STROFA 31

 

Da quel solo capello

che ondeggiar sul mio collo tu guardasti,

sul mio collo mirasti,

preso tu rimanesti,

da un occhio mio piagare ti lasciasti.

 

SPIEGAZIONE

 

3 - Tre cose l'anima vuol dire nella strofa presente: prima, vuol far capire come ,l'amore da cui sono legate le virtù. deve essere forte, poiché in verità deve essere tale per poterle conservare; seconda, afferma che Dio fu conquistato fortemente da questo suo capello di amore, vedendolo solo e forte; terza, dice che si è innamorato fortemente di lei, vedendo la purezza e l'integrità della sua fede.

Perciò dice:

 

Da quel solo capello

che ondeggiar sul mio collo tu guardasti.

 

4 - Il collo è la fortezza su cui, come dice l'anima, volava il capello dell'amore mediante il quale le virtù restano intrecciate. È un amore unito alla fortezza, poiché per conservare 'le virtù non basta l'amore solo, esso deve essere anche forte affinché nessun vizio contrario possa spezzare in qualche punto la ghirlanda della perfezione. Infatti queste virtù sono legate dal capello dell'amore dell'anima in maniera tale che, spezzatane una, subito verrebbero meno tutte le altre: esse stanno tutte dove se ne trova una, dove manca una mancano tutte.

L'anima afferma che il capello volava sul collo. Sul!a fortezza dell'anima, che è il collo, l'amore vola verso Dio con grande forza e agilità senza fermarsi in cosa alcuna. Come sul collo l'aria agita il capello facendolo volare, così l'afflato dello Spirito Santo agita grandemente l'amore forte perché spicchi il volo verso Dio. Senza quest'aura divina che spinge le potenze nell'esercizio dell'amore, le virtù, anche se presenti nell'anima, non compiono né producono i loro effetti.

Dicendo che l'Amato contempla volare sul collo questo capello, l'anima fa capire quanto Dio ami l'amore vigoroso. Infatti contemplare significa guardare qualcosa con particolare attenzione e stima; l'amore forte spinge Dio a rivolgere verso di lui i suoi occhi per guardarlo.

Quindi segue:

 

sul mio collo mirasti.

 

5 - Ella dice ciò per farci capire che Dio non solo ha apprezzato molto il suo amore perché vide che era unico, ma anche che l'amò, vedendolo che era forte: il mirar di Dio è il suo amare, come il suo contemplare è lo stimare ciò che contempla.

In questo verso l'anima ripete la parola collo, dicendo del capello sul mio collo mirasti, poiché il vederlo forte fu la causa per cui il Signore l'amò molto. Perciò è come se .dicesse: Lo amasti, vedendo che era forte senza pusillanimità e timore, solo, senz'altro amore, e che volava con leggerezza e con fervore.

 

6 - Fino a questo momento Dio non aveva mirato questo capello in modo da restare preso, poiché non l'aveva veduto solo e separato dagli altri capelli, cioè da altri amori e appetiti, affetti e gusti; esso quindi non volava sul collo della fortezza. Ma, dopo che per mezzo delle mortificazioni e dei travagli, delle tentazioni e della penitenza, è riuscito a staccarsi e a rendersi forte in modo da non spezzarsi in nessuna occasione e per nessuna forza, Dio lo mira, lo prende e vi attacca i fiori delle ghirlande, poiché il capello ha forza sufficiente per tenerli uniti nell'anima.

 

7 - Ma quali e come sian? queste tentazioni e travagli, e dove arrivino perché l'anima possa. giungere a questa forza di amore, nella quale il Signore si congiunge a lei, viene spiegato nel commento alle, quattro strofe che cominciano: O fiamma d'amor viva! L anima, essendo ormai. passata per quelle pene, è giunta a tal grado di amore di Dio da meritare l'unione con Lui.

Perciò dice subito:

 

preso tu rimanesti.

 

8 - O cosa veramente degna di ogni ammirazione e gioia: Dio resta preso da un capello!

La causa di questa cattura tanto preziosa va riposta nel fatto che Egli si è fermato a guardare il volo di questo capello, come si narra nei versi precedenti: il mirare .di 0.10 è amare, per cui, se Egli,. per la sua grande misericordia, non ci avesse prima guardati ed amati, c0me dice S. Giovanni (I Gv. 4, 10), e non si fosse abbassato, il volo del capello del nostro vile amore non avrebbe fatto in Lui alcuna presa, non volando tanto in alto da poter prendere questo divino uccello delle vette. Ma poiché Egli si è abbassato a mirarci, a invitarci al volo e a renderlo superiore al nostro amore dandoci valore a tale scopo, Egli stesso ha voluto essere preso in volo dal capello, vale a dire' Egli stesso se ne e invaghito, se ne è compiaciuto. e quindi ne e stato preso. Ciò vuol dire: Sul mio collo mirasti, - preso tu rimanesti. E' infatti possibile che un uccello di basso volo prenda un aquila reale dal volo sublime se questa, desiderando di essere presa, viene in basso.

 

Da un occhio mio piagare ti lasciasti.

 

9 - Per occhio qui si intende la fede. L'anima dice che Dio si è lasciato piagare da un occhio solo perché, se la fede dell'anima verso Dio non fosse sola ma mescolata con altri riguardi, non produrrebbe l'effetto. di piagare Dio di am0re. Perciò uno solo deve essere l'occhio da cui lo Sposo e piagato, come uno solo è il capello dal quale è stato preso. Ed e così forte l'amore con cui lo Sposo si affeziona alla sposa per la fedeltà unica che vede in lei, che se si è lasciato prendere dal capello del suo amore, nell'occhio della sua fede è legato da un nodo così stretto che amorosamente l'impiaga a causa della grande tenerezza dell'affetto con cui è stretto a lei, immergendola così sempre di più nel suo amore.

 

10 - Intorno al capello e all'occhio vengono dette le stesse cose dallo Sposo nel Cantico allorché parlando con la sposa dice: Tu hai ferito il mio cuore, sorella mia, hai ferito il mio cuore con uno dei tuoi occhi e con un capello del tuo collo (4, 9).

Ripete due volte che ella gli ha ferito il cuore, cioè con l'occhio e con il capello. Perciò nella strofa suddetta l'anima fa menzione di queste due cose per significare la sua unione con Dio secondo l'intelletto e la volontà, poiché la fede, significata dall'occhio, si soggetta nell'intelletto per fede e nella volontà per amore.

L'anima si gloria di questa unione e ringrazia di questa mercede il suo Sposo, perché l 'ha ricevuta dalle sue mani dando grande. importanza al fatto che Egli si sia degnato di compiacersi del suo amore e restarne preso. In ciò si può immaginare il gaudio, l'allegrezza e il diletto che l'anima proverà con un tal prigioniero, come colei che da tanto tempo era prigioniera di Lui, essendone innamorata.

