Capitolo 7

Versiamo, dunque, lacrime finché c'è tempo, perché ci sia assicurata l'eterna felicità. Temiamo il Signore, sollecitiamone la pietà con il confessare le nostre colpe. Poniamo rimedio ai nostri errori, riparo ai falli, affinché non si dica anche di noi: "Ohimè o anima, l'uomo pio è scomparso dalla terra, non c'è tra gli uomini chi è disposto ad emendarsi".

Perché provi vergogna di confessare le tue colpe innanzi al Signore? Egli dice: "Confessa le tue infamie, affinché sii giustificato". Agli occhi di chi è tuttora nella colpa è fatto balenare il premio della giustificazione. Infatti, chi ammette spontaneamente le colpe è giustificato. "Il giusto nel proemio del suo discorso accusa se stesso". Il Signore sa tutto, vuole, però, sentire la tua voce, non già per punire ma per perdonare. Non vuole che il diavolo si faccia gioco di te, ti accusi di tenere celate le colpe. Previeni il tuo accusatore. Se ti accusi da te stesso, non dovrai temere alcun accusatore. Se ti denunzierai da te medesimo, morto che tu sia, risusciterai.

Cristo verrà al tuo sepolcro. Se vedrà che Marta, la solerte massaia, versa lacrime per te e così Maria, la quale piamente, come la santa Chiesa, ascoltava la parola di Dio e "scelse per sé la parte migliore", proverà pietà. Vedendo che moltissimi piangono la tua morte dirà: "Dove lo avete deposto?", cioè, in quale ordine di peccatori, in quale grado di penitenti?. Lasciatemi vedere chi piangete, perché egli in persona mi commuova con le sue lacrime. Che io veda se è definitivamente morto al peccato di cui si invoca il perdono.

La gente gli dice: "Vieni e vedi". Che significa "vieni"? Venga la remissione dei peccati, la vita dei morti, la loro resurrezione, "venga il tuo regno" a questo peccatore.

Gesù, dunque, verrà e comanderà che sia tolta la pietra, che il reo si è posta da se stesso sulle spalle. Cristo avrebbe potuto agevolmente smuovere il sasso con una parola di comando. La natura insensibile non è davvero sorda ai suoi ordini. Mediante l'occulta potenza di un miracolo avrebbe potuto facilmente spostare la pietra sepolcrale. Alla sua morte, infatti, moltissime tombe di morti si spalancarono, d'un tratto essendosi smosse le pietre. Ma ordinò agli uomini di togliere il sasso, affinché, nella realtà, da una parte, gli increduli credessero in ciò che era innanzi ai loro occhi e vedessero il morto risuscitare, nella tipologia, d'altra parte, perché intendessero che ci elargiva la grazia di liberarci dal peso dei peccati, i macigni, per così dire, che schiacciano i rei. E' compito nostro smuovere i pesi, è ufficio di Cristo ridonare la vita, fare uscire dai sepolcri le persone sciolte dai lacci della colpa.

Vedendo il grave peso che opprime il peccatore, Gesù versa lacrime. Non permette che la Chiesa pianga da sola. Ha pietà della prediletta e dice a chi è morto: "Vieni fuori", cioè, tu che sei immerso nel buio della coscienza, nella sozzura dei misfatti, vieni fuori come da una prigione di delinquenti, metti a nudo la tua colpa per ottenere giustificazione. Infatti, "ci si confessa con la bocca in vista della salvezza".

Se tu, chiamato da Cristo, ammetterai il tuo peccato, subito si infrangeranno i serrami, si spezzeranno tutti i legami, anche se il cadavere in putrefazione emani forte fetore. La salma di Lazzaro che era morto da quattro giorni mandava cattivo odore nella tomba. Ma Cristo, "la cui carne non vide corruzione" rimase per tre giorni nel sepolcro. Non conobbe, infatti, i vizi della carne, la cui sostanza consta dei quattro elementi originari. Il fetore del cadavere è forte quanto vuoi, ma svanisce del tutto appena il santo profumo si spande. Ecco, il defunto riacquista la vita. Si ordina alle persone che tuttora vivono nel peccato di sciogliere i lacci, di liberare il volto del defunto dal sudario con cui occultava la verità della grazia ricevuta. Viene impartito il comando di togliergli il sudario dal viso, di denudargli il volto, giacché il reo ha ricevuto il dono del perdono. Chi ha ottenuto la remissione dei peccati non ha motivo di vergognarsi.

