimo giorno, li vedremmo oppressi dal peso della loro impudente sfrontatezza nel sostenere l’errore; ma anche dal peso dei grossi e orribili peccati del mondo e della loro carne corrotta, che hanno commesso in segreto. E a buon diritto allora si può chiamarli discepoli dell’Anticristo, poiché di essi si dice che, nonostante la loro apparente virtù, in privato sono libertini e depravati.

 

CAPITOLO 57

Come i giovani discepoli presuntuosi fraintendono «in alto»; gli errori che ne derivano

 

Ma per ora basta su questo argomento. Dobbiamo andare avanti nel nostro discorso e vedere come questi giovani discepoli spirituali, presuntuosi fraintendono quest’altra parola: «in alto».

Se capita loro di leggere, o di sentir leggere o dire, che gli uomini devono levar in alto il loro cuore a Dio, eccoli fissare lo sguardo sulle stelle, come se volessero oltrepassare la luna, e tendere le orecchie, come se sentissero cantare un angelo dal cielo. Sull’onda delle loro fantasie mentali, costoro giungono talvolta a perforare i pianeti, e a fare un buco nel firmamento per guardarci dentro. Si fabbricano un Dio a loro piacimento, lo ammantano di ricche vesti e lo mettono su un trono: un Dio così strano non è mai stato dipinto sulla faccia della terra. Ancora, si fabbricano angeli in forma umana e ciascuno con il suo diverso strumento musicale: una cosa di questo genere non la si è mai vista né sentita quaggiù.

Alcuni di questi uomini, il diavolo li inganna in modo del tutto meraviglioso. Infatti, manda loro una specie di rugiada — cibo degli angeli, essi pensano — che discende come dal cielo e cade dolcemente e deliziosamente nella loro bocca. Ecco perché hanno preso l’abitudine di starsene seduti con la bocca aperta, come se volessero’ prender mosche. Ma per quanto a loro possa sembrare santo, tutto questo non è che una mera illusione: la loro anima nel frattempo è completamente vuota di ogni vera devozione. Il loro cuore, invece, è pieno di vanità e falsità, a causa dello strano lavorio della loro immaginazione. Ed ecco che spesso il diavolo inganna le loro orecchie con suoni inusitati, i loro occhi con luci folgoranti e misteriose, il loro naso con profumi gradevolissimi: nonostante tutto, questi sono fenomeni fasulli.

Ma essi non la pensano così. Tenendo lo sguardo rivolto in alto, credono di seguire l’esempio di s. Martino, che vide Dio, per rivelazione, rivestito del suo mantello nel bel mezzo dei suoi angeli, o di s. Stefano, che vide nostro Signore nella gloria dei cieli, o di molti altri; e in particolare, di Cristo stesso, che ascese al cielo con il corpo alla vista dei suoi discepoli, Perciò essi dicono che dobbiamo tenere gli occhi rivolti all’insù. Son pronto ad ammettere che nel nostro contegno fisico dobbiamo levare in alto gli occhi e le mani, se lo spirito ci muove a farlo. Ma io dico che l’opera del nostro spirito non è diretta né in alto né in basso, né da una parte né dall’altra, né avanti né indietro, come è invece il caso di una cosa materiale. Il nostro lavoro, infatti, deve essere spirituale, e non materiale, né lo si può compiere in maniera fisica.

 

CAPITOLO 58

Non bisogna prendere come esempio s. Martino e s. Stefano,

per tendere fisicamente in alto la propria immaginazione durante la preghiera

 

In riferimento a quanto le suddette persone affermano di s. Martino e di s. Stefano, bisogna ricordare che, sebbene questi santi videro Dio con i loro occhi corporei, si trattò chiaramente di un miracolo per dimostrare una verità spirituale. Si sa benissimo che il mantello di s. Martino non ricopri mai il corpo di Cristo in maniera reale, poiché egli non aveva assolutamente bisogno di ripararsi dal freddo, ma solo in maniera miracolosa e simbolica. Ciò costituisce un esempio per tutti coloro che devono essere salvati e appartengono spiritualmente al corpo di Cristo. Chiunque veste un povero per amor di Dio o fa del bene corporale e spirituale a una persona bisognosa, costui può star certo che lo fa spiritualmente a Cristo stesso: e per tutto questo sarà ricompensato in modo cosa tangibile come se l’avesse fatto a Cristo in persona.

Lo dice egli stesso nel vangelo. Ma pensò che non era ancora abbastanza, e cosa in seguito lo confermò con un miracolo: è per questo motivo che si mostrò a s. Martino in una speciale rivelazione. Tutte le rivelazioni in forma corporea che gli uomini abbiano mai avuto qui su questa terra, possiedono un significato spirituale. E credo che se coloro che le hanno avute, fossero stati abbastanza spirituali o avessero potuto comprendere il loro significato in maniera spirituale, quelle rivelazioni non avrebbero mai preso una forma corporea. Togliamo perciò la dura scorza e nutriamoci della dolce mandorla.

Ma come? Non imitando questi eretici, i quali possono essere ben paragonati a quei pazzi che, dopo aver bevuto in una coppa splendida, hanno l’abitudine di gettarla contro il muro in modo da mandarla in frantumi.

No, non è così che noi dobbiamo comportarci, se vogliamo far bene. Noi non saremo così sazi del frutto da dover disprezzare l’albero, né cosi ebbri da mandar in frantumi le coppe in cui abbiamo bevuto.

L’albero e la coppa, cosi io chiamo i miracoli che possiamo costatare e tutti gli atteggiamenti esterni che non contrastano, anzi che ben si accordano all’opera dello spirito. Il frutto e il vino, cosi io chiamo il significato spirituale di quei miracoli visibili e degli atteggiamenti esterni appropriati, come l’elevare gli occhi e le mani al cielo. Se questi son compiuti seguendo l’impulso dello spirito, allora sono buoni; altrimenti sono soltanto ipocrisia, e quindi falsi. E se tali atteggiamenti sono veri e contengono il loro frutto spirituale, perché disprezzarli? Gli uomini, infatti, baciano la coppa se dentro c’è il vino.

E che importanza ha se nostro Signore, quando ascese al cielo con il corpo, fu visto dagli occhi corporei di sua madre e dei suoi discepoli salire verso l’alto tra le nubi? Forse che nel nostro lavoro spirituale dobbiamo allora guardare perennemente in alto con gli occhi corporei e cercare di vedere Cristo seduto in cielo in carne e ossa, o in piedi come lo vide s. Stefano? No, senz’altro! Egli si rivelò a s. Stefano sotto forma umana in cielo, non perché il primo martire ci desse l’esempio di come bisogna guardare in cielo materialmente durante la contemplazione, caso mai dovessimo vederlo anche noi, come lui, in piedi o seduto o disteso. Quale sia la posizione del suo corpo in cielo, se in piedi o seduto o disteso, nessuno lo sa. E non occorre nemmeno saperlo. Basta questo: Cristo è asceso al cielo anima e corpo, senza alcuna distinzione. Allo stesso modo, la sua umanità, costituita dall’anima e dal corpo, è unita in maniera indissolubile alla sua divinità. Non interessa affatto sapere se è seduto o in piedi o disteso, ma piuttosto che è là come gli è più gradito e che atteggia il suo corpo nella posizione più adeguata al suo essere. E se si mostra disteso o in piedi o seduto, in una delle rivelazioni corporee a qualche creatura di quaggiù, lo fa per qualche scopo spirituale, e non perché si trova effettivamente in quella posizione in cielo.

Un esempio te lo illustrerà meglio. L’espressione «stare in piedi» implica la prontezza nel soccorrere. Per questo motivo un amico usa dire all’altro, impegnato in un combattimento fisico: «Fatti coraggio, amico, battiti con vigore e non abbandonare il campo troppo facilmente. Io sono qui al tuo fianco». Ed egli non vuole intendere semplicemente lo stare in piedi, perché questa può anche essere una battaglia a cavallo e non in piedi, o ancora, di movimento e non di posizione. Ma quando dice che c’è lui al suo fianco, vuole intendere che è pronto a portargli aiuto.

Questo è il motivo per cui nostro Signore si rivelò a s. Stefano in posizione ritta su nel cielo, mentre lui subiva il martirio, e non per darci l’esempio di guardare in alto verso il cielo. E come se avesse detto a s. Stefano, modello di tutti coloro che soffrono persecuzioni per amor suo: «Guarda, Stefano! Come è vero che io dischiudo dinanzi a te questo firmamento materiale, che vien chiamato cielo, e com’è vero che tu mi puoi vedere qui in piedi, così devi credere con uguale certezza che io sono lì al suo fianco spiritualmente, per la potenza della mia divinità, e che sono pronto ad aiutarti. Perciò tieniti saldo nella fede, e sopporta con coraggio i colpi violenti di quelle dure pietre. Io ti darò la corona della beatitudine come ricompensa, e non solo a te, ma anche a tutti coloro che soffriranno persecuzioni di ogni sorta per causa mia».

Puoi in tal modo vedere come le apparizioni corporali avvengono per un preciso scopo spirituale.

 

CAPITOLO 59

Non bisogna prendere come esempio l’ascensione corporea di Cristo;

il tempo, il luogo e il corpo vanno tutti e tre dimenticati in qualsiasi lavoro spirituale

 

E se ora sposti il discorso sull’ascensione di nostro Signore, e dici che essa ha un significato materiale oltre che spirituale, perché Cristo è asceso al cielo come vero Dio e vero uomo, e quindi con il suo vero corpo, ti rispondo a questo modo: dopo la sua morte, egli fu rivestito di immortalità e così avverrà per noi nel giorno del giudizio. Allora ci troveremo così rarefatti nel corpo e nello spirito, che saremo in grado di andare fisicamente in qualunque posto vorremo, con la stessa velocità con cui ora ci muoviamo da un posto all’altro con il pensiero. In alto, in basso, di fianco, indietro, in avanti: sarà sempre la stessa cosa per noi, e andrà ugualmente bene, a detta dei teologi; e anch’io la penso così. Ma, adesso come adesso, tu non puoi salire in cielo fisicamente, ma solo spiritualmente. E quest’ascesa è così spirituale che non presenta alcuna direzione fisica: né in alto né in basso, né da una parte né dall’altra, né in avanti né indietro.

Sta’ pur certo che tutti coloro che si mettono a fare un lavoro spirituale, e in particolare quello delineato in questo libro, anche se leggono «eleva» o «entra» non devono intenderlo in senso letterale.

E anche se il lavoro indicato in questo libro è definito come un impulso, si deve fare molta attenzione perché non tenda corporalmente né verso l’alto né verso l’interno, e non sia in alcun modo un movimento da un posto all’altro. E anche se a volte lo si indica con il termine riposo, non si deve tuttavia pensare che si tratta di restare in un posto senza spostarsi. La perfezione della contemplazione è così pura e cosi spirituale in se stessa, che per intenderla nel suo vero senso deve essere considerata come qualcosa di assolutamente diverso e lontano da ogni movimento o posto fisico.

Sarebbe meglio e più ragionevole chiamare questo lavoro un brusco cambiamento, piuttosto che un movimento da un posto all’altro.

Il tempo, il luogo e il corpo vanno tutti e tre dimenticati in ogni lavoro spirituale. Quindi sta’ attento in quest’opera a non prendere come esempio l’ascensione corporea di Cristo, per tendere fisicamente in alto la tua immaginazione durante la preghiera, quasi a volerti arrampicare al di là della luna. Non è affatto così che si svolge la nostra attività spirituale.

Se tu dovessi ascendere al cielo fisicamente come Cristo, allora sì potresti prendere lui come esempio. Però nessuno è in grado di farlo, se non Dio solo, come egli stesso afferma dicendo: «Nessuno può salire al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, e che si è fatto uomo per amore degli uomini». E se anche fosse possibile, ma non lo è, sarebbe dovuto alla sovrabbondanza del lavoro spirituale e solo alla potenza dello spirito, e non grazie a qualsivoglia tensione o sforzo fisico sulla nostra immaginazione, per farla andare in alto, o dentro, o da una parte o dall’altra.

Perciò lascia da parte questo errore: non è così che si fa.

 

CAPITOLO 60

La maniera più elevata e più breve per giungere al cielo
è quella di correre con il desiderio, e non con i piedi.

 

Ma ora mi chiedi: «Come fai ad arrivare a simili conclusioni?» Infatti, ti sembra di avere prova sicura ed evidente che il cielo si trova in alto: Cristo è asceso fisicamente verso l’alto e, come aveva promesso, ha mandato lo Spirito santo dall’alto, così che tutti i suoi discepoli l’hanno visto discendere in forma corporea.

E noi questo lo crediamo per fede. Perciò, dal momento che hai questa prova sicura ed evidente, vai chiedendoti come mai tu non debba dirigere il tuo spirito fisicamente in alto quando preghi.

Cercherò di rispondere a questo interrogativo meglio che posso, anche se la mia risposta sarà sempre inadeguata. Siccome era stabilito che Cristo dovesse ascendere al cielo fisicamente, e poi mandare lo Spirito santo in forma corporea, era più opportuno che tutto ciò avvenisse in alto e dall’alto, piuttosto che in basso e dal basso, o dietro, o davanti, o da una parte o dall’altra. Ma a prescindere da una tale questione di opportunità, non era assolutamente necessario che Cristo andasse in alto o in basso per accorciare la strada.

Perché, spiritualmente, il cielo è vicino allo stesso modo in alto come in basso, in basso come in alto, dietro come davanti, davanti come dietro, e da una parte come dall’altra. Tant’è vero che chiunque desidera veramente essere in cielo, in quello stesso istante è già in cielo spiritualmente. Infatti, la maniera più elevata e più breve per giungere al cielo è quella di correre con il desiderio, e non con i piedi Per questo s. Paolo, parlando di sé e di molti altri, dice: «Anche se i nostri corpi sono per il momento qui, su questa terra, tuttavia noi viviamo già in cielo». Egli si riferisce all’amore e al desiderio che sono, spiritualmente parlando, la nostra vita.

Una cosa è certa: l’anima è là dove si trova l’oggetto del suo amore, in maniera così vera e reale come nel corpo che la ospita e al quale dà la vita. Se allora vogliamo andare in cielo spiritualmente, non c’è bisogno di tendere il nostro spirito né in alto né in basso, né da una parte né dall’altra.

 

CAPITOLO 61

Tutte le cose materiali sono soggette a quelle spirituali
e sono da queste governate (seguendo cosa l’ordine 
naturale), e non il contrario

 

Tuttavia abbiamo bisogno di elevare fisicamente i nostri occhi e le nostre mani lassù, verso quella volta celeste a cui gli astri sono fissati. Naturalmente, parto dal presupposto che il nostro spirito ci spinga a farlo; altrimenti no. Tutte le cose materiali infatti, sono soggette a quelle spirituali, e sono da queste governate, e non il contrario.

Un esempio di quanta vengo dicendo, si può trovare nell’ascensione di nostro Signore. Quando venne il tempo stabilito in cui a lui piacque ritornare al Padre fisicamente nella sua umanità — la quale non fu separata, né mai lo sarà, dalla sua divinità — allora la virtù dello Spirito di Dio si manifestò in tutta la sua potenza, e nell’unità di una sola persona l’umanità segui corporalmente la divinità. L’apparenza visibile di tutto questo fu, nella maniera più adeguata e conveniente, un moto verso l’alto.

Analogamente, si può in certo modo cogliere la dipendenza del corpo dallo spirito in quanti cercano di mettere in pratica il lavoro spirituale indicato in questo libro. Infatti, non appena l’anima si mette decisamente al lavoro, subito, senza che il contemplativo ci faccia caso, il corpo, che magari prima di cominciare pendeva verso terra o da una parte o dall’altra per comodità della carne, si tiene su ritto in virtù dello spirito, e segue in certo qual modo con il proprio atteggiamento fisico il lavoro spirituale compiuto dall’anima. Ed è del tutto confacente alla natura dell’uomo che avvenga così.

Proprio per questa ragione, l’uomo, che fra tutte le creature di Dio ha il corpo più decoroso, non è fatto curvo per terra come tutti gli altri animali, ma su diritto, rivolto verso il cielo. Infatti deve riflettere nel suo aspetto fisico il lavoro spirituale dell’anima, lavoro che è necessariamente dritto in senso spirituale, e non storto.

Nota che ho detto «dritto» in senso spirituale, e non materiale: infatti, come si potrebbe tener ritta fisicamente l’anima, se questa per sua natura non è in alcun modo materiale? No, è assolutamente impossibile!

Quindi sta’ attento a non interpretare fisicamente quel che invece ha un valore spirituale, anche se si fa uso di parole dall’apparente significato materiale, quali: su, giù, dentro, fuori, da questa parte, da quell’altra. Infatti, anche se dovessimo parlare della cosa più spirituale in se stessa, dal momento che il linguaggio è un’azione fisica operata dalla lingua, che è uno strumento del corpo, saremmo sempre costretti a far uso di parole materiali. E con questo? Forse che dobbiamo intenderle per forza in senso materiale? No di certo, bensì in senso spirituale.

 

CAPITOLO 62

Come si fa a sapere se il proprio lavoro spirituale

è sotto o fuori o allo stesso livello oppure dentro di sé,
e quando è al di sopra di sé, ma al di sotto di Dio.

 

E perché tu possa comprendere meglio come si devono intendere spiritualmente queste parole che vengono dette materialmente, ho pensato di spiegarti il significato spirituale di alcune parole concernenti il lavoro spirituale. Così sarai in grado di sapere chiaramente e senza errore, quando il tuo lavoro spirituale è al di sotto di te e al tuo esterno, quando è al tuo stesso livello e al tuo interno, e quando è al di sopra di te e sotto il tuo Dio.

Qualunque realtà fisica è esterna alla tua anima e inferiore a essa nell’ordine naturale. Sì, il sole e la luna e tutte le stelle, anche se stanno sopra il tuo corpo, sono tuttavia al di sotto della tua anima.

Tutti gli angeli e tutte le anime, per quanto possano essere ben saldi nella fede e adorni di grazia e virtù, e quindi superiori a te per purezza, nondimeno sono al tuo stesso livello nell’ordine naturale.

La tua anima ha per natura dentro di sé tre facoltà principali: la memoria, la ragione e la volontà; e due facoltà secondarie: l’immaginazione e la sensibilità. Al di sopra di te non c’è nient’altro nell’ordine naturale se non Dio solo.

Ogniqualvolta vedrai scritto «te stesso» in un contesto spirituale, puoi star certo che si tratta della tua anima, e non del tuo corpo. Dunque, a seconda dell’oggetto su cui sono concentrate le facoltà della tua anima, si può anche stabilire la qualità e le condizioni del tuo lavoro: se è al di sotto di te, dentro di te o al di sopra di te.

 

CAPITOLO 63

Le facoltà dell’anima in generale.

La memoria, in particolare, è la facoltà principale

che racchiude in sé tutte le altre

 

La memoria è una facoltà che, di per sé, propriamente parlando e in certo qual senso, non opera mai. La ragione e la volontà, invece, sono due facoltà operative, e così pure l’immaginazione e la sensibilità. Tutte queste quattro facoltà e le loro opere, sono contenute e comprese nella memoria. E non si può dire in alcun modo che la memoria opera, a meno di considerare come un’azione il fatto che essa contenga e comprenda le altre facoltà.

Alcune facoltà dell’anima le chiamo principali, altre invece secondarie. E questo non perché l’anima sia divisibile (il che è impossibile), ma perché tutte le cose su cui le facoltà operano, si possono benissimo dividere e distinguere in principali, quali le realtà spirituali, e secondarie, quali le realtà materiali. Le due facoltà principali operative, la ragione e la volontà, operano spiritualmente all’interno di se stesse, su oggetti del tutto immateriali, senza alcun aiuto da parte delle altre due facoltà secondarie. L’immaginazione e la sensibilità operano fisicamente su oggetti del tutto materiali, sia che siano presenti nel corpo o meno, facendo uso dei sensi. Ma per mezzo loro, senza l’aiuto della ragione e della volontà, l’anima non arriverebbe mai a conoscere i caratteri e le qualità morali delle creature corporee, né la ragione della loro esistenza e della loro creazione.

Per questo motivo chiamo facoltà principali la ragione e la volontà: perché operano spiritualmente, senza alcuna traccia di materialità. Chiamo invece secondarie l’immaginazione e la sensibilità, perché operano nel corpo e con gli strumenti del corpo, quali sono i nostri cinque sensi. Definisco, infine, la memoria come facoltà principale, perché contiene spiritualmente in sé non solo tutte le altre facoltà, ma anche tutte le cose su cui esse operano. Puoi vederlo tu stesso per esperienza.

 

CAPITOLO 64

Le altre due facoltà principali sono la ragione e la volontà;

il loro operato prima e dopo il peccato

 

La ragione è la facoltà con la quale distinguiamo il male dal bene, il male dal peggio, il bene dal meglio, il peggio dal pessimo, il meglio dall’ottimo. Prima che l’uomo peccasse, la ragione era in grado di fare tutto questo per natura. Ma ora è così accecata dal peccato originale, che non può farlo se non è illuminata dalla grazia. E sia la ragione stessa che l’oggetto su cui opera, sono entrambi compresi e contenuti nella memoria.

La volontà è la facoltà con la quale scegliamo il bene (una volta che è stato stabilito dalla ragione) e con la quale amiamo Dio, desideriamo Dio, e infine, con piena adesione e immensa gioia, riposiamo in Dio. Prima che l’uomo peccasse, la volontà non poteva sbagliare nel scegliere o nell’amare o nel fare qualsiasi altra cosa di sua competenza, perché allora era in grado per natura di gustare ogni cosa nella sua vera realtà. Ma ora non può più farlo, se non con l’unzione della grazia. Spesso, infatti, a causa della corruzione del peccato originale, la volontà gusta come buona una cosa assolutamente cattiva che ha solo l’apparenza del bene. E sia la volontà che quanto ne costituisce l’oggetto, sono contenuti e compresi nella memoria.

 

CAPITOLO 65

La prima facoltà secondaria è l’immaginazione;

il suo operato e la sua obbedienza alla ragione, prima e dopo il peccato

 

L’immaginazione è la facoltà con la quale raffiguriamo tutte le immagini delle cose presenti o assenti. Sia l’immaginazione che l’oggetto su cui opera, sono entrambi contenuti nella memoria. Prima che l’uomo peccasse, l’immaginazione era così obbediente alla ragione, di cui è in certo senso la serva, che non le forniva mai immagini contraffatte di creature materiali, né immagini fantastiche di creature spirituali. Ma ora non è così.

Se non è ricondotta dalla luce della grazia a obbedire alla ragione, essa non cesserà mai, sia nel sonno che nella veglia, di rappresentare diverse immagini contraffatte delle creature materiali, oppure qualche allucinazione, che non è altro che la rappresentazione materiale di una cosa spirituale, ovvero la rappresentazione spirituale di una cosa materiale. E tutto ciò è sempre fittizio e falso, e parente prossimo dell’errore.

La disobbedienza dell’immaginazione si può chiaramente rilevare nelle preghiere di coloro che solo da poco hanno lasciato il mondo per volgersi alla vita di devozione. Verrà senza dubbio il tempo in cui l’immaginazione sarà in gran parte ricondotta dalla luce della grazia a obbedire alla ragione, dopo la costante meditazione sulle cose spirituali, come la propria miseria, la passione e la bontà di nostro Signore, e così via. Ma finché non si perverrà a questo stadio, non sarà possibile in alcun modo rigettare la sorprendente varietà di pensieri, fantasticherie e immagini che vengono suscitate e impresse nella mente dalla sola luce e curiosità dell’immaginazione.

