S. Ambrogio - La Penitenza

LIBRO SECONDO

Capitolo 1

Nel libro precedente abbiamo trattato non pochi argomenti che incoraggiano a far penitenza. Poiché, tuttavia, è possibile aggiungerne ancora molti altri, è nostra intenzione proseguire nel banchetto cui è stato dato inizio, perché non sembri che abbiamo lasciato rosicchiati per metà i cibi apprestati dal nostro argomentare.

E' necessario esercitare la penitenza con zelo, ma anche con tempestività. Ciò, ad evitare che il padre di famiglia della parabola evangelica, il quale piantò l'albero di fico nella sua vigna, non venga a ricercare su di esso il frutto e, non trovandolo, dica al vignaiolo: "Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno?". L'albero verrebbe abbattuto, se non lo impedisse il vignaiolo che dice: "O padrone, lascialo ancora quest'anno, finché io gli zappi attorno e vi metta il concime"; soltanto nel caso che il rimedio riesca inutile, il fico venga allora reciso.

Spargiamo, perciò, anche noi il concime su questo campo di cui siamo i proprietari. Seguiamo l'esempio degli agricoltori operosi, i quali senza vergogna nutrono la terra con grassa fanghiglia e cospargono i campi di sporca cenere allo scopo di raccogliere più abbondanti i frutti.

L'Apostolo insegna come concimare, quando dice: "Stimo spazzatura tutti i beni del mondo, al fine di guadagnare Cristo". Egli "sia nella cattiva che nella buona fama" si è guadagnato di riuscire a lui gradito. Aveva infatti letto che Abramo, mentre ammetteva di essere polvere e cenere, si procurò con la sublime umiltà la grazia di Dio; così anche che Giobbe, sedendo in mezzo alla cenere, ottenne di nuovo tutto ciò che aveva perduto. Ancora, aveva letto il vaticinio di David: Dio solleva "l'indigente dalla polvere" e rialza "il povero dall'immondizia".

Confessiamo, dunque, anche noi al Signore i nostri peccati senza rossore. Certamente, incute vergogna il mettere a nudo le colpe, ma questa vergogna, appunto, ara il suo podere, recide le spine eterne, toglie via i pruni, fa prosperare i frutti che ritenevi morti per sempre. Segui le orme di chi arando convenientemente il suo terreno si procacciò frutti eterni. L'Apostolo dice: "Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, preghiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo". Anche tu, se arerai in questo modo, spargerai semi spirituali. Ara, per stroncare il peccato, per procurarti il frutto. L'Apostolo ha arato per recidere nel suo io lo stato d'animo del persecutore. Quale incoraggiamento più grande ci poteva essere dato da Cristo perché aspirassimo al nostro miglioramento, quanto il convertire e assegnarci come maestro chi era stato persecutore?

Capitolo 2

Tuttavia, anche se confutati dal manifesto esempio di Paolo e dei suoi scritti, i Novaziani si ostinano a muovere cavilli. L'autorità della parola dell'Apostolo, affermano, è loro di garanzia. A prova, adducono il passo della lettera agli Ebrei: "Quelli che furono una volta illuminati, gustarono il dono celeste, diventarono partecipi dello Spirito Santo e gustarono la buona parola di Dio e le meraviglie del mondo futuro, è impossibile che, caduti, si rinnovino una seconda volta, di nuovo crocifiggendo il Figlio di Dio e pubblicamente trionfando".

Sarebbe forse in Paolo incoerenza tra parola e azione? Egli ha rimesso la colpa al peccatore di Corinto in virtù della penitenza: come avrebbe poi potuto ripudiare la sua decisione? Ovviamente, giacché mai avrebbe potuto demolire il suo edificante insegnamento, dobbiamo ritenere che non ha espresso un concetto antitetico, ma soltanto diverso. Noi diciamo antitetico un pensiero che è in contrasto con se stesso; diverso, invece, un pensiero che ha una sua ragione di essere. Non è, dunque, da considerare antitetico un concetto che non è in opposizione bensì a sostegno di un altro. Una volta trattato il tema relativo alla necessità di perdonare chi esercitasse la penitenza, l'Apostolo non poteva tacere di chi ritiene che il battesimo debba ripetersi. Prima, quindi, è stato necessario rassicurarci che, se alcuni cadessero in colpa postbattesimale, sarebbe stato loro perdonato, affinché, disperando essi nell'indulgenza, la stolida illusione di ripetere il battesimo non li conducesse fuori di strada. Successivamente, ha creduto necessario convincerci con logica argomentazione che il battesimo non deve essere rinnovato.