 

NOTA SULLA STROFA SEGUENTE

 

I - Grande è il potere e la tecnica dell'amore che conquista e lega Dio stesso. Fortunata l'anima che ama, poiché ha il Signore come prigioniero, pronto a fare tutto ciò che essa vuole! Egli infatti ha una natura tale che, se lo prendono per amore e con le buone, gli faranno fare quanto vogliono, mentre, m caso contrario, non vi è parola e potere, per quanto forte, che valgano con Lui. Per amore invece lo legano con un solo capello.

L'anima conoscendo ciò e sapendo che al di sopra del suoi meriti Egli le ha fatto grazie tanto grandi da. elevarla id un grado di amore così alto con pegni ricchissimi di doni e virtù, attribuisce tutto a Lui nella strofa seguente.

 

STROFA 32

 

Quando tu mi miravi,

lor grazia in me imprimevan gli occhi tuoi;

di più quindi mi amavi,

perciò in te meritavano

gli occhi miei adorar quanto vedevano.

 

SPIEGAZIONE

 

2 - È una proprietà dell'amore perfetto non volere accettare né prendere niente per sé, né attribuire nulla a sé, ma tutto all'Amato. Se ciò avviene nell'amore umano, tanto più si verificherà in quello di Dio, dove la ragione lo richiede di più. . .

Nelle strofe precedenti sembra che la sposa si attribuisca qualche merito. Infatti afferma che, insieme con lo Sposo, avrebbe fatto le ghirlande intessendole con un suo capello, opera questa di molta importanza e valore, dice poi che lo Sposo è stato preso da un suo capello e piagato da un suo occhio, azioni per le quali sembra attribuirsi grandi meriti. Perciò nella strofa presente ella vuole manifestare le sue intenzioni e tener lontano il pericolo di essere fraintesa temendo che venga attribuito a lei qualche valore e merito e quindi che, contro il suo desiderio, si ascriva a Dio meno di quello che gli è dovuto.

Attribuendo quindi tutto a Lui e ringraziandolo, ella afferma che la causa per cui Egli si è lasciato imprigionare dal capello del suo amore e piagare dall'occhio della sua fede, . va ricercata nel fatto di averle Egli fatto la grazia di mirarla con amore, sguardo dal quale fu resa graziosa e a Lui .stesso gradita. In seguito a questa grazia e a questo valore ricevuto, ella meritò di amarlo e di avere in sé la virtù di adorare gradevolmente l'Amato e di compiere opere degne della sua grazia e del suo amore.

Segue il verso:

 

Quando tu mi miravi,

 

3 - vale a dire, con affetto di amore (è già stato detto che qui il mirare di Dio significa amare),

 

lor grazia in me imprimevan gli occhi tuoi.

 

4 - Per occhi dello Sposo l'anima intende la sua divinità misericordiosa la quale, piegandosi amorosamente verso di lei, le infonde il suo amore e la sua grazia mediante cui l'abbellisce e l'innalza tanto da renderla partecipe della stessa divinità.

Ella. vedendo la dignità e l'altezza in cui Egli l'ha collocata, dice:

 

di più quindi mi amavi .

5 - Amare di più ha .un significato molto più intensivo che, il semplice. amare, equivale quasi ad amare doppiamente cioè per due titoli o ragioni. In questo verso l'anima enuncia i. due motivi dell'amore che Egli le porta, in forza dei quali l ama non solo perché preso dal suo .capello, ma anche perché piagato dal suo occhio.

La causa per cui Egli l'ha amata in maniera così forte è, come ella dice in questo verso, perché, mirandola, ha voluto concederle la grazia per compiacersi di lei, dandole l amore del suo capello e formandole con la sua carità la fede del suo occhio. Perciò dice: Di più quindi mi amavi, poiché Dio, infondendo nell'anima la sua grazia, la rende; degna e capace del suo amore. È come se dicesse: poiché tu avevi collocato in me la tua grazia, alto pegno del tuo amore, perciò mi hai amato di più, cioè mi hai donato una grazia maggiore.

Ce ne parla S. Giovanni quando scrive che Dio dà la grazia in corrispondenza a quella che ha dato (I, 16) cioè, ne darà una maggiore, che non si può meritare senza la divina grazia.

 

6 - Per comprendere ciò è da notare che Dio, come non ama cose all'infuori di se stesso, così non ama alcuna cosa meno di sé, poiché ama tutto per sé. L'amore quindi diventa un fine, perciò Dio non ama le cose per quello che sono in sé. Per tale ragione quando ama un'anima, in certo modo la mette dentro di sé e l'uguaglia a sé; Egli dunque l'ama in sé e con sé, con lo stesso amore che porta a se stesso. L'anima quindi in ciascuna opera, perché la .fa in Dio, ne merita l'amore giacché, elevata a questa grazia sublime, in ogni opera che fa merita Dio stesso.

Per questo dice:

 

perciò in te meritavano.

 

7 - Nel grande favore e nella grazia fattami dai tuo! occhi misericordiosi quando mi guardarono, rendendomi gradita a te e degna di essere veduta dai tuoi, meritarono

 

gli occhi miei adorar quanto vedevano,

 

8 - vale a dire: le potenze della mia anima, che sono gli occhi con cui puoi essere veduto da me,. Sposo mio, meritarono di elevarsi per guardarti, mentre prima a causa della miseria e del loro imperfetto modo di operare e delle loro virtù naturali erano misere e vili, poiché per l'anima poter mirare Dio equivale a compiere opere in grazia di Dio. Le sue potenze ormai meritavano di adorarlo, perché adoravano in grazia del loro Dio per mezzo di cui ogni azione diventa meritoria. Adoravano quello che ormai vedevano in Lui, illuminati ed elevati dalla sua grazia e dal suo favore, cosa che prima non potevano vedere per la loro cecità e viltà.

Che cos'era dunque quello che vedevano? Vedevano una grande virtù, una soavità copiosa, una bontà immensa, amore e misericordia, innumerevoli benefici ricevuti da Lui, sia quando erano in grazia che quando non lo erano. Gli occhi dell'anima meritavano di adorare con merito tutto ciò giacché ormai erano accetti allo Sposo. Prima invece non solo non meritavano di adorarlo né di vederlo, ma non erano neppure degni di pensare a Lui, poiché grande è la rozzezza e la cecità di un'anima priva della grazia.