Questa disobbedienza è la pena connessa al peccato originale.

 

CAPITOLO 66

L’altra facoltà secondaria è la sensibilità; il suo operato
e la sua obbedienza alla volontà, prima e dopo il peccato

 

La sensibilità è la facoltà dell’anima che concerne e governa i sensi, attraverso i quali conosciamo e sentiamo materialmente tutte le creature corporee, piacevoli o fastidiose che siano. Essa ha due funzioni: una si occupa delle esigenze del corpo, e l’altra soddisfa le bramosie dei sensi. È questa stessa facoltà che si lamenta quando il nostro corpo viene a mancare del necessario, e che ci spinge, nel rispondere ai nostri bisogni, a prendere più del necessario per alimentare e incoraggiare le nostre voglie. Si lamenta della mancanza di cose o creature piacevoli, ed è tutta felice e appagata della loro presenza. Si lamenta della presenza di cose o creature fastidiose, e si compiace vivamente della loro assenza: Sia questa facoltà che l’oggetto su cui opera, sono entrambi contenuti nella memoria.

Prima che l’uomo peccasse, la sensibilità era così obbediente alla volontà, di cui è in certo senso la serva, che non le forniva mai piaceri o dispiaceri disordinati verso creature materiali, né contraffazioni spirituali di piaceri o dispiaceri, prodotti nei sensi da qualche nemico spirituale.

Ma ora non è così. Se non è ricondotta dalla grazia a obbedire alla volontà, così da soffrire con umiltà e moderazione la pena del peccato originale — avvertita nell’assenza dei piaceri necessari e nella presenza dei dispiaceri così salutari per lei —; se non è quindi in grado di dominare le sue voglie alla presenza dei piaceri, e il suo avido godimento in assenza dei dispiaceri, allora la sensibilità andrà ad avvoltolarsi, misera e lasciva, come un porco nel fango, nelle ricchezze di questo mondo e nella corruzione della carne, tanto che tutta la nostra vita sarà bestiale e carnale, piuttosto che umana o spirituale.

 

CAPITOLO 67

Chi non conosce le facoltà dell’anima e la maniera con cui operano, può essere tratto in inganno con tutta facilità quando si tratta di capire parole e attività spirituali; come l’anima è resa un dio nella grazia

 

E dunque, amico spirituale, puoi ben vedere in che misera condizione siamo caduti a causa del peccato. Che c’è da meravigliarsi, allora, della nostra cecità e della facilità con cui restiamo ingannati nel comprendere parole e operazioni spirituali? Quest’illusione è frequente in particolar modo in quanti di noi non conoscono ancora le facoltà dell’anima e la maniera con cui operano.

Ogni volta che la tua memoria è occupata da qualche oggetto materiale, fosse anche per uno scopo nobilissimo, tu sei, tuttavia, al di sotto di te stesso in questa occupazione, e al di fuori della tua anima. E ogniqualvolta ti accorgi che la tua memoria, nell’intento di condurti alla conoscenza di te stesso in vista della perfezione, è tutta presa dalle sottigliezze riguardanti le facoltà dell’anima e le loro operazioni sulle realtà spirituali, come nel caso di vizi o virtù, tuoi o di qualche altra creatura spirituale simile a te per natura, allora tu sei dentro di te e a livello con te stesso. Ma ogniqualvolta senti che la tua memoria non è impegnata in nessun oggetto materiale o spirituale, ma è tutta presa dalla sostanza stessa di Dio, e da lui solo, come avviene, a esempio, se si mette in pratica il lavoro indicato in questo libro, allora tu sei al di sopra di te stesso, e al di sotto di Dio.

Tu sei al di sopra di te stesso, perché sei riuscito ad arrivare per grazia là dove non avresti mai potuto arrivare per natura: essere unito a Dio in spirito, in amore e in armonia di volontà. Ma resti al di sotto di Dio, anche se a questo punto si può dire che in certo senso tu e Dio non siete più due, ma uno solo in spirito; e chiunque sperimenta la perfezione di quest’opera, a causa di tale unità lo si potrà chiamare a buon diritto «Dio», come attesta la bibbia stessa. Tu però resti al di sotto di lui. Egli, infatti, è Dio per natura e dall’eternità. Tu invece una volta non esistevi nemmeno; e in seguito, quando egli con la sua potenza e il suo amore ti fece diventare qualcosa, tu non esitasti a renderti meno di niente con il peccato. E ora, per la sua misericordia e senza alcun merito da parte tua, sei reso un dio nella grazia, e sei unito inseparabilmente a Dio in spirito, in questa vita e nella beatitudine celeste senza fine. Così, anche se tu sei una sola cosa con lui nella grazia, tuttavia sei infinitamente al di sotto di lui per natura.

Ecco, amico spirituale: da qui puoi comprendere, almeno in parte, come chi non conosce le facoltà della propria anima e la maniera in cui operano, può essere tratto in inganno con tutta facilità, quando si tratta di capire parole scritte con intendimento spirituale. E con questo puoi anche comprendere, almeno in parte, il motivo per cui non mi sono arrischiato a chiederti di mostrare apertamente il tuo desiderio a Dio; al contrario, ti ho invitato, quasi fosse un gioco per ragazzi, a fare di tutto per nasconderlo e occultarlo. E l’ho fatto per paura che tu comprendessi in senso materiale quel che invece era inteso in senso spirituale.

 

CAPITOLO 68

«In nessun posto» materialmente, significa «dappertutto» spiritualmente; il nostro uomo esteriore chiama «niente» il lavoro di cui parla questo libro

 

Allo stesso modo va inteso l’invito che un altro ti potrebbe rivolgere, di raccogliere le tue facoltà e i tuoi sensi nell’intimo di te stesso e di adorare Dio dentro di te. Quantunque questo sia certamente del tutto giusto e vero, e nessuno potrebbe dire cosa più assennata, se ben la si comprende, io invece per paura che tu abbia a intendere in maniera fisica, e quindi sbagliata, queste parole, non ti dico assolutamente di far così.

Questo è quanto voglio da te: che tu non sia in alcun modo dentro di te. E di conseguenza, voglio che tu non sia nemmeno fuori di te stesso, né sopra, né dietro, né da una parte, né dall’altra. «Ma allora», mi dirai, «dove devo stare? A quanto pare, da nessuna parte!» Ebbene, sì, hai pienamente ragione: è così che ti voglio. Perché quando non sei in nessun posto materialmente, sei dappertutto spiritualmente.

Pertanto sta’ ben attento, perché il tuo lavoro spirituale non sia ancorato a nessun posto materiale. In questo caso, dovunque si trovi l’oggetto su cui stai coscientemente applicando la tua intelligenza, è proprio lì che ti trovi in spirito, in modo così vero e reale come il tuo corpo si trova nel luogo dove tu sei materialmente. E anche se i tuoi sensi non vi possono trovar nulla di cui nutrirsi, perché secondo loro tu non stai facendo assolutamente niente — proprio così! —, continua a fare questo «niente», se non altro per amore di Dio. Perciò, non smettere in alcun modo, ma lavora alacremente in questo «niente», con desiderio sempre vigilante e volontà ferma di possedere Dio, che nessun uomo può conoscere. Ti dico, in verità, che preferirei essere in questo «nessun posto» fisicamente, a lottare con questo cieco «niente», piuttosto che essere un signore così potente da poter essere fisicamente dappertutto, se solo lo volessi, intento a godere allegramente di tutto come fa un padrone con le proprie cose.

Lascia perdere questo «dappertutto» e questo «tutto», in cambio di questo «nessun posto» e di questo «niente». Che importa se le tue facoltà intellettuali non riescono a scandagliare questo «niente»? Io lo amo ancor di più! È una cosa così eccelsa in se stessa, che non la si può comprendere in alcun modo. Questo «niente» è più facile sentirlo per esperienza che vederlo, perché è completamente cieco e oscuro agli occhi di coloro che solo da poco si son messi a guardarlo.

Ma a voler parlare più correttamente, l’anima che ne fa esperienza è accecata dalla sovrabbondanza di luce spirituale, piuttosto che dall’oscurità o dall’assenza di luce fisica. Chi è che allora lo chiama «niente»? Il nostro uomo esteriore, di certo, e non quello interiore. Il nostro uomo interiore lo chiama «tutto», perché per mezzo suo impara a conoscere la ragione di tutte le realtà, materiali e spirituali, senza considerare in particolare ogni singola cosa in se stessa.

 

CAPITOLO 69

La sensibilità dell’uomo cambia meravigliosamente nell’esperienza spirituale di questo «niente» prodotto «in nessun posto».

 

Quando un uomo fa l’esperienza spirituale di questo «niente» in «nessun posto», la sua sensibilità subisce delle mutazioni sorprendenti. Non appena comincia a posarvi lo sguardo, egli trova che tutti i peccati personali che ha commesso nel corpo e nello spirito fin dalla nascita, vi sono segretamente dipinti sopra a tinte fosche. E per quanto cerchi di distogliere la propria attenzione, i suoi peccati gli appaiono sempre dinanzi agli occhi, finché, dopo molto lavoro estenuante, molti sospiri dolorosi e molte lacrime amare, non li abbia in gran parte cancellati.

In un simile travaglio interiore talvolta gli sembra di star a osservare l’inferno, perché ormai dispera di pervenire, attraverso questa sofferenza, alla perfezione del riposo spirituale. Molti sono quelli che giungono fino a questo punto nel loro cammino spirituale, ma poi, siccome sentono che la loro sofferenza è troppo grande e che non ricevono alcun conforto, tornano indietro a considerare le cose materiali. E cercano delle consolazioni mondane ed esteriori per compensare quelle spirituali che a quel punto non hanno ancora meritato, ma che avrebbero senz’altro ottenuto se avessero perseverato.

Chi invece persevera, prova di tanto in tanto un certo qual conforto e ha una certa qual speranza, di perfezione, perché comincia a sentire e a vedere che, con l’aiuto della grazia, molti dei suoi peccati personali commessi in passato vengono in gran parte cancellati. Nonostante tutto, si sente ancora immerso nella sofferenza, ma ora pensa che un bel giorno questa svanirà, perché va diminuendo sempre più. Pertanto, quel «niente» non lo chiama più inferno, ma purgatorio. A volte non vi trova scritto sopra alcun peccato particolare, ma in quei momenti gli sembra che il peccato sia come un blocco massiccio di cui non sa assolutamente nulla, se non che si tratta, in fondo, di se stesso. Allora quel «niente» lo si può chiamare come la radice e la pena del peccato originale.

A volte crede di essere in paradiso o in cielo, per via delle svariate e meravigliose dolcezze, e delle innumerevoli consolazioni, gioie e virtù benedette che vi può trovare. Altre volte, infine, gli sembra che quel «niente» sia Dio stesso; tale è la pace e il riposo che vi trova.

Sì, pensi pure quello che vuole: troverà sempre la nube della non-conoscenza tra sé e Dio.

 

CAPITOLO 70

Come cominciamo a giungere più prontamente alla conoscenza delle realtà spirituali se mettiamo a tacere i nostri sensi, così cominciamo a giungere più prontamente alla suprema conoscenza di Dio, per quel tanto che è possibile avere per grazia su questa terra, se facciamo a meno delle nostre facoltà spirituali.

 

Perciò lavora alacremente in questo «niente» e in questo «nessun posto», e lascia da parte i tuoi sensi e la loro maniera di operare: in verità ti dico che questo tipo di lavoro non lo si può nemmeno concepire per mezzo di essi.

Con gli occhi puoi solo farti un’idea apparente di una determinata cosa, è cioè se è lunga o larga, grande o piccola, quadrata o rotonda, vicina o lontana, colorata o meno. E con le orecchie puoi solo coglierne il rumore o il suono; con il naso, la puzza o il profumo. Con il gusto puoi sapere se è acre o dolce, conservata sotto sale o fresca, amara o gradevole; con il tatto, se è calda o fredda, dura o tenera, soffice o ruvida. Ma, a dire il vero, queste qualità e questi attributi non li possiede né Dio, né alcun’altra cosa spirituale. Perciò, lascia da parte i tuoi sensi, e non lavorare con essi né all’interno né all’esterno di te stesso.

Si sbagliano di grosso e operano contro l’ordine naturale delle cose, quanti vogliono diventare contemplativi, e quindi operatori spirituali nel più intimo di se stessi, e nonostante questo pensano di dover vedere o sentire o annusare o gustare o tastare le realtà spirituali in visioni esterne o interne al loro essere. Per natura i sensi sono ordinati in tal modo che gli uomini possono aver conoscenza, per mezzo di essi, di tutte le cose materiali ed esteriori; ma non possono certo giungere alla conoscenza delle realtà spirituali, se si servono dei sensi.

Nella misura in cui ne riconosciamo i limiti, i sensi possono arricchire la nostra conoscenza. Per esempio, quando leggiamo o sentiamo parlare di certe cose, e ci rendiamo conto che i nostri sensi non sono assolutamente in grado di darci informazioni sulle loro qualità e sui loro attributi, allora possiamo veramente esser certi che si tratta di realtà spirituali e non materiali.

Sotto un profilo spirituale, avviene allo stesso modo per quel che riguarda le nostre facoltà intellettuali, allorché ci sforziamo di conoscere Dio stesso. Per quanto grande possa essere la conoscenza e la comprensione di tutte le cose spirituali create, l’uomo non può mai giungere per mezzo dell’intelligenza alla conoscenza di una realtà spirituale non creata, qual è Dio stesso. Ma se riconosce il suo limite, allora sì che può giungere a una simile conoscenza. Quanto infatti limita l’intelligenza umana, non è altro che Dio, e lui solo. Ecco perché s. Dionigi disse: «La più perfetta conoscenza di Dio si ottiene con la non-conoscenza».

In verità, chiunque farà passare i libri di Dionigi, troverà che le sue parole confermano chiaramente tutto quanto io ho detto o dirò ancora, dall’inizio di questo libro fino alla fine. Altrimenti non lo citerei nemmeno a questo punto, né lui né nessun altro dottore. Una volta gli uomini ritenevano di fare un atto di umiltà nel non dir niente di propria testa che non fosse sorretto da citazioni scritturali o dotte. Ma ora questa pratica è diventata un mezzo per mettere in mostra la propria abilità ed erudizione. A te tutto ciò non servirebbe a niente, ed è per questo che me ne astengo. Chi ha orecchie per intendere, intenda; e chi si sente mosso a credere, creda: non c’è altra alternativa.

 

CAPITOLO 71

Alcuni riescono ad avere l’esperienza della contemplazione perfetta solo nell’estasi,
altri invece quando vogliono e nelle normali condizioni di vita spirituale

 

Certi ritengono la contemplazione una materia così difficile e pericolosa che, affermano, non vi si può arrivare senza aver fatto in precedenza una gran mole di lavoro e una fatica enorme. Dicono, inoltre, che la si ottiene raramente, e solo in un momento d’estasi. A costoro voglio rispondere, misero come sono, dicendo che tutto dipende dalla volontà e dal beneplacito di Dio, oltre che dalla capacità e predisposizione dell’anima in ordine alla grazia della contemplazione e del lavoro spirituale di cui sto parlando.

Indubbiamente ci sono alcuni che senza una lunga e impegnativa preparazione spirituale non vi possono arrivare. E quand’anche giungano alla pienezza della contemplazione, tutto ciò non capita che raramente, e grazie a una chiamata tutta particolare da parte di nostro Signore: è quella che noi chiamiamo «estasi».

Ci sono altri, però, che hanno l’animo così sensibile all’azione della grazia, e hanno una tale familiarità con Dio durante la contemplazione, che possono immergervisi quando vogliono e nelle normali condizioni di vita: si trovino seduti o in cammino, in piedi o in ginocchio. E in tutto questo tempo rimangono nel pieno possesso delle loro facoltà fisiche e spirituali, e possono farne uso, se lo desiderano; naturalmente incontrano delle difficoltà, ma niente affatto eccessive o insormontabili.

Prototipo degli uni è Mosè; degli altri Aronne, il sacerdote del Tempio. Infatti la grazia della contemplazione è raffigurata nell’Antico Testamento dall’Arca dell’Alleanza, e i contemplativi sono raffigurati da coloro che più dovevano occuparsi dell’Arca, come la storia ci insegna.

Ed è perfettamente corretto paragonare questa grazia e questo lavoro all’Arca, perché come l’Arca conteneva tutti i gioielli e le reliquie del Tempio, così questo piccolo atto d’amore diretto verso la nube della non-conoscenza contiene dentro di sé tutte le virtù dell’anima umana, che è il tempio spirituale di Dio.

Mosè, prima ancora di poter vedere l’Arca e di sapere in qual modo doveva essere fatta, salì con lungo sforzo e grande fatica fin sulla cima del monte, e restò lì a lavorare in una nube per sei giorni, aspettando il settimo giorno perché Dio acconsentisse a mostrargli la maniera di costruire l’Arca. Il lungo lavoro di Mosè e la sua visione tardiva, stanno a indicare coloro che non riescono ad arrivare alla perfezione di questa opera spirituale, senza un previo lavoro lungo e faticoso. E anche se vi arrivano, ciò capita loro raramente, e solo se Dio acconsente a dischiudere il loro cuore all’estasi contemplativa.

Ma quello che Mosè poteva vedere solo in rarissime occasioni, e dopo un lungo sforzo e una grande fatica, Aronne l’aveva sempre a sua disposizione, in virtù del proprio ufficio, dal momento che poteva vedere l’Arca nel Tempio al di là del velo, ogniqualvolta voleva entrarvi. Aronne sta a indicare tutti coloro di cui ho parlato prima, i quali in base alla loro penetrazione spirituale e all’assistenza della grazia, possono pervenire alla meta della contemplazione perfetta tutte le volte che lo vogliono.

 

CAPITOLO 72

Il contemplativo non può giudicare un altro in base alla sua esperienza

 

Da tutto questo puoi ben capire che l’uomo a cui è dato di giungere alla contemplazione perfetta e di farne esperienza, ma solo dopo un enorme lavoro e in rare occasioni, può facilmente cadere in errore se si mette a parlare, a pensare o a dar giudizi sugli altri uomini in base alla sua esperienza personale, perché ritiene che anch’essi non vi possano giungere che raramente e dopo un enorme lavoro. Allo stesso modo, l’uomo in grado di contemplare quando vuole, può facilmente cadere in errore se giudica gli altri prendendo come metro se stesso e dicendo che anch’essi sono in grado di contemplare quando vogliono. Lascia perdere tutto questo: no, non è certamente così che si deve ragionare.

Infatti, quando a Dio piace e se lui vuole, può darsi che quelli che in un primo momento raggiungono la contemplazione solo di rado, e dopo un enorme lavoro, in seguito possano arrivarci quando vogliono e tutte le volte che a loro piace. Un esempio a questo proposito l’abbiamo ancora in Mosè, il quale dapprima non poteva vedere la forma dell’Arca se non raramente e dopo un enorme lavoro, là sul monte; ma in seguito era in grado di vederla nella valle tutte le volte che lo voleva.

 

CAPITOLO 73

A somiglianza di Mosè, Bezaleel e Aronne, che si occuparono dell’Arca dell’Alleanza, simbolo della contemplazione, noi arriviamo in tre maniere diverse a questa grazia della contemplazione

 

Secondo l’Antico Testamento, i tre uomini che più si occuparono dell’Arca furono Mosè, Bezaleel e Aronne. Mosè imparò da nostro Signore, là sul monte, come doveva essere fatta. Bezaleel la realizzò e la costruì nella valle, seguendo il modello che era stato mostrato sul monte. Aronne, infine, ebbe il compito di custodirla nel tempio, e poteva vederla e toccarla tutte le volte che lo voleva.

Questi tre esempi ci indicano le tre diverse maniere con cui giungiamo alla grazia della contemplazione.

A volte vi arriviamo solo per grazia, e allora siamo simili a Mosè, il quale, nonostante la difficile salita e il duro lavoro sul monte, non poteva vedere l’Arca se non raramente, solo quando a nostro Signore piaceva mostrargliela, e non come ricompensa per tutto il suo lavoro.

Altre volte vi arriviamo in forza della nostra stessa penetrazione spirituale, con l’aiuto e l’assistenza della grazia, e allora siamo simili a Bezaleel, il quale non era in grado di vedere l’Arca prima ancora di averla fatta con le sue stesse mani, seguendo il modello mostrato a Mosè sul monte.

Infine, noi vi arriviamo grazie all’insegnamento di qualcun altro, e allora siamo simili ad Aronne, il quale aveva l’incarico di custodire l’Arca che Bezaleel aveva precedentemente realizzato e costruito con le sue stesse mani; egli aveva altresì la facoltà di vederla e toccarla tutte le volte che lo voleva.

Vedi, amico spirituale, per quanto il linguaggio sia infantile e improprio, in questo lavoro io faccio la parte di Bezaleel, anche se sono una creatura miserabile e assolutamente indegna di insegnare agli altri: ecco quindi che io costruisco e depongo in qualche modo nelle tue mani questa specie di arca spirituale. Ma se vuoi diventare un Aronne, devi lavorare ancor meglio di me, e in maniera più eccelsa; ciò significa che non devi mai smettere un momento di attendere alla contemplazione, per il tuo bene e anche per il mio. Fa’ come ti dico, te ne prego, per l’amore di Dio onnipotente. E dal momento che siamo tutt’e due chiamati da Dio a diventare contemplativi, ti scongiuro, per l’amore di Dio, di colmare da parte tua quel che manca in me.

 

CAPITOLO 74

Un’anima particolarmente portata a fare questo lavoro non può leggere o parlare o sentire qualcun altro leggere o parlare del contenuto di questo libro, senza provare una vera e propria consonanza con il fine a cui tende questo stesso lavoro; vi si ripete la raccomandazione del prologo

 

Se ti sembra che questa maniera di lavorare non sia adatta alle tue disposizioni spirituali e fisiche, puoi pure metterla da parte e, in seguito al consiglio di un buon padre spirituale, prenderne un’altra in tutta sicurezza e senza alcun biasimo.

In tal caso ti pregò di scusarmi, perché avrei voluto esserti di aiuto con questo scritto dettatomi dalla mia semplice scienza: questa, e non altra, era la mia intenzione. Pertanto, leggi questo libro da cima a fondo per due o tre volte, e più lo leggerai, meglio è, perché sarai in grado di comprenderlo sempre di più. E così una frase che magari ti era assolutamente incomprensibile alla prima o alla seconda lettura, poco dopo ti sembrerà facilissima.

Sì, mi sembra impossibile che un’anima particolarmente portata a un simile lavoro possa leggere o parlare, o sentire qualcun altro leggere o parlare di questo argomento, senza provare subito dentro di sé una vera e propria consonanza con il fine a cui tende l’insegnamento che ti ho trasmesso. Se dunque hai l’impressione che questo lavoro ti fa del bene, ringrazia Dio di tutto cuore e, per l’amore di Dio, prega per me.

Fa’ come ti dico! E ti prego, per l’amore di Dio, di non far vedere a nessuno questo libro, a meno che si tratti di qualcuno che sia adatto alla contemplazione, secondo quanto tu stesso puoi trovare più indietro, là dove ho spiegato quali uomini debbano intraprendere questo lavoro e quando debbano cominciarlo.

Se fai vedere il libro a una persona del genere, allora ti prego di raccomandarle di spendere tutto il tempo necessario per esaminarlo fino in fondo. Vi può essere, magari, qualche argomento, all’inizio come in mezzo, lasciato in sospeso e non completamente sviluppato là dove si trova. Ma se non è trattato compiutamente in quel posto, lo sarà più avanti o comunque alla fine.