L'Apostolo si è riferito, dunque, al battesimo. Lo desumiamo agevolmente dalle parole con cui ha espresso l'impossibilità "che, caduti, si rinnovino in forza della penitenza". Ci rinnoviamo, infatti, in virtù del battesimo. Mediante questo sacramento nasciamo una seconda volta, come asserisce lo stesso Paolo: "Siamo stati sepolti con lui nella morte mediante il battesimo, perché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova". In altro passo: "Dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l'uomo nuovo creato secondo Dio". Ancora: "La tua gioventù sarà rinnovata come quella dell'aquila". L'aquila, infatti, dopo la morte rinasce dalle sue ceneri, così come noi, una volta morti al peccato, di nuovo, in virtù del sacramento del battesimo, nasciamo a Dio, di nuovo siamo creati. Uno solo, perciò egli insegna, è il battesimo. Appunto, in altro luogo afferma: "Una sola fede, un solo battesimo".

E' evidente, in chi viene battezzato è crocifisso il Figlio di Dio. Mai la nostra carne avrebbe potuto cancellare il peccato, se non fosse stata crocifissa in Cristo. Perciò, sta scritto: "Tutti noi che siamo stati battezzati in Gesù Cristo, siamo stati battezzati nella sua morte". Più avanti: "Se, infatti, siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua resurrezione; sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui". Dice ai Colossesi: "Siete stati sepolti con lui nel battesimo, in lui siete anche stati risuscitati". Così sta scritto, affinché crediamo che Cristo medesimo viene crocifisso in noi, perché in virtù sua i nostri peccati siano mondati ed egli, che è il solo a poter rimettere le colpe, affigga alla croce il documento scritto del nostro debito. Trionfa in noi sui Principati e Potestà, giacché sta scritto: "Ha fatto pubblico spettacolo dei Principati e Potestà, trionfando su di loro in se medesimo".

Dunque, ciò che afferma nella lettera agli Ebrei: "E' impossibile che, caduti, si rinnovino in forza della penitenza, una seconda volta crocifiggendo il Figlio di Dio e trionfando pubblicamente", bisogna credere che è stato detto a proposito del battesimo in cui crocifiggiamo in noi il Figlio di Dio, affinché per opera sua il mondo sia crocifisso a noi. E meniamo, in certo senso, un trionfo mentre assumiamo una morte simile alla sua. Infatti "ha fatto pubblico spettacolo" sulla croce "dei principati e Potestà" e ha su di loro trionfato, affinché anche noi, a somiglianza della sua morte, trionfassimo sui Principati, con il sottrarci per sempre al loro giogo. Una sola volta Cristo è stato crocifisso, una sola volta "è morto al peccato": non ci sono, dunque, più battesimi, ma uno soltanto.

Che dire poi a proposito di questo insegnamento relativo ai battesimi, del quale Paolo ha parlato nel passo che precede quello in esame? Poiché nella legge ne erano consentite varie forme, a ragione biasima coloro che indagano le verità elementari del Verbo e trascurano ciò che è perfetto. Ci ammaestra che sono state completamente distrutte tutte le specie di battesimi della legge e che uno è il battesimo nei sacramenti della Chiesa. Pertanto, ci esorta ad abbandonare le verità elementari del Verbo e a mirare al perfetto. Dice: "Questo intendiamo fare, se Dio lo permette". Senza l'aiuto del Signore, nessuno può raggiungere la perfezione.