Tuttavia, nonostante la grazia ineffabile del Signore e il sublime miracolo, frutto della sua divina munificenza, in un momento che doveva essere di generale letizia, i sacrileghi erano in fermento. Tenevano consiglio contro Cristo, tramavano l'uccisione di Lazzaro. Non vi accorgete, dunque, che voi, o Novaziani, siete destinati ad essere i degni successori di quei sacrileghi, gli eredi della loro spietatezza? Anche voi siete sdegnati, promuovete riunioni contro la Chiesa. Vedete, infatti, che nel suo grembo i morti ritornano alla vita, risuscitano, quando il perdono dei peccati è stato loro elargito. Pertanto, per quanto dipende da voi, volete uccidere, in forza dell'odio, le persone risorte a nuova vita.

Ma Gesù non revoca i benefici concessi. Li rende più grandi con la sua munificenza. Subito è tornato a visitare chi aveva risuscitato e, per festeggiarne la resurrezione, lieto viene alla cena, che la Chiesa gli ha imbandita. Chi era morto prende parte al banchetto, come appunto sta scritto, tra i commensali di Cristo.

Le persone tutte che vedono con l'occhio puro della mente e che non conoscono odio - la Chiesa vanta, appunto, figli di tale specie - si meravigliano che chi ieri e l'altro ieri era nel sepolcro è ora tra coloro che siedono a mensa insieme a Gesù.

Maria in persona unge i piedi di Cristo. I piedi, giacché uno dei deboli è stato strappato a morte. Tutti, infatti, formano il corpo di Gesù, ma senz'altro, alcuni sono le membra superiori. L'Apostolo che diceva: "Voi cercate una prova che Cristo parla in me", era la bocca di Cristo. Così anche i profeti per mezzo dei quali il Signore annunziava il futuro. Oh, fossi io degno di essere il suo piede e Maria mi cospargesse del prezioso profumo, mi ungesse, mi rendesse indenne dal peccato!

Il caso di Lazzaro si ripete ogni qual volta un peccatore, anche se emani fetore, è reso mondo dal balsamo della fede preziosa. Fede che consegue grazia così grande, che quella casa in cui il giorno precedente il morto mandava cattivo odore tutta intera è pregna di buon profumo.

La casa di Corinto mandava fetore, quando leggiamo: "Si parla di adulterio tra voi quale neppure tra i pagani". C'era puzzo, giacché un poco di lievito aveva alterato tutta la pasta. Tuttavia, comincia a sentirsi il buon profumo, quando è detto: "Se avete perdonato qualcosa a qualcuno, anche io la perdono; infatti anche io se ho perdonato qualcosa, l'ho perdonata per il vostro bene nel nome di Cristo". Pertanto, liberato il peccatore, ci fu grande gioia nella casa. La dimora intera mandò buon odore in virtù del soave profumo della grazia. Perciò, consapevole di aver cosparso tutti del balsamo dell'apostolica benedizione, egli dice: "Siamo innanzi a Dio il buon profumo di Cristo fra quelli che si salvano".

Tutti sono lieti allorché il profumo si è sparso. Il solo Giuda non è d'accordo. Così anche ora chi è sacrilego, chi è traditore, si mostri pure contrariato, muova biasimi. Gesù, però, rimprovera Giuda, giacché costui non intende quale medicina portentosa sarebbe stata la morte di Cristo e non comprende il senso riposto di una sepoltura così importante. Il Signore, infatti, ha patito, è morto per riscattarci dalla morte. Egli giudica prezzo sublime della sua passione l'essere il peccatore assolto dalle colpe ed innalzato a ineffabile grazia, così che tutti vengano e dicano, levando lodi al Signore: "Mangiamo e facciamo festa, perché costui era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato". Se qualche pagano obietterà: "Perché mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?", gli rispondiamo: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati".