Così, se uno dovesse prendere in esame solamente una parte e non l’altra, potrebbe facilmente cadere in errore: ecco perché ti prego di fare come ti dico. E se c’è una particolare questione che, secondo te, andrebbe trattata in modo più chiaro, fammi sapere qual è, e anche la tua opinione in proposito; da parte mia farò di tutto per spiegarmi con più completezza e secondo il mio limitato sapere.

Non è stato affatto nelle mie intenzioni che i ciarloni, gli adulatori, i falsi modesti, i pettegoli o i maldicenti è ogni sorta di mettimale vedessero questo libro. Non è per essi che ho scritto. Per questo vorrei che ne facessero a meno loro e anche tutti quegli uomini, dotti o ignoranti, che sono semplicemente curiosi. Se fossero anche buone persone, eccellenti nella vita attiva, questo libro non fa per loro.

 

CAPITOLO 75

Alcuni segni attraverso i quali possiamo sapere

con certezza se siamo chiamati da Dio al lavoro della contemplazione

 

Non tutti quelli che leggono, o sentono leggere o parlare di questo libro, e che leggendolo o ascoltandone la lettura lo ritengono una cosa buona e piacevole, sono per ciò stesso chiamati da Dio a intraprendere il lavoro contemplativo, per il semplice fatto di provare dentro di sé una piacevole sensazione durante una lettura di tal genere.

Può darsi benissimo che questo stimolo interiore provenga dalla curiosità dell’intelligenza naturale, piuttosto che da una chiamata della grazia.

Ma se vogliono verificare l’origine di questo impulso, possono farlo a questo modo, se sono d’accordo. Per prima cosa facciano un serio esame, per vedere se in precedenza hanno fatto tutto il possibile per prepararsi convenientemente alla purificazione della loro coscienza, secondo il giudizio della santa chiesa e d’accordo con il proprio direttore spirituale. Se le cose stanno così, tanto meglio. Ma se vogliono conoscere con più esattezza le proprie disposizioni d’animo, osservino attentamente se quest’impulso richiama sempre più la loro attenzione, tanto da diventare più abituale di ogni altra devozione spirituale. E se giungono alla convinzione che non c’è cosa che essi facciano, materiale o spirituale, che riceva un’adeguata approvazione da parte della loro coscienza, senza che questo piccolo segreto slancio d’amore non stia a capo, in senso spirituale, di tutto il loro operato; se questa, dunque, è la loro sensazione, allora è segno che sono realmente chiamati da Dio alla contemplazione, altrimenti no.

Non intendo dire che quest’impulso deve durare per sempre e riempire in continuazione la mente di quelli che son chiamati al lavoro contemplativo. No, non è affatto cosa. In un giovane contemplativo ancora alle prime armi, questa reale sensazione viene spesso a mancare per una serie di motivi.

Talvolta questo si verifica perché egli non abbia ad assumere un atteggiamento di sufficienza, o a pensare che sia in gran parte in suo potere di avere questa grazia quando e come gli pare. Un pensiero di tal genere sarebbe segno di orgoglio. Ora, quando la sensazione della grazia viene a mancare, è sempre l’orgoglio la causa prima; non tanto l’orgoglio che effettivamente c’è, ma quello che potrebbe esserci, se non venisse meno la percezione della grazia. Ecco perché è facile trovare dei giovani stolti che ritengono Dio loro nemico, quando invece è lui il loro miglior amico.

A volte la grazia della contemplazione viene meno a motivo della poca cura con cui gli uomini vi corrispondono: in tal caso essi sentono immediatamente una pena acutissima e straziante, che li divora come un cancro.

Altre volte nostro Signore ritarda questa sensazione di grazia secondo un piano prestabilito, perché vuole, in tal modo, che essa cresca e venga apprezzata maggiormente: è quel che capita quando una cosa, da lungo tempo smarrita, viene infine ritrovata. Questo è uno dei segni più importanti e più sicuri che uno possa avere per conoscere se è chiamato o meno alla contemplazione: se sa che, dopo un ritardo di tal genere e una lunga inattività nel lavoro della contemplazione, improvvisamente quella sensazione ritorna, come di fatto avviene, senza far ricorso a nessun mezzo. Allora egli possiede dentro di sé un fervore ancor più intenso e una passione ancor più viva nei riguardi della contemplazione, di quanto non abbia mai avuto prima. A tal punto che spesso, io credo, la gioia per il ritrovamento di quello slancio d’amore è ancor più grande del dolore per la sua perdita. Se capita così, è senz’altro segno autentico e inconfondibile che Dio chiama a diventare contemplativi, quale che sia la propria vita presente o passata.

Non è, infatti, quello che sei, né quello che sei stato, ciò che Dio vede con i suoi occhi misericordiosi, bensì ciò che tu potresti essere. E s. Gregorio afferma che «tutti i desideri santi crescono quando vengono dilazionati; ma se svaniscono in attesa della loro realizzazione, allora non erano nemmeno desideri santi». Chi sente sempre di meno la gioia di ritrovare o riscoprire, sotto forme nuove e impreviste, i vecchi desideri del cuore, può star certo che, anche se questi sono desideri naturali di bene, tuttavia desideri santi non lo sono mai stati.

Di questo santo desiderio parla s. Agostino, quando dice che «tutta la vita di un buon cristiano non è altro che un santo desiderio».

Addio, amico spirituale, ricevi la benedizione di Dio e la mia. E prego Dio onnipotente perché la vera pace, il buon consiglio, il conforto spirituale in Dio e l’abbondanza della sua grazia, siano sempre con te e con tutti quelli che lo amano su questa terra. Amen.

 

 

 

 

 

LETTERA SULLA PREGHIERA

A Pistle of Preier

 

 

1. [Ci si deve introdurre nell’orazione con il convincimento che si morirà non appena sarà terminata la preghiera. Questo pensiero suscita un salutare timore].

 

Amico spirituale in Dio, poiché mi hai chiesto come devi regolare il cuore nel tempo della preghiera, cerco di risponderti meglio che posso. Quando cominci la tua preghiera, lunga o breve non importa, è sommamente utile per te, a mio modesto avviso, convincerti interiormente, senza finzione alcuna, che morirai non appena avrai finito di pregare, e che più breve sarà la tua preghiera, più vicina sarà la tua fine. E non pensare che un simile atteggiamento sia pura finzione; eccone la prova. Nessuno a questo mondo si azzarderebbe ad affermare il contrario, cioè che tu vivrai senz’altro anche dopo aver finito di pregare. Perciò fa’ pure come ti ho detto, senza timore.

Se ascolterai il mio consiglio, ti accorgerai che la consapevolezza generale della tua miseria, unita a quella più particolare della brevità di tempo rimasto per emendarti, produrrà dentro di te un senso genuino di timore. Questa convinzione penetrerà fin nell’intimo del tuo essere, a meno che, Dio non voglia, tu ti metta a blandire con lusinghe e allettamenti di ogni tipo, gli impulsi e i desideri superficiali del cuore, così da ingannarlo con menzogne e false promesse di una vita prolungata oltre il tempo della preghiera.

Anche se in realtà è facile che tu viva più a lungo, faresti male ad assecondare questo pensiero prima di cominciare a pregare: se vi fai affidamento, inganni te stesso. Infatti la verità sulla tua vita è nascosta in Dio solo; a te non resta che accettare ciecamente la sua volontà: non puoi neanche esser certo di vivere un solo istante, la durata d’un batter di ciglio, o ancor meno.

Se dunque vuoi pregare con saggezza, secondo l’ammonimento del profeta nel salmo: «Psallite sapienter», cerca di suscitare dentro di te, fin dall’inizio, questo genuino senso di timore. Infatti, lo stesso profeta dice in un altro salmo: «Initium sapientiae est timor Domini; L’inizio della sapienza è il timore del Signore».

 

2. [Al timore va fatto seguire un altro atteggiamento dello spirito: la speranza. Dio accoglierà la preghiera in totale riparazione dei peccati].

 

La tua preghiera, però, non può basarsi solo sul timore: potresti facilmente cadere nella disperazione.

A quel primo pensiero bisogna quindi aggiungerne un altro. Devi credere fermamente che: se, per la grazia di Dio, sarai riuscito a giungere al termine della tua preghiera pronunciando parole con voce chiara e distinta, o comunque se avrai fatto tutto il possibile da parte tua, nel caso dovesse sopraggiungere la morte mentre stai pregando, Dio accetterà la tua preghiera, come completa riparazione per tutti gli atti di trascuratezza della tua vita, dall’inizio fino a quel momento.

Naturalmente do per scontato che tu abbia già fatto debita ammenda della tua vita e l’abbia quindi passata al vaglio della tua coscienza, con una regolare confessione secondo la disciplina della santa chiesa. Una preghiera fatta a questo modo, per quanto possa essere breve, sarà allora ben accetta a Dio e servirà alla tua completa salvezza, se mai dovessi morire pregando, o ad accrescere la tua perfezione, se invece dovessi restare ancora in vita.

Tale è la bontà di Dio il quale, secondo la parola del profeta, non abbandona nessuno di quanti si affidano a lui con cuore sincero e con il desiderio di convertirsi. La conversione presenta due aspetti complementari: la rinuncia al male e il compimento del bene. Per far ciò non c’è mezzo migliore dell’attività spirituale di quei due pensieri di cui ho appena parlato. Infatti, che c’è di più efficace del timore della morte, per estirpare dalla vita di un uomo la propensione per il peccato? E che cosa può infondere nell’anima maggior fervore nel compiere il bene, se non una viva speranza nella bontà misericordiosa di Dio, proprio come suggerisce il secondo pensiero?

 

3. [La devozione, suscitata dal timore e dalla speranza, è superiore a qualunque pratica ascetica].

 

Quando proverai nel tuo intimo il senso della speranza, unito a quello di un giusto timore, sarà come se tu avessi un solido bastone cui appoggiarti in tutte le tue azioni di bene. Grazie a questo bastone, potrai scalare con sicurezza l’alto monte della perfezione e giungere così ad amare Dio in maniera perfetta. All’inizio, però, ci saranno ancora molte imperfezioni nella tua maniera di agire, come vedrai più avanti.

Le tue considerazioni generali sulla bontà misericordiosa di Dio, ma ancor più l’esperienza personale che ne farai, quando Dio accetterà, come ti ho già detto, un atto religioso così breve e insignificante a totale riparazione di tutto il tempo in cui ti sei dimenticato di lui, produrranno senz’altro dentro di te un grande slancio d’amore verso Dio che è così buono e misericordioso nei tuoi confronti. Ti accorgerai, nel tempo della preghiera, di aver fatto dei passi avanti in forza del bastone di speranza, se appunto avrai saputo usarlo bene secondo quanto ti ho insegnato. L’esperienza spirituale che proverai a questo punto sarà tutta racchiusa in una venerazione amorosa per Dio, originata dal timore e dallo slancio d’amore prodotto dal bastone della speranza. La venerazione, infatti, non è altro che l’unione di timore e amore, tenuti insieme dal bastone di una speranza certa.

Penso proprio che a dimostrare l’esistenza in te di queste disposizioni, sarà la devozione. Infatti, secondo s. Tommaso, il dottore, si può definire la devozione come volontà sempre pronta a compiere tutte le cose che riguardano il servizio di Dio. Ciascuno può verificare dentro di sé con quale sollecitudine la propria volontà è pronta a servire Dio. Mi pare che s. Bernardo esprima lo stesso concetto quando ci invita ad agire in tutte le cose con prontezza e con gioia. Con prontezza, per via del timore; con gioia, per via della speranza e dell’affettuosa fiducia nella misericordia di Dio.

Ti dico sinceramente che io preferirei senz’altro avere la ricompensa di chi persiste con tenacia in un simile esercizio, anche se non avesse mai praticato altre penitenze corporali all’infuori di quelle prescritte dalla santa chiesa, piuttosto che ottenere il premio di quanti, dall’inizio del mondo fino ai giorni nostri, hanno fatto ogni genere di mortificazioni senza provare però i sentimenti di cui sto parlando. Non che ci sia gran merito nel semplice fatto di possedere i due atteggiamenti del timore e della speranza. Quel che vale è l’atto di adorazione amorosa di cui queste virtù sono il miglior stimolo, almeno per quanto concerne la parte dell’uomo. È un atto che ha valore di per se stesso, e non deve essere necessariamente accompagnato da nessun’altra pratica, quale il digiuno, le veglie, il vestir di sacco e via di questo passo. A Dio onnipotente piace così com’è: basta da solo a meritare la sua ricompensa. Nessuno può sperare di ricevere il premio da Dio senza quest’atto di devozione; inoltre, è dalla sua intensità che dipende la grandezza del merito. Chi lo sente con più forza, otterrà una ricompensa maggiore; chi lo sente meno intensamente, avrà una ricompensa minore. Le altre pratiche, quali il digiuno, le veglie, il vestir di sacco, e tutte le penitenze del genere, sono meritevoli nella misura in cui aiutano a raggiungere la devozione, se no non hanno nessun valore. È invece possibile che quest’atto da solo sia pienamente sufficiente senza tutte quelle penitenze; e in effetti moltissimi riescono a possederlo con pieno merito, senza aver fatto ricorso a pratiche corporali.

Come vedi, il mio intento è quello di far sì che tu possa giudicare e apprezzare tutte le cose secondo il loro valore: le meno importanti come meno importanti, le più meritorie come tali. L’ignoranza è spesso causa di molti errori. Capita così che gli uomini stimino e apprezzino di più le mortificazioni corporali, come il digiunare, il vegliare, il vestir di sacco e altre simili, che non l’esercizio spirituale delle virtù o di quell’adorazione piena d’amore di cui ho parlato prima.

Proprio per sottolinearne l’importanza e il merito, intendo soffermarmi ancora un poco sull’argomento, così che tu possa saperne di più.

 

4. [Il paragone dell’albero: le radici indicano il timore, il tronco e i rami la speranza, i frutti sono costituiti dall’amore casto]

 

L’insieme degli atti che concorrono a suscitare l’adorazione amorosa, in particolare i due pensieri del timore e della speranza, si può paragonare a un albero carico di frutti. Di quest’albero, il timore è la parte che sta sotto terra, la radice; la speranza è la parte che si eleva da terra, il tronco con i rami. In quanto stabile e sicura, la speranza è come il tronco; in quanto incita gli uomini versò opere d’amore, è simboleggiata dai rami. Invece il frutto è sempre un sentimento di amore misto a venerazione. Finché il frutto resta attaccato all’albero, conserva sempre quel verde sapore di aspro che viene dalla pianta. Ma passato un poco di tempo da quando è stato colto, e giunto a piena maturazione, perde tutto il sapore della pianta. Da nutrimento per servi qual era, prima, diventa ora un cibo degno d’un re.

È a questo punto che l’adorazione amorosa si rivela così meritevole come ho già detto. Perciò preparati a staccare il frutto dall’albero e a offrirlo, separato da tutto, all’altissimo Re dei Cieli. Allora a buona ragione sarai chiamato vero figlio di Dio, perché lo amerai di un amore casto, per quel che egli è, e non per i suoi benefici. Mi spiego meglio: gli innumerevoli benefici che Dio onnipotente nella sua bontà del tutto gratuita ha elargito a ciascuna anima in questa vita, sono motivi più che sufficienti per amarlo con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze. Supponiamo, anche se è assolutamente impossibile, che un’anima abbia la potenza, la bontà e l’intelligenza di tutti gli. angeli e i santi del cielo messi insieme, e che questi doni non li abbia ricevuti da Dio o che non abbia mai avuto modo di gustare in questa vita la sua benevolenza: quest’anima, se solo vedesse quanto è amabile Dio in se stesso, sarebbe rapita d’amore al di là delle sue forze, fino al punto che il suo cuore si spezzerebbe: tanto Dio in se stesso è bello e attraente, buono e splendido.

 

5. [L’amore casto ama Dio per se stesso e non per qualsivoglia altra considerazione].

 

Com’è meraviglioso e sublime l’amore di Dio, per parlarne! Non c’è lingua così perfetta che possa farne comprendere la minima parte, se non usando supposizioni impossibili, al di là della nostra portata. È a un simile amore che faccio riferimento quando esorto ad amare Dio di un amore casto, per quel che egli è, e non per i suoi benefici. Io, non dico (anche se sarebbe già buona cosa) di amarlo molto per i suoi benefici, e infinitamente di più per se stesso. Se dovessi esprimere in maniera più elevata cosa intendo per perfezione e merito di quella adorazione d’amore, direi così: quando uno sente nel cuore in modo tangibile la presenza di Dio così com’è in se stesso e percepisce con la ragione il raggio luminoso della luce perenne, che è poi ancora Dio, in modo da vedere e gustare quant’è degno d’amore Dio in se stesso, in quel preciso istante l’uomo si dimentica completamente di tutti i benefici e di tutte le grazie che Dio gli ha elargito durante la sua vita. E finché dura questo stato interiore, non sente e non vede altro motivo per amare Dio se non Dio stesso.

Certo, quando si parla della perfezione comune, si può ben dire che la grande bontà e benevolenza che Dio ci mostra in questa vita sono dei motivi eccellenti e assai validi per amarlo; ma se si considera l’obiettivo della massima perfezione cui è mia intenzione condurti attraverso questo scritto, devo dire che chi ama Dio in maniera perfetta ha paura di ostacolare il cammino della perfezione, e quindi non chiede altro motivo per amare Dio, una volta raggiunta la cima della perfezione, se non Dio solo. È in questo senso che io parlo di amore casto: amare Dio per se stesso, e non per i suoi benefici.

 

6. [L’amore casto conduce alla perfezione, mentre con l’amore imperfetto si può conseguire solo la salvezza].

 

Per stare all’esempio che ti ho fatto, preparati a staccare il frutto dall’albero e a offrirlo, cosa com’è, al re del cielo: allora il tuo amore sarà casto. Al contrario, finché gli offrirai il frutto acerbo ancora appeso all’albero, sei proprio simile a una donna che non è casta, perché ama suo marito per i benefici che ne trae, e non per la sua persona. Considera bene il perché di questo paragone, e vedi se non sono forse questi i veri motivi per cui servi il Signore con zelo: il timore della morte, il pensiero della brevità del tempo, la speranza di ottenere il perdono della tua pigrizia spirituale. Se è così, allora il tuo frutto è ancora verde e conserva il sapore della pianta. Anche se è bene accetto a Dio, almeno in parte, non gli può piacere perfettamente, perché il tuo amore non è ancora casto.

Il tuo amore è veramente casto quando non chiedi a Dio per la vita presente né di sollevarti dalle sofferenze, né di accrescere la tua ricompensa, né di gustare la dolcezza del suo amore. Certo, ci sono dei momenti in cui fai bene ad attendere con trepidazione qualche consolazione, quasi a rinfrescare le tue facoltà spirituali per paura che vengano meno nel cammino. Al di fuori di queste circostanze, però, non devi chiedere a Dio nient’altro che lui stesso. E non star a considerare se sei nella gioia o nel dolore: a queste cose non devi far caso, dal momento che possiedi colui che ami. Questo è l’amore casto, questo l’amore perfetto.

Preparati, dunque, a staccare il frutto dall’albero; in altri termini, separa il tuo amore adorante dai pensieri di morte e di speranza che l’hanno preceduto. In tal modo potrai offrirlo a Dio così com’è in se stesso, maturo e casto, senza che sia contaminato da nessun’altra motivazione inferiore a Dio o a lui sovrapposta, foss’anche del tutto secondaria. È da Dio e da lui solo che il tuo amore deve trarre la sua origine: allora sì avrà tanto merito, come ho già detto.

In effetti, questa è una verità ben nota a tutti gli esperti in teologia e nella scienza dell’amore di Dio: l’uomo, ogni qualvolta tende a Dio nel suo cuore senza alcun intermediario, cioè senza essere stato stimolato da nessun pensiero particolare, si guadagna la vita eterna. Un’anima che ha queste disposizioni, che offre, cioè, il frutto maturo e già colto dall’albero, può innalzarsi a Dio in qualsiasi istante senza alcun mezzo e per un numero incalcolabile di volte nel giro di un’ora: merita dunque, più di quanto io non sappia descrivere, di essere elevata alla gioia, per la grazia di questo Dio che è l’artefice principale dei suoi atti d’amore. Pertanto sta’ pronto a offrire il frutto maturo e già colto dall’albero. Tuttavia chi offre a Dio in continuazione, per quel che lo consente la fragilità umana, il frutto ancora appeso all’albero, merita senz’altro la salvezza. Ma chi offre a Dio con moto spontaneo e diretto il frutto maturo e già staccato dall’albero, costui ha raggiunto la perfezione.

 

7. [Il matrimonio spirituale fa di Dio e dell’uomo una sola cosa].

 

Da quanto detto precedentemente risulta che l’albero è buono; e se io ti esorto a staccarne il frutto, è in vista di una perfezione più elevata. Ecco perché lo pianto nel tuo giardino: vorrei che tu ne raccogliessi il frutto da riservare al tuo Signore.

In altre parole, vorrei che tu imparassi questo tipo di esercizio che unisce l’anima a Dio, rendendola una sola cosa con lui nell’amore e nella conformità della volontà. Come dice s. Paolo, «Qui adhaeret Deo, unus spiritus est cum illo; Chi si avvicina a Dio», come avviene con l’amore d’adorazione, «diventa un solo spirito con lui». Anche se Dio e l’uomo sono due esseri ben distinti per natura, tuttavia sono così strettamente uniti per la grazia, da formare un solo spirito, legati come sono da un unico amore e da una medesima volontà n. È in questa unione che consiste il matrimonio spirituale tra Dio e l’anima: non c’è niente, se non il peccato mortale, che sia in grado di scioglierlo, anche se l’ardore e il fervore dell’atto d’amore possono venir meno per un certo periodo.

Mentre gusta l’esperienza spirituale di questa unione, l’anima innamorata può mettersi a dire e a cantare, se vi si sente portata, queste sante parole del Cantico dei Cantici: «Dilectus meus mihi et ego illi; Il mio diletto è per me e io per lui». Ecco come si deve intendere il matrimonio spirituale: Dio per parte sua si unisce all’anima con il legame spirituale della grazia, e da parte tua l’unione si forma con il consenso amoroso nel giubilo dello spirito.

 

8. [Occorre esercizio per giungere all’adorazione amorosa di Dio].

 

Fa’ dunque quel che ti ho proposto già all’inizio: arrampicati sull’albero fino ad arrivare al frutto, cioè all’adorazione amorosa. Sarà senz’altro alla tua portata, se ti metterai a meditare con decisione sui due pensieri che ho esposto in precedenza: la morte e la speranza, senza fingere con te stesso. Perciò, sta’ bene attento al lavoro che si va facendo nella tua anima in questo frangente. Cerca più che puoi, con l’aiuto della grazia, di assumere un atteggiamento di umiltà davanti alla grandezza di Dio, così da abituarti a esprimere quest’atto di adorazione immediatamente, e in qualsiasi momento, senza l’intervento di nessun altro pensiero.