Potrei ancora dire a chi sostiene che il passo si riferisce alla penitenza: "le cose impossibili all'uomo, non lo sono a Dio". Quando vuole, il Signore può perdonare i peccati, anche quelli che disperiamo possano essere rimessi. Dunque, Dio può rimettere ciò che appare a noi impossibile ad ottenersi. Sembrava anche cosa assurda che il peccato fosse cancellato con il lavacro. Naaman Siro, appunto, non credette che in questo modo potesse essere sanata la lebbra che lo tormentava. Dio, però, che ci ha fatto dono di una così grande grazia, diede concretezza a ciò che appariva irrealizzabile. Parimenti, sembrava impossibile che venissero rimessi i peccati ad opera della penitenza. Eppure Cristo concesse questa potestà agli Apostoli ed essi la trasmisero all'ufficio sacerdotale. L'impossibile è diventato realtà. L'Apostolo, tuttavia, ci fa comprendere con il suo veritiero argomentare che egli ha inteso parlare del battesimo, perché nessuno avesse in animo di ripetere il sacramento.

Capitolo 3

Né, d'altra parte, l'Apostolo si sarebbe schierato contro l'insegnamento così limpido di Cristo, il quale a proposito del peccatore che fa penitenza si è valso di una similitudine. Infatti, il giovane "partito alla volta di un paese straniero", dilapidò l'intero patrimonio ricevuto dal padre, menando vita dissipata. Poi, costretto a nutrirsi di ghiande, sentì vivo il rimpianto dei pani del genitore. Eppure fu ritenuto degno dell'anello, dei calzari e, per giunta, del sacrificio di un vitello, sacrificio simbolo della passione del Signore mediante la quale ci è stato elargito il sacramento celeste.

Bene a proposito è detto "partito alla volta di un paese straniero", giacché si era tenuto lontano dai sacri altari. Il che significa, vivere segregato dalla Gerusalemme celeste, dall'abitazione civica, per così dire, e familiare dei santi. Perciò l'Apostolo afferma: "Dunque, non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio".

Sta scritto: "Dilapidò il suo patrimonio". A proposito, è detto lo "dilapidò", giacché la fede del giovane vacillava nelle opere. La "fede" è "fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono". E' la solida base su cui poggia interamente la nostra speranza.

Né appaia strano che languisse per fame chi sentiva mancanza del cibo divino. Sentendone, appunto, privazione, disse: "Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre ho peccato contro il cielo e contro di te". Non comprendete forse che ci è detto con chiarezza che se siamo esortati a pregare, è, appunto, per renderci meritevoli del sacramento? Voi, Novaziani, vorreste, invece, privarci del frutto della penitenza? Togli al timoniere la speranza dell'approdo: si aggirerà senza meta nel mezzo delle onde. Nega la corona al lottatore: neghittoso se ne starà sdraiato nell'arena. Priva il pescatore del provento della pesca: subito smette di gettare le reti. Pertanto, chi soffre la fame della sua anima, come potrebbe con devozione pregare Dio, se non avesse fede nel divino nutrimento?

Il figliol prodigo dice: "Ho peccato contro il cielo e contro di te". Confessa il peccato che cagiona morte, affinché non crediate che sia a ragione ripudiato chi fa penitenza di una qualsiasi colpa. Ha peccato "contro il cielo", cioè, contro il regno celeste o contro l'anima sua; ha commesso peccato mortale, e al cospetto di Dio al quale è detto: "Ho peccato contro te solo e ho fatto ciò che è male innanzi a te".

Eppure così prontamente si guadagna il perdono, che , al suo ritorno, quando si trovava "ancora lontano", il padre muove a lui incontro e "lo bacia" con il bacio simbolo della santa pace. Comanda che "si porti la lunga veste", l'abito, cioè, nuziale, senza il quale si è scacciati dal banchetto. Gli "pone al dito l'anello", il pegno della fede, il contrassegno dello Spirito Santo. Ordina che siano portati "i calzari". Infatti, chi è sul punto di celebrare la Pasqua del Signore e sta per mangiare l'agnello deve necessariamente avere il piede al riparo dagli assalti degli spiriti del male e dai morsi del serpente. Comanda che sia sacrificato "il vitello", poiché "Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato". Ogni volta che assumiamo il sangue di Cristo, annunciamo la morte del Signore. Come egli si è immolato per tutti una sola volta, così, ogni volta che ci sono rimessi i peccati, assumiamo il sacramento del suo corpo, per riscattarci dalle colpe mediante il suo sangue.

