EPILOGO

Teresa di Gesù Bambino era già alla fine.

Ai primi di luglio era stata trasferita all'infermeria. Lì aveva scritto a matita le ultime righe del suo Manoscritto C. Con la febbre che la divorava, ma ancor più con un amore che la consumava tutta, aveva concluso il suo quadernetto «d'obbedienza», mormorando parole di fuoco sulla carità e sull'abbandono fiducioso nella misericordia di Dio. Era un po' il suo testamento. Il testamento che la legava alle sorelle e alla Chiesa. Ché in quei giorni i suoi panorami sembravano allargarsi incredibilmente. I Processi di beatificazione trasmettono espressioni profetiche che hanno dello strano sulla sua bocca. Si tratta di certezze che non ammettono dubbi o discussioni. Teresa parla dei suoi scritti autobiografici come di qualcosa che deve servire a fare amare Dio; accenna a difficoltà che la loro pubblicazione potrebbe incontrare; annuncia con termini chiari una sua missione. il sabato 17 luglio si era lasciata sfuggire: Sento che sto per entrare nel riposo... Ma sento soprattutto che sta per cominciare la mia missione, la mia missione di fare amare il buon Dio come l'amo io, di comunicare la mia piccola via alle anime. Se il buon Dio esaudirà i miei desideri, il mio cielo scorrera' sulla terra sino alla fine del mondo. Si, voglio passare il mio cielo a fare del bene sulla terra. Ciò che non è impossibile, perché gli Angeli, pur restando immersi nella visione beatifica, vegliano su di noi. Non potrò godere del riposo finché ci saranno anime da salvare. Ma quando l'Angelo avrà detto: Il tempo non è più!, allora mi riposerò, potrò gioire, perché il numero degli eletti sarà completo, e tutti saranno entrati nella gioia e nel riposo. Il mio cuore trasalisce a questo pensiero... Erano le idee che la possedevano in pieno in quei giorni. Il 13 luglio aveva scritto al chierico M. Bellière: Oh! fratello mio, come sono felice di morire!... Sono felice di morire, perché sento che questa è la volonta del buon Dio e che, molto più d'ora, potrò essere utile alle anime... Quando il mio caro fratellino partirà per l'Africa, lo seguirò, e non solo col pensiero... Più che parlargli nel linguaggio della terra, sarò di continuo accanto a lui, vedrò tutto quello che gli è necessario e non darò pace al buon Dio finché non mi avrà dato quanto desidero. Il giorno seguente era al p. Roulland che si rivolgeva: Conto molto di non stare inattiva in cielo, il mio desiderio è di lavorare ancora per la Chiesa e per le anime. E' quello che domando al buon Dio, e sono sicura che egli mi esaudirà. Forse che gli Angeli non si occupano continuamente di noi senza cessare mai di contemplare il volto di Dio, di perdersi nell'oceano senza rive dell'Amore? Perché Gesù non mi dovrebbe permettere d'imitarli?... Ciò che mi attira verso la patria dei cieli, è la chiamata del Signore, è la speranza di amarlo finalmente come ho tanto desiderato e il pensiero che potrò farlo amare da una moltitudine di anime che lo benediranno in eterno. Mentre queste speranze sbocciano nel suo spirito, Teresa è immersa nella notte più oscura. Dalla Pasqua del 1896 la sua fede è sottoposta alle tentazioni più violente. È una specie di agonia, ben più terribile di quella fisica, che l'accompagnerà fino alla morte. Anche se esternamente pare nella letizia, se le sue poesie e le sue lettere paiono riflettere la gioia di una creatura per la quale il velo della fede già si è squarciato, essa è in un “tunnel” di tenebra, senza un raggio di luce. Colpita della condizione dei fratelli senza fede, perché essi potessero giungere alla luce