È certamente un atto di tal genere che acquista grande merito, come ho già avuto modo di dire. E quanto più il tuo frutto resterà separato dall’albero, cioè sgombro da ogni considerazione, tanto più spesso ti sgorgherà spontaneamente dal cuore in un gioioso slancio d’amore, dritto al suo scopo; e ancora migliore sarà il suo profumo e più gradito al gran Re del Cielo. E se mai dovessi sentire dolcezza e conforto nel tuo atto d’offerta, non meravigliarti: è Dio che sta dividendo il frutto e ti sta dando una porzione del tuo stesso dono. Se invece ti sembra di compiere un lavoro troppo duro, e se devi quasi tendere il tuo corpo oltre misura, nell’aridità, senza ottenere all’inizio nessun beneficio, è la prova che il frutto ancora acerbo se ne sta attaccato all’albero o è appena stato colto: ecco perché ti rimangono allegati i denti. Tuttavia questo esercizio ti è utile; non sarebbe ragionevole pretendere di gustare la dolce mandorla senza aver prima frantumato il duro guscio e masticato l’amara scorza.

Può anche darsi che i tuoi denti, vale a dire le tue facoltà spirituali, siano troppo deboli: in tal caso ti consiglio di usare qualche stratagemma, perché «l’astuzia val più della forza bruta».

 

9. [Importanza del timore e della speranza per raggiungere la preghiera perfetta].

 

C’è un altro motivo per cui ho piantato quest’albero nel tuo giardino e ti raccomando di salirci sopra. È vero che Dio può fare tutto ciò che vuole; ma, a mio modesto parere, è praticamente impossibile che un uomo riesca ad arrivare alla preghiera perfetta senza i due mezzi di cui ho parlato, o altri simili. Eppure la preghiera è perfetta quando sgorga d’improvviso e va dritta al suo scopo senza alcun intermediario. Perciò ti consiglio di fare tuoi i due pensieri che ho indicato prima: non che tu li debba considerare come tua proprietà — sarebbe un atteggiamento peccaminoso —, ma sono tuoi perché Dio per sua grazia te li ha donati, servendosi di me, indegno messaggero, per trasmetterteli. Credimi: qualsiasi pensiero ti stimoli al bene, sia che provenga interiormente dal tuo angelo custode o esteriormente da un messaggero umano, non è altro che uno strumento di grazia dato da Dio stesso, da lui scelto e inviato a operare nella tua anima.

E ora voglio spiegarti per quale motivo ti consiglio quei due pensieri a preferenza di tutti gli altri.

L’uomo è un essere composto da due sostanze: corpo e anima; ha bisogno quindi di due mezzi diversi per giungere alla perfezione. Solo alla risurrezione dell’ultimo giorno i due elementi saranno uniti nell’immortalità; ma in questa vita ciascuna delle due sostanze deve giungere alla perfezione usando un mezzo appropriato. Il timore svolge questa funzione per la parte corporea, la speranza per quella spirituale. Mi sembra che così si operi in maniera corretta e adeguata. Infatti non c’è niente che sappia strappare più rapidamente il corpo da tutti gli affetti terreni, se non il timore sensibile della morte. Analogamente, non c’è niente che possa spingere con maggior speditezza e fervore l’anima di un peccatore ad amare Dio, se non la speranza certa del perdono di tutti i suoi peccati. Ecco perché ti ho raccomandato di arrampicarti sull’albero facendo uso di questi due pensieri.

 

10. [Conclusione].

 

Ma se il tuo angelo buono, parlando nell’intimo del tuo cuore, o qualche altra persona dall’esterno ti dovesse suggerire dei pensieri che, a tuo parere, sono più adeguati alle tue disposizioni, puoi utilizzarli in tutta tranquillità e lasciar da parte, senza biasimo alcuno, quelli che ti ho proposto io. Tuttavia, per il momento e finché non ne saprà di più, resto dell’opinione che questi mezzi ti saranno molto utili e non mi sembrano affatto discordanti dalle disposizioni che ho trovato in te. Se quindi scopri che ti fanno del bene, ringrazia Dio di tutto cuore; e per amore di Dio, prega per me. Non mancare di farlo, perché sono così miserabile che tu non te lo immagini nemmeno.

A questo punto mi voglio fermare: ricevi la benedizione di Dio e la mia. Leggi e rileggi questi consigli, e non dimenticarli. Mettili in pratica con coraggio, e fuggi tutto quanto ti può ostacolare o ritardare nel cammino della perfezione. Nel nome di Gesù. Amen.

 

 

LETTERA SUL DISCERNIMENTO

A Pistle of Discrecioun of Stirings

[Una lettera sul discernimento degli impulsi (dell’anima)]

 

 

1. [Quale valutazione dare e quale comportamento assumere quando ci si sente spinti ad azioni eccezionali, come il silenzio, il digiuno, la solitudine, o altre simili].

 

Amico spirituale in Dio, auguro a te, secondo la volontà di Dio, la stessa grazia e la stessa gioia che desidero ardentemente per me.

Mi chiedi consiglio per sapere se sia meglio tacere o parlare, mangiare normalmente o digiunare in modo rigoroso, vivere con gli altri o ritirarsi in solitudine. Mi dici che sei dubbioso sulla scelta perché, come tu affermi, se da un lato diffidi del troppo parlare, del mangiare come fa abitualmente la gente e del vivere in compagnia, dall’altro temi di esagerare praticando il silenzio, l’astinenza più assoluta e una vita del tutto solitaria, dato che questi comportamenti potrebbero spingerti ad attribuirti una santità che sei ben lontano dall’avere, e ti farebbero incorrere in molti altri pericoli.

Spesse volte, ai giorni nostri, si giudicano molto sante le persone che osservano il silenzio, una rigida astinenza e che conducono vita solitaria; tuttavia simili pratiche eccezionali espongono a molti pericoli. In verità queste persone sarebbero molto sante solo nel caso in cui il loro silenzio, il loro rigoroso digiuno e la loro vita ritirata avessero come movente la grazia, perché allora le loro sofferenze verrebbero pienamente accolte e tollerate da parte della

natura. Nel caso contrario, esse si troverebbero insidiate da ogni parte da pericoli, poiché è rischioso forzare la natura umana a compiere azioni devote quali tacere o parlare, mangiare in modo normale o digiunare rigidamente, vivere in compagnia o in solitudine.

Voglio dire che si può superare l’abituale corso della natura e mutarne l’equilibrio, soltanto se si è guidati dalla grazia. E questo vale anche per azioni indifferenti in se stesse e che possono essere a un tempo buone o cattive, utili o dannose, proficue o sfavorevoli.

Se segui il tuo impulso che ti porta a compiere azioni eccezionali e ti impegni rigorosamente al silenzio, allo stretto digiuno e alla vita ritirata, ti può accadere spesso di praticare il silenzio quando è tempo di parlare, di digiunare quando è meglio mangiare e di vivere appartato quando è preferibile stare in compagnia.

Se poi ti lasci andare a parlare quando ne hai voglia, a mangiare come fanno tutti o a vivere in compagnia, forse ti capiterà talvolta di parlare quando sarebbe meglio tacere, di mangiare al posto di digiunare e di vivere fra molta gente quando, sarebbe conveniente starsene soli. Potresti così cadere facilmente in errore e in grande confusione, non solo a danno della tua anima, ma anche di quella degli altri.

Tuttavia, per evitare simili errori mi chiedi, come apprendo dalla tua lettera, due cose: anzitutto di conoscere l’opinione che ho di te e delle tue inclinazioni; e in secondo luogo, qual è il mio consiglio su questo caso specifico e su altri che potrebbero presentarsi in futuro.

 

2. [L’uomo giunge alla conoscenza di se stesso solo passando attraverso prove e tribolazioni. Ciò gli ottiene la corona della vita, consistente nella sapienza, nel discernimento e nella perfezione della virtù, che è la carità].

 

Riguardo alla prima domanda, rispondo che temo molto nel darti il mio sia pur modesto parere su questo argomento e altri simili. E ciò per due ragioni. La prima, perché non oso affidarmi al mio giudizio e affermare che sia solido e verace; la seconda, perché non mi sono ancora del tutto note le tue disposizioni interiori e la tua capacità di compiere le cose di cui parli nella lettera. Sarebbe invece opportuno che io le conoscessi bene, se debbo darti un saggio consiglio in proposito. Infatti dice l’Apostolo: «Nemo novit quae sunt hominis, nisi spiritus hominis qui in ipso est; Nessun uomo conosce quali siano le intime disposizioni di un uomo, fuorché lo spirito che è in lui».

Forse neppure tu conosci ancora completamente le tue intime inclinazioni, come le conoscerai in seguito, quando Dio te le manifesterà per mezzo delle prove, fra molte cadute e riprese.

Finora non ho mai conosciuto un peccatore che sia potuto giungere alla perfetta conoscenza di se stesso e delle sue intime inclinazioni, senza essere stato ammaestrato alla scuola di Dio, attraverso l’esperienza di molte tentazioni, con frequenti cadute e continue riprese.

Come una piccola nave raggiunge la terra ed entra nel porto dopo aver navigato, ora fra onde, marosi e tempeste, ora incontrando venti favorevoli, bonaccia tiepide aure, similmente l’inerme anima umana subisce molteplici tentazioni e prove che costituiscono il suo retaggio durante le traversie della vita (esemplificate dalle onde, dai marosi e dalle tempeste), ma è anche visitata dalla grazia e dalla bontà dello Spirito santo, e gusta numerose ispirazioni, dolcezze e consolazioni (rappresentate dai venti favorevoli e dalle tiepide aure), e può così giungere finalmente, come la nave, alla terra della stabilità e al porto della salvezza.

Qui l’uomo perviene alla chiara e vera conoscenza di se stesso e di tutte le sue intime inclinazioni.

Grazie a questa conoscenza, l’uomo se ne sta seduto tranquillamente in se stesso, come un re incoronato nel suo regno, ed è in grado di governare con forza, saggezza e bontà se stesso, i suoi pensieri e gli impulsi sia del corpo che dello spirito.

Ecco ciò che il saggio dice di quest’uomo: «Beatus vir qui suffert tentationem, quoniam cum probatus fuerit, accipiet coronam vitae, quam repromisit Deus diligentibus se; Beato l’uomo che sopporta, penando, la tentazione, perché, dopo essere stato provato, riceverà la corona della vita, promessa da Dio a coloro che lo amano».

La corona della vita può essere definita in due modi. Anzitutto come sapienza divina, pienezza di discernimento e perfezione di virtù. Queste tre qualità unite insieme possono venir chiamate corona della vita, che la grazia ci può ottenere già su questa terra.

La corona della vita può anche essere definita in altro modo, come la gioia senza fine che ogni anima fedele proverà, dopo questa vita, nella beatitudine celeste.

Naturalmente l’uomo non potrà ottenere nessuna di queste due corone, se non sarà stato prima molto provato da sofferenze e tribolazioni, come afferma il testo: «Quoniam cum probatus fuerit, accipiet coronam vitae; Poiché è stato messo alla prova, riceverà la corona della vita». In altri termini, come ho già detto, se un peccatore non è stato provato da molteplici tentazioni, ora rialzandosi, ora cadendo (cadendo per debolezza e rialzandosi in virtù della grazia), non potrà mai ricevere da Dio in questa vita la sapienza spirituale che gli permetta di raggiungere la chiara conoscenza di se stesso e delle sue inclinazioni interiori, né il pieno discernimento per consigliare e insegnare ad altri, e neppure la terza qualità, che è la perfezione della virtù: l’amore verso Dio e verso i fratelli.

Queste tre qualità: sapienza, discernimento e perfezione della virtù, costituiscono un tutt’uno e possono essere chiamate la corona della vita.

 

3. [Descrizione della corona della vita, che l’uomo può conseguire sia nell’esistenza presente come in quella futura].

 

In una corona si trovano tre cose: l’oro è la prima, la seconda è costituita dalle pietre preziose e la terza è data dalle torrette di fiordaliso che s’innalzano sopra la testa. L’oro simboleggia la sapienza, le pietre preziose il discernimento e con le torrette di fiordaliso io intendo la perfezione della virtù.

Come l’oro circonda il capo, così con la sapienza governiamo da ogni parte il nostro lavoro spirituale. Le pietre preziose brillano agli occhi degli uomini: con il discernimento insegniamo ai nostri fratelli e consigliamo. Le torrette di fiordaliso portano due rami laterali che si stendono uno a destra e l’altro a sinistra; c’è anche un terzo ramo che s’innalza al di sopra del capo. Analogamente la virtù perfetta, cioè la carità, ha due diramazioni laterali di amore, che si espandono una a destra verso i nostri amici e una a sinistra verso i nostri nemici. C’è infine la diramazione che volge in alto verso Dio, al di sopra dell’intelletto umano. Essa rappresenta la parte più eccelsa dell’anima.

Questa è la corona della vita che si può ottenere, per mezzo della grazia, già nel tempo presente. Perciò comportati con umiltà durante la battaglia e sopporta docilmente le tentazioni fino al momento in cui la prova sarà finita. Allora potrai ricevere l’una o l’altra delle corone o ambedue: una quaggiù e l’altra lassù; infatti chi possiede già la prima in questo mondo, può essere sicurissimo di conseguire la seconda nell’altro. Sono molti coloro che la grazia sottopone quaggiù a numerose prove e ciò nonostante non arrivano mai a possedere la corona in questa vita. Però se essi continueranno a soffrire pazientemente, compiendo il volere di nostro Signore, saranno pienamente Sdegni di ricevere la corona lassù, nell’immensa beatitudine del cielo.

Se pensi sia bella la corona che può essere guadagnata quaggiù, comportati, con l’aiuto della grazia, con la maggior docilità possibile, dal momento che se paragoni questa corona a quella di lassù, è come se tu mettessi a confronto un gioiello con una miniera d’oro.

Dico tutto questo perché ti sia di consolazione e ti sostenga nella battaglia spirituale che hai intrapreso fidando in nostro Signore. Con ciò voglio inoltre mostrarti quanto tu sia ancora lontano dalla vera conoscenza delle tue inclinazioni interiori, e ammonirti a non accondiscendere precipitosamente e a non seguire gli impulsi del tuo giovane cuore verso pratiche eccezionali, impulsi che potrebbero risultare ingannevoli.

 

4. [Il desiderio di pratiche eccezionali va umilmente vagliato attraverso il distacco da se stessi, la preghiera e il consiglio di una guida spirituale].

 

Intendo in tal modo manifestarti quale opinione ho di te e delle tue inclinazioni, e rispondere così alla tua domanda.

Penso che tu sia non solo molto capace, ma anche parecchio incline a cogliere i subitanei impulsi che ti spingono a pratiche eccezionali, e ritengo che tu vi aderisca con trasporto, una volta che li hai accolti. Ma ciò è assai rischioso. Non dico che, per quanto pericolose, l’abilità e la bramosa disposizione che sono in te o in qualche altra persona che condivide il tuo orientamento, debbano essere cattive in se stesse. Non è quanto intendo affermare, e Dio non voglia che tu abbia a interpretare le mie parole in questo senso. Ti dico al contrario che si tratta di cose buone in sé e atte a portare a grande perfezione, anzi alla più alta perfezione raggiungibile in questa vita, a patto però che l’anima così disposta si impegni a umiliarsi continuamente, notte e giorno, davanti a Dio e a un saggio direttore spirituale. L’anima deve risolutamente contrapporsi a se stessa e martirizzarsi, rinunciando ai propri desideri e vincendo la propria volontà senza cedere a impulsi subitanei verso pratiche eccezionali.

Dichiarerà fermamente di non voler seguire. tali inclinazioni, per quanto possano sembrare piacevoli, nobili e sante, senza aver ricevuto la testimonianza e l’approvazione di maestri spirituali che abbiano una lunga esperienza delle vie straordinarie. Continuando a vivere in questo atteggiamento di umiltà interiore, l’anima, in forza della grazia e dell’esperienza acquisita nella battaglia spirituale contro se stessa, potrà meritare di raggiungere la corona della vita di cui ho fatto menzione precedentemente.

Mentre grande è la capacità di bene nell’anima che si trova in una simile disposizione di umiltà, altrettanto pericolosa è invece la condizione di un’anima che vuol seguire di colpo, senza prendere consiglio, le inclinazioni impulsive del cuore, facendo assegnamento sulla propria intelligenza e sulla propria volontà.

Guardati quindi, per amor di Dio, da questa capacità e da questa disposizione, se le riscontri in te. Umiliati continuamente nella preghiera, accettando gli ammaestramenti che ti vengono dati. Spezza la tua intelligenza e la tua volontà davanti agli impulsi improvvisi del cuore, e non seguirli con leggerezza, se non ti sei prima accertato della loro provenienza e della loro utilità.

 

5. [Bisogna evitare di comportarsi come le scimmie, che agiscono solo in base a quello che vedono fare dagli altri].

 

Riguardo alle ispirazioni sulle quali chiedi la mia opinione e il mio consiglio, devo dirti che le considero con diffidenza, perché mi sembra si tratti di qualcosa di molto simile al comportamento delle scimmie. Si dice comunemente che la scimmia fa ciò che vede fare dagli altri. Ti prego di perdonarmi se la mia diffidenza mi dovesse indurre in errore, ma l’amore che nutro per la tua anima mi spinge a parlarti, per mia personale conoscenza, di un fratello spirituale tuo e mio, che un tempo abitava dalle tue parti. Egli si sentiva eccitato dagli stessi impulsi di rigoroso silenzio, di rigido digiuno, di vita completamente ritirata. Ma si stava comportando alla maniera di una scimmia, come mi assicurò dopo lunghe conversazioni e dopo aver esaminato se stesso e le sue ispirazioni. Mi aveva infatti riferito di aver visto un uomo del tuo paese che, come è noto a tutti, pratica sempre un rigoroso silenzio, un rigido digiuno e una vita solitaria. Certo, posso ben supporre che le ispirazioni di quell’uomo siano autentiche, frutto soltanto della grazia che egli sente per esperienza nel suo intimo, e non semplicemente perché ha visto o sentito parlare, dall’esterno, della vita ritirata di qualcuno. Se fosse questo il movente, io parlerei, a mio umile avviso, di imitazione scimmiesca.

Perciò sta’ attento e verifica bene i tuoi impulsi e la loto provenienza, per poter distinguere, quando li provi, se vengono dall’interno, come frutto della grazia, o dall’esterno, alla maniera delle scimmie. Dio solo sa questo, non io. Posso dirti tuttavia, perché tu abbia a evitare un pericolo del genere, di non fare come le scimmie. Fa’ in modo che qualsiasi impulso ti porti a tacere o a parlare, a digiunare o a mangiare, a vivere in solitudine o in compagnia, venga dal di dentro, per sovrabbondanza di amore e di devozione spirituale, e non dal di fuori, attraverso le finestre della mente umana quali sono le orecchie e gli occhi. Poiché, come dice chiaramente Geremia, da queste finestre entra la morte: «Mors intrat per fenestras».

E questo, per quanto sia poco, è sufficiente come risposta alla prima domanda che mi hai rivolto: quale sia, in altri termini, la mia opinione su di te e sugli impulsi di cui mi parli nella tua lettera.

 

6. [Passa a rispondere alla seconda domanda: di fronte alla scelta fra realtà opposte, regola suprema è la libertà di Cristo, non l’inclinazione naturale].

 

Riguardo alla seconda domanda, ossia alla richiesta di consigli in questo caso e in altri che si presentassero, io scongiuro Gesù onnipotente, chiamato a ragione l’Angelo del gran consiglio, perché, nella sua misericordia, sia lui tuo consigliere e tuo consolatore in tutte le afflizioni e in ogni tua necessità. Mi guidi con la sua sapienza, perché possa ripagare la fiducia del tuo cuore con miei ammaestramenti, per quanto semplici siano. Tu mi hai preferito a tanti altri, ignorante e misero quale sono, incapace di insegnare a te e a qualunque altra persona, per la pochezza della grazia e l’insufficienza del sapere.

Pur essendo così ignorante, devo tuttavia affermare, in risposta al tuo desiderio, che nonostante la mia poca dottrina confido in Dio, perché la sua grazia abbia a essere maestra e guida là dove i lumi naturali o la scienza vengono meno.

Sai bene anche tu che, presi nel loro insieme o considerati singolarmente, il silenzio o il parlare, il rigido digiuno o il normale nutrimento, la solitudine e la compagnia, non possono in quanto tali rappresentare il vero fine dei nostri desideri.

Per alcuni uomini però, non per tutti, si tratta di mezzi che aiutano a raggiungere il fine, quando vengono praticati con disciplina e con discernimento. Nel caso contrario, sono più di ostacolo che di aiuto.

Non ti consiglio quindi, per il momento, né di parlare molto né di far assoluto silenzio, né di mangiare abbondantemente, né di digiunare nel modo più completo, né di stare sempre in compagnia né di vivere in totale solitudine, dato che la perfezione non risiede in queste cose.

Posso però darti un consiglio che seguirai, in generale, quando proverai questi impulsi e in tutti gli altri casi analoghi. Ti avverrà talvolta di trovarti davanti al dilemma di due ispirazioni contrarie, come sono il silenzio e il conversare, il digiuno e il mangiare, la vita solitaria e quella in compagnia, il vestire comune dei cristiani e l’indossare abiti strani, tipici delle diverse e più disparate confraternite. Ricorda che queste ispirazioni, e tutte le altre che alla stessa maniera si contrappongono fra di loro, non sono in se stesse che opera della natura e dell’uomo. È per inclinazione naturale e per esigenza del tuo uomo esteriore che sei portato ora a parlare e ora a tacere, ora a mangiare e ora a digiunare, ora a vivere in compagnia e ora in solitudine, ora a vestire come tutti e ora a indossare abiti diversi.

Tu porgi ascolto a queste sollecitazioni, quando percepisci che uno di questi impulsi può esserti vantaggioso e di aiuto nel tener viva la grazia celeste che lavora in te.

Ma può anche accadere, Dio non voglia, che tu o chiunque altro, siate così ignoranti e così accecati dalle perverse tentazioni del dèmone meridiano, da impegnarvi con assurdi voti (non mi riferisco, naturalmente, ai voti solenni della nostra santa religione) a compiere quelle stranezze che, sotto apparenza di santità, consistente in una sottomissione falsamente devota, conducono in definitiva alla completa distruzione della libertà di Cristo.

La libertà di Cristo è l’abito spirituale dell’eccelsa santità che si può ottenere in questa vita o nell’altra. O, se vogliamo esprimerci con le parole di s. Paolo: «Ubi Spiritus Domini, ibi libertas; Dove c’è lo Spirito di Dio, c’è libertà».

 

7. [Fra due cose opposte, va scelta la realtà che si trova nascosta in mezzo: Dio. Ciò non può essere compiuto dalla ragione, ma dall’amore].

 

Quando vedi che tutte queste opere possono avere, nella loro attuazione pratica, un duplice effetto ed essere buone o cattive, ti prego, desisti dal compierle; cosa che non ti sarà difficile fare, se sarai umile. E lascia perdere la curiosa speculazione e la ricerca della tua mente intenta a comprendere quale sia la scelta migliore.

Ti consiglio di comportarti in questo modo: poni una di queste azioni da un lato e la sua contraria dal lato opposto, e scegli per te la cosa che si trova nascosta nel mezzo. Quando la possederai, essa ti permetterà di seguire o non seguire in libertà di spirito l’una o l’altra, secondo la tua inclinazione e senza alcun biasimo.

Ma ora mi chiederai quale sia questa cosa. Ti dirò che cosa penso che sia: è Dio.

È per lui che devi essere silenzioso, se devi essere silenzioso; per lui devi parlare, se devi parlare; per lui devi digiunare, se devi digiunare; per lui devi mangiare, se devi mangiare; per lui devi essere solo, se devi essere solo; per lui devi essere in compagnia, se devi essere in compagnia, e così via per tutte le altre azioni, quali che siano.