Capitolo 8

Fai vedere, dunque, al medico la tua piaga, perché tu sia curato. Se non gliela mostrerai, egli la conosce, ma desidera ascoltare la tua voce. Netta le tue cicatrici con le lacrime. In questa maniera, appunto, la donna di cui è parola nel Vangelo, si è mondata dal peccato, dal fetore della sua iniquità. Si è resa libera dalla colpa, nel lavare i piedi di Gesù con le lacrime.

Volesse il cielo, o Gesù, che tu mi destinassi a lavare i piedi che hai imbrattati mentre incedevi entro di me! Oh, potessi tu concedermi di nettarli nel sudiciume con cui li ho infangati con il mio cattivo operare! Ma donde attingere l'acqua viva con cui lavarli? Non ho a disposizione l'acqua, bensì le lacrime. Oh, potessi con esse purificare me stesso, mentre lavo i tuoi piedi! Come fare, perché tu dica di me: "Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato"? Ben di più avrei dovuto amare, lo ammetto, e fin troppo mi è stato condonato. Sono stato, infatti, chiamato al sacerdozio dopo essere vissuto sino a quel momento tra il frastuono delle cause forensi e le beghe paurose della pubblica amministrazione. E' mio timore, pertanto, apparire ingrato, se dimostrerò un amore minore, giacché molto di più mi è stato condonato.

Ma non posso stimare tutti all'altezza della donna la quale, meritatamente, è stata preferita anche a Simone che offriva il pranzo al Signore. Essa ha, infatti, dato lezione alle persone che intendono lucrarsi il perdono. Ha baciato i piedi di Cristo, li ha lavati con le lacrime, asciugati con i capelli e cosparsi di olio profumato.

Il bacio simboleggia la carità. Il Signore ha detto: "Mi baci egli con il bacio della sua bocca". I capelli cosa altro significano se non che tu sappia che è necessario invocare il perdono dopo aver disprezzato ogni prestigio che derivi dalle insegne delle alte cariche di questo mondo, e che ti getti bocconi al suolo, e che, prostrato, cerchi pietà? L'unguento simboleggia il profumo del buon mutamento d'animo. David era re, eppure diceva: "Ogni notte inonderò di pianto il mio letto, irrorerò di lacrime il mio giaciglio". Meritò, pertanto, una grazia ineffabile: tra i suoi discendenti fu scelta la Vergine che doveva, partorendo, dare alla luce Cristo. La peccatrice pentitasi, dunque, meritatamente per i motivi detti è lodata nel Vangelo.

Tuttavia, se non siamo in grado di uguagliarla, Gesù sa venire in soccorso dei deboli. Se non c'è la donna che possa apprestare il banchetto, offrire l'unguento, portare con sé "la fonte dell'acqua viva", Cristo in persona viene alla tomba.

Volesse il cielo che ti degnassi di accostarti a questo mio sepolcro, o Gesù, e mi lavassi con il tuo pianto! I miei occhi, infatti, si sono inariditi, le mie lacrime non bastano a lavare le mie colpe. Se piangerai per me, sarò salvo. Se sarò degno che tu per un poco versi lacrime per me, mi chiamerai fuori dalla tomba del corpo e dirai: "Esci fuori". Pronunzierai queste parole, affinché i miei pensieri non siano in catene nel carcere della carne, ma ne escano fuori verso Cristo, possano spaziare alla luce, così che io non mediti le opere delle tenebre, ma della luce. Chi ha in animo di peccare, non altro desidera che farsi schiavo della sua coscienza.

Chiama, dunque, fuori il tuo servo. Anche se avvinto dai legami del peccato, con i piedi incatenati, con le mani strette da nodi, anche se per sempre sepolto ai pensieri e alle "opere morte", se mi chiamerai, uscirò fuori libero. Sarò "uno tra quelli che siedono a mensa" al tuo banchetto. Tutta la tua casa emanerà la fragranza del prezioso profumo, se custodirai chi ti sei degnato di riscattare. Si dirà: Costui non è stato allevato nel seno della Chiesa, non è stato domato da fanciullo, ma, a forza, è stato trascinato fuori dai tribunali, strappato dalle follie del secolo. Avvezzo ad ascoltare la voce del banditore, si è assuefatto al cantico del salmista. Ecco, tiene fede al sacerdozio, non già per suo merito, ma in virtù della grazia di Cristo, e siede tra i convitati della mensa celeste.