 

9 - Vi sarebbe molto da notare su questo punto e molto di che dolersi nel vedere quanto l'anima non illuminata dall'amore di Dio sia lontana da fare le cose a cui è tenuta. Infatti mentre è obbligata a conoscere i favori presenti e molti altri innumerevoli che ha ricevuto o riceve ogni momento, sia spirituali che materiali, e ad adorare e servire incessantemente Dio con tutte le sue potenze, non solo non lo fa, ma neppure merita di ricordarsi di farlo. A tal punto arriva la miseria di coloro che vivono o, meglio, giacciono morti nel peccato!

 

NOTA SULLA STROFA SEGUENTE

 

l-Per intendere di più quanto è stato detto e quanto si dirà, c'è da notare che lo sguardo di Dio produce nell'anima quattro beni: la purifica, l'abbellisce, l'arricchisce e la illumina, comportandosi come il sole il quale con i suoi raggi prosciuga, riscalda, abbellisce e. illumina. . . .

Dopo che Dio ha posto nell'anima gli ultimi tre beni, per mezzo dei quali ella diventa a Lui molto gradita, essa non si ricorda più della bruttura del peccato commesso in passato, secondo quanto Egli dice per mezzo di Ezechiele (18, 22). Avendoglielo cancellato una volta il Signore non glielo rinfaccia più, né d'altra parte cessa di farle grandi grazie poiché Egli non giudica due volte una cosa (Nah. I, 9).

Anche se Dio dimentica la malizia del peccato dopo averlo perdonato una volta, tuttavia l'anima non deve obliare i suoi peccati, seguendo il consiglio del Savio: Non essere senza il timore del peccato antico (Eccli. 5, 5). E ciò per tre ragioni: prima, per aver sempre motivo di non presumere; seconda, per aver sempre materia di cui ringraziare Dio; terza, per confidare maggiormente onde poter ricevere di più. Infatti, se stando in peccato ha ricevuto da Dio tanto bene, quante grazie non potrà sperare, essendo stabilita nell'amore di Dio e libera dal peccato?

 

2 - Ricordandosi dunque l'anima di tutte le grazie ricevute, vedendosi collocata a fianco dello Sposo con tanta dignità, si rallegra grandemente con sentimento di gratitudine e di amore. Viene molto aiutata in ciò dalla memoria del suo primiero stato vile ed impuro, in cui non solo era indegna e immeritevole di essere guardata da Dio, ma anche di pronunziarne il nome con le sue labbra, secondo quello che Egli dice per mezzo di David (Sal. 15, 4). Perciò, conoscendo di non avere né di poter avere alcun motivo per essere mirata ed elevata dal Signore, ma che tale ragione esiste solo da parte di Dio, cioè per la sua divina grazia e liberalità, attribuisce a sé ogni sua miseria e all'Amato tutti i beni che possiede. E vedendo che per questo ormai merita ciò che prima non meritava, prende animo e ardire per chiedergli che continui ad elargirle la divina unione spirituale, in cui le si moltiplichino le grazie. Di tutto ciò parla nella strofa seguente.

 

STROFA 33

 

Non voler disprezzarmi,

se di colore bruno mi hai trovata

ormai puoi ben mirarmi

dopo avermi guardata,

e grazia e beltà in me aver lasciata.

 

SPIEGAZIONE

 

3 - La sposa ormai incoraggiata e inorgoglita dai pegni e dai doni ricevuti dall'Amato, accorgendosi che sebbene di suo non valga niente e non abbia alcun diritto' ad essere apprezzata, tuttavia in forza di quei doni divini merita di essere stimata, diventa ardita con l'Amato. Lo prega quindi di non disprezzarla più poiché, se prima lo meritava per la bruttezza della sua colpa e la viltà della sua natura ora invece, dopo che è stata guardata la prima volta da' Lui, sguardo col quale l'ha ornata della sua grazia e rivestita' della sua bellezza, non lo merita più. Egli quindi può mirarla una seconda volta e altre ancora, accrescendole grazia e bellezza, poiché, se l ha guardata quando non lo meritava e non era disposta, tanto più lo può fare ora che vi è una ragione sufficiente. I

 

Non voler disprezzarmi.

 

4 - La sposa non dice ciò quasi che voglia essere tenuta un po' in considerazione, perché anzi chi ama vera-; mente Dio preferisce e gode dei disprezzi e dei vituperi; vedendo che da parte sua non merita altro. Ella dice cosi: unicamente per i doni ricevuti da Dio, secondo quanto spiega:

 

se di colore bruno mi hai trovata,

 

5 – ossia, se prima di mirarmi graziosamente, hai trovato in me la bruttura di colpe e di imperfezioni e la viltà della condizione naturale,

 

ormai puoi ben mirarmi

dopo avermi guardata.

 

6 - Dopo avermi guardata, togliendomi questo colore bruno e brutto della colpa con il quale non ero degna di essere guardata quando mi concedesti la grazia per la prima volta; ormai Pl40i ben mirarmi, cioè merito di essere veduta ricevendo nuova grazia dai tuoi occhi. Infatti mirandomi la prima volta, non solo mi togliesti il color bruno, ma mi rendesti degna di esser veduta, perché con il tuo sguardo amoroso

 

grazia e beltà in me lasciasti.

 

7 - Quanto l'anima ha detto nei due ultimi versi serve a farci comprendere ciò che S. Giovanni afferma nel suo Vangelo (I, 16), cioè che Dio dà grazia per grazia, poiché quando vede un'anima accetta ai suoi occhi, Egli si sente spinto a farle nuove grazie, perché inabita in lei molto contento. Mosè, consapevole della cosa, chiese a Dio una grazia maggiore facendo leva su quello che possedeva di già: Tu dici che mi conosci per nome e che ho trovato grazia al tuo cospetto; se è così, mostrami il tuo volto, affinché io ti conosca e trovi grazia dinanzi ai tuoi occhi (Es. 33, 12.-13).

E poiché, per mezzo di questa grazia, l'anima davanti a Lui è esaltata, ornata e resa più bella, da Lui è amata in modo ineffabile. E quindi, se prima che stesse in grazia di. Dio Egli l'amava per se solo, ora l'ama non soltanto per sé, ma anche per lei. Perciò, innamorato della sua bellezza mediante gli effetti e le opere di lei, ed anche senza di essi, le comunica sempre amore e grazia in maggior quantità, t mentre più l'onora ed esalta, sempre più se ne invaghisce e innamora.

Dio stesso ci fa comprendere la cosa in Isaia, parlando con il suo amico Giacobbe: Poiché a miei occhi sei diventato degno di onore e di gloria, io ti ho amato (43, 4), come per dire: dopo che i miei occhi guardandoti ti hanno infuso la grazia rendendoti quindi glorioso e degno di onore al mio cospetto, hai meritato un maggior numero dei miei favori, perché Dio fa grazie più numerose quando ama di più.