La parola del Signore ha stabilito senza possibilità di equivoco che la grazia del sacramento deve essere restituita alle persone che si sono macchiate di colpe quanto vuoi infamanti, purché ne facciano ammenda con cuore contrito e con confessione sincera. E' ovvio, dunque, che voi Novaziani non avete possibilità di legittimare la vostra condotta.

Capitolo 4

Siamo a conoscenza che siete soliti muoverci obiezioni, perché sta scritto: "Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito Santo non sarà perdonata. A chiunque parlerà male del Figlio dell'uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro". Eppure, sulla base di questo passo, ogni vostra obiezione è distrutta, annientata. Sta scritto: "Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonato agli uomini". Perché voi non perdonate? Perché stringete legami che non sciogliete? Perché intrecciate nodi che non allentate? Perdonate, almeno, gli altri ed emettete pure verdetto di condanna nei riguardi di persone che voi sulla base del testo del Vangelo ritenete che non possano mai più ottenere clemenza, giacché hanno peccato contro lo Spirito Santo.

Vediamo, però, quali persone sono queste che il Signore incatena, considerando i passi che precedono quello in esame, così da avere idee più chiare al riguardo. I Giudei dicevano: "Costui scaccia i demoni in nome di Beelzebub, principe dei demoni". Gesù ha risposto: "Ogni regno discorde cada in rovina, e nessuna città o famiglia discorde può reggersi. Ora se Satana scaccia Satana, egli è discorde con se stesso. Come potrà, dunque, reggersi il suo regno? E se io scaccio i demoni in nome di Beelzebub, i vostri figli in nome di che li scacciano?".

Possiamo constatare che si allude alle persone che andavano dicendo che Gesù scacciava i demoni ad opera di Beelzebub. Il Signore ha loro risposto che l'eredità di Satana era passata a chi paragonava il Salvatore di tutti al demonio e riponeva la grazia di Cristo nel regno del diavolo. Poiché ci convincessimo che aveva alluso a questa bestemmia, ha aggiunto: "Razza di vipere, come potete dire cose buone voi che siete cattivi?". Pertanto afferma che non può toccare il perdono alle persone che così bestemmiano.

Simone, depravato dalla pratica della magia, si era illuso di potersi procurare con il denaro la grazia che Cristo dava mediante l'imposizione della mano e l'infusione dello Spirito Santo. Pietro, pertanto, gli dice: "Non v'è parte né sorte alcuna per te in questa cosa, perché il tuo cuore non è retto, davanti a Dio. Pentiti, dunque, di questa tua iniquità e prega il Signore se mai ti sia perdonato questo pensiero. Ti vedo, infatti, chiuso nei lacci dell'iniquità e in file amaro". Puoi constatare che Pietro avvalendosi dell'autorità apostolica condanna chi bestemmiava contro lo Spirito Santo nella folle vanità di essere mago. Maggiormente lo reputa colpevole in quanto mostrava di non avere pura consapevolezza della fede. Nonostante ciò, non lo privò della speranza del perdono, anzi lo invitò al pentimento.

Il Signore, dunque, ha risposto alla bestemmia dei Farisei. Non concede loro la grazia che proviene dalla sua potestà e che consiste nella remissione delle colpe. Essi, infatti, pensavano che il celeste potere del Signore si fondasse sul soccorso del diavolo. Afferma anche che erano soggetti allo spirito del male, poiché gettavano il seme della discordia nella Chiesa del Signore. Con le sue parole allude agli eretici, agli scismatici di ogni tempo, ai quali nega il perdono. Se ogni colpa ricade sul singolo che la commette, quella degli scismatici fa risentire i suoi effetti su tutti. Soli si propongono di annullare la grazia di Cristo, riducono a brandelli le membra della Chiesa per amore della quale Gesù ha patito e ci ha fatto dono dello Spirito Santo.