Preserva, o Signore, il tuo dono. Custodisci il bene che mi hai elargito, anche se da esso rifuggissi. Ero consapevole, infatti, di non meritare di essere chiamato vescovo, giacché mi ero votato al secolo. Ma "per grazia" tua "sono ciò che sono". Sono senza dubbio l'infimo di tutti i vescovi, l'ultimo per merito. Tuttavia, poiché mi sono sobbarcato a qualche travaglio per la tua santa Chiesa, custodisci questo frutto. Non permettere che chi già sull'orlo della perdizione è stato da te chiamato al sacerdozio, ora, che è tuo ministro, soccomba. Mi hai chiamato, perché impari a condolermi di tutto cuore dei travagli del peccatore. Virtù questa davvero grande. Sta appunto scritto: "Non gioire dei figli di Giuda nel giorno della loro sventura, non dire parole altezzose nel giorno della loro angoscia". Mi hai chiamato, perché, ogni volta che si tratta della colpa di un lapso, senta di lui pietà e non lo riprenda con durezza, bensì provi dolore e pianga. Ciò, affinché, nel momento in cui verso lacrime su di un altro, pianga su me stesso e possa dire: "Tamar è più giusta di me".

E' ammissibile che una giovinetta sia caduta nel peccato, ingannata e tratta alla rovina dalle circostanze che sono incentivo al cattivo operare. Però, se pecchiamo quando siamo avanti negli anni, la legge della carne muove guerra in noi a quella dello spirito, ci rende schiavi del peccato, ci induce a fare, insomma, ciò che non vorremmo. La giovinetta ha, almeno, come giustificazione gli anni, io nessuna. Essa deve imparare, io insegnare. Perciò, "Tamar è più giusta di me".

Incolpiamo qualcuno di cupidigia del denaro? Domandiamo prima se non abbiamo operato anche noi dimostrando la medesima bramosia. Allora ognuno di noi dica: "Tamar è più giusta di me". Infatti "l'attaccamento al denaro è la radice dei mali": insensibilmente, come radice che si estende sotto terra, fa il nostro corpo sua preda.

Ci siamo adirati contro qualcuno: un laico, e non un vescovo, può essere perdonato per aver agito sotto l'impulso dell'ira. Rimproveriamoci da noi stessi, diciamo: "Chi è incolpato di essere iracondo è più giusto di me". Parlando così ci metteremo nella condizione che Gesù o qualcuno dei discepoli non dica di noi: "Tu osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello".

Non vergogniamoci, perciò, di ammettere che la nostra colpa è più grave di quella di chi, a nostro giudizio, deve essere sottoposto ad accusa. Così, appunto, si è espresso Giuda che muoveva rimproveri a Tamar: richiamandosi alla mente la propria colpa, dice: "Tamar è più giusta di me". Affermazione che ha un profondo senso riposto e, a un tempo, suona insegnamento morale. Non fu attribuita colpa a Giuda, giacché si accusò da se stesso, prima che altri lo denunziasse.

Che io, dunque, non gioisca per la colpa di nessuno, bensì ne provi dolore! Sta scritto: "Non gioire troppo della mia sventura, mia nemica! Se sono caduta, mi rialzerò; se siedo nelle tenebre, il Signore sarà la mia luce. Sopporterò lo sdegno del Signore, perché ho peccato contro di lui, finché egli mi renda ragione. Emetterà il verdetto su di me, mi farà uscire alla luce e vedrò la sua giustizia. La mia nemica lo vedrà, sarà coperta di vergogna, lei che mi diceva: Dove è il Signore Dio tuo? I miei occhi la vedranno e sarà calpestata come fango della strada". Giustamente, poiché chi esulta per la rovina degli altri, tripudia per la vittoria del diavolo. Addoloriamoci, dunque, allorché sentiamo che è andato in perdizione un uomo "per cui Cristo è morto" che non trascura neppure "la pagliuzza nella messe".