E la sposa dei Cantici esprime lo stesso concetto alle altre anime dicendo (I, 4): Sono bruna, ma bella, figlie di Gerusalemme, perciò il Re mi ha amato e introdotto nell'interno della sua camera nuziale. È come se dicesse: O anime ignare di tali grazie, non vi meravigliate se il Re celeste mi ha fatto favori così grandi da introdurmi nella intimità del suo amore poiché, quantunque di mio sia bruna, Egli, dopo avermi guardato la prima volta, ha posato su di me i suoi occhi in maniera che non si è contentato finché non mi ha fatto sua sposa e non mi ha ammesso nella intimità del suo amore.

 

8 - Chi potrà dire dove giunge la munificenza di Dio nell'esaltare un'anima, quando si compiace di lei? Non si può neppure immaginare, poiché Egli, per dimostrare chi è, agisce come solo Dio può fare. È possibile solo intendere qualche cosa riflettendo al modo di agire di Dio, il quale è solito dare di più a chi più possiede, moltiplicando il dono,. cioè, in proporzione a quello che l'anima aveva prima. Lo dice nel Vangelo (Mt. 13, 12): A chi ha, sarà dato e sarà nell'abbondanza; a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. Perciò al servo, che non lo aveva trafficato per timore del suo padrone, fu tolto il denaro e dato a chi ne aveva più di tutti insieme in grazia del suo signore.

Per questo Dio accumula i beni migliori e più importanti della sua casa, cioè quelli della sua Chiesa militante e trionfante, in colui che più è suo amico per onorarlo e glorificarlo maggiormente, come una luce grande ne assorbe in sé molte altre piccole. Così Dio fa intendere nel surriferito testo di Isaia (43, 3-4), inteso in senso spirituale, dove, parlando con Giacobbe, dice: Io sono il Signore tuo, il Santo di Israele, tuo Salvatore; ho dato l'Egitto in prezzo del tuo riscatto, l'Etiopia e Saba in cambio di te; e darò uomini per te e popoli per l'anima tua.

 

9 - Ben puoi, o mio Dio, mirare ed apprezzare grandemente chi hai già guardata altra volta, giacché con un tuo primo sguardo le hai dato valore e pregio in forza dei quali ella merita di essere mirata altre volte ancora. Infatti, come lo Spirito Santo afferma nel libro di Ester: Di tale onore è degno colui che il re vuole onorare (6, II).

 

NOTA SULLA STROFA SEGUENTE

 

I - I regali da amico fatti all'anima dallo Sposo in questo stato sono inestimabili, le lodi e le espressioni di divino amore scambiate fra loro sono ineffabili. Ella si dedica completamente a lodare e ringraziare Lui, ed Egli a glorificare, lodare e ringraziare lei. La cosa è ben visibile nel Cantico (I, 14-15), dove lo Sposo parlando con la sposa le dice: Ecco che tu sei bella, amica mia, ecco che tu sei bella e i tuoi occhi sono come quelli della colomba, a cui ella risponde: Ecco che tu sei bello, amato mio, e leggiadro. A queste si aggiungano molte altre espressioni di lode che si scambiano l'un l'altra ad ogni passo del Cantico. L'anima nella strofa precedente disprezzava sé dicendo di essere bruna e brutta, mentre lodava Lui dicendolo bello e grazioso, poiché con un suo sguardo aveva infuso in lei grazia e bellezza. E il Signore, il quale ha l'abitudine di esaltare chi SI umilia, posa su di lei, che glielo ha chiesto, gli occhi e nella strofa che segue la loda, chiamandola non bruna, come ella si disse, ma bianca colomba e mettendone in risalto le ottime qualità simili a quelle della colomba e della tortora.

Quindi dice:

 

STROFA 34

 

La bianca colombella

col ramoscello all'arca è ritornata;

e già la tortorella

il suo compagno amato

lungo il verde ruscello ha ritrovato.

 

SPIEGAZIONE

 

2 - In questa strofa parla lo Sposo cantando la purezza di cui è dotata l'anima in tale stato e le ricchezze e il premio che essa ha conseguito essendosi faticosamente disposta per raggiungerlo. Canta inoltre la sorte felice da lei avuta nell'aver trovato lo Sposo in questa unione mettendo in risalto il coronamento dei desideri, la gioia e il conforto nel possesso di Dio, poiché finalmente sono terminati i travagli e le angustie della vita passata.

Perciò dice:

 

La bianca colombella.

 

3 - La chiama bianca per il candore e la purezza ricevuta dalla grazia che ha trovato in Dio. La chiama colomba, usando un termine usato nel Cantico (2, IO), per indicarne la semplicità e la mansuetudine della natura e l'amorosa contemplazione di cui ella gode. Infatti la colomba non solo è semplice, mite e senza fiele, ma possiede anche gli occhi luminosi e amorosi. Per indicare quindi la contemplazione amorosa con cui l'anima fissa Dio, lo Sposo dice ancora nel Cantico (I, 14) che essa ha gli occhi di colomba. Di essa aggiunge:

 

col ramoscello all'arca è ritornata.

 

4 - Paragona l'anima alla colomba dell'arca di. Noè, prendendo l'andirivieni di questa dall'arca come simbolo di quanto accade a lei nel presente stato. Infatti ad essa è accaduto come alla colomba uscita dall'arca di Noè la quale, non trovando un luogo dove posare il piede in mezzo alle acque del diluvio, usciva ed entrava nell'arca finché non vi tornò con un ramo di olivo nel becco, quale segno della misericordia di Dio che aveva fatto cessare le acque sulla terra sommersa dal diluvio (Gen. 8, 8-1 I). Uscita fuori dell'arca della onnipotenza divina, cosa che è avvenuta al momento della creazione, dopo essere andata raminga per le acque del diluvio dei peccati e delle imperfezioni, per le aure delle ansie amorose l'anima torna all'arca del petto del suo Creatore, senza che di fatto riesca ad esservi accolta. Finalmente, avendo Dio fatto cessare sopra la sua terra tutte le acque delle imperfezioni, questa colomba è tornata al felice e sicuro asilo del petto dell'Amato, con il ramo di olivo, simbolo non solo della vittoria che per la clemenza e misericordia del Signore ha riportato su tutti i suoi nemici, ma anche del premio conferito ai suoi meriti, poiché l'una e l'altra cosa è significata dal ramo di olivo. Perciò la colombella ora torna all'arca del suo Dio non solo bianca e pura come ne era uscita al momento della creazione, ma anche con l'aumento del ramo del premio e della pace conseguiti con la vittoria su di se stessa.

 

E già la tortorella

il suo compagno amato

lungo il verde ruscello ha ritrovato.