Poiché il silenzio non è Dio, né lo è il conversare; il digiunare non è Dio, né lo è il mangiare; la solitudine non è Dio, né lo è la compagnia, e neppure tutte le altre azioni suscettibili di un’azione contraria.

Egli è nascosto fra di esse e non lo si può trovare per mezzo di nessuna attività della tua anima, ma unicamente per mezzo dell’amore del tuo cuore. La ragione non può conoscerlo, il pensiero non può abbracciarlo, né l’intelletto può definirlo. Dio può però essere amato e scelto dalla volontà sinceramente amorosa del tuo cuore.

Scegli lui e sarai silenzioso parlando e parlando silenzioso, digiunerai mangiando e mangiando digiunerai, e così via per tutte le altre azioni.

Tale amorosa scelta di Dio, saggiamente compiuta nell’abbandono di ogni altra realtà e nella ricerca di lui, comporta la costante volontà di un cuore puro, capace di andare oltre alla scelta fra due azioni contrarie, quando essa si presenta e si propone come scopo supremo della nostra considerazione spirituale. Questa capacità di scelta è la migliore che si possa ottenere o apprendere in questa vita per ricercare e scoprire Dio, da parte, s’intende, di un’anima che brami essere contemplativa.

Tutto ciò che un’anima cerca in questo modo non è però visibile e non può essere compreso dall’occhio spirituale della ragione. Ma se Dio è il tuo amore e la tua sola preoccupazione, l’aspirazione più alta e il fine del tuo cuore, ti deve bastare in questa vita, anche se non vedrai niente altro di lui con gli occhi della ragione in tutto il tempo della tua esistenza terrena.

Questa cieca ferita prodotta dalla freccia acuminata di un ardente amore non fallirà mai lo scopo che è Dio, come dice egli stesso nel Libro dell’amore, quando si rivolge a un’anima appassionata e piena di amore: «Vulnerasti cor meum, soror mea, amica mea et sponsa mea; vulnerasti cor meum in uno oculorum tuorum; Hai ferito il mio cuore, sorella mia, mia diletta e mia sposa; hai ferito il mio cuore con uno dei tuoi occhi».

Due sono gli occhi dell’anima: ragione e amore.

Per mezzo della ragione possiamo comprendere quinto egli sia potente, sapiente e buono in tutte le sue creature, ma non in se stesso. Però, ogniqualvolta la ragione vien meno, allora eccita il tuo desiderio, ama, vivi e impara a esercitare l’amore, perché è per mezzo dell’amore che noi possiamo percepire Dio, trovarlo e raggiungerlo come è in se stesso.

È un occhio prodigioso questo amore, se nostro Signore ha detto di un’anima ricca di amore: «Tu hai ferito il mio cuore con uno dei tuoi occhi». Ciò significa che l’amore di cui stiamo parlando è cieco rispetto a molte cose: vede solo quell’unica cosa che cerca. Di conseguenza trova e percepisce, coglie e raggiunge lo scopo supremo a cui tende, molto più velocemente di quanto non farebbe se posasse lo sguardo su molteplici oggetti come fa la ragione, che esamina e confronta tra loro tante realtà diverse, quali il silenzio e la conversazione, il rigido digiuno e il normale nutrimento, la solitudine e la vita in società, e molte altre azioni simili, allo scopo-di stabilire quale sia la migliore.

 

8. [Il contemplativo, sull’esempio di Maria di Betania, va oltre il bene e il meglio e sceglie sempre l’ottimo].

 

Sia questo il tuo modo di comportarti, te ne prego. Agisci come se tu non fossi al corrente dell’esistenza di altri mezzi (voglio dire altri mezzi stabiliti per avvicinarsi a Dio), poiché, in verità, non ne esiste un altro se vuoi essere vero contemplativo e raggiungere rapidamente il tuo scopo. Perciò prego te, e quanti si trovano nella tua stessa situazione, con le parole dell’Apostolo: «Videte vocationem vestram, et in ea vocatione qua vocati estis, state; Esaminate la vostra vocazione e a quella vocazione cui siete stati chiamati, rimanete tenacemente fedeli» in nome di Gesù.

La tua vocazione è di essere autenticamente contemplativo, seguendo l’esempio di Maria, sorella di Marta. Agisci dunque come fece Maria. Fissa come meta del tuo cuore una sola cosa: «Porro unum necessarium; Poiché una sola cosa è necessaria», e questa cosa è Dio.

È lui che tu devi possedere, lui che cerchi, lui che desideri e intendi, gustare, lui che vuoi ti tenga accanto a sé. Non è dunque il silenzio che t’importa, né il parlare, il rigido digiuno o il nutrimento comune, la solitudine o il vivere in compagnia.

È bene talvolta praticare il silenzio, ma in quello stesso momento si farebbe meglio a parlare, e per contro, è bene parlare, ma il silenzio in quell’istante sarebbe migliore, e così via per tutte le altre azioni, come il digiunare, il nutrirsi, il vivere solitari o in compagnia.

A volte, infatti, una di queste azioni è buona, ma la sua contraria può essere preferibile; però nessuna di esse è la migliore in assoluto. Lascia che sia bene tutto ciò è che bene, e meglio tutto ciò che è meglio, perché ambedue verranno meno e avranno una fine.

Scegli con Maria, tuo modello, l’ottima parte che non verrà mai meno. «Maria — inquit Optimus — optimam partem elegit, quae non auferetur ab ea». L’Ottimo è Gesù onnipotente, il quale disse che Maria, a esempio di tutte le anime contemplative, aveva scelto l’ottima parte che non le sarebbe mai stata tolta. Ti prego, dunque, di tralasciare, come fece Maria, il bene e il meglio, per scegliere l’ottima parte. Non ti curare di queste cose: il silenzio e il parlare, il digiuno e il mangiare, la solitudine e la compagnia, e altre azioni del genere; non è su di esse che devi fissare la tua attenzione.

Tu non sai quale sia il loro significato e ti scongiuro di non cercare di conoscerlo. Se in qualche momento ti capiterà di pensarci o di parlarne, rifletti allora e di’ che si tratta di cosa troppo elevata e degna di tanta perfezione il sapere come parlare o tacere, in qual modo digiunare o nutrirsi, come vivere soli o in compagnia, e che sarebbe pura follia e sciocca presunzione da parte di un misero mortale quale sei tu, l’immischiarsi in una perfezione così grande.

Infatti possiamo sempre, ogni volta che lo vogliamo, parlare o tacere, mangiare o digiunare, essere solitari o in compagnia, perché queste azioni sono proprie della natura; ma conoscere il giusto modo di compierle è soltanto merito della grazia.

Senza dubbio non si può ottenere tale grazia con qualche semplice mezzo quale può essere l’assoluto silenzio, il rigido digiuno o l’abitare in solitudine cui tu accenni: tali azioni nascono dal di fuori, in seguito all’aver udito o visto persone che hanno compiuto simili opere eccezionali. Per ottenere una grazia del genere, è necessario che tu sia istruito interiormente da Dio, dopo aver a lungo riposto in lui il tuo desiderio e tutto l’amore del tuo cuore. Devi inoltre allontanare completamente dalla tua anima ogni considerazione spirituale o qualunque altro punto di vista inferiore a Dio, anche se tutte queste cose che ti ordino di evitare, possono parere agli occhi di qualcuno mezzi lodevoli per raggiungere Dio.

 

9. [Il vero criterio di ogni discernimento è il devoto impulso di un incessante amore, che induce sempre a scegliere Dio].

 

Lascia che gli uomini dicano quello che vogliono. Tu, però, agisci secondo il mio consiglio: l’esperienza testimonierà in mio favore.

A colui che vuole conseguire rapidamente il proprio fine spirituale basta un solo mezzo e non gli occorre altro: egli deve rivolgere consapevolmente il proprio pensiero soltanto verso la Bontà divina, con un devoto impulso di incessante amore. E questo perché l’unico mezzo per raggiungere Dio è Dio stesso.

Se conserverai gelosamente l’impulso d’amore che la grazia ti fa sentire nel cuore e non disperderai il tuo sguardo spirituale, sarà questo stesso amore che ti indicherà quando dovrai parlare e quando tacere, e ti assisterà infondendoti discernimento e assicurandoti di non sbagliare durante tutta la tua vita. Esso ti insegnerà interiormente quando dovrai intraprendere o abbandonare le suddette azioni proprie della nostra natura umana, e lo farà con grande e supremo discernimento.

Se per virtù della grazia potrai fare di quest’amore un’abitudine di vita e tenerlo in costante esercizio, allora, quando ti sarà necessario e utile parlare, mangiare in modo normale, rimanere in compagnia o compiere qualsiasi altra azione abituale per un cristiano o propria della natura umana, esso ti spingerà molto soavemente a parlare e a fare qualunque altra cosa del genere.

Ma se non segui l’impulso dell’amore, esso ti colpirà in modo doloroso, come se tu fossi ferito al cuore, e ti farà soffrire e non ti darà riposo fino a quando non lo asseconderai.

Allo stesso modo, se stai parlando mentre ti è più utile tacere, o se stai facendo qualunque altra azione cui abbiamo accennato, mentre sarebbe più conveniente per te fare il contrario: come vivere in solitudine invece che in società, digiunare invece di nutrirsi normalmente, e altre azioni che si possono considerare di eccezionale santità, sarà l’impulso dell’amore che ti spingerà a compierle.

Per mezzo dell’esperienza di questo cieco impulso d’amore per Dio, un’anima contemplativa raggiunge la grazia del discernimento che le insegna a parlare o a praticare il silenzio, a mangiare o a digiunare, a vivere in compagnia o a ritirarsi in solitudine, e così via, e ciò in tempo molto più breve che se compisse quelle azioni straordinarie di cui tu parli, obbedendo cioè agli impulsi della mente umana e alla sua volontà interiore, o comportandosi in modo da imitare le azioni esteriori di qualsiasi altro uomo.

Dal momento che tali azioni forzate dipendono dagli impulsi della natura e non hanno il tocco della grazia, procurano un eccessivo dolore, privo di ogni utilità spirituale. Se si tratta però di anime religiose o di persone cui simili opere sono state ingiunte a titolo di penitenza, allora si che sono benefiche, e il profitto che ne deriva nasce esclusivamente dall’obbedienza e non dallo sforzo di un’azione esteriore che risulterà sempre penosa per tutti. Al contrario, lo struggente desiderio di voler amare Dio costituisce la grande e suprema tranquillità, la vera pace spirituale e la primizia del riposo senza fine.

Perciò parla quando vuoi e smetti quando vuoi, mangia quando vuoi e digiuna quando vuoi, sta’ in compagnia quando vuoi e vivi in solitudine quando vuoi, purché Dio e la grazia siano tua guida.

Digiuni chi intende digiunare, viva solitario chi lo vuole, pratichi il silenzio chi lo desidera, ma, da parte tua, mantieniti fedele a Dio che non inganna. Tutto il resto può ingannarti: il silenzio e il parlare, la solitudine e la compagnia, il digiuno e il mangiare.

Se senti dire di qualcuno che parla o di qualcuno che osserva il silenzio, di qualcuno che si nutre normalmente o di qualcuno che digiuna, di qualcuno che ama la compagnia oppure vive solitario, pensa e afferma pure, se vuoi, che si tratta di persone ben consapevoli di ciò che fanno, a meno che non ti risulti il contrario. Ma evita di scimmiottare la condotta di queste persone: non saresti in grado di farlo per ora, e forse non hai nemmeno le loro stesse inclinazioni. Guardati perciò dall’agire secondo le attitudini degli altri e agisci secondo le tue, se riesci a conoscere quali siano. E fino a che non sei in grado di conoscerle, attieniti al consiglio degli uomini che conoscono le proprie inclinazioni, senza per questo imitarli nel loro comportamento. Solo i consigli di queste persone ti possono essere utili in simili casi.

Ritengo che quanto ho esposto sia sufficiente come risposta alla tua lettera.

La grazia di Dio sia sempre con te, nel nome di Gesù. Amen.

 

 

LETTERA DI DIREZIONE SPIRITUALE

 

The book of priue counseling

[Il libro del consiglio privato]

 

 

[Prologo]

 

Amico spirituale in Dio, questo scritto ha come tema le occupazioni interiori che più si confanno, a mio parere, alle tue intime disposizioni; perciò questa volta mi rivolgo a te in particolare, e non a tutti quanti dovessero venire a conoscenza della mia lettera. Se avessi intenzione di scrivere per tutti, dovrei per forza di cose trattare un argomento di carattere generale. Ma siccome ora sto scrivendo per te in particolare, mi limiterò a quelle cose che mi sembrano più convenienti nel tuo caso e meglio rispondenti al tuo stato attuale. Se altri si troveranno nelle tue stesse disposizioni d’animo e trarranno profitto da questo mio scritto, meglio così; ne avrò veramente piacere. Tuttavia, in questo momento al centro della mia attenzione ci sta unicamente la tua situazione personale, per quel tanto che riesco a intuirla. È dunque a te, e a tutti quanti si trovano nelle tue stesse condizioni, che io rivolgo i miei consigli.

 

1. [La preghiera contemplativa è la nuda e oscura percezione dell’essere di Dio come scaturigine del nostro essere, considerato non in modo discorsivo, ma intuitivo].

 

Quando vuoi raccoglierti nel profondo del tuo essere, non preoccuparti di quel che farai dopo. Lascia da parte tutti i pensieri, buoni o cattivi che siano; e cerca di non pregare con la bocca, a meno che ti senta portato a farlo. In tal caso, non darti pensiero per la quantità delle parole da usare e non dare importanza al nome o al significato da attribuire alla tua preghiera: si tratti di orazione, salmo, inno o antifona, o di qualsiasi altra preghiera, comunitaria o personale, mentale (formulata cioè interiormente nel pensiero) o vocale (pronunciata all’esterno con parole), per te fa lo stesso.

Fa’ in modo che non rimanga niente nella tua mente se non questa sola occupazione: un nudo anelito di raggiungere Dio. Nudo, perché non deve essere rivestito da alcun pensiero particolare su come Dio è in se stesso o nelle sue opere: importa solo il fatto che egli è quel che è. Cerca di considerare Dio in questa maniera, te ne prego, e non voler fare altrimenti. Non continuare a indagare sul suo conto con sottili ricerche dell’intelletto. Questa fede sia il fondamento del tuo lavoro.

Questo nudo anelito, che poggia saldamente su una fede sincera, lo devi concepire e sentir dentro come un semplice riconoscimento e una cieca accettazione del tuo stesso essere. È come se dicessi a Dio nel tuo intimo: «Quel che sono, o Signore, io te lo offro. Non intendo considerare nessuna qualità del tuo essere, ma solo il fatto che tu sei quel che sei, e niente più».

Quest’umile oscurità deve riflettersi anche sul tuo essere e occupare in pieno la tua mente. Non metterti a pensare a te stesso più di quanto tu non debba fare con Dio, così da diventare una sola cosa con lui in spirito, senza dispersione né distinzione. Infatti, è lui il tuo essere, e in lui sei quel che sei: non solo perché egli è la causa e l’essere di tutte le cose, ma anche perché costituisce la causa e l’essere del tuo stesso essere. Perciò in questo lavoro pensa a Dio esattamente come pensi a te stesso, e a te stesso come pensi a Dio: egli è quel che è, e tu sei quel che sei. In questo modo il tuo pensiero non resterà disperso e diviso, ma unificato in lui che è il tutto.

È necessario però salvaguardare sempre questa differenza tra te e lui: egli è il tuo essere, ma tu non sei il suo. Tutte le cose sono in lui quanto alla causa e all’essere, ed egli è in tutte le cose causa ed essere; ma quanto a lui, è solo in se stesso che trova la propria causa e il proprio essere. E come non c’è niente che possa essere senza di lui, così anch’egli non può essere senza di sé. Egli è l’essere di se stesso e di tutte le cose. E proprio in quanto è distinto da tutte le altre cose, costituisce l’essere di se stesso e di tutte le cose. Inoltre, siccome è uno in tutte le cose e tutte ritrovano la loro unità in lui, è lui l’essere di tutte le cose e tutte sussistono in lui.

Allo stesso modo, tu sarai unito a Dio nella grazia, senza distinzione, sia con l’intelletto che con il cuore, purché tralasci tutte quelle astruse ricerche sulle varie qualità del tuo cieco essere e del suo. Se la tua mente sarà spoglia e i tuoi sensi purificati, sentirai nella tua nudità, per il tocco della grazia, di essere nutrito in segreto da Dio, così com’è; ma ciò avverrà solo in parte e nell’oscurità, come si conviene su questa terra, così che il tuo ardente desiderio crescerà sempre di più. Quindi alza gli occhi senza paura e di’ al tuo Signore, a parole o nel profondo del tuo cuore: «Quel che sono, o Signore, io te lo offro, perché tu non sei altro da me».

E pensa in maniera nuda, semplice e piana che tu sei quel che sei, senza aggiungere altre analisi o considerazioni.

Non bisogna esser nati maestri per pregare a questo modo: a me sembra alla portata anche del più ignorante tra gli uomini, perché presuppone un grado minimo di intelligenza comune a tutti. Perciò mi stupisco veramente e mi vien quasi da ridere, se non provassi anche un senso di amarezza, quando mi capita di sentire gli apprezzamenti di certe persone a proposito di quanto ho scritto a te e a altri (bada bene che non si tratta di gente ignorante o poco istruita, ma di studiosi e uomini di cultura!). Costoro affermano che i miei scritti sono così elevati e difficili da leggere, così astrusi e complicati, che a malapena riescono a capirli i più istruiti o più intelligenti.

A quanti fanno simili discorsi rispondo che hanno ben motivo di lagnarsi e meritano di essere derisi, in spirito di misericordia, e severamente rimproverati da Dio e da quelli che lo amano: infatti la loro avidità di sapere e il desiderio smodato di conoscere, li rendono ciechi. Non sto parlando di qualche persona soltanto, ma in genere di quasi tutti gli uomini del nostro tempo, salvo uno o due in ogni distretto, scelti in maniera speciale da Dio. Con la loro mentalità inquisitiva, non possono pretendere di capire il senso genuino di questo facile esercizio, attraverso il quale anche il più ignorante degli uomini può unirsi a Dio in carità perfetta, per mezzo di un’umiltà piena d’amore. Essi invece, immersi nella cecità più completa, non ci capiscono un bel niente, come un bambino fermo all’ABC non può afferrare la dotta esposizione di un docente universitario. E sempre perché sono ciechi, considerano a torto come dottrina squisitamente sottile, quest’insegnamento così semplice; che se uno lo guardasse da vicino, si accorgerebbe che è solo una facile lezione tenuta da un ignorante. Non è forse stupido e beota chi non ha coscienza del proprio essere, chi non è capace, cioè, di pensare e sentire non tanto quel che è, ma il fatto stesso di essere? Infatti è manifestamente naturale per la mucca più ignorante o per la bestia più irragionevole (se mai fosse possibile, ma non lo è, far distinzioni tra gli animali in base al loro grado di intelligenza) avere coscienza del proprio essere. Tanto più deve essere naturale per l’uomo, che è dotato di ragione in maniera eminente e al di sopra degli altri animali, avere la consapevolezza e la coscienza del proprio essere.

Perciò scendi nel punto più basso della tua intelligenza (alcuni lo ritengono, per esperienza fatta, il punto più eccelso) e considera nella maniera più semplice (secondo certi, la più saggia) non ciò che sei, ma solo il fatto che tu sei. Pensare a quello che sei, con tutte le caratteristiche proprie della tua natura, presuppone da parte tua una dose non indifferente di acume e di cultura, e richiede ricerche approfondite sulle tue facoltà.

Questo lavoro l’hai già fatto parecchie volte con l’aiuto della grazia, cosicché ora sai, anche se solo parzialmente e per quel tanto che a mio parere ti può servire per il momento, quello che sei: un essere umano, per natura, e un miserabile, ripugnante e puzzolente, per il peccato. Come sai bene tutto questo! E forse troppe volte ti metti a pensare a tutte le sozzure che accompagnano la tua miseria. Vergogna! Lasciale stare, te ne prego. Non rivoltarle più, per non doverne sentire il fetore. Al contrario, per pensare al fatto che tu sei, non ci vuole grande scienza o spiccata intelligenza: basta la tua ignoranza e la tua semplicità.

 

2. [È necessario raggiungere il punto più eccelso dello spirito e offrire il proprio essere a Dio, che ci guarisce dalle piaghe del male].

 

Quindi ti prego di non far altro in questo frangente, se non pensare al semplice fatto che tu sei così come sei: non importa quanto tu sia immondo o miserabile. Naturalmente, do per scontato che tu abbia già fatto debita ammenda di tutti i tuoi peccati, in particolare e in generale, secondo le giuste regole stabilite dalla santa chiesa. Altrimenti, né tu né nessun altro potete pretendere di avere il mio consenso nell’affrontare con tanta impudenza un simile lavoro. Ma se tu senti in coscienza di aver fatto tutto il possibile, allora puoi pure intraprendere questo lavoro. E anche se ti senti ancora così vile e miserabile da considerare il tuo io come un peso, e da non sapere nemmeno tu che cosa fare di te stesso, allora segui le mie indicazioni..

Prendi il buon Dio così com’è nella sua grande misericordia, e ponilo, proprio come se fosse un balsamo, su quell’essere malato che è il tuo io. O per dirla in altri termini, leva in alto il tuo io, malato com’è, e con il desiderio cerca di toccare Dio così com’è, buono e dispensatore di grazie. Chi arriva a toccarlo, ne riceve salute eterna, come testimonia la donna del vangelo, quando dice: «Si tetigero vel fimbriam vestimenti eius, salva ero; Se solo arriverò a toccare il lembo del suo mantello, sarò guarita». A maggior ragione tu sarai sanato dalla tua malattia a questo meraviglioso contatto celeste con il suo stesso essere: bada bene, con il suo stesso io. Allora, avvicinati a lui con decisione e usa quel medicamento. Eleva il tuo essere, malato com’è, verso il buon Dio così com’è in se stesso, senza fare particolari considerazioni o disquisizioni su nessuna delle qualità proprie del tuo essere o di quello di Dio: che si tratti di purezza o miseria, grazia o natura, divinità o umanità, poco importa. Per il momento basta che tu offra con gioia e in trepidazione d’amore, questo sguardo cieco sul tuo essere, nudo com’è, perché sia strettamente unito in grazia e spirito all’essere prezioso di Dio, cosa com’è in se stesso, né più né meno.

È vero, le tue facoltà sempre inquiete ed errabonde non troveranno alimento in questa maniera d’agire; perciò si lamenteranno con te e insisteranno perché tu tralasci questo lavoro e ti metta invece a fare qualcosa che possa soddisfare la loro curiosità. A sentir loro, tu non stai facendo niente di valido: d’altra parte non riescono a capir niente del tuo lavoro. Eppure io lo amo ancor di più, perché questo è un segno che esso è manifestamente superiore alla loro attività. Infatti, perché non dovrei preferirlo, quando non c’è nessun altro lavoro che possa fare io o che possano compiere i miei sensi esterni e interni sotto lo stimolo della curiosità, che sia in grado di condurmi così vicino a Dio e così lontano dal mondo, come invece è capace di fare questa nuda coscienza di me stesso e la semplice offerta del mio cieco essere?

Perciò, anche se le tue facoltà non trovano alcun alimento nel tuo modo di agire, e quindi cercano di distoglierti da quel che vai facendo, bada di non abbandonare il tuo lavoro per causa loro; al contrario, tienile sottomesse. E non tornare ad alimentarle, anche se dovessero diventar furiose. Quando permetti alle tue facoltà di divagare in sottili disquisizioni e approfondite ricerche sulle qualità del tuo essere, è come se tu tornassi indietro a nutrirle. Tali riflessioni, anche se sono del tutto buone e proficue, tuttavia, in confronto all’offerta della cieca coscienza del tuo essere, non servono ad altro che a dissiparti e a distrarti dall’unità perfetta che dovrebbe regnare tra Dio e la tua anima.