Infine, perché sappiate che parla dei rei di scisma, sta scritto: "Chi non è con me, è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde". A maggior chiarimento ha aggiunto: "Perciò, dico a voi: qualunque peccato o bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata". Quando dice: "Perciò, dico a voi", non ha manifestato forse il proposito che noi comprendessimo ciò soprattutto? A ragione ha aggiunto: "L'albero buono produce buoni frutti, il cattivo, invece, frutti cattivi". Una comunità di malvagi non può produrre che frutti cattivi. L'albero, dunque, è la Chiesa, i frutti dell'albero buono i figli della medesima.

Ritornate, dunque, nel grembo della Chiesa, se mai ve ne siete allontanati sacrilegamente. Ai peccatori che si convertono è assicurato il perdono. Sta scritto: "Chiunque invocherà il nome del Signore, sarà salvato". Il popolo dei Giudei che diceva nei riguardi di Gesù: "Egli ha un demonio", "Scaccia i demoni nel nome di Beelzebub", e che ha crocifisso il Signore, è chiamato al battesimo dalla parola di Pietro, perché si alleggerisca dell'ignominioso peso di infamia così grande.

Non dobbiamo stupirci se voi che ripudiate la vostra salvezza, la neghiate agli altri, siano pure costoro che vi domandano di fare penitenza gente della vostra risma. L'ineffabile misericordia del Signore, a mio giudizio, non avrebbe rifiutato neppure a Giuda il perdono, se avesse fatto atto di pentimento, non al cospetto dei Giudei, ma di Cristo. Dice: "Ho peccato, poiché ho tradito il sangue innocente". La risposta: "Che ci riguarda? Veditela tu". Parlate forse diversamente voi, quando chi ha commesso una colpa anche minore vi confessa il proprio peccato? Che altro rispondete se non: "Che ci riguarda? Veditela tu". Parole del genere comportano la corda, e il castigo è tanto più ferale quanto minore è la colpa.

Ma se essi non intendono convertirsi, fatelo almeno voi che, commettendo colpe di natura diversa, siete precipitati in basso dalle alte vette dell'innocenza e della fede. Abbiamo "un buon Padrone" che è disposto a perdonare tutti. Ti ha invitato per bocca del profeta, dicendo: "Io, io cancello i tuoi peccati e non ne conserverò ricordo. Tu, però, siine memore e lasciamoci giudicare".

Capitolo 5

Muovono, tuttavia, cavilli a proposito delle parole dell'Apostolo, poiché ha detto "se mai", e pensano che Pietro non abbia affatto garantito la remissione dei peccati al penitente. Ma si soffermino un po' a considerare di chi parla. Simone non credeva secondo fede, ma tramava soltanto frodi. Anche il Signore a chi gli dice: "Ti seguirò", risponde: "Le volpi hanno le loro tane". Se, dunque, il Signore in persona ha vietato che chi egli vedeva subdolo lo seguisse, quale stupore che l'Apostolo non abbia assolto chi dopo il battesimo si è allontanato da Dio e, come egli ha detto, era avvinto nei lacci dell'infamia?.

Questa sia risposta sufficiente alle obiezione dei Novaziani. Io, d'altra parte, sono dell'opinione che né Pietro abbia dubitato, né che, trattandosi di questione così importante, si debba togliere ad essa ogni credito per il condizionamento causato da un solo vocabolo. Ammettiamo che Pietro si sia mostrato reticente: non forse anche Dio che dice al profeta Geremia: "Sta' nell'atrio della casa del Signore e riferisci a tutte le città di Giuda, che vengono per adorare nel tempio del Signore, tutte le parole che ti ho comandato di annunziare loro; non tralasciare neppure una parola: forse presteranno ascolto e torneranno"? Si affermi, dunque, che Dio ignorava il futuro.

In verità con quel vocabolo non si esprime affatto l'idea del dubbio. E' da notare che un uso del genere è frequente nelle divine Scritture, data la semplicità del loro linguaggio. Il Signore, ad esempio, dice ad Ezechiele: "Figlio dell'uomo, ti invierò alla casa di Israele, da coloro che mi hanno amareggiato, essi e i loro padri sino ad oggi, e dirai loro: Il Signore dice queste parole, se mai ascolteranno e ne proveranno terrore". Dio ignorava se si sarebbero convertiti o meno? L'espressione, quindi, non è sempre di chi dubita.