dell'incontro con Cristo, aveva pregato il Signore di essere ammessa «alla tavola dei peccatori». Il Signore l'aveva presa in parola, e le sue ultime settitnane più che mai diventarono una laboriosa ricerca di Dio nell'oscurità e nelle tenebre, un cantare ciò che voleva credere, un abbandonarsi generoso a Colui che si nascondeva per farsi cercare di più. Da lei e, con lei, da tante creature che essa fratemamente portava nel suo cuore. Nell'agosto, mentre il suo corpo andava consumandosi, le sfuggì una confessione che ha del tragico. Sapeste quali pensieri spaventosi m'ossessionano! Va imponendosi al mio spirito il ragionamento dei peggiori materialisti. Più tardi, in virtù dei nuovi continui progressi, la scienza spiegherà tutto naturalmente, si darà una ragione di evidenza a tutto quello che esiste e che ancora costituisce problema. Quante cose infatti sono ancora da scoprire! ecc. Io sogno di fare del bene dopo la mia morte, ma non lo potrò fare!... Avere simili pensieri quando si ama tanto il buon Dio! In fin dei conti offro tutto questo per ottenere la luce della fede ai poveri increduli! Ma è proprio il 10 agosto che, dopo aver contemplato una immagine di Giovanna d'Arco prigioniera, esclama: I santi incoraggiano anche me nella mia prigione. Mi dicono: Fino a quando sei nei ceppi, non puoi assolvere la tua missione; ma più tardi, dopo la tua morte, verrà il tempo delle tue conquiste. Comunque, anche legata al letto, ancor «prigioniera», già si dava apostolicamente con un fervore commovente. Se, ancora in piedi, nonostante la spossatezza, si trascinava ogni giorno nella «passeggiata» impostale dall'obbedienza, «camminando per un missionario», ora, convinta dell'inutilità delle medicine, continua ugualmente a prenderle, «per un missionario che non ha possibilità di procurarsele»; per le anime offre tutto quello che ha, anche se questo la porterà a presentarsi a Dio «a mani vuote»; per un suo confratello che ha lasciato l'Ordine e percorre la Francia seminando l'errore, prega, soffre e offre la sua ultima comunione il 17 agosto, festa di San Giacinto e onomastico del povero ex padre Loyson. E si abbandona, come dice a suor Maria del Sacro Cuore, a progetti, relativi alle grandi cose che farà in Cielo... Tornare sulla terra, recarsi lontano per aiutare i missionari, fare il possibile perché i bambini non muoiano senza il battesimo. Alla madre Maria di Gonzaga confida: Non mi rimane nulla in mano. Tutto quello che ho, tutto quello che guadagno è per la Chiesa e per le anime. E non teme di affermare che vuole acquistare meriti. Ma soggiunge subito: Si. Però non per me. Per i poveri peccatori, per le necessità di tutta la Chiesa, infine per gettare fiori a tutto il mondo, a giusti e peccatori. Pensa soprattutto ai fratelli senza fede, a quelli alla cui «mensa» aveva voluto sedere per portarli a Dio. E nelle ore angosciose, ossessionata da pensieri che vorrebbero strapparle nella fede il suo più grande tesoro, esclama: Offro tutte queste pene molto grandi per ottenere la luce della fede ai poveri increduli, per tutti coloro che s'allontanano dalla fede della Chiesa. Intanto la malattia progredisce. Se il 5 agosto cessano le emottisi violente che la tormentano dal 6 luglio, la tisi va facendo passi molto grandi. Di tanto in tanto la morte sembra imminente. Teresa, la quale confessa candidamente di non capire nulla della sua malattia, si abbandona tranquillamente. Attende che giunga il «ladro», un ladro di cui non ha affatto paura. «Il ladro è alla porta, le si dice; ne ha timore?». Per nulla, risponde. Non è alla porta, ma