Pertanto resta aggrappato al punto più eccelso del tuo spirito, cioè alla coscienza del tuo stesso essere; e non tornare indietro per niente al mondo, per quanto possa sembrare buono e santo l’oggetto a cui vorrebbero trascinarti le tue facoltà.

 

3. [L’offerta del proprio essere, compiuta in purezza di spirito, chiede il silenzio delle nostre facoltà discorsive].

 

Segui il consiglio e l’insegnamento che Salomone diede a suo figlio: «Honora Dominum de tua substantia, et de primitiis frugum tuarum da pauperibus; et impiebuntur horrea tua saturitate, et vino torcularia tua redundabunt; Onora il Signore con la tua sostanza e da’ nutrimento ai poveri con le primizie dei tuoi frutti: allora i tuoi granai saranno ricolmi, i tuoi tini traboccheranno di vino». Queste parole Salomone le disse a suo figlio in senso letterale, ma è come se avesse voluto farti comprendere in senso figurato quel che sto per dirti a nome suo: amico spirituale in Dio, vedi se hai lasciato perdere tutte le attività discorsive delle tue facoltà naturali, e rendi a Dio, tuo Signore, un culto perfetto con la tua sostanza. Offri a lui in tutta semplicità tutto te stesso, tutto quel che sei e così come sei, come un tutt’uno e non in frammenti: in altri termini, senza considerare in dettaglio quello che sei. A questo modo, il tuo sguardo non resterà disperso e la tua coscienza non perderà il suo candore, niente potrà impedirti di essere uno con il tuo Dio in purezza di spirito.

«E da’ nutrimento ai poveri con le primizie dei tuoi frutti», cioè con il meglio delle qualità spirituali e corporali che sono cresciute con te dal momento della tua creazione fino a oggi. Chiamo frutti, tutti quei doni di natura e di grazia che Dio ti ha elargito. Con essi sei tenuto a nutrire e a sfamare in questa vita, nel corpo e nello spirito, tutti i tuoi fratelli e sorelle secondo natura e, secondo la grazia, proprio come devi fare con te stesso.

È il primo di questi doni che io chiamo «le primizie dei tuoi frutti». In ciascuna creatura il primo dono è semplicemente quello dell’essere. È vero che le qualità dell’essere sono così intimamente legate all’essere stesso da non potersene separare; tuttavia, siccome dipendono dall’essere, si può dire con certezza che è questo il primo dei tuoi doni. Quindi le primizie dei tuoi frutti sono costituite dal semplice fatto che tu sei. In effetti, se frantumerai il tuo cuore in molteplici considerazioni sulle complesse, qualità e sulle splendide caratteristiche dell’essere umano, che è la più nobile di tutte le creature, troverai che il punto focale a cui mira ogni tua considerazione, quale che essa sia, è sempre il tuo essere, nudo e semplice.

Ogniqualvolta ti metterai a meditare e ti sentirai spronato ad amare e lodare il Signore tuo Dio, non solo per il dono dell’essere, ma anche per la nobiltà del tuo essere, come attesteranno le eccelse qualità che avrai riscontrato in te, sarà come se tu dicessi in cuor tuo: «Io sono, so e sento che io sono; e non solo che io sono, ma che sono così, così, così e così». In questo modo farai passare una dopo l’altra tutte le qualità del tuo essere. E poi, se vuoi fare ancora meglio, riuniscile tutte in un sol fascio e di’ così: «Il mio essere e il mio modo di essere, secondo natura e secondo la grazia, tutto ciò io l’ho ricevuto da te, Signore, ed è il tuo stesso essere. Io lo offro tutto a te, innanzitutto per lodarti, e poi per venire in aiuto di tutti i miei fratelli nella fede, e infine per me stesso». Puoi così notare come il punto focale di ogni tua considerazione deve consistere sostanzialmente nella visione nuda e nella coscienza cieca del tuo stesso essere. Quindi è semplicemente il tuo essere a costituire le primizie dei tuoi frutti.

Ma anche se il tuo essere è il primo dei tuoi frutti e tutti gli altri dipendono da lui, al momento attuale non conviene rivestire questa considerazione e ammantarla di tutte le sue varie qualità e caratteristiche (che nel nostro caso sono i frutti), sulle quali hai già fatta tutte le tue elucubrazioni in precedenza.

Per ora basta che onori Dio in maniera completa con tutta la tua sostanza e offra a lui il tuo essere nudo, cioè le tue primizie, in un continuo sacrificio di lode a Dio, per te e per tutti gli uomini, come carità comanda. Non rivestirlo, dunque, di nessuna qualità o particolarità propria del tuo essere o dell’essere di qualcun altro, quasi che con queste considerazioni tu volessi sopperire ai bisogni, promuovere il bene e accrescere la perfezione del tuo stesso io o del tuo prossimo.

Lascia stare: un simile atteggiamento non gioverebbe affatto in questo caso. Invece è molto più consona alle tue necessità, più efficace per il tuo avanzamento e la perfezione tua e degli altri, questa meditazione cieca e generale, fatta nella purezza dello spirito, che non qualsiasi altra considerazione particolare, per quanto possa apparire santa.

La verità delle mie parole è confermata dalla testimonianza delle Scritture, dall’esempio di Cristo e dalla perspicacia della ragione. Tutti, gli uomini furono perduti in Adamo, poiché egli si staccò dall’amore che lo legava a Dio. E ora, tutti gli uomini che testimoniano con i fatti, secondo la loro specifica vocazione, la volontà di essere salvati, lo sono e lo saranno solo in virtù della passione di Cristo. Egli offrì se stesso come sacrificio più vero, tutto se stesso e non solo in parte; e per tutti gli uomini, non per qualcuno in particolare, ma per tutti in generale, senza distinzione. Analogamente, chi offre se stesso in sacrificio reale e perfetto per il bene di tutti, fa tutto il possibile per unire a Dio tutti gli uomini nella stessa maniera reale con cui egli è unito a Dio. Nessuno ha amore più grande di chi si sacrifica per tutti i fratelli e le sorelle secondo la carne o secondo lo spirito. Poiché l’anima è più preziosa del corpo, è meglio unire l’anima a Dio (che ne è la vita), con il pane celeste della carità, piuttosto che unire il corpo all’anima (che ne è la vita), nutrendolo con qualsiasi cibo materiale. Quest’ultima attività è buona in se stessa, ma senza l’altra è quanto mai incompleta. Se si uniscono entrambe, va già meglio; ma la prima da sola, è l’ottimo. La seconda da sola non è in grado di meritare la salvezza; mentre la prima, anche se viene a mancare completamente quell’altra, non solo merita la salvezza, ma conduce alla perfezione più alta.

 

4. [Per praticare la preghiera contemplativa, non sono necessarie riflessioni particolari sul proprio essere o sull’essere di Dio].

 

Se vuoi avanzare nella perfezione, non c’è bisogno che torni indietro a dare alimento alle tue facoltà, riflettendo sulle qualità del tuo essere, così da nutrire e colmare il tuo cuore di dolci, amorosi sentimenti nei riguardi di Dio e delle cose spirituali. Non è neanche necessario che ti metta a saziare la tua intelligenza con la saggezza spirituale di sante meditazioni, alla ricerca della conoscenza di Dio. Se resterai saldamente aggrappato, per quel che te lo consentirà la grazia, al punto più eccelso del tuo spirito senza demordere un attimo, offrendo a Dio la coscienza nuda e cieca del tuo essere (in altri termini, le primizie dei tuoi frutti), puoi star certo che la seconda parte dell’insegnamento di Salomone si realizzerà compiutamente, così come ha promesso. Ti accorgerai allora dell’inutilità di tutte le affannose ricerche e analisi, cui ti spingevano le tue facoltà intellettuali, sulle varie qualità del tuo essere e anche su quelle dell’essere di Dio.

Tieni bene in mente questa osservazione: in questo lavoro le qualità dell’essere di Dio le devi considerare alla stessa stregua delle tue. Non c’è nome, sentimento o considerazione che meglio si accordi all’eterno, che è Dio, di quanto si possa avere, vedere o sentire nella considerazione cieca e amorosa di questa parola: È. Tutti gli altri attributi: buono, oppure bello, dolce, misericordioso, giusto, saggio, onnisciente, potente, onnipotente Signore; o ancora: intelligenza, sapienza, potenza, forza, amore, carità; e qualsiasi altro termine tu voglia usare nei riguardi di Dio; sono tutti nascosti e condensati in questa piccolissima parola: È. Infatti, avere tutte queste qualità, per Dio vuol dire semplicemente essere. E se anche accumuli centomila espressioni di tenerezza come: buono, bello, e altre simili, non ti allontani da questa parolina: È. Se le pronunci tutte insieme, non aggiungi niente; e non togli niente, se non ne dici neanche una.

Perciò resta cieco nella contemplazione amorosa dell’essere di Dio, proprio come nella nuda considerazione del tuo essere, senza estenuare le tue facoltà in ricerche dettate dalla curiosità, sugli attributi di Dio o sulle qualità del tuo essere. Ma, cacciata lontano ogni speculazione, da’ onore a Dio con tutta la tua sostanza, offrendo tutto quel che sei e così come sei, a lui che è così come è. Perché lui da solo, come tale e senza nient’altro, è la beata essenza di se stesso, e anche la tua. In questo modo adorerai Dio (ed è davvero meraviglioso!) in comunione con lui stesso, perché quello che tu sei, viene da lui ed è lui stesso. Anche se tu hai avuto un inizio, quando la tua sostanza è stata creata dal niente, in lui il tuo essere è sempre esistito fin dall’eternità e non avrà mai fine, proprio come il suo stesso essere. Per questo io grido e ripeto incessantemente: onora Dio con la tua sostanza, distribuisci a tutti gli uomini le primizie dei tuoi frutti.

«Allora i tuoi granai saranno ricolmi». In altri termini i tuoi sentimenti spirituali saranno ricolmi d’amore e di una vita virtuosa in Dio, che è il tuo fondamento e la purezza stessa del tuo spirito. «E i tuoi tini traboccheranno di vino». Come a dire che i tuoi sensi interni, le facoltà spirituali, che hai l’abitudine di estenuare e torchiare con svariate meditazioni, pedanti ricerche e sottili ragionamenti sulla conoscenza di Dio e del tuo essere, sui suoi attributi e sulle tue qualità, traboccheranno di vino; Nella bibbia il vino sta a indicare, in senso mistico e vero, la saggezza spirituale nel contemplare con verità e nel gustare in maniera eccelsa la divinità.

Questi doni li otterrai all’improvviso, per intervento della grazia e del tuo semplice desiderio, senza nessuna occupazione o fatica da parte tua. Ti arriveranno per mezzo del ministero degli angeli e risulteranno dal cieco esercizio d’amore. Tutti gli angeli sanno come servirli in maniera speciale, proprio come l’ancella con la sua signora.

 

5. [In quest’opera. la suprema Sapienza si unisce all’anima umana. Gli effetti che ne derivano, colti in una lettura spirituale di Proverbi].

 

Questo lavoro così lieve e delizioso, consiste essenzialmente nel fatto che la suprema saggezza della divinità scende, in virtù della grazia, nell’anima umana per unirla a sé e fare una sola cosa con essa nelle arti spirituali e nella prudenza dello spirito. Il saggio Salomone lo raccomanda caldamente e ne fa l’elogio esclamando: «Beatus homo qui invenit sapientiam et qui affluit prudentia; melior est acquisitio eius negotiatione argenti et auri; primi et purissimi fructus eius… Custodi, fili mi, legem atque consilium et erit vita animae tuae et gratia faucibus tuis. Tunc ambulabis fiducialiter in vita tua et pes tuus non impinget. Si dormieris, non timebis: quiesces et suavis erit somnus tuus. Ne paveas repentino terrore et irruentes tibi potentias impiorùm; quia Dominus erit in latere tuo et custodiet pedem tuum ne capiaris».

Ecco come si devono intendere queste parole. «Beato l’uomo che ha trovato questa. sapienza» unificante e che nel suo lavoro spirituale usa in abbondanza l’accortezza amorosa e la prudenza di spirito, offrendo a Dio la cieca coscienza del proprio essere, e tralasciando completamente ogni dotta disquisizione e ogni capacità speculativa naturale. L’aver ottenuto la saggezza spirituale attraverso questo semplice esercizio, «è meglio che non l’aver acquistato oro e argento». Per oro e argento si intendono, in senso morale, tutte le altre conoscenze naturali e spirituali che possiamo ottenere con i nostri studi, oppure esercitando le nostre facoltà su noi stessi, sulle realtà a noi inferiori, o su quelle al nostro livello, analizzando, cioè, le qualità proprie di Dio e delle creature.

Salomone spiega il motivo, per cui questa saggezza è superiore, quando dice: «Primi et purissimi fructus eius», in altre parole: «I suoi frutti sono i più precoci e i più puri». Non c’è da meravigliarsi, perché il frutto di questo lavoro non è altro che la suprema saggezza spirituale. Questa si sprigiona, libera e improvvisa, dalle profondità dello spirito, lungi da ogni forma o immagine mentale, senza che la si possa coartare o far rientrare nel campo dell’intelligenza naturale. Qualsiasi attività dell’intelletto umano, per quanto possa essere ingegnosa o santa, al suo confronto non si può che definire follia, irreale fantasia e frutto di immaginazione. Ed è tanto lontana dallo splendore del sole spirituale, vale a dire dalla verità assoluta, quanto la pallida luce di un chiaro di luna in una notte di nebbia in pieno inverno è assai distante dal bagliore di un raggio di sole nel più radioso meriggio d’estate.

E il testo così prosegue: «Figlio mio, conserva questa legge e questo consiglio»; nella saggezza si adempiono in maniera vera e perfetta tutti i comandamenti e i consigli dell’Antico e del Nuovo Testamento, senza volerne sottolineare qualcuno in particolare. Altrimenti come si potrebbe dire che questo metodo di lavoro è una legge, se non dovesse contenere dentro di sé tutte le ramificazioni e i frutti della legge? Se lo si osserva con verità, ci si accorge che il fondamento e la forza di questo lavoro risiedono nel dono glorioso dell’amore, nel quale, secondo l’insegnamento dell’apostolo, si trova riassunta tutta la legge: «Plenitudo legis est dilectio; La pienezza della legge è l’amore».

Salomone aggiunge che questa legge d’amore e questo consiglio di vita, se tu li osserverai, anzitutto saranno «vita per la tua anima», che si esprimerà in una tenerezza d’amore per il tuo Dio; e poi «grazia per le tue guance», a profitto dei tuoi fratelli in Cristo, ai quali darai i più veri insegnamenti e sarai d’esempio comportandoti con la massima dignità nella tua forma di vita. Da questi due precetti, uno che opera all’interno, l’altro all’esterno, dipende tutta la legge e i profeti, come dice Cristo stesso: «In his enim duobus mandatis tota lex pendet et prophetae: scilicet in dilectione Dei et proximi». Perciò, quando sarai stato reso perfetto nel tuo lavoro, sia interiormente che esteriormente, «te ne andrai sicuro», fondato come sei sulla grazia, che è la guida del tuo cammino spirituale, offrendo con amore il tuo essere nudo e cieco all’essere beato del tuo Dio: il tuo essere e il suo diventano una cosa sola per la grazia, pur restando distinti per natura.

«E il piede» del tuo amore «non inciamperà». In altri termini, quando proverai l’esperienza di questo lavoro spirituale in continuità di spirito, non ti lascerai più fuorviare, né tornerai sui tuoi passi con tanta facilità, come fai ora che sei all’inizio, per via di tutte le sottili problematiche e disquisizioni prodotte dalle tue facoltà. Oppure si può interpretare in altro modo: il piede del tuo amore non incespicherà e non inciamperà in nessuna delle immagini sollevate dalle tue irrequiete attività mentali.

In questo lavoro, come ho già avuto modo di dire, bisogna abbandonare completamente ogni ricerca speculativa delle nostre facoltà mentali, tanto da non conservarne neppure il ricordo. In caso contrario, potrebbero facilmente derivare in questa vita delle false immaginazioni o pericolose illusioni che danneggerebbero la nuda percezione del tuo cieco essere e ti distoglierebbero da un lavoro così importante.

Se ti viene alla mente il pensiero di qualche oggetto particolare — tranne quello del tuo essere nudo e cieco, che è, in fondo, il pensiero del tuo Dio, e il tuo unico scopo — eccoti distolto dal tuo lavoro, ricacciato indietro a operare con le furbizie e le sottigliezze delle tue facoltà; eccoti disperso e separato, te e la tua mente, sia dal tuo stesso essere che da Dio. Perciò cerca di rimanere raccolto e indiviso più che puoi, in virtù della grazia e della tua abilità nel perseverare in questo lavoro spirituale. È proprio nella considerazione cieca del tuo nudo essere, unito a Dio come ti ho già detto, che tu farai tutto quello che dovrai fare: mangiare e bere, dormire e vegliare, andare e restare, parlare e rimanere in silenzio, dormire e alzarti, stare in piedi e inginocchiarti, correre e cavalcare, lavorare e riposare.

Ogni giorno dovrai offrire a Dio il tuo essere nudo, perché questa è l’offerta più preziosa che tu gli possa presentare. E sarà la parte principale delle tue occupazioni, attive o contemplative non importa. Infatti, come dice Salomone in questo brano: «Se ti addormenterai» in questa cieca considerazione, lungi da ogni rumore o turbamento suscitato dal nemico spirituale, dal mondo ingannevole e dalla fragilità della carne, «non temerai alcun pericolo», né alcuna macchinazione del demonio. Perché mai? Perché in questo lavoro il demonio resta totalmente confuso e viene reso cieco: si trova in una penosa ignoranza e diventa pazzo dalla voglia di sapere quello che stai facendo. Ma a te non importa, perché «tu riposerai tranquillo» in questa unione amorosa di Dio con la tua anima.

«Sarà dolce il tuo sonno» perché vi troverai cibo spirituale e vigore interiore, sia per il tuo corpo che per il tuo spirito. Come indica ancora. Salomone un po’ più avanti: «Universae carni sanitas est; Questo lavoro dà salute a tutte le debolezze e le malattie della carne». E ha ragione di dire così, perché la carne cominciò a patire le malattie e la corruzione proprio quando l’anima smise di fare questo lavoro. Quindi la carne ritornerà ancora in piena salute, quando l’anima si rialzerà e riprenderà il medesimo lavoro per grazia di Gesù, che ne è il principale artefice. Perché si realizzi tutto questo, puoi solo confidare nella misericordia di Gesù e nella tua adesione d’amore. Perciò, unendo la mia voce a quella di Salomone in questo brano, ti prego di rimanere fedele a questo lavoro e di innalzare a Dio il tuo consenso d’amore senza fermarti, nella trepidazione della carità.

«Et ne paveas repentino terrore et irruentes tibi potentias impiorum». Non lasciarti sorprendere e non perdere la tua tranquillità se il diavolo verrà (e di certo verrà!) a spaventarti all’improvviso, battendo e picchiando con forza sui muri della casa in cui stai riposando, e così pure se metterà in movimento i suoi alleati più potenti perché ti attacchino di sorpresa, senza alcun preavviso. Sta’ ben attento a quanto ti dico, tu che vuoi intraprendere seriamente questo lavoro: ti accadrà di vedere o sentire, fiutare, gustare o udire in maniera reale delle cose strane che il diavolo provocherà esteriormente in uno o l’altro dei tuoi sensi, con il solo scopo di trascinarti giù dall’elevatezza del tuo prezioso lavoro. Perciò «abbi cura del tuo cuore» durante la prova e confida con ardente fede nell’amore di nostro Signore.

«Quia Dominus erit a latere tuo, et custodiet pedem tuum ne capiaris»: «Perché il Signore sarà al tuo fianco» sempre pronto ad aiutarti, «e custodirà il tuo piede», cioè il cammino ascendente del tuo amore che ti porta a Dio, «perché non abbia a cadere nei lacci» e nei tranelli dei tuoi nemici: il diavolo e i suoi fautori, il mondo e la carne. Ma ora, guarda, amico mio: nostro Signore, bersaglio del nostro amore, ci soccorrerà con potenza, saggezza e bontà; perché egli prende le difese di tutti quanti, mossi da una fiducia amorosa nei suoi confronti, rinunciano completamente a difendersi da soli.

 

6. [Nel nobile e amoroso nulla dell’uomo si rivela l’alto e santo tutto di Dio, secondo l’insegnamento biblico. Polemica contro i detrattori della contemplazione].

 

Ma dove trovare un’anima del genere, così liberamente fissata e fondata nella fede, resa così totalmente umile nell’annientamento di sé, guidata e nutrita con tanto ardore dall’amore per nostro Signore? Un’anima che conosca e gusti la potenza infinita di Dio, la sua insondabile saggezza e la sua gloriosa bontà? Essa sa che Dio è uno in tutte le cose e tutte sussistono in lui; e vede che se non cede a lui, per amor suo, tutto quel che ha ricevuto da lui, in lui e per lui, non potrà mai raggiungere la vera umiltà nel totale annientamento di sé.

È solo attraverso il nobile annientamento di sé in vera umiltà e l’esaltazione di Dio come il tutto in carità perfetta, che l’anima ottiene di possedere Dio: completamente immersa nell’amore per lui, in uno stato di pieno e definitivo abbandono di sé, l’anima si considera un niente, o ancor meno, se mai fosse possibile. Allora Dio nella sua potenza, saggezza e bontà verrà a soccorrerla, la proteggerà e la difenderà da tutti i suoi nemici, del corpo e dello spirito, senza che essa si debba premunire o preoccuparsi di avvisarlo o fare qualsiasi altro sforzo da parte sua.

Lasciate da parte le vostre obiezioni umane, voi tutti che siete umili solo a metà. Non venite a dire con i vostri ragionamenti insipienti che quando si abbandona così completamente, per umiltà,, la guardia di se stessi, sempre se si è mossi dalla grazia, è perché si vuol tentare Dio: in realtà avete paura di non riuscire ad attuare un abbandono così totale, e fate bene a pensarlo. Ritenetevi soddisfatti della parte che vi spetta: basta da sola a ottenere la salvezza delle vostre anime chiamate alla vita attiva. Ma lasciate i contemplativi soli nella loro audacia! Non turbatevi e non meravigliatevi delle loro parole o delle loro azioni, anche se alla vostra ragione sembrano passare il limite del comune buon senso.

Vergogna! Quante volte avete letto e sentito questa dottrina, eppure non vi avete mai prestato fede né dato credito. È un punto che tutti i Padri antichi hanno trattato e ci hanno insegnato, un punto che contiene il fiore è il frutto di tutte le Scritture. Oppure siete ciechi e non riuscite a vedere con gli occhi della fede quel che leggete o sentite; o ancora, siete inconsciamente stuzzicati da una certa qual invidia, se non volete ammettere che ai vostri fratelli possa capitare un bene così grande, per il solo fatto che voi ne siete privi. Vi conviene stare allerta, perché il nemico è scaltro: ha in animo di far sì che voi prestiate fede più alle vostre facoltà intellettuali che all’insegnamento tradizionale dei santi Padri, o al lavoro della grazia e alla volontà di Dio.