Dio voglia che questa "pagliuzza nella messe", il vuoto gambo del mio frutto, non sia gettata via da lui, ma raccolta! Infatti, dice: "Ahimè! Sono diventato come chi raccoglie la pagliuzza nella messe e chi racimola alla vendemmia". Oh, possa egli mangiare in me almeno le primizie della sua grazia, anche se i frutti ulteriori non debbano riuscirgli graditi!

Capitolo 9

Sia, dunque, nostro convincimento che bisogna fare penitenza e che ad essa tiene dietro il perdono. Una remissione, tuttavia, frutto di fede e non, per così dire, di un nostro credito. C'è profondo divario tra il rendersi meritevoli di qualche cosa e l'arrogarsene il diritto. La fede ottiene in forza quasi di obbligazione scritta, la presunzione, invece, è propria di chi è arrogante e non già di chi domanda. Perché tu sia nella condizione di ottenere ciò in cui speri, prima devi far fronte al tuo pegno. Comportati da onesto debitore, così che per pagare la cambiale non debba far ricorso ad altro prestito, bensì possa soddisfare, mediante le ricchezze che ti provengono dalla fede, all'interesse del debito contratto a tuo nome.

Ha maggiore possibilità di pagare chi è debitore di Dio che dell'uomo. Questi esige denaro in cambio di denaro, e il debitore non sempre lo ha pronto. Dio si accontenta, invece, della buona disposizione d'animo che è in tuo potere attestare. Non è povero chi è debitore del Signore, tranne che non si renda indigente da se stesso. Non ha da vendere, possiede, però, i mezzi con cui pagare. Le preghiere, le lacrime, i digiuni, sono le ricchezze del buon debitore e beni più sostanziosi che se uno offra senza fede il denaro ricavato dalla vendita di proprietà.

Povero era Anania, allorché, venduto il podere, consegnava agli Apostoli il denaro che, lungi dal liberarlo dal debito contratto innanzi a Dio, doveva implicarlo in nodi stretti. Ricca era, invece, la vedova, la quale mise due piccole monete nella cassa delle offerte. Di lei è detto: "Questa vedova, povera, ha messo più di tutti". Dio non domanda denaro, ma schiettezza di fede.

La colpa, credo, può essere mitigata mediante elargizioni ai poveri, purché la fede aggiunga credito ai donativi. A che offrire le proprie sostanze, se l'ardore di carità non si accompagna all'oblazione?

Alcuni non mirano che a soddisfare alla vanità personale, a conseguire la fama che può derivare dall'essere munificente. E' loro intento apparire persone virtuose agli occhi del popolino, poiché hanno elargito tutte le sostanze. Vanno in cerca del premio del secolo presente, non mettono, però, in serbo quello del futuro. Se, infatti, "hanno già ricevuto la loro ricompensa" su questa terra, non possono sperare in quella dell'aldilà.

Altri, dopo aver donato i beni alla Chiesa in seguito a impulso precipitoso e non già a matura riflessione, hanno ritenuto opportuno di revocare la donazione. Sia l'uno che l'altro modo di comportarsi non è stato per loro redditizio, in quanto il primo, dettato da inconsulto consiglio, l'altro, informato a sacrilegio.

Alcuni, poi, si pentono di aver spartito gli averi con i poveri. Ma chi esercita la penitenza non deve affatto avere rincrescimento in materia, perché non abbia a pentirsi di essersi pentito. Non pochi, infatti, per timore dell'eterno castigo, consapevoli delle loro colpe, domandano di fare penitenza e, una volta ammessi, si tirano indietro per la vergogna di doverla esercitare pubblicamente. Essi, a mio parere, hanno domandato di fare penitenza delle malefatte e la fanno, invece, delle buone opere da loro compiute.

Alcuni, ancora, invocano la penitenza, ma allo scopo unico di essere reintegrati nella comunione dei fedeli. Non desiderano mondarsi, ma stringere con lacci il ministro di Dio. Non sgravano la loro coscienza, fanno violenza a quella del sacerdote, cui è stato comandato: "Non date le cose sante ai cani e non buttate le vostre perle davanti ai porci". Si deve, cioè, vietare che persone imbrattate di immonde iniquità siano riammesse alla santa comunione.