 

5 - Qui l'anima viene chiamata tortorella poiché nella ricerca dello Sposo ella si comporta come questo uccello quando non trova il compagno amato.

Per comprendere meglio la cosa è necessario sapere che la tortora, quando non trova il consorte, non si posa sul ramo verde, non beve l'acqua chiara e fresca, non si riposa all'ombra e rifugge la compagnia degli altri uccelli; riunita invece a lui, prende diletto in tutte queste cose.

L'anima ha tutte queste proprietà della tortora, ed anzi è bene che le possieda, per giungere all'unione con lo Sposo, il Figlio di Dio. Infatti le conviene avere tanto amore e tanta sollecitudine in modo da non posare il piede dell'appetito sul ramo verde di nessun diletto, né di bere l'acqua chiara di nessuno onore e gloria mondana, né quella fresca di nessun refrigerio o conforto temporale. Non deve mettersi all'ombra di qualche favore o protezione di una creatura, non deve cercare riposo in nessuna cosa né la compagnia di altri affetti, ma deve piuttosto gemere per la solitudine totale finché non trova lo Sposo con soddisfazione perfetta.

 

6 - Poiché quest'anima, prima di giungere a tale stato, come la tortorella se ne andava con grande amore in cerca del suo Amato, non trovando né volendo trovare conforto se non in Lui, lo Sposo in persona canta ora la fine delle fatiche e il compimento dei desideri di lei dicendo: E già la tortorella - il suo compagno amato - lungo il verde ruscello ha ritrovato. Dice dunque che ella ormai se ne sta su un ramo verde, provando diletto nell'Amato, che beve ormai l'acqua chiara della sublime contemplazione e sapienza divina e quella fresca del refrigerio e della gioia che prova in Lui, e infine che si è posta sotto l'ombra della sua protezione e del suo favore, tanto desiderati, dove è consolata e ristorata saporosamente e divinamente, secondo quanto afferma con gioia nel Cantico: Mi sono seduta sotto l'ombra di chi desideravo, e il suo frutto è dolce al mio palato (2,3).

 

I - Lo Sposo continua a parlare dimostrando la sua gioia per il bene conseguito dalla sposa per mezzo della solitudine in cui ha scelto di vivere, che è una pace stabile e un bene inestimabile. Quando un'anima giunge a confermarsi nella quiete dell'unico e solitario amore dello Sposo, come ha fatto questa di cui si parla, si stabilisce tanto amorosamente in Dio e Dio in lei, che non ha più bisogno di altri mezzi e maestri che la guidino a Lui, poiché Egli è ormai sua guida e sua luce, compiendo in lei quanto promette in Osea (2, 14): La condurrò nella solitudine e lì parlerò al suo cuore. Con tali parole vuol fare capire che nella solitudine Egli si comunica e unisce all'anima, poiché parlare al cuore vuol dire renderle soddisfatto il cuore il quale non si appaga con cosa inferiore a Dio. Perciò lo Sposo dice:

 

STROFA 35

 

Nel deserto viveva,

e nel deserto ha fatto già il suo nido,

nel deserto la guida

da solo il suo Diletto,

nel deserto anch'ei d'amor ferito.

 

SPIEGAZIONE

 

2 - In questa strofa lo Sposo dice due cose. La prima è quella di lodare la solitudine in cui l'anima ha voluto vivere. Afferma che essa le è servita di mezzo per trovare l'Amato e godere di Lui, lontana da ogni pena e fatica del passato. Infatti, poiché ella ha voluto mantenersi nella solitudine di ogni gusto, conforto e aiuto creato per giungere alla compagnia con il Diletto, ha meritato di entrare in possesso della solitudine pacifica, in cui ora riposa lontana da ogni molestia. La seconda è che, avendo voluto rimanere lontana da ogni cosa creata per amore del suo Sposo, Lui stesso, innamorato di lei a causa di questa solitudine, se ne è preso cura, sollevandola sulle braccia, pascendola in sé di tutti i beni, e guidandone lo spirito verso le profondità di Dio.

Non solo dice di essere la sua guida, ma soggiunge di farlo da se solo, senza servirsi di intermediari, né di Angeli né di uomini, né di forme né di immagini perché l'anima così solitaria gode vera libertà di spirito e non è legata a nessuno di questi mezzi.

Dice il verso:

 

Nel deserto viveva.

 

3 - La tortorella suddetta, cioè l'anima, viveva nella solitudine prima di incontrarsi con l'Amato in questo stato di unione. L'anima che desidera Dio, in nessuna cosa trova conforto e compagnia; anzi, finché non lo trova, tutto le è causa di maggior solitudine.

 

E nel deserto ha fatto già il suo nido.

 

4 - La solitudine in cui viveva consisteva nel volere essere priva per amore dello Sposo di tutti i beni del mondo, secondo quanto si è detto della tortorella, sforzandosi di divenire perfetta, acquistando la perfetta solitudine in cui si giunge all'unione con il Verbo e quindi al completo refrigerio e riposo, come viene qui significato dalla parola nido, che significa quiete e riposo.

E così è come se dicesse: nella solitudine in cui prima viveva, esercitandosi con travagli ed angustie, poiché non era perfetta, ha posto ora il suo riposo e il suo refrigerio, avendolo acquistato perfettamente in Dio. Perciò parlando spiritualmente David dice: Infatti il passero ha trovato per sé la casa, e la tortora il nido dove allevare i suoi piccoli (Sal. 83, 4) cioè, ha trovato in Dio un luogo dove soddisfare i suoi appetiti e le sue potenze.

 

Nel deserto la guida.

 

5 - Vale a dire: in questa solitudine di tutte le cose in cui se ne sta sola con Dio, Egli la guida, la muove e la innalza a cose divine; ne eleva l'intelletto a conoscenze divine, perché è solo e nudo da altre nozioni opposte e peregrine, muove liberamente la volontà all'amore di Dio, perché è ormai sola e libera da altri affetti, riempie la memoria di divine nozioni, poiché anch'essa è sola e vuota di altre immaginazioni e fantasie.

Appena l'anima libera queste potenze vuotandole di tutto ciò che è terreno e dall'attaccamento a ciò che è celeste, lasciandole sole, Dio immediatamente le impiega in quello che è invisibile e divino. È Lui che allora la guida in questo deserto, avvenendo quanto S. Paolo dice dei perfetti: Qui spiritu Dei aguntur, etc. (Rom. 8, 14) - Sono mossi dallo Spirito di Dio, che equivale a dire: Nel deserto la guida

 

da solo il suo Diletto,

 

6 - ossia, non solo la guida nella solitudine sua, ma è Lui stesso da sé, che opera in lei senza alcun intermedia rio. È proprio di questa unione dell'anima con Dio ne matrimonio spirituale che il Signore agisca e si comunichi a lei da sé, senza intervento di Angeli, come per il passato, e senza servirsi della capacità naturale. I sensi estero ed interni, tutte le creature e l'anima stessa possono fare molto poco per ricevere le grandi grazie soprannaturali che Dio le elargisce in questo stato. Queste esulano dalla capacità, dall'opera naturale e dalla diligenza dell'anima: Egli le compie da solo in lei.