Quante volte avete letto, e quante volte avete sentito da persone sante, sagge e degne di fede, che non appena nacque Beniamino, sua madre Rachele morì. Per Beniamino si intende la contemplazione, per Rachele, la ragione. Non appena l’anima riceve il tocco della vera contemplazione, come succede nel nobile annientamento di sé e nell’esaltazione di Dio come il tutto, avviene davvero che la ragione dell’uomo muore. E siccome l’avete letto così spesso, e non da un solo autore o due, ma da parecchi, e tutti santi e degni di stima, perché non ci credete? E se ci credete, perché osate indagare con la vostra ragione frugando tra le parole e gli atti di Beniamino?

Beniamino rappresenta tutti coloro che, nell’estasi d’amore, sono rapiti al di sopra del loro spirito, secondo la parola del profeta: «Ibi Beniamin adolescentulus in mentis excessu… Lì il fanciullo Beniamino nel trasporto dello spirito…». Cercate dunque di non essere come quelle donne malvagie che uccidono i loro neonati. Perciò fate bene attenzione, e non levate la punta della vostra lancia presuntuosa contro la potenza, l’intelligenza e la volontà di nostro Signore, fidando nella vostra abilità: ciechi e inesperti come siete, potreste far ricadere Beniamino, proprio mentre pensate sia giusto il momento di sostenerlo nel suo trasporto.

Quando la santa chiesa era ancora agli inizi, nel periodo delle persecuzioni, quanti fedeli, e di tutte le condizioni sociali, furono meravigliosamente raggiunti dal tocco improvviso della grazia così che, immediatamente e senz’altra previa preparazione, gli artigiani abbandonando i loro strumenti, gli scolari le loro tavolette, tutti correvano, senza pensarci su due volte, al martirio con i santi. Se è successo così allora, perché non credere che Dio ancor oggi, in tempo di pace, possa e voglia toccare, con uguale subitaneità, diverse anime con la grazia della contemplazione, e che lo faccia realmente?

Sono convinto che agirà proprio così con i suoi eletti, in modo del tutto gratuito; perché alla fine vuol manifestarsi per quel che è, e riempire di stupore il mondo intero. L’anima che si annulla per amore e che esalta il suo Dio come il tutto, sarà protetta, per la grazia, da tutti i nemici spirituali e materiali che cercheranno di abbatterla: e questo avverrà senza il minimo sforzo o fatica da parte sua, ma solo in virtù della bontà di Dio. È nell’ordine stesso della ragione divina che egli si prenda cura di tutti quanti, conquistati dall’amore per lui, dimenticano di salvaguardare la loro persona. Quindi non c’è da meravigliarsi se essi restano miracolosamente protetti: sono diventati totalmente umili nell’audacia e nel vigore del loro amore.

Chi non osa agire così, ma critica questo comportamento, ha un demonio dentro al petto che gli porta via la confidenza amorosa che dovrebbe avere verso Dio, e la benevolenza nei riguardi dei suoi fratelli; oppure non è ancora perfettamente umile come dovrebbe essere, ammettendo che egli voglia puntare alla vera vita contemplativa.

Perciò non restare confuso, se devi umiliarti a tal punto davanti al tuo Signore e dormire nella cieca considerazione di Dio così com’è, malgrado tutto il baccano di questo mondo cattivo, gli inganni del diavolo e la fragilità della carne. «Nostro Signore sarà lì pronto ad aiutarti e preserverà il tuo piede perché tu non cada nei lacci».

È giusto paragonare questo lavoro a un sonno. Quando si dorme, i sensi sospendono la loro attività, cosa che il corpo possa riposare in pace e ricuperare appieno le sue forze naturali. Allo stesso modo, nel sonno spirituale di cui stiamo parlando, le continue, assurde ricerche alimentate dalle nostre facoltà intellettuali sregolate, e le fantasticherie della nostra immaginazione, vengano imbrigliate e completamente annientate. Così l’anima beata può dormire un sonno tranquillo e riposare nell’amorosa contemplazione di Dio così com’è, ridando forza e vigore alla sua natura spirituale.

Perciò metti a freno le tue facoltà quando offri a Dio la percezione nuda e cieca del tuo essere. Bada bene, come ho già detto più volte, che questa percezione sia nuda, non rivestita di nessuna qualità del tuo essere. Altrimenti, se la ammanti di considerazioni sulla dignità del tuo essere o su qualsiasi condizione propria dell’uomo o di un’altra creatura, dai subito alimento alle tue facoltà, fornisci loro l’occasione e la forza di dissiparti in cose di ogni genere, così che alla fine ti ritrovi distratto dal tuo lavoro senza accorgertene. Stai bene attento a questo inganno, te ne prego.

 

7. [La contemplazione è perfezione nell’amore. A questo si ispirano tutti gli scritti dell’autore].

 

Ma forse, stimolato dalle tue facoltà curiose, che non capiscono niente di quel che vai facendo, ti metti a vagliare attentamente il tuo lavoro: ti meravigli del modo in cui procede e lo consideri con sospetto. Non ti devi stupire di tutto questo; finora sei stato fin troppo abile nell’usare le tue facoltà, per sperare di capire qualcosa di un simile lavoro.

E forse vai chiedendoti interiormente se sia un lavoro che piace a Dio oppure no; e in caso affermativo, come possa piacergli così tanto, secondo quanto io vado sostenendo. Ti rispondo subito: la tua è una domanda posta da un’intelligenza inquieta, che non vuole in alcun modo lasciarti andare avanti con il tuo lavoro, se prima non è stata soddisfatta la sua curiosità con qualche valida argomentazione. Perciò non voglio esserti di ostacolo; tuttavia, rendendomi in un certo senso simile a te, darò soddisfazione alla tua ragione orgogliosa, in modo che poi tu sia come me e segua i miei consigli, senza porre limiti alla tua umiltà. Infatti, come afferma s. Bernardo, l’umiltà perfetta non conosce limiti. Tu poni dei limiti alla tua umiltà quando ti rifiuti di seguire i consigli del tuo direttore spirituale perché non collimano con le tue vedute.

Ecco, avrai capito che io ho la pretesa di essere il tuo direttore spirituale! Faccio sul serio, e intendo esserlo appieno. È l’amore che mi spinge a tanto, ne sono convinto; e non una certa attitudine che io posso riscontrare in me per via dell’elevatezza della mia dottrina, o del mio lavoro, o del mio genere di vita. Dio corregga quel che va corretto, perché egli conosce con pienezza, mentre io solo in parte.

Ma ora voglio soddisfare la tua ragione orgogliosa, facendo l’elogio di questo lavoro. In verità, se l’anima che vi si dedica avesse lingua per esprimere quel che prova, tutti i grandi dottori della cristianità resterebbero stupiti dalla saggezza racchiusa in un simile lavoro. Sì, in confronto a essa, tutta la loro dottrina apparirebbe come pura follia. Pertanto non meravigliarti se non riesco a esprimere la sublimità di questo lavoro con la mia lingua rozza e carnale. Dio non voglia che esso venga profanato e deformato dai patetici sforzi di una lingua grossolana come la mia. No, non può accadere, e di certo non avverrà; Dio mi impedisca anche solo di desiderarlo.

Tutto ciò che si dice, è pur sempre un parlare di questo lavoro, e non ancora questo lavoro. Tuttavia, se anche non possiamo esprimerlo a parole, accontentiamoci di parlarne a confusione delle intelligenze orgogliose, in particolare della tua: è questo l’unico motivo, o almeno l’occasione, per continuare il mio discorso in questo momento. Innanzitutto voglio domandarti in che cosa consista la perfezione dell’anima umana e quali siano le proprietà tipiche della perfezione. Rispondo io al tuo posto: tale perfezione non è altro che l’unità realizzata tra Dio e l’anima in carità perfetta. Questa perfezione è così elevata e pura in se stessa, così al di sopra dell’umana comprensione, che non la si può conoscere o percepire in se stessa. Ma dove si possono realmente vedere e percepire le proprietà tipiche di questa perfezione, lì molto probabilmente si trova in pienezza la sua stessa essenza. Bisogna quindi conoscere per prima cosa le proprietà di questa perfezione, per poter affermare che questo esercizio spirituale supera per eccellenza tutti gli altri.

Le proprietà tipiche della perfezione, quelle che deve avere ogni anima perfetta, sono le virtù. Ora, se consideri con attenzione quel che succede nella tua anima e contemporaneamente esamini le proprietà e le caratteristiche di ciascuna virtù in particolare, troverai che in questo lavoro sono comprese in maniera chiara e perfetta tutte le virtù: non c’è bisogno di forzare il loro significato o di alterare il loro scopo. Non intendo parlare qui di nessuna virtù in particolare, non ne val la pena; se vuoi, puoi vedere la trattazione che ne ho fatto in diversi punti dei miei scritti.

Infatti questo lavoro, concepito nel giusto senso, non è altro che l’adorazione amorosa e il frutto colto dall’albero di cui ho parlato nella breve lettera sulla preghiera; è questa la nube della non-conoscenza; questo, il segreto amore offerto in purezza di spirito; è l’Arca
dell’Alleanza
; è la teologia di Dionigi, la sua saggezza, il suo tesoro nascosto, la sua oscurità luminosa e la sua scienza ignorante. È questo lavoro che ti pone nel silenzio, sia di pensieri che di parole; è questo lavoro che rende breve la nostra preghiera; è in questo lavoro che puoi imparare ad abbandonare il mondo e a disprezzarlo.

Ma c’è di più! È in questo lavoro che puoi imparare ad abbandonare e disprezzare il tuo stesso io, secondo l’insegnamento di Cristo nel vangelo: «Si quis vult post me venire, abneget semetipsum et tollat crucem suam et sequatur me; Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».

Ed è come se dicesse alla tua intelligenza, riguardo all’argomento che stiamo trattando: «Chiunque vuol venire», umilmente, non con me, ma «dietro di me», alla beatitudine del cielo o al monte della perfezione… Cristo, infatti, ci ha preceduti per natura; noi, invece, veniamo dopo di lui per la grazia. La sua natura vale più della grazia, e la grazia vale più della nostra natura. E con questo egli vuol farci comprendere appieno che per noi è assolutamente impossibile seguirlo sul monte della perfezione, giusto il caso del nostro lavoro, se non siamo mossi e guidati dalla grazia.

Tutto ciò è quanto mai vero. Cerca di convincerti di questo, tu e tutti quelli che, nelle tue stesse condizioni, dovessero leggere o sentire questo mio scritto: anche se ti esorto a intraprendere il lavoro in tutta semplicità e ardimento, tuttavia mi rendo conto, e non ho paura di sbagliare, che è Dio Onnipotente, con la sua grazia, a metterti in movimento. È sempre lui l’artefice principale, che si serva di altri strumenti o meno. E tu, al pari di quanti si trovano nelle tue stesse condizioni, non puoi far altro che acconsentire e subire la sua azione. Naturalmente, il tuo consenso e la tua accettazione passiva durante questo lavoro, presuppongono una disposizione interiore e un’attitudine che devono essere realizzati da te in purezza di spirito e costituire la tua degna offerta al re del cielo. È quanto imparerai tu stesso per esperienza, attraverso la luce interiore del tuo spirito.

Siccome Dio nella sua bontà smuove e tocca ciascuna anima in modo diverso, a volte per mezzo di intermediari, altre volte senza, chi oserebbe affermare che Dio non può servirsi di questo mio scritto per smuovere te, e con te tutti quanti dovessero leggerlo o sentirlo, contentandosi di prendere me, nonostante la mia indegnità, come suo intermediario? In ogni caso, sia fatta la sua santa volontà, ciò che a lui piace e come a lui piace. Per conto mio, penso che possa benissimo accadere quanto ho prospettato prima; sarà il lavoro stesso, una volta messo in pratica, ad attestarne la veridicità.

Perciò, ti prego, preparati a ricevere questa grazia del tuo Signore, e ascolta le sue parole: «Se qualcuno vuol venire dietro di me», nel senso già detto, «rinneghi se stesso…». E come può un uomo, dico io, rinnegare se stesso e il mondo, e disprezzarli entrambi, in misura maggiore di quanto possa essere il rifiuto di considerare le qualità proprie dell’uno e dell’altro?

 

8. [Attraverso la dimenticanza del proprio essere si percepisce l’essere di Dio. Questa totale spogliazione è causa di grande sofferenza].

 

Sta’ pur certo di questo: anche se ti ho detto di dimenticare tutto, tranne la cieca coscienza del tuo nudo essere, tuttavia io vorrei — era questa la mia intenzione fin dall’inizio — che tu dimenticassi anche la coscienza del tuo stesso essere, per restare con la sola coscienza dell’essere di Dio. È per questa ragione che ti ho dimostrato all’inizio come Dio sia l’essere del tuo essere. Ma dal momento che le tue impressioni spirituali si rivelavano ancora rudimentali, mi sembrava che tu non fossi in grado di elevarti tutt’a un tratto alla percezione spirituale dell’essere di Dio. Allora, perché tu potessi arrivarci passo passo, ti avevo raccomandato di rosicchiare la nuda coscienza del tuo essere fino al momento in cui, dopo lunga perseveranza in questo segreto lavoro spirituale, saresti stato capace di sentire Dio in maniera più elevata.

E infatti durante la contemplazione il tuo unico scopo e desiderio deve essere quello di percepire Dio. Se quindi all’inizio ti ho esortato ad avvolgere e rivestire la percezione di Dio in quella del tuo essere, è per via della tua inesperienza e del tuo spirito ancora rude. Ma poi, reso più saggio da un assiduo esercizio compiuto nella purezza del tuo spirito, ti dovrai denudare, spogliare e svestirti completamente di ogni coscienza di te stesso, per essere rivestito, in virtù della grazia, della coscienza di Dio in quanto tale. Questa è la vera condizione per chi vuol amare in modo perfetto: deve spogliarsi totalmente del proprio io per amore della cosa che gli sta a cuore; e non deve permettere né sopportare di essere rivestito d’altro che della sola cosa che è oggetto del suo amore; inoltre, deve restarvi avvolto non per un po’ di tempo soltanto, ma per sempre, fino a dimenticare il suo io in maniera completa e definitiva.

In questo modo opera l’amore, e nessuno può saperlo all’infuori di chi ne fa esperienza. È quanto ci insegna nostro Signore quando dice: «Chi vuol amarmi, rinneghi se stesso», come a dire: Si spogli di se stesso, chi vuol essere davvero rivestito di me, che sono l’ampia veste dell’amore, dell’amore eterno e senza fine. Perciò, tutte le volte che, osservando il tuo lavoro, ti accorgerai di avere ancora la percezione di te stesso, e non del tuo Dio, dovrai dolertene sinceramente e bramare dal pro fondo del cuore di avere la percezione di Dio. E cercherai, senza mai stancarti, di sbarazzarti sempre di più della percezione dolorosa e della deplorevole coscienza del tuo nudo essere, e coverai dentro di te l’ardente desiderio di fuggire dal tuo io, quasi fosse un serpente velenoso. Allora sì che rinnegherai te stesso e disprezzerai il tuo io con piena determinazione, proprio come ti ha comandato il tuo Signore.

Avrai dunque dentro di te quest’unico, struggente desiderio: non di non essere — sarebbe pazzia e disprezzo nei confronti di Dio —, ma di perdere completamente la consapevolezza e la coscienza del tuo io, il che è assolutamente necessario se si vuole gustare perfettamente l’amore di Dio qui su questa terra. A questo punto ti accorgerai di non riuscire in alcun modo a realizzare il tuo proposito, perché, nonostante la tua concentrazione, sarai sempre accompagnato e seguito nel tuo lavoro dalla nuda coscienza del tuo cieco essere, salvo rari, brevissimi momenti in cui Dio ti concederà di gustarlo in abbondanza d’amore. E come all’inizio le qualità del tuo essere si frapponevano fra te e il tuo io, così ora la nuda coscienza del tuo cieco essere peserà su di te e si insinuerà tra te e il tuo Dio. Allora ti sembrerà di avere un fardello troppo pesante e penoso da portare; in verità, sarà proprio così. E che Gesù ti aiuti in quel momento, perché ne avrai veramente bisogno.

Tutte le sofferenze che ci possono essere, non sono niente al suo confronto: tu ora sarai una croce per te stesso. Ma è esattamente questo il lavoro e la strada per arrivare a nostro Signore, secondo le sue stesse parole: per prima cosa «prenda la sua croce», nella macerazione del suo io, e poi «mi segua», nella beatitudine o sul monte della perfezione, gustando la dolcezza del mio amore e facendo la divina esperienza del mio io.

Di qui puoi vedere come sia bene per te struggerti dal dolore nel desiderio di perdere la coscienza del tuo essere, e dover portare penosamente il fardello del tuo io come una croce, prima di essere unito a Dio nella percezione spirituale del suo essere: si tratta della carità perfetta.

E puoi anche renderti conto, almeno in parte e nella misura in cui la grazia ti ha toccato e segnato spiritualmente, della dignità sovreminente di questo lavoro nei confronti di tutti gli altri.

 

9. [Si giunge alla contemplazione per mezzo della porta della devozione, che consiste nel meditare soprattutto sulla passione di Cristo].

 

Ma, dimmi, come potresti arrivare alla contemplazione mediante l’uso delle tue facoltà intellettuali? Non ci arriveresti mai, né con delle belle considerazioni, né con ragionamenti sottili e complicati, né con l’attività dell’immaginazione, né riflettendo sulla tua misera vita, e nemmeno meditando sulla passione di Cristo o sulle gioie del cielo, sulla Madonna, o gli angeli e i santi, o sulle qualità e gli attributi più strani, o in generale sulle caratteristiche proprie del tuo essere o di quello di Dio. Di certo farei meglio ad avere quella nuda, cieca coscienza di me stesso di cui ho parlato prima. Nota quanto dico: la coscienza non delle mie azioni, ma di me stesso. Molti confondono le proprie azioni con se stessi, ma a torto: un conto sono io che agisco, un conto sono le mie azioni; la stessa cosa vale per Dio: un conto è egli in se stesso, un conto sono le sue opere Preferirei dunque avere il cuore a pezzi dalle lacrime per il fatto di non riuscire a percepire Dio, e di dovei invece portare il penoso fardello del mio essere; e certo mi gioverebbe di più infiammare d’amore il mio desiderio e bramare ardentemente di percepire Dio così com’è, piuttosto che dedicarmi a tutte le sottili disquisizioni, le immaginazioni più straordinarie o le meditazioni più disparate, per quanto possano apparire sante o attraenti agli occhi delle tue facoltà curiose.

Ciò nonostante, queste belle meditazioni sono inizialmente il mezzo migliore che un peccatore abbia per arrivare alla percezione spirituale di se stesso e di Dio. Ancora, mi vien da pensare che è impossibile, anche se a Dio tutto è possibile, che un peccatore possa raggiungere uno stato di chiara percezione spirituale di sé e di Dio, senza aver prima considerato, attraverso l’immaginazione e la meditazione, le opere materiali compiute da lui stesso o da Dio, e senza aver pianto o gioito a seconda che caso lo richiedesse. Chi non passa per questa strada, non può sperare di entrare; perciò dovrà starsene fuori, e proprio nel momento in cui penserà di essere entrato. Molti credono di aver varcato la porta spirituale, mentre rimangono all’esterno, e vi resteranno finché non cercheranno la porta con umiltà. Alcuni la trovano facilmente e entrano prima di altri: tutto dipende dal portiere, senza alcun merito o pedaggio da parte loro.

Che dimora straordinaria, la spiritualità! Il Signore non ne è solo il portiere, ma anche la porta: è il portiere per via della sua divinità e la porta per via della sua umanità. Egli stesso dice nel vangelo: «Ego sum ostium; si quis per me intraverit, salvabitur: et sive egredietur, sive ingredietur, pascua inveniet. Qui vero non intrat per ostium, sed ascendit aliunde, ille fur est et latro». Ed è come se dicesse, in riferimento al nostro argomento: Io, che sono onnipotente per la mia divinità e che, in qualità di portiere, sono libero di aprire a chi voglio, e da qualunque via provenga, tuttavia ho voluto che ci fosse una via ordinaria e semplice, una porta aperta a tutti quanti volessero entrare, in modo che nessuno potesse scusarsi di non conoscere la strada. Ecco perché mi sono rivestito della natura comune a tutti gli uomini: mi sono adeguato a tal punto da diventare la porta con la mia umanità, e chiunque entra per mezzo mio, sarà salvo.

Entra per la porta chi medita sulla passione del Signore, chi si duole di esserne la causa con la sua malvagità e rimprovera amaramente se stesso per aver meritato tali sofferenze, senza averle però subite; costui deve allora provare pietà e compassione per il Signore che, malgrado la sua dignità, si abbassò a tanto soffrire senza averlo meritato; e poi deve elevare il cuore verso l’amore e la bontà della divinità che non disdegnò di umiliarsi fino al punto di assumere la nostra umanità debitrice della morte. Chi agisce così, entra per la porta, e sarà salvo. Che poi penetri più all’interno, contemplando l’amore e la bontà della divinità di Cristo, o che si fermi a considerare le sofferenze della sua umanità, troverà sempre alimento spirituale per la sua devozione, a sufficienza e in abbondanza, per la salute e la salvezza dell’anima, anche se in questa vita non andrà mai più in là.

Chi invece non entra per la porta, ma cerca di arrampicarsi fino alla contemplazione in qualche altro modo, per mezzo di sottili indagini, capricci della fantasia e sforzi di ogni tipo delle proprie facoltà sregolate; chi dunque fa a meno dell’entrata accessibile a tutti, cui si è accennato prima, e non segue le giuste direttive dei padri spirituali, costui, chiunque sia, è non solo un ladro della notte, ma anche un brigante del giorno. È un ladro della notte, perché cammina nell’oscurità del peccato, fidando più nella sua presunzione e nel suo personale intelletto che non nei buoni consigli di un direttore spirituale e nella facile via comune di cui si è detta. Ma è anche un brigante del giorno, perché con il pretesto di voler condurre una vita puramente spirituale, si appropria dei segni esteriori e del vocabolario della contemplazione, senza coglierne il frutto. E cosa a volte gli capita di sentire interiormente un piacevole desiderio, anche se piccolo, di avvicinarsi a Dio. Accecato da questa impressione, pensa che tutto quanto va facendo sia senz’altro buono. Invece è l’impresa più pericolosa che un giovane possa tentare, quella di seguire l’ardore del suo desiderio senza lasciarsi guidare da un direttore spirituale. E questo vale soprattutto se vuol mettersi a scalare delle vette che non solo trascendono la sua esperienza, ma sono anche al di fuori della strada semplice e comune a tutti i cristiani; quella strada che, secondo l’insegnamento di Cristo, è la porta della devozione e il mezzo più sicuro in questa vita per arrivare alla contemplazione.

 

10. [Chiamata alla salvezza e chiamata alla perfezione dell’amore contemplativo. La triplice testimonianza del padre spirituale, della coscienza e dello Spirito santo].

 

Ma ora torniamo a un argomento che è di particolare interesse per te, e per quanti si trovano nelle tue stesse disposizioni.

Mi dirai: se tale è la porta, quando un uomo l’ha trovata deve restare per sempre sulla soglia, o comunque varcarla appena appena, senza mai spingersi più in là? Rispondo io al tuo posto e dico che fa bene a rimanere così, finché non sia stata grattata via, almeno in gran parte, la spessa ruggine della sua rozza materialità, testimoni il suo direttore spirituale e la sua coscienza. Ma soprattutto deve attendere di essere chiamato più all’interno dalla segreta ispirazione dello Spirito di Dio. Tale ispirazione è l’attestazione più rapida e più sicura che uno possa avere in questa vita, per sapere se è chiamato e attirato più all’interno a compiere un lavoro di grazia più particolare.