Osservate queste persone: sono lì a passeggiare. Indossano abiti nuovi, mentre sarebbe stato loro conveniente essere in gramaglie, lamentarsi per avere infangato la veste della grazia battesimale. Le donne si sovraccaricano le orecchie di grosse, preziose perle: sono costrette, addirittura, a piegare le nuche, mentre bene avrebbero dovuto tenerle basse per amore di Cristo e non dell'oro, e versare, a un tempo, lacrime su se stesse per aver perduto la perla preziosa, la celeste.

Altri sono convinti che pentirsi significhi escludersi dai divini sacramenti. Sono giudici fin troppo spietati di se stessi. Si assegnano il castigo, rifiutano il rimedio. Sarebbe stato, invece, opportuno che si dolessero della pena inflittasi, poiché a causa di essa rimangono defraudati dalla divina grazia.

Altri, giacché è data speranza di fare ammenda delle colpe, credono che sia loro implicitamente concessa facoltà di continuare a peccare a piacimento. Ma la penitenza è rimedio del peccato, non già incentivo. Il farmaco è necessario alla ferita, non viceversa. Domandiamo il rimedio per curare la piaga, non già desideriamo questa per avere modo di applicarvi il medicamento. Fragile è, d'altra parte, la speranza che si affida al tempo. Ogni tempo è sempre incerto, né tutte le speranze gli sopravvivono.

Capitolo 10

Forse qualcuno potrebbe tollerare che tu provi vergogna di invocare Dio e non, invece, di pregare l'uomo, e che tu abbia ritegno di supplicare il Signore, cui il tuo modo di operare non sfugge, e non, invece, di fare palesi le tue colpe all'uomo, cui possono rimanere nascoste? Non vuoi che, se preghi, ci sia gente che lo sappia e possa riferirlo? Eppure, se si tratta di dare soddisfazione all'uomo, non ti accosti forse a un gran numero di persone, le scongiuri perché interpongano i buoni uffici, ti prostri alle ginocchia, baci i piedi, metti innanzi i figli innocenti, perché invochino pietà per il padre? Ostenti, tuttavia, neghittosità a fare ciò nella Chiesa, a supplicare Dio, a ricercare il patrocinio dei fedeli, perché preghino per te. Nella Chiesa si arreca disonore col non confessare le colpe, giacché tutti siamo peccatori. In essa merita di più chi è più umile, ed è più giusto chi maggiormente disprezza se stesso.

La madre Chiesa pianga per la tua salvezza e lavi la tua colpa con le lacrime. Cristo ti veda nella tua afflizione e dice: "Beati voi che piangete, perché riderete". Egli gradisce che più persone preghino per una sola. Nel Vangelo, mosso a pietà delle lacrime della vedova, poiché erano moltissimi a piangere per lei, ne richiamò il figlio alla vita. Esaudì prontamente Pietro che pregava affinché Dorcade risuscitasse, poiché i poveri gemevano per la morte della donna. Perdonò subito l'apostolo che aveva versato amarissime lacrime. Se anche tu piangerai in tal maniera, Cristo rivolgerà a te gli occhi e la colpa sarà cancellata. L'esercizio del dolore allontana la morbosa cupidigia del peccare, la seduzione della colpa. Ci travagliamo per le iniquità perpetrate e, intanto, teniamo lontane quelle che potremmo commettere. Dalla condanna della colpa scaturisce una disciplina dell'innocenza.

Nulla, perciò, ti distolga dall'esercitare la penitenza. Ne sei partecipe con i santi, e voglia il cielo che tu riesca ad emulare il loro pianto! David "si nutriva di cenere come di pane; mescolava il pianto alla sua bevanda". Ora maggiormente gioisce, poiché versò più abbondantemente le lacrime. Dice: "Fiumi di lacrime discesero dai miei occhi".