Ciò accade perché la trova sola e quindi non vuole darle altra compagnia, non affidandola ad altri che a SI solo. Inoltre, avendo l'anima abbandonato tutto ed essendo passata attraverso tutti i mezzi per ascendere a Dio sopra tutte le cose, è conveniente che Egli da sé ne diventi l: guida e il mezzo per condurla a sé. Poiché l'anima è salita sopra tutto in solitudine di ogni cosa, niente le giova né le serve per salire se non il Verbo suo Sposo il quale ne è così innamorato che da sé vuoi farle queste grazie.

Quindi dice subito:

 

nel deserto anch'ei d'amor ferito,

 

7 - cioè della sposa. Infatti lo Sposo, oltre ad amare grandemente la solitudine dell'anima, molto di più è ferito dall'amore di lei perché essa, ferita a sua volta dall'amore di Lui, ha voluto rimanere sola da tutte le cose. E così Egli non l'ha voluta lasciare sola ma, ferito da lei per la solitudine in cui essa si trova per amore di Lui, vedendo che non trova soddisfazione in nessuna altra cosa, la guida da se stesso, traendola e assorbendola in sé, il che non avrebbe fatto se non l'avesse trovata in solitudine spirituale.

 

NOTA SULLA STROFA SEGUENTE

 

I - Sembra strano il desiderio degli amanti i quali preferiscono godere da soli piuttosto che in compagnia di altri. Infatti, sebbene stiano insieme, basta la presenza di un estraneo perché non godano a loro agio, anche se parlano dello stesso argomento che tratterebbero se quello non fosse presente. La ragione è che, essendo l'amore unione di due persone sole, da soli gli amanti vogliono comunicarsi le proprie cose.

Collocata dunque l'anima sulla vetta della perfezione e della libertà dello spirito in Dio, cessate tutte le contrarietà e le ripugnanze del, senso, non ha più altra cosa a cui dedicarsi, né altro esercizio in cui occuparsi, se non quello di immergersi nei diletti e nelle gioie dell'intimo amore con lo Sposo. Così nel libro della Sacra Scrittura dedicato a lui, leggiamo che Tobia, dopo essere passato attraverso i travagli della povertà e delle tentazioni, riacquistò la vista per grazia di Dio e passò nella gioia il resto dei suoi giorni (14, 4). Così ora accade al!'anima di. cui stiamo parlando poiché i beni che vede m se sono fonti d~ grande gioia e diletto, come Isaia afferma. a proposito d,i quell'anima che, esercitatasi nelle opere di perfezione, e giunta a quel grado di cui stiamo parlando (58, 10-14).

 

2 - Rivolgendosi all'anima tanto perfetta, il Profeta dice: Allora in mezzo all'oscurità sorgerà la tua luce e le tue tenebre saranno come il mezzogiorno. E il Signore ti darà riposo sempre e sazierà di splendori l' anima . tua, e preserverà le tue ossa, e sarai come un giardino irrigato e come una fontana le cui acque non vengono mai meno. E saranno ripopolati per te i secolari deserti, alzerai le fondamenta di generazioni e generazioni,. e sarai chiamato restauratore di macerie, riconduttore di strade alla tranquillità. Se tratterai il tuo piede dai divertimenti il giorno di sabato, senza fare la tua volontà nel giorno a me consacrato; se chiamerai il sabato giorno delizioso, santo e glorioso del Signore, se lo venererai senza battere. le tue vie e. senza compiere la tua volontà, allora troverai la tua letizia nel Signore ed io ti solleverò alle supreme altezze della terra e ti ciberò dell'eredità di Giacobbe.

Fin qui le parole di Isaia in cui «l'eredità di Giacobbe» è Dio stesso. Perciò l'anima ad altro non attende se non a godere continuamente dei piaceri di. questo Cibo; una cosa sola le resta da desiderare: quella di goderlo perfettamente nella vita eterna.

Nella strofa che segue e nelle rimanenti l anima quindi si occupa di chiedere all'Amato questo cibo beatifico nella chiara visione di Dio.

Perciò dice:

 

STROFA 36

 

Godiam l'un l'altro, Amato,

in tua beltà a contemplarci andiamo

sul monte e la collina,

dove acqua pura sgorga;

dove è più folto dentro penetriamo.

 

SPIEGAZIONE

 

3 - Compiuta ormai l'unione perfetta di amore fra l'anima e Dio, ella desidera occuparsi ed esercitarsi nelle proprietà dell'amore. Perciò in questa strofa è lei che parla con lo Sposo chiedendogli tre cose proprie dell'amore.

In primo luogo desidera di riceverne il gaudio e il gusto, che ella chiede dicendo: Godiam l'un l'altro, Amato; quindi desidera di rendersi simile al Diletto e glielo domanda quando dice: In tua beltà a contemplarci andiamo; desidera infine scrutare e conoscere le cose e i segreti dell'Amato, e glielo chiede quando afferma: Dove è più folto dentro penetriamo.

Segue il verso:

 

Godiam l'un l'altro, Amato.

 

4 - Godiamoci, cioè nella comunicazione dell'amorosa dolcezza, non solo in quella che già possediamo nella ordinaria unione di noi due, ma in quella che ridonda dall'esercizio dell'amore effettivamente e attualmente, sia internamente con la volontà mediante atti di affetto, sia esternamente compiendo opere appartenenti al servizio dell'Amato.

Come è stato detto, l'amore, dove ha fissato la sua sede, ha questa proprietà: vuole sempre deliziarsi nelle sue gioie e nelle sue dolcezze, ossia nell'esercizio di amare interiormente ed esteriormente e fa tutto ciò per rendersi più simile all'Amato. Perciò dice subito:

 

in tua beltà a contemplarci andiamo;

 

5 - che significa: facciamo in modo che, per mezzo di questo esercizio di amore, giungiamo in cielo a specchiarci nella tua bellezza. Vale a dire: io sia trasformata nella tua bellezza tanto che, divenuta simile a te, anzi possedendo la tua stessa beltà, ci vediamo tutt'e due in essa. Ciò avvenga in maniera tale che, guardandoci l'un l'altro, ciascuno di noi veda nell'altro la propria bellezza giacché, essendo io già assorbita nella tua beltà, quella dell'uno e dell'altro è tua soltanto.