Un uomo può costatare il tocco speciale della grazia a questo modo: egli sente dentro di sé, durante i suoi continui esercizi, come un soave desiderio sempre crescente di avvicinarsi di più a Dio, per quel tanto che è possibile quaggiù per mezzo di un sentimento spirituale del tutto speciale; e prova lo stesso fervore quando sente altri parlare di questo desiderio o ne trova scritto sui libri. Chi invece, nel sentire o nel leggere qualcosa attinente, il lavoro spirituale, e soprattutto negli esercizi giornalieri, non si sente mosso da un crescente desiderio di avvicinarsi di più a Dio, rimanga fermo sulla porta: ha la vocazione alla salvezza, ma non alla perfezione.

Ti voglio poi raccomandare una cosa, chiunque tu sia a leggere o ad ascoltare questo mio scritto, e in particolare questo punto in cui faccio una distinzione tra quanti sono chiamati alla salvezza e quanti sono chiamati alla perfezione. Quale che sia la tua vocazione, non ti permettere di giudicare o di discutere gli atti di Dio o quelli di un uomo; limitati a esaminare i tuoi. Non ti deve interessare, per esempio, di sapere chi Dio muova e chiami alla perfezione, e chi no; oppure, a proposito del: tempo, perché egli chiami uno più in fretta di un altro. Se non vuoi cadere in errore, non giudicare; ma ascolta e cerca di capire. Se sei stato chiamato, dà lode a Dio e prega di non cadere. Se invece non sei stato ancora chiamato, prega umilmente Dio di chiamarti, quando lui lo vorrà. Ma non pretendere di insegnargli il suo mestiere. Lascia fare a lui. Egli è abbastanza potente, saggio e benevolo per fare ciò che è meglio per te e per tutti quelli che lo amano. Qualunque sia la tua parte, ritieniti soddisfatto. Non c’è motivo che tu ti lamenti: le due parti sono entrambe preziose. La prima è buona e assolutamente indispensabile; la seconda è migliore: chi può ottenerla, la ottenga; o, più esattamente, la ottenga chi vi è portato dalla grazia e chiamato a tanto da nostro Signore. Noi da soli possiamo anche insistere orgogliosamente, ma alla fine inevitabilmente cadiamo; infatti, senza nostro Signore, tutto quello che facciamo è un niente. L’ha detto lui stesso: «Sine me nihil potestis facere». Se non sono io il motore primo e l’artefice principale, e voi solo soggetti passivi e consenzienti, non potete far niente che mi possa piacere perfettamente e in questo modo dovrebbe svolgersi il lavoro di cui parliamo.

Tutto questo lo dico per confondere la sbagliata presunzione di quanti, spinti dall’esuberanza del loro sapere o della loro intelligenza naturale, vogliono essere sempre loro gli artefici principali dei loro atti, lasciando a Dio di acconsentire e di restare passivo, mentre è vero proprio il contrario quando si tratta della contemplazione. In questa materia, tutte le argomentazioni sottili della propria scienza o perspicacia naturale vanno messe da parte, in modo che sia Dio l’agente principale.

Al contrario, nelle questioni attinenti la vita attiva, il sapere dell’uomo e la sua intelligenza naturale devono collaborare con Dio, al quale spetta soltanto di dare il suo consenso spiritualmente, attraverso la testimonianza delle scritture, le indicazioni del direttore spirituale e i costumi che possono variare a seconda della natura, del grado, dell’età e del temperamento di ciascuno. Pertanto, nelle cose della vita attiva nessun uomo deve seguire un impulso spirituale, per quanto possa sembrare piacevole e santo, se questo non ricade nel campo della sua scienza o delle sue capacità naturali, anche nel caso in cui tutti e tre, o uno solo dei testimoni citati prima, dovessero caldeggiarlo con tutte le loro forze. È certamente saggio che un uomo debba essere superiore ai suoi compiti. È per questo motivo che gli statuti e i regolamenti della santa chiesa prevedono che nessuno possa essere ammesso all’episcopato, che è il grado più elevato della vita attiva, senza un serio esame che attesti che l’alto compito cui il candidato è chiamato non è superiore alle sue forze.

Quindi nella vita attiva il sapere dell’uomo e le sue facoltà naturali devono esercitarsi in pienezza, con il consenso e la grazia di Dio, a cui va aggiunta l’approvazione dei tre testimoni. Ed è bene che sia così, perché tutte le cose della vita attiva sono dominate e regolate dalla prudenza umana. Ma nelle cose contemplative, la più alta saggezza che l’uomo possa avere in quanto uomo, viene ricacciata in basso, perché Dio deve essere l’artefice principale; l’uomo deve solo acconsentire e rimanere passivo.

Quindi io interpreto queste parole del vangelo: «Sine me nihil potestis facere, senza di me non potete fare niente», in una maniera per gli attivi e in un’altra per i contemplativi. Quanto agli attivi, Dio consente o lascia fare, o tutt’e due le cose insiemi, a seconda che sia un atto lecito o meno, a lui gradito o no. Quanto ai contemplativi, è lui l’artefice principale, e a loro non chiede altro che di lasciarlo fare e acconsentire. In senso generale, quindi, è senz’altro vero che in tutte le nostre azioni, lecite o meno, attive o contemplative, senza di lui non riusciamo a combinare un bel niente. Egli è con noi anche quando pecchiamo, perché ci lascia fare, pur negandoci il suo consenso: e tutto ciò sarà a nostra dannazione finale, se non ci correggiamo in tempo con umiltà. Quando le nostre azioni riguardano la vita attiva e sono lecite, egli è con noi lasciandoci fare e dandoci il suo consenso: a nostro maggior biasimo se poi indietreggiamo, a nostra maggior ricompensa se invece avanziamo.

Ma in ciò che concerne la vita contemplativa, egli è con noi come motore primo e artefice principale: a noi non resta che acconsentire e rimanere passivi; siamo cosa condotti ad una perfezione più grande e all’unione spirituale della nostra anima con lui in carità perfetta.

Poiché gli uomini a questo mondo si possono dividere in tre categorie: i peccatori, gli attivi e i contemplativi, le parole del Signore si possono applicare a tutti in generale, ed è come se suonassero a questo modo: Senza di me che lascio fare ai peccatori pur negando il mio consenso alle loro opere, che nei riguardi degli attivi lascio fare e acconsento, e che, infine, per i contemplativi sono il motore primo e l’artefice principale, senza di me, dunque, non potete far niente.

Tante parole per un contenuto così semplice! Tuttavia, se mi sono dilungato su questo argomento è per insegnarti in quali casi tu debba esercitare le tue facoltà intellettuali e in quali no; e poi come Dio sia presente in maniera diversa a seconda dei tipi di azione. Può anche darsi che, grazie alla mia illustrazione, tu abbia a evitare degli errori in cui saresti altrimenti incorso.

Ma ora, visto che le ho già scritte, lasciamo da parte le riflessioni che non avevano troppa pertinenza con il nostro argomento, e portiamoci avanti invece con questo.

 

11. [I segni con cui si può cogliere la chiamata di Dio alla contemplazione].

 

Probabilmente mi vuoi porre questa domanda: Potresti dirmi, se non ti dispiace, qual è il segno o i segni attraverso cui io possa capire, nel più breve tempo e senza tema di sbagliare, se il desiderio crescente che provo nei miei esercizi quotidiani e la sensazione piacevole che avverto all’ascolto e alla lettura dell’argomento della contemplazione, sono davvero una chiamata di Dio a un lavoro di grazia più speciale, che è poi il terna ricorrente di questo libro? Oppure non sono altro che un nutrimento normale e un sostegno dato al mio spirito perché rimanga quieto nel mio stato e continui a lavorare nel grado comune di grazia, quello che tu chiami la, porta e l’entrata comune a tutti i cristiani?

Cerco subito di risponderti meglio che posso. Come vedrai poco più avanti, io ti indico due tipi di prove per verificare se sei chiamato da Dio al lavoro contemplativo: una è interiore, l’altra esteriore. Nessuna delle due, secondo me, è pienamente sufficiente in questo caso senza l’altra. Ma se le metti assieme tutt’e due e vedi che concordano, allora hai una prova certa e indubitabile; puoi star sicuro di non sbagliare.

La prima delle due prove, quella interiore, è il crescente desiderio che avverti nel dedicarti quotidianamente al lavoro spirituale. C’è una cosa che devi sapere al riguardo: questo desiderio è di per sé un atto cieco dell’anima (infatti, è per l’anima quel che il muovere i passi rappresenta per il corpo, e tu sai benissimo che questo avviene per una serie di atti istintivi); ma per quanto possa essere cieco, questo desiderio è accompagnato e seguito da una certa qual visione spirituale che è, in parte, causa e contemporaneamente mezzo per alimentare il desiderio stesso. Perciò considera con attenzione i tuoi esercizi spirituali di ogni giorno e vedi in che cosa consistono essenzialmente. Se sei occupato dalla coscienza della tua miseria, dalla passione di Cristo o da qualsiasi altro argomento che appartiene alla suddetta entrata comune a tutti i cristiani, e se quindi la visione spirituale che accompagna e segue il tuo cieco desiderio, nasce da simili considerazioni alla portata di tutti, allora è per me un indice manifesto che la crescita del tuo desiderio non è che un nutrimento e un sostegno dato al tuo spirito perché rimanga tranquillo e continui a lavorare nello stato comune di grazia. Perciò non vi è in questo caso né una chiamata né una spinta di Dio a operare in uno stato di grazia più speciale.

E ora l’altra prova, quella esteriore: si tratta di una sensazione piacevole che senti all’ascolto o alla lettura del lavoro contemplativo. Questa prova la chiamo esteriore, perché proviene dal di fuori, dalle finestre dei sensi corporei, le orecchie e gli occhi nel nostro caso. Se questa sensazione piacevole non perdura al di là del tempo dedicato a tale lettura o ascolto, ma cessa subito o poco dopo; se non rimane in te e con te sia quando dormi che quando ti risvegli; e soprattutto se non ti accompagna costantemente nei tuoi esercizi quotidiani, insinuandosi e frapponendosi fra te e loro, ravvivando e dirigendo il tuo desiderio: se dunque non capita così, è segno evidente, secondo me, che quella sensazione piacevole non è altro che una contentezza naturale che prova ogni cristiano quando vede e ascolta la verità. Quella sensazione piacevole è ancora più viva quando è provocata da una spiegazione più precisa ed esatta delle caratteristiche della perfezione che più si accordano all’anima dell’uomo e alla natura di Dio. Non è quindi un tocco spirituale della grazia, né una chiamata di Dio a un lavoro di grazia più speciale di quello rappresentato dalla porta e dall’entrata comune a tutti i cristiani.

È ben diverso, invece, se questa sensazione piacevole è così sovrabbondante che ti accompagna a letto, si alza con te al mattino e ti segue per tutta la giornata, qualsiasi cosa tu faccia. Ti strappa ai tuoi soliti esercizi quotidiani e si intromette tra te e loro; si associa al tuo desiderio e lo segue così bene che tutti e due sembrano formare un unico desiderio o comunque qualcosa di inspiegabile. Trasforma i tuoi gesti e ti dà un bell’aspetto; finché dura, tutto ti piace e niente ti può dar fastidio. Se dovessi venire a sapere che uno prova la tua stessa sensazione, faresti volentieri mille miglia per comunicare con lui; eppure, una volta incontratolo, ti verrebbero meno le parole, perché è la cosa stessa che ti interessa, non il parlarne. Ne parli invece chi vuol farlo.

Allora le tue parole sono veramente poche: ma piene di frutto e di fuoco. Una semplice parola della tua bocca contiene un mondo di saggezza; eppure sembra follia a quelli che si affidano alle facoltà naturali. Il tuo silenzio è soave, il tuo parlare opportuno, la tua preghiera segreta, la consapevolezza di quello che vali del tutto veritiera; le tue maniere sono umili, la tua gioia contenuta, il tuo desiderio quello di giocare amabilmente con un bambino. Ti piace restar solo, seduto con te stesso; hai paura che la compagnia degli uomini ti possa ostacolare; a meno che si mettano anche loro a fare il tuo lavoro. Non ti va di ascoltare o leggere libri che esulino da questo argomento.

Se dunque ti succede proprio così, le due prove, quella interiore e quella esteriore, vanno di pari passo e confluiscono in una sola.

 

12. [Desolazioni e consolazioni che si incontrano nell’esercizio della contemplazione. Le ragioni per cui Dio ci manda le une e le altre, durante la navigazione della nostra vita].

 

Tutto ciò è vero; ma può darsi benissimo che i due segni che ho appena indicato, una volta riscontrati in te, con tutte le loro caratteristiche o con qualcuna soltanto, vengano meno per un poco di tempo: ti ritroverai come spogliato di tutto, privato sia di questo nuovo fervore che del vecchio lavoro a cui ti eri abituato. Avrai l’impressione di essere caduto tra i due, senza possedere né l’uno né l’altro, e soffrirai per la perdita di entrambi. Ma non lasciarti prendere dallo sconforto: sopporta con umiltà e attendi con pazienza il volere di nostro Signore. Ora ti trovi, per usare una similitudine, in pieno mare spirituale: hai lasciato tutto ciò che sa di materiale per far vela verso la terra dello spirito.

Allora, forse, si leveranno grandi tempeste e innumerevoli tentazioni, e tu non saprai dove correre al riparo. Ti sembrerà che tutto sia sparito: grazia ordinaria e grazia speciale. Non temere più del dovuto, anche se ti sembrerà di averne motivo; confida amorosamente, per quel poco che ne sarai capace al momento, in nostro Signore, perché egli non si troverà affatto lontano. Forse non passerà molto tempo che egli getterà gli occhi su di te e ti raggiungerà con un tocco di grazia ancor più fervente di quanto abbia mai potuto fare prima. E subito ti sentirai ristabilito; e tutto ti sembrerà bello finché durerà questa grazia. Ma a un tratto, prima ancora di rendertene conto, tutto si allontana di nuovo e ti ritrovi solo, abbandonato sulla tua imbarcazione, sbattuto dai colpi del vento che ora tirano da una parte ora dall’altra, senza che tu sappia donde provengano, né dove ti portino.

Tuttavia non disperare, perché ti assicuro che «il Signore verrà e non tarderà»; quando egli lo riterrà opportuno, ti consolerà e ti libererà con potenza da ogni pericolo, in modo ancor più grandioso di quanto abbia mai fatto. Sì, e se anche si allontanerà spesso, ritornerà sempre; e ogni volta, se sopporterai con pazienza la prova, si rifarà vivo in modo ancor più splendido e ti ridarà una gioia più grande. Agisce a questo modo perché vuol renderti docile alla sua volontà, come un guanto di pelle sulla mano. E siccome va e viene, egli ti mette alla prova segretamente in due maniere e ti modella secondo il suo disegno. Quando ti ritira il fervore, di cui a torto confondi l’assenza con quella di Dio, vuol soltanto provare la tua pazienza. Sappi che se a volte ritira queste dolcezze sensibili, questi sentimenti di fervore e questi desideri ardenti, Dio non toglie per ciò stesso la sua grazia ai suoi eletti.

In verità, credo proprio che egli non ritiri mai la sua grazia speciale a coloro cui l’ha donata un tempo, a meno che essi non cadano in peccato mortale. Ma tutte le dolcezze e consolazioni di cui ho detto, non costituiscono la grazia, sono soltanto dei segni della grazia; e se ci vengono ritirate, a volte è per esercitare la nostra pazienza, altre volte per procurarci molti altri vantaggi spirituali, al di là della nostra immaginazione. D’altra parte la grazia è di per sé cosa eccelsa, così pura e cosa spirituale, che non la si può percepire con le nostre facoltà sensitive; i segni indicati prima, quelli sì possono essere percepiti, la grazia no. Pertanto nostro Signore a volte ti priverà delle consolazioni sensibili per aumentare e insieme per provare la tua pazienza: ma non solo per questo motivo, anche per altri che non sto qui a dirti in questo momento. Piuttosto, proseguiamo con il nostro argomento.

Altre volte, al contrario, Dio ti accorda queste dolcezze sensibili, che tu confondi a torto con la sua ricomparsa, in maniera più eccelsa e con maggior frequenza e forza; lo fa per nutrire il tuo spirito, e per insegnargli a vivere continuamente nell’amore e nell’adorazione.

In questo modo, con la pazienza acquistata quando mancano le consolazioni sensibili, che sono i segni della grazia, e con il nutrimento vitale e pieno d’amore che viene all’anima quando le dolcezze ricompaiono, Dio ti renderà, in entrambi i casi, gioiosamente docile e amabilmente sottomesso alla sua volontà, in una perfetta unione spirituale: questa unione è la carità perfetta. Avverrà così che tu sarai ugualmente felice e contento di perdere le consolazioni sensibili, se tale è la sua volontà, come di possederle e gustarle in continuazione per tutta la vita.

A questo punto il tuo amore è casto e perfetto. Ora hai una visione simultanea di Dio e del tuo amore e riesci a percepire lui direttamente, così com’è in se stesso, unendoti spiritualmente al suo amore nel punto più eccelso del tuo spirito; ma tutto ciò avviene nella oscurità, come si conviene quaggiù, e a condizione che ti sia spogliato del tuo io fino alla nudità completa e ti sia rivestito di Dio solo. Naturalmente non devono più accompagnarti e avvolgerti tutte quelle impressioni sensibili che possono capitare in questa vita, anche se sono dolci e sante. Allora sì che Dio viene percepito in purezza di spirito in maniera adeguata e perfetta, in se stesso e così com’è, ben lontano da ogni costruzione fantastica o idea errata che si possa avere di lui in questa vita.

Perché tu possa meglio comprendere quel che vai sperimentando, ricordati che la visione e la percezione di Dio così com’è in se stesso, non si possono separare da Dio in quanto tale, proprio come non si può separare Dio dal suo essere, dal momento che egli è uno nella sostanza e per natura. Pertanto, come Dio non può restare separato dal suo essere a causa dell’unità della sua natura, così l’anima che gode questa visione e questa percezione, non può restare distinta da ciò che vede e percepisce, a causa dell’unità che si crea in virtù della grazia.

Ecco, questi segni ti permetteranno di costatare e verificare in parte quale sia la natura e l’eminenza della tua chiamata e di quel moto di grazia che avverti, interiormente, nel tuo lavoro spirituale, e esteriormente, in seguito all’ascolto o alla lettura dell’argomento della contemplazione. Quando dunque avrai sperimentato, tu o qualsiasi altro si trovi nelle tue stesse disposizioni d’animo, tutti questi segni o qualcuno soltanto (sono pochissimi, infatti, coloro che hanno ricevuto il tocco e il marchio speciale della grazia, così da provarli tutti quanti subito all’inizio); se perlomeno ne avrai sperimentato uno o due, il che è già sufficiente, bisogna sottoporli alla testimonianza delle Scritture e all’esame del tuo direttore spirituale e della tua coscienza. Una volta

fatto questo, ti conviene lasciar perdere di tanto in tanto le complicate meditazioni e le raffinate rappresentazioni della tua mente che hanno per tema le qualità del tuo. essere e dell’essere di Dio, le tue azioni e le sue opere: sono servite a nutrire le tue facoltà e a scioglierti dai legami della materia e della carne per innalzarti al tuo stato attuale di grazia, ma ora non servono più.

 

13. [Bisogna passare dalla contemplazione dell’umanità di Cristo a quella della sua divinità, attraverso la pratica di una preghiera pura].

 

Lascia da parte, dunque, la conoscenza di Dio che si acquista con la riflessione e l’immaginazione, e se vuoi imparare come dedicarti spiritualmente alla semplice coscienza del tuo io e, di Dio, considera l’esempio che Cristo stesso ci ha dato nella sua vita.

In effetti, se non ci fosse stata perfezione più alta quaggiù del fatto di considerare e amare la sua umanità, io sono convinto che egli non sarebbe asceso al cielo prima della fine del mondo; e non avrebbe privato della sua presenza corporea quelli che su questa terra lo amano di un amore speciale. E invece c’è una perfezione più alta, accessibile all’uomo già in questa vita: è l’esperienza puramente spirituale dell’amore della sua divinità. Ecco perché Cristo disse ai suoi discepoli, rattristati dall’idea di perdere la sua presenza corporea (come in fondo capita anche a te quando devi abbandonare le tue meditazioni particolari e le sottigliezze della tua mente speculativa), che era bene per loro che se ne andasse via con il corpo: «Expedit vobis ut ego vadam; È meglio per voi che io me ne vada» col corpo. E il dotto re commenta così: «Se non venisse tolta ai nostri occhi corporei la forma della sua umanità, i nostri occhi spirituali non resterebbero fissi all’amore della sua divinità». Perciò ti dico che è bene tralasciare di tanto in tanto le ricerche delle nostre facoltà curiose, per imparare a gustare qualcosa dell’amore di Dio all’interno della tua esperienza spirituale.

A questa percezione arriverai per la strada che ti ho mostrato, aiutato dalla grazia preveniente li Dio. In altre parole, abbandonati sempre di più e senza mai stancarti, alla nuda coscienza del tuo io, offrendo in continuazione a Dio il tuo essere come l’offerta più preziosa che tu possa presentargli. Ma bada bene, come ho detto più volte, che sia una percezione nuda, altrimenti cadresti in errore.

Se dunque è nuda, all’inizio sarà per te motivo di grande sofferenza restare in questo stato, perché, lo ripeto ancora, le tue facoltà non vi troveranno alcun alimento. Non importa; se fossi al tuo posto l’amerei ancora di più. Fa’ digiunare per un po’ le tue facoltà, te ne prego, così che non trovino la soddisfazione naturale insita nel conoscere. Come è stato giustamente detto, l’uomo per natura desidera conoscere Ma in verità, è solo per la grazia che può gustare l’esperienza spirituale di Dio, quali che siano le sue capacità intellettuali o la sua scienza. Cerca perciò di aver coscienza, te ne prego, invece di conoscenza. Il sapere a volte fa cadere in errore a causa dell’orgoglio; invece questa esperienza d’amore che si ottiene nell’umiltà, non può ingannare. «Scientia inflat, caritas aedificat». La conoscenza intellettuale esige fatica, l’esperienza spirituale dona il riposo.

A questo punto puoi anche dirmi: «Di quale riposo parli? Tutto mi sembra fatica e sofferenza, non certo riposo. Quando mi metto a lavorare secondo le tue indicazioni, non trovo altro che pena e battaglia da tutte le parti. Da una parte le mie facoltà vorrebbero distogliermi dal mio lavoro, ma io non voglio; dall’altra, io vorrei aver coscienza di Dio e perdere coscienza di me stesso, ma non ci riesco. Come vedi, è battaglia da tutte le parti e grande pena: se questo è il riposo di cui parli, per conto mio è un riposo ben strano!».

Ti rispondo subito: non sei ancora avvezzo a questo lavoro, ed ecco il motivo per cui ti procura una sofferenza più grande del dovuto. Se invece tu fossi già allenato e potessi sapere per esperienza quanto profitto deriva da un simile lavoro, non vorresti lasciarlo perdere, di tua spontanea volontà, per tutto il riposo del corpo e tutte le gioie di questo mondo. Eppure devo confessare che non è esente da grandi fatiche e dolori. Ma io lo chiamo ugualmente riposo, perché l’anima non ha dubbi su cosa fare, e in più è resa certa, durante il tempo che dedica a questo lavoro, di non cadere in grave errore.

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