Giovanni pianse molto e, come dice, gli furono rivelati i misteri di Cristo. Non così la donna che travolta dal peccato, non versò lacrime come avrebbe dovuto: se la spassava, indossava abiti di porpora e scarlatto, faceva sfoggio di molto oro e di pietre preziose. Meritatamente, pertanto, si strugge nel travaglio di un pianto senza fine.

Alcuni sono convinti che si possa più volte fare penitenza. Essi "sono presi da desideri indegni di Cristo". Se attendessero, infatti, alla penitenza di tutto cuore, non crederebbero alla necessità di doverla ripetere. "Uno solo è il battesimo", una sola è la penitenza, quella, s'intende, che si fa in pubblico. Ogni giorno, infatti, dobbiamo pentirci del peccato, ma, mentre la penitenza giornaliera è dei peccati più lievi, la pubblica è delle colpe di maggiore entità.

Mi sono imbattuto più spesso in persone che hanno conservato la loro innocenza che non in gente che abbia atteso a pentirsi con coerenza. Credi forse che si possa parlare di penitenza là dove si intriga in vario modo per ottenere cariche, regna il bere sfrenato, viene praticato l'accoppiamento carnale? Bisogna dire con decisione addio al secolo, abbandonarsi al sonno meno di quanto la natura esiga, alternarlo con lamenti, romperlo a mezzo con gemiti, riservarlo alla preghiera. E' necessario, insomma, vivere come se fossimo per sempre morti al nostro modo di condurre l'esistenza terrena. L'uomo deve rinnegare se stesso, trasformarsi radicalmente, come la tradizione racconta a proposito di un giovane. Costui, dopo aver amato una cortigiana, partì alla volta di un paese lontano. Cancellata che ebbe dall'animo la passione, ritornò e si imbatté nella donna che aveva amata. Essa, meravigliata che il giovane non le rivolgesse neppure la parola e pensando, quindi, di non essere stata riconosciuta, incontratolo di nuovo, gli disse: "Sono io", e l'altro: "Ma io non sono più io".

Il Signore, perciò, a ragione dice: "Chi vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua". I morti e sepolti con Cristo non devono, quasi fossero ancora in vita, avere l'animo rivolto alle cose di questo mondo. Paolo dice: "Non toccate, non prendete tutte le cose destinate a scomparire con l'uso. L'uso di per sé della vita cagiona, infatti, la corruzione dell'innocenza.

Capitolo 11

La penitenza, dunque, è un bene. Se essa non esistesse, tutti differirebbero la grazia del battesimo alla vecchiaia. A una ipotesi assurda del genere, valga come risposta che è preferibile possedere un qualcosa da rattoppare che non avere da ricoprirsi. Ma nemmeno gli abiti rappezzati una sola volta possono ancora essere usati come nuovi, quelli, invece, cuciti e ricuciti finiscono con il logorarsi del tutto.

Il Signore, quando dice: "Fate penitenza, perché il regno dei cieli è vicino", ha sufficientemente ammonito coloro che rinviano la penitenza. Ignoriamo in quale ora viene il ladro, non sappiamo se la nostra anima ci sarà richiesta la notte stessa. Dio scacciò Adamo dal paradiso subito dopo la colpa. Non frappose indugi, ma, perché facesse penitenza, lo privò delle delizie e, immediatamente, lo rivestì di una tunica di pelle, non già di seta.

Quale giustificazione c'è perché tu debba rinviare? Forse quella di commettere un maggior numero di peccati? Dunque, perché Dio è buono, tu vuoi essere malvagio, e "ti prendi gioco dei tesori della sua bontà e pazienza"? La mitezza del Signore dovrebbe, al contrario, essere per te incitamento a pentirti. Appunto, il santo David dice a tutti: "Venite, adoriamo e prostriamoci innanzi a lui e piangiamo al cospetto di nostro Signore che ci ha creati". Il medesimo David, come sai, versa lacrime sul peccatore che è morto senza pentirsi. In un caso del genere non rimane altro che provare forte dolore e piangere. Egli dice: "Figlio mio Assalonne, figlio mio Assalonne"! Chi è definitivamente morto va pianto senza alcuna riserva.