Così io vedrò te nella tua bellezza e tu me nella tua bellezza, e tu ti vedrai in me nella tua bellezza ed io mi vedrò in te nella tua bellezza. Che io sembri te nella tua bellezza e tu sembri me nella tua bellezza e la mia bellezza sia la tua e la tua sia la mia, così io sarò te nella tua bellezza e tu sarai me nella tua bellezza poiché la tua stessa bellezza sarà la mia.

Questa è l'adozione dei figli di Dio i quali con verità diranno a Lui ciò che dice lo stesso suo Figlio in San Giovanni (17, IO) all'Eterno Padre: Padre, tutte le mie cose sono tue e le tue sono mie. Egli lo dice per essenza perché Figlio naturale, noi per partecipazione perché figli adottivi. Perciò Egli dice ciò non solo per sé, che è i capo, ma per tutto il suo Corpo Mistico, cioè per la Chiesa la quale parteciperà alla stessa bellezza dello Sposo nel giorno del suo trionfo, che sarà quando vedrà Dio svelatamente Per questo l'anima chiede che essa e lo Sposo arrivino : specchiarsi nella bellezza di Lui

 

sul monte e la collina.

 

6 - Cioè andiamo verso la notizia mattutina ed essenziale di Dio (così la chiamano i teologi) che è una conoscenza nel Verbo divino, al quale per la sua altezza ora è dato il nome di monte, come dice Isaia invitandoci a conoscere il Figlio di Dio: Venite, saliamo al monte del Signore (2, 3), e altrove: Sarà preparato il monte della casa del Signore (2, 2). [Oppure andiamo al colle] cioè alla notizia vespertina, alla nozione di Dio nelle sue creature, opere e disposizioni mirabili, la quale qui è significata dal termine collina, perché è una sapienza più imperfetta di quella mattutina; ma l'anima dicendo: sul monte e la collina chiede l'una e l'altra.

 

7 - Dicendo quindi allo Sposo: in tua beltà a contemplarci andiamo - sul monte, lo prega: trasformami rendendomi simile alla bellezza della Sapienza divina (che è il Verbo Figlio di Dio). Dicendo: sulla collina, gli chiede di donarle la bellezza della sapienza meno perfetta, quella che si acquista per mezzo delle creature e delle sue misteriose opere; anche questa è bellezza del Figlio di Dio, intorno alla quale l'anima desidera essere illuminata.

 

8 - Ella non può specchiarsi in tale bellezza, se non si trasforma nella sapienza di Dio, in cui si accorge di possedere ogni cosa celeste e terrena. Su questo monte e su questa collina desidera giungere la sposa quando dice:

Salirò sul monte della mirra e sul colle dell'incenso (Cant. 4, 6), intendendo per «monte della mirra» la visione chiara di Dio e per «colle dell'incenso» la conoscenza di Lui nelle creature, poiché la mirra sul monte è di specie più nobile che l'incenso sul colle.

 

Dove acqua pura sgorga,

 

9 - vale a dire: dove viene concessa la nozione e sapienza di Dio, che qui viene detta acqua pura, all'intelletto, limpida e pura di accidenti e fantasmi e chiara senza le tenebre dell'ignoranza.

L'anima ha sempre il desiderio di intendere chiaramente e puramente le verità divine nella cui conoscenza tanto più desidera penetrare quanto più ama.

Chiede quindi la terza cosa:

 

dove è più folto dentro penetriamo.

 

10 - Penetriamo nel folto delle tue opere meravigliose e dei tuoi profondi giudizi, la cui moltitudine è tanta e cosi varia, che si può chiamare folto. In essi vi è infatti una sapienza cosi abbondante e cosi piena di misteri che noi possiamo dirla non solo folta, ma anche coagulata, secondo quanto dice David: Mons Dei, mons pinguis, mons coaguulatus, cioè: Il monte di Dio è un monte pingue e un monte coagulato (Sal. 67, 16).

Questa densità della sapienza e della scienza divina è cosi profonda e immensa che, per quanto la conosca, l'anima può entrare sempre più dentro, poiché essa è immensa e contiene delle ricchezze incomprensibili, secondo l'esclamazione di S. Paolo: O altezza delle ricchezze della sapienza e della scienza di Dio, quanto incomprensibili sono i suo, giudizi e imperscrutabili le sue vie! (Rom. I I, 33)·

 

11 - Tuttavia l'anima desidera entrare in questa densità incomprensibile dei giudizi e delle vie divine, poiché brama ardentemente di sprofondare nella loro conoscenza essendo questo un diletto inestimabile che trascende ogni senso. Perciò David, parlando del loro sapore, dice: i giudizi di Dio sono 'Veritieri e giusti in se stessi. Sono più desiderabili dell'oro e delle gemme preziose, più dolci del miele e del favo, cosicché anche il tuo servo li amò e li custodì (Sal. 18, 10-12).

Per questo l'anima desidera ardentemente di immergersi in questi giudizi e di conoscerli più a fondo; a tal scopo le sarebbe di grande conforto e gioia affrontare tutte le pene e tutti i dolori del mondo e tutto ciò che potesse servire di mezzo, per quanto possa essere difficoltoso e penoso, e persino le angustie e gli affanni della morte, P' di vedersi sempre più nell'intimità di Dio.

 

12 - Per il folto dove l'anima desidera di entrare intende anche molto giustamente la moltitudine di travagli e di tribolazioni a cui ella brama di andare incontro, poiché la sofferenza per lei è gustosissima e utilissima, essendo un mezzo per penetrare maggiormente nel folto della dilettevole sapienza di Dio. Infatti il dolore più puro porta con sé una conoscenza più intima e più pura e quindi una gioia più sublime e più pura, trattandosi di un sapere più intimo. Pertanto l'anima, non contentandosi di un modo qualsiasi di soffrire, prega: Dove è più folto dentro penetriamo, cioè per vedere Dio penetriamo fino alle pene di morte.

Perciò Giobbe, desiderando questa sofferenza, dice: Chi mi darà che si compia la mia domanda, e che Dio mi conceda quel che spero? Ch'Egli che ha cominciato, Lui stesso mi tronchi, sciolga la sua mano e ponga fine alla mia vita? E questa sia la mia consolazione, che Egli mi affligga con dolori senza avere pietà di me (6, 8-10).