già dentro. Ma cos'è che lei chiede, Madre? Se ho paura del ladro? Come vuole che abbia paura di uno che amo tanto! Ma il ladro gioca, pare. Teresa non se ne preoccupa: Non desidero di morire più che di vivere: amo quello che Egli fa. Tuttavia le sofferenze vanno aumentando. Le notti si fanno lunghe e insonni, piene di sofferenze e di incubi. Di giorno l'oppressione, resa più pesante dal calore, le toglie il respiro. Non ne può più. Anche il lento e sommesso salmodiare delle sorelle le è un martirio. I nervi non reggono. Scongiura perché si preghi per lei: Sapeste che cosa avviene. Quanto poco basterebbe per perdere la pazienza... Non lo avrei mai creduto! Una espressione che richiama quella dell'11 agosto: Non avrei mai immaginato di soffrire tanto. Le sfuggono dei piccoli gridi involontari di sofferenza. Sembra soffocare. Ha l'impressione di essere distesa su delle punte dolorose. Non si sa, le sfugge, cosa significhi soffrire in tal modo. E avverte «di non lasciare a sua disposizione delle medicine velenose per uso esterno, consigliando di non lasciarne mai a portata di malati che soffrirebbero fino a perder la ragione». Sarà quello che ripeterà ancora a tre giorni dalla morte a suor Maria della Trinità: Ah! se non avessi la fede, non potrei mai sopportare tante sofferenze. Mi meraviglio che tra coloro che non hanno fede non siano più numerosi quelli che si suicidano. Tuttavia è felice di soffrire. Non si pente di essersi consacrata all'amore. Vuole vivere fino in fondo la sua grazia di sofferente. Ed è perfino lieta d'una giocondità contagiosa. Suor Maria dell'Eucaristia lo rivela ripetutamente nei biglietti che scrive al padre, il Sig. Guérin, dandogli il resoconto della malattia di Teresa. «Ha sempre pronta la parola per far ridere... Se vedessi la nostra cara malatina, non potresti ritenerti dal ridere; bisogna che dica sempre qualcosa d'allegro. Dal momento che si è vista sicura di morire, è gaia quanto un fringuello. Ci sono dei momenti nei quali si pagherebbe il posto per esserle accanto... Quanto al morale, è sempre la stessa cosa, la stessa allegria, facendo ridere tutti coloro che l'avvicinano...». Dove la sorente, la vena nascosta di tanta letizia in mezzo a tanti dolori? E’ contenta solo della volontà di Dio, dirà alla fine d'agosto: Sono contenta di soffrire perché il buon Dio lo vuole. Avvicinandosi la fine, il suo cuore si dilata. La sofferenza aumenta, ma aumentano anche il realismo e la coerenza con cui l'accetta. Che cos'è scrivere belle cose sulla sofferenza? Nulla, nulla! Bisogna esserci per sapere!... Volevo soffrire per il Signore, ed è vero che lo desidero. E insieme riconosce che tutta la forza le viene da Dio. Cosa diverrei se d Signore misericordioso non mi desse energia?... Oh! come deve essere buono il Signore, perché io riesca a sopportare tutto quello che soffro! Si sente il bambino al quale il Padre dà momento per momento quel poco che può sopportare. E ritorna di frequente a questo riferimento al bambino, tanto che madre Agnese le chiede in agosto il significato dell'immagine. E Teresa: Restare piccolo è riconoscere il proprio nulla, è attendere tutto dal buon Dio, è non inquietarsi a dismisura delle proprie colpe. Infine non è guadagnare fortuna, non inquietarsi di nulla. Anche presso i poveri, finché il bimbo è piccolo, gli si da' quanto è necessario. Ma appena diventa grande, suo padre non vuole più mantenerlo, e gli dice: «Adesso lavora! Puoi bastare a te stesso». Proprio per non sentire questo non ho mai voluto crescere. Non mi sento capace di guadagnarmi la vita, la vita