A proposito degli esuli, che, raminghi dagli aviti confini fissati dalla legge di Mosè, si erano infangati dei peccati di questo mondo, odi che canta: "Sui fiumi di Babilonia, là sedemmo e piangemmo al ricordo di Sion". Il salmista vuole insegnare che la stirpe dei rei di apostasia deve provvedere al ravvedimento, quando i colpevoli sono ancora in condizione di avere tempo a disposizione e in situazione suscettibile di mutamento. Perciò, ricorre all'esempio dei Giudei trascinati in miseranda schiavitù come prezzo della colpa.

Non c'è dolore maggiore di quello che prova chi nella schiavitù del peccato si ricorda dei supremi beni dai quali è decaduto, ha tralignato. Si è, infatti, allontanato dal meraviglioso, sublime proposito di approfondire la conoscenza di Dio, per rivolgersi a ciò che è materiale, effimero.

Adamo pensò di nascondersi, non appena avvertì la presenza di Dio. Tentò di celarsi, quantunque lo ricercasse, lo chiamasse con parole che dovevano trafiggere il cuore di lui che si nascondeva: "Adamo, dove sei?". Cioè, perché ti celi, perché ti occulti, perché eviti il Signore che desideravi vedere? La colpa rimorde la coscienza al punto tale che, anche senza il giudice, si punisce da se stessa e desidera occultarsi. Non riesce, però, a celarsi agli occhi di Dio.

Nessuno che sia in colpa deve arrogarsi, quindi, il diritto, l'uso illecito dei sacramenti. Sta scritto: "Hai peccato? Fermati". Lo dice anche David nel salmo cui si è accennato: "Appendemmo le nostre cetre ai salici di quella terra". Più avanti: "Come cantare il cantico del Signore in terra straniera?". Se la carne combatte con lo spirito ed è riluttante a lasciarsi guidare dall'anima, ad ubbidirle, è terra straniera che non è dissodata dal lavoro del contadino e non produce, pertanto, i frutti della carità, della pazienza, della pace. Perciò, meglio fermarsi, quando non si è in grado di attendere alle opere della penitenza, affinché nell'esercitarla non capiti di agire in modo da dovere ancora ad essa far ricorso. Se, infatti, non è stata una sola volta bene usata e opportunamente praticata, non si ricava alcun frutto dalla penitenza cui si è atteso e ci è tolta la possibilità di valercene successivamente.

Quando la carne oppone resistenza, è necessario, allora, che lo spirito sia rivolto a Dio. Se le opere vengono meno, la fede porti soccorso. Se le seduzioni della carne o le potestà nemiche incalzano, lo spirito sia assorto in Dio. Quando, infatti, la carne sferra il suo attacco, corriamo i pericoli più gravi. Eppure alcuni, con tutte le loro forze, fanno violenza all'anima, tentando di privarla di ogni sostegno. Perciò, è detto: "Distruggete, distruggete, anche le sue fondamenta".

David, appunto, mosso a pietà da lei esclama: "Figlia infelice di Babilonia!". Senz'altro è sventurata, giacché è ormai figlia di Babilonia, non più di Dio. Invoca in suo favore l'intervento di chi possa guarirla: "Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sbatterà sulla pietra". Beato, cioè, chi spezzerà contro Cristo i pensieri caduchi, peccaminosi, e fiaccherà tutti gli impulsi non conformi a ragione, in virtù di una cosciente autocritica: chi, ad esempio, in balia di un amore adulterino possa tenere lontano lo struggente desiderio del congiungimento carnale con una prostituta e rinunziare alla passione per guadagnarsi Cristo.

Dunque, abbiamo appreso innanzi tutto che occorre fare penitenza, e ciò quando la bramosia di peccare si è spenta; ancora, che nella schiavitù del peccato dobbiamo essere rispettosi, non già arroganti. A Mosè che desiderava sempre più addentrarsi nella conoscenza del mistero celeste, è detto: "Togliti i sandali dai piedi". A maggior ragione è necessario, quindi, che noi liberiamo i piedi della nostra anima dai legami del corpo e sciogliamo i passi dai nodi che ci avvincono a questo mondo.

 

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