Del resto, anche gli antichi sapienti di questo mondo, i quali fanno consistere tutta la loro valentia nella scrupolosa scelta delle parole, non hanno impiegato in tutti i passi delle loro opere in senso dubitativo il vocabolo che in latino suona "forte", in greco "tacha". Ad esempio, affermano che il primo dei loro poeti dicesse: "La forse vedova", nel senso: "Presto sarà vedova". In altro passo: "Forse, infatti, tutti gli Achei facendo impeto ti uccideranno". Non poteva certo dubitare che se tutti gli Achei avessero fatto impeto contro un solo uomo, questi non sarebbe stato sopraffatto dalla moltitudine dei nemici.

Ma noi dobbiamo avvalerci di esempi nostri, non già altrui. Trovi, appunto, nel Vangelo che il Figlio medesimo fa dire al Padre, dopo che i servi da lui inviati alla sua vigna erano stati feriti: "Manderò il Figlio mio dilettissimo, forse avranno rispetto di lui". In altro passo, il Figlio dice a proposito della sua persona: "Voi non conoscete né me né il Padre mio; se, infatti, conosceste me, forse conoscereste anche il Padre mio".

Se Pietro, dunque, si è espresso mediante le parole medesime che Dio ha usate senza che ne derivasse detrimento alla sua sapienza, perché non ammettere che anche l'Apostolo le abbia impiegate senza che la sua fede subisse limitazione? D'altronde, non avrebbe potuto avanzare dubbi sul dono di Cristo, giacché il Signore gli aveva concesso la potestà di rimettere i peccati. Maggiormente, perciò, gli incombeva l'obbligo di non dare adito ai sottili cavilli degli eretici. Scopo, infatti, di costoro è unicamente il rendere vana la speranza degli uomini, per ingenerare nelle persone che sono in preda della disperazione la persuasione che è necessario ripetere il battesimo.

Gli Apostoli, però, conformemente a quanto aveva loro insegnato Cristo, si sono fatti maestri di penitenza, hanno assicurato il perdono, hanno rimesso il peccato. Così anche David, il quale ha detto: "Beati coloro le cui colpe sono rimesse e i cui peccati sono coperti; beato l'uomo cui il Signore non ha addebitato il peccato". Ha detto beato colui la cui colpa è rimessa mediante il battesimo, e colui il cui peccato è coperto dalle opere buone. Chi esercita la penitenza deve non solo lavare la colpa con le lacrime, ma occultare con azioni migliori e ricoprire quasi le infamie del passato, perché non gli sia addebitato il peccato.

Copriamo, dunque, le nostre iniquità con le opere compiute dopo aver peccato. Emendiamo le colpe con le lacrime, perché il Signore ci oda mentre ci lamentiamo, così come ascoltò Efraim che piangeva. Dio medesimo ha detto: "Ho prestato ascolto, ho udito Efraim rammaricarsi". E ha ripetuto le parole medesime di Efraim che si lamentava: "Tu mi hai castigato e io ho subito il castigo; come un torello non sono stato domato". Il torello, infatti, ruzza, abbandona la greppia, perciò Efraim "come un torello, non è stato domato". Se ne sta lontano dalla greppia, giacché ha abbandonato "la greppia del Padrone" e, seguendo Geroboamo, ha adorato i vitelli. Calamità questa che il profeta Aronne aveva vaticinato che sarebbe accaduta: il popolo, cioè, dei Giudei sarebbe caduto nell'apostasia. Perciò, facendo penitenza dice: "Convertimi e io mi convertirò, poiché tu sei il mio Padrone; poiché mi sono pentito dopo il mio smarrimento e, dopo che ti ho conosciuto, ho pianto sui giorni della confusione; mi sono umiliato al tuo cospetto, giacché ho provato l'onta ignominiosa e ti ho testimoniato".

Possiamo constatare che si debba esercitare la penitenza, con quali parole, con quali lacrime. Egli chiamò addirittura "giorni della confusione" quelli del peccato. Regna, infatti, confusione quando Cristo è ripudiato.