eterna. Fin dal 21 settembre Teresa avverte d'essere in una specie di agonia continua. Il 29 ci sarà il crollo. A mezzogiorno, rivolgendosi alla Priora, le dirà: Madre mia, è l'agonia? Come farò a morire? Non saprò mai morire! E dopo la visita del dottore chiederà ancora: E oggi?, manifestando la sua felicità alla risposta affermativa. Tuttavia il dolore la strazierà fino alla fine. Non ne posso più. Pregate per me. Se sapeste! Dopo Mattutino, di fronte al protrarsi delle sofferenze in aumento, gemerà: Sì, mio Dio, sì.. voglio proprio tutto. 30 settembre Teresa l'inaugurò con un pensiero alla Vergine. Per tutti quei mesi di martirio, aveva intensificato la sua unione contemplativa con la Madonna. Lo sguardo continuamente si era soffermato sulla statua del «Sorriso», trasferita in infermeria il giorno stesso nel quale vi era scesa Teresa. E a lei che si appoggia nell'ora grande. Come Gesù sulla Croce, guarda alla Madre. E da lei invoca la grazia di prepararla all'incontro con Dio. Nelle lunghe ore nelle quali va spegnendosi, dalle sue labbra escono espressioni che rivelano il suo stato, che dicono tutto il suo abbandono fedele al Signore. Il calice, è pieno fino all'orlo! Dio mio, sì, tutto quello che vuoi. Ma abbi pietà di me. Dio mio, Dio mio, voi siete tanto buono!... Oh, sì, voi siete buono, io lo so. Verso le tre del pomeriggio, Teresa mise le braccia in croce. Madre Maria di Gonzaga le posò sulle ginocchia un'immagine della Madonna del Carmelo del Van Oer. La guardò un istante, e poi: Madre mia, mi presenti subito alla Vergine Santa. Mi prepari a ben morire. La Priora le rispose che, avendo sempre capito e praticato l'umiltà, la preparazione era fatta. Teresa, riflettuto un attimo, uscì umilmente nell'asserzione: Si, mi pare di avere sempre cercato solo la verita! Sì, ho capito l'umiltà del cuore. Poi cominciò a farsi più viva la sofferenza. Una sofferenza dal volto nuovo, tuttavia. Teresa, pur nel martirio più doloroso, sembrava illuminata da una gioia profonda, da una forza sovrumana. Fu allora che le sfuggirono le parole: Tutto quello che ho scritto sui miei desideri di soffrire corrisponde perfettamente alla verità. Non mi pento di essermi offerta all'Amore. Oh, no, non mi pento di essermi offerta all'Amore, anzi...Non avrei mai creduto possibile soffrire tanto! Mai! Mai! Non posso spiegarmelo se non con i desideri ardenti che ho avuto di salvare le anime.

Ebbene. Avanti, avanti!... Non vorrei soffrire meno. Poi, verso le diciannove e qualche minuto, guardando il Crocifisso, le ultime parole: Oh... l'amo!... Dio mio... Vi amo!... Appena ebbe dette queste parole, Teresa cadde dolcemente indietro, la testa reclinata leggermente a destra. La madre Maria di Gonzaga richiamò in fretta la comunità, allontanata qualche istante prima, quando le condizioni dell'inferma sembravano stazionarie. E tutte le consorelle furono testimoni di una espressione di gioia, ammirazione, tranquillità che per lo spazio di un Credo il volto della morente, stranamente tornato al suo colore, sembrò avere, mentre gli occhi erano fissi verso l'alto, al di sopra della statua della Madonna del Sorriso. Poi, serenamente diede l'ultimo respiro. Erano le 19,20 circa del 30 settembre 1897. Io non muoio: entro nella vita, aveva scritto il 9 giugno precedente a Maurizio Bellière. Quel giovedì sera Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo entrava veramente nella vita. Aveva inizio «il tempo delle sue conquiste». Dal cielo cominciava a far scendere la «pioggia di rose» promessa.

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