Umiliamoci, dunque, innanzi a Dio. Non rimaniamo nella soggezione della colpa. Vergognamoci al ricordo dei nostri peccati e non meniamone vanto quasi fossero bravura alla maniera di alcuni che si esaltano perché il pudore è stato da loro debellato e la giustizia soffocata. La nostra conversione sia tale che proprio noi che non conoscevamo Dio possiamo testimoniare agli altri e il Signore commosso da questo nostro mutamento d'animo, risponda: "Dalla mia giovinezza tu sei, o Efraim, il figlio mio caro, il figlio, per così dire, prediletto. Me ne ricorderò sempre più vivamente, giacché le mie parole sono impresse in lui. Perciò, ha detto il Signore, mi sono mostrato sempre sollecito nei suoi riguardi e avrò misericordia di lui".

Quale pietà ci promette, lo dice più innanzi: "Ho reso ebbra l'anima tutta che era sitibonda e ho saziato l'anima tutta che era affamata: perciò, mi sono destato e ho guardato; il mio sonno mi pare soave". Intendiamo chiaramente che il Signore garantisce a tutti i suoi sacramenti. Perciò, tutti facciamo ritorno a lui.

Capitolo 6

Ma se essi non intendono convertirsi, fatelo almeno voi, che commettendo colpe di natura diversa, siete precipitati in basso dalle alte vette dell'innocenza e della fede. Abbiamo un buon Padrone che è disposto a perdonare tutti. Ti ha invitato, per bocca del profeta, dicendo: "Io, io cancello i tuoi peccati e non ne conserverò ricordo. Tu però, siine memore affinché possiamo sottoporci a giudizio". Dice: "Io non ne conserverò il ricordo, tu, invece, siine memore", cioè: "Non richiamo alla memoria le colpe che ti ho rimesse, quasi avvolte, per così dire, nell'oblio. Invece, "Tu siine memore". Dice: "Io non ne conserverò il ricordo" in virtù della grazia concessa, "Tu siine memore" per il miglioramento conseguito. Siine memore e tieni presente che ti è stato condonato il peccato, non perché, quasi persona senza macchia, ne meni vanto e, col volerti giustificare, ti renda maggiormente colpevole. Se desideri essere perdonato, confessa la tua colpa. Una confessione fatta con cuore contrito scioglie i nodi del peccato.

Puoi vedere che cosa "Dio, il tuo Dio" pretende da te: che tu conservi il ricordo della grazia avuta e non ne meni vanto "quasi che non l'abbia ricevuta". Puoi constatare con quale garanzia di perdono ti esorta ad attestare la colpa. Bada, perciò, che coll'opporre resistenza ai divini precetti non abbia a precipitare nella irreligiosità dei Giudei. Ad essi il Signore dice: "Abbiamo intonato un canto per voi e non avete danzato, abbiamo cantato nenie lamentose, e non avete pianto".

Un parlare comune questo, ma sublime il riposto significato. La necessità è, quindi, che non ci si lasci fuorviare dalla banale interpretazione del passo e si creda che ci siano imposti istrionici atteggiamenti di danza sfrenata e teatrali stravaganze: comportamento questo peccaminoso anche nella prima adolescenza. Dio ha comandato la danza che David eseguì davanti all'arca del Signore. Tutto ciò che conferisce prestigio alla religione è consentito. Non si deve, perciò, provare vergogna di qualsiasi forma di ossequio che dia contributo alla scrupolosa osservanza del culto di Cristo.

Non si parla, pertanto, della danza che si accompagna a lussuria raffinata, ma che ci mette in grado di muovere il corpo senza indolenza e di non lasciare che le membra impoltriscano a terra e perdano ogni vitalità a causa dell'appesantito incedere dei passi. Paolo danzava spiritualmente allorché agile entrava in lizza per il nostro bene. Egli non apprezzava i traguardi raggiunti, desiderava nuove mete, puntava diritto al premio di Cristo. Tu anche, sul punto di ricevere il battesimo, sei esortato a levare le mani al cielo, ad avere più agili i piedi per poter ascendere all'eterno. Questa è la danza alleata della fede e compagna della grazia.

Questo, dunque, l'arcano significato. "Abbiamo intonato per voi un canto, quello del Nuovo Testamento, e non avete danzato", non avete innalzato l'animo alla grazia spirituale. "Abbiamo cantato nenie lamentose e non avete pianto", cioè, non vi siete pentiti. Il popolo dei Giudei giacque nell'abbandono appunto perché non fece penitenza e rifiutò la grazia: penitenza della quale era stato banditore Giovanni, grazia di cui era stato elargitore Cristo. Questa la dona, per così dire, il Padrone, quella l'annunzia il servo. La Chiesa custodisce l'una e l'altra. E' così in grado di conseguire la grazia e di non ripudiare la penitenza. L'una, infatti, è dono di chi elargisce con generosità, l'altra è rimedio atto a guarire chi ha peccato.

Geremia non ignorò quale portentoso farmaco fosse la penitenza. Nei Lamenti fece ad essa ricorso in favore di Gerusalemme. Con queste parole ci fa vedere la città che fa penitenza: "Amaramente ha pianto nella notte, le lacrime scendono sulle guance; nessuno le reca conforto fra tutti i suoi amanti. Le strade di Sion sono in lutto". Ha aggiunto: "Per tali cose io piango" e "gli occhi miei si sono offuscati per le lacrime, perché chi mi confortava è lontano da me". Possiamo notare che Gerusalemme stimava dolorosissimo questo insieme di mali, perché mancava chi la confortasse nell'afflizione. Come voi, dunque, o Novaziani, pensate di togliere persino il conforto con il negare la speranza di una penitenza fruttuosa?

Prestino attenzione le persone che fanno penitenza, come debbano attendervi, con quale ardore d'animo, con quale interiore sconvolgimento, con quale mutamento di cuore: "Guarda, o Signore, quanto sono in angoscia; le mie viscere sono agitate" dal mio pianto, "il mio cuore è sconvolto dentro di me".

Hai appreso quale debba essere l'ardore dell'animo, quale la fede del cuore. Impara ora come debba regolarti nel comportamento esteriore. Il profeta dice: "Gli anziani della figlia di Sion siedono a terra in silenzio, hanno cosparso di cenere il loro capo, si sono cinti di sacco, hanno fatto curvare a terra le vergine elette di Gerusalemme. I miei occhi si sono consunti per le lacrime", si sono offuscati, "le mie viscere sono sconvolte", la mia gloria "è stata sparsa a terra".

Anche il popolo di Ninive così pianse e riuscì ad evitare il preannunziato sterminio dei suoi abitanti. La penitenza è farmaco di tale efficacia che abbiamo l'impressione che Dio medesimo muti consiglio. Dipende, perciò, da te soltanto il sottrarti al castigo. Il Signore vuole essere pregato, esige fede, suppliche in suo onore. Tu sei uomo, eppure pretendi di essere pregato per elargire il perdono. Pensi, dunque, che Dio sia disposto a concederti misericordia senza che tu lo solleciti?

Il Signore in persona pianse su Gerusalemme affinché, pur non essendo essa disposta, ottenesse il perdono in virtù delle lacrime di Dio. Egli vuole che piangiamo per evitare il castigo. E' scritto nel Vangelo: "O figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse".

David, pianse e ottenne che la divina pietà allontanasse la morte dal popolo che periva. Allorché, infatti, gli fu proposto di scegliere tra tre cose, optò per quella che gli permettesse maggiormente di fare tesoro della pietà del Signore. E tu ti vergogni di piangere le tue colpe, quando David ha comandato persino ai profeti di versare lacrime per il bene dei popoli?

Anche Ezechiele ebbe l'ordine di piangere su Gerusalemme e ricevette il volume al cui inizio è scritto: "Lamenti, canti, guai". Due argomenti tristi e uno piacevole. Chi, infatti, piangerà di più su questa terra, sarà salvo nella vita futura. "Il cuore dei saggi è in una casa in lutto, il cuore degli stolti in una casa in festa". Il Signore in persona dice: "Beati voi che piangete, perché riderete".

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