 

13 - Oh, se l'anima riuscisse a capire che non si può giungere nel folto delle ricchezze e della sapienza di Dio, se non entrando dove più numerose sono le sofferenze di ogni genere riponendovi la sua consolazione e il suo desiderio! Come chi desidera veramente la sapienza divina, in primo luogo brama di entrare veramente nel folto della croce! Per questo S. Paolo ammoniva i discepoli di Efeso che non venissero meno nelle tribolazioni, ma stessero forti e radica ti nella carità, affinché potessero comprendere con tutti i Santi che cosa sia la lunghezza, la larghezza, l'altezza e la profondità e conoscessero pure la sovraeminente carità della scienza di Cristo, per essere ricolmi di tutta la pienezza di Dio (3, 13; 17-19). Per entrare dentro alle ricchezze della sapienza divina la porta è la croce che è stretta; pochi desiderano oltrepassarla, mentre sono molti coloro che amano i diletti a cui si giunge per suo mezzo.

 

NOTA SULLA STROFA SEGUENTE

 

I - Uno dei motivi principali. per cui l'anima ,desidera di essere sciolta e trovarsi con Cristo (Fil. I, 23) e quello di vedere a faccia a faccia e di capire radicalmente le profonde vie e i misteri eterni dell'Incarnazione del Verbo, In cui non consiste certo la parte minore della propria. beatitudine. Cristo stesso, parlando con il Padre, dice in San Giovanni (17 3): Questa è la vita eterna: che conoscano te, unico vero Dio, e il tuo Figlio Gesù Cristo, che hai inviato. Per questo, come una persona giunta di lontano, Prima di tutto cerca di vedere e di parlare con. chi ama, così l'anima, giungendo alla visione di Dio, in primo luogo cerca di conoscere e di godere i segreti e i misteri profondi della Incarnazione e le antiche vie di Dio che da essa dipendono. Pertanto appena ha finito di dire che desidera specchiarsi nella bellezza del Signore, soggiunge subito la seguente strofa:

 

STROFA 37

 

E quindi alle profonde

caverne della pietra ce ne andremo,

che sono ben celate,

colà noi entreremo,

di melagrana il succo gusteremo.

 

SPIEGAZIONE

 

2 - Una delle cause che maggiormente. spingono l'anima a desiderare di penetrare nelle profondità della sapienza divina e di conoscerne la bellezza è, come è stato detto, quella di giungere per questa via all'unione dell'intelletto con la conoscenza dei profondi misteri dell'Incarnazione del

Verbo, che per lei è la sapienza più sublime e gustosa che esista. La sposa quindi in questa strofa dice che, dopo essere penetrata più intimamente nella sapienza divina, cioè più intimamente del matrimonio spirituale di cui ora gode, il che avverrà nella gloria dove vedrà Dio a faccia a faccia e si unirà con questa sapienza divina, cioè con il Figlio di Dio, conoscerà i sublimi misteri dell'Uomo-Dio, che sono i più profondi in sapienza e nascosti in Dio. Insieme con lo Sposo, ella si addentrerà nella loro conoscenza, immergendovisi completamente, e gusterà il sapore e il diletto causato dalla loro conoscenza e dalle virtù e attributi divini che per mezzo dei misteri suddetti si scoprono in Dio, come sono la giustizia, la misericordia, la sapienza, la potenza, la carità, ecc.

 

E quindi alle profonde

caverne della pietra ce ne andremo.

 

3 - La pietra di cui ora si parla è il Cristo, secondo quanto S. Paolo scrive (I Cor. IO, 4). Le profonde caverne sono i misteri sublimi, alti e profondi della sapienza divina nascosti in Lui, che riguardano l'unione ipostatica della natura umana con il Verbo divino, la relazione che esiste fra questa e l'unione degli uomini con Dio, l'armonia fra la giustizia e la misericordia divina in rapporto alla salvezza del genere umano per la manifestazione dei suoi giudizi i quali, perché sono tanto alti e profondi, con molta proprietà vengono detti profonde caverne: profonde per l'altezza dei misteri, caverne per la profondità della sapienza divina nascosta in essi. Infatti, come le caverne sono profonde e hanno molte cavità, così qualsiasi mistero del Cristo è profondissimo in sapienza ed ha molte cavità di occulti giudizi di predestinazione e di prescienza relativa ai figli degli uomini.

Per questo dice subito:

 

che sono ben celate.

 

4 - Per quanto i misteri e le meraviglie scoperte dai santi dottori e intese dalle anime sante nel presente stato di vita siano molti, tuttavia ne è rimasta da dire e da capire la maggior parte e quindi c'è ancora molto, da approfondire in Cristo. Questi infatti è come una miniera ricca di immense vene di tesori, dei quali, per quanto si vada a fondo, non si trova la fine; anzi in ciascuna cavità si

scoprono nuove vene di ricchezze.

Perciò S. Paolo dice del Cristo (Col. 2, 3): In Cristo si trovano nascosti tutti i tesori della sapienza nei quali l'anima non può penetrare, se prima non passa per le strettezze della sofferenza interna ed esterna.

Infatti a quel poco dei misteri di Cristo che è possibile sapere in questa vita non si può. giungere senza aver. sofferto molto, aver ricevuto da DIO numerose grazie intellettuali e sensibili e senza aver fatto precedere un lungo esercizio spirituale, poiché tutte queste grazie sono più imperfette della sapienza dei misteri di Cristo, per la quale servono di semplice disposizione.

Chiedendo dunque Mosè a Dio di mostrargli la sua gloria (Es. 33, 18-19), si sentì rispondere che in questa vita egli non avrebbe potuto vederla;. gli sarebbe stato m~ strato invece tutto il bene possibile m terra. Il Signore rivelò questo bene al santo condottiero facendolo. entrare nella caverna di pietra, che, come e stato detto, e il Cristo, e mostrandogli il suo dorso (Ibid. 23), dandogli con ciò la conoscenza dei misteri dell'umanità di Cristo.

 

5 - L'anima quindi desidera penetrare in queste caverne per essere immersa, inebriata e trasformata completamente nell'amore della loro sapienza, nascondendosi nel seno dell'Amato. In questa caverna l'invita Egli nel Cantico dicendo: Alzati, affrettati, amica mia, sorella mia e vieni nei fori della pietra e nella caverna del .muro di cinta (2, 13-14), fori che sono le caverne di CUI stiamo parlando.

Di essi dice la sposa:

 

colà noi entreremo,

 

6 - colà, cioè in quelle notizie dei misteri divini, entreremo. Non dice «entrerò io sola », in apparenza più giusto perché lo Sposo non ha bisogno di entrare, ma entreremo io e l'Amato, per fare intendere che quest'opera non è compiuta da lei, ma da lei e dallo Sposo. Inoltre, poiché ormai l'anima e Dio nel presente stato del matrimonio spirituale sono intimamente uniti, ella non fa nessuna opera da sola senza l'aiuto di Dio.

Perciò colà noi entreremo equivale a dire: lì noi ci trasformeremo, cioè io mi trasformerò in te per amore dei dolci giudizi divini.

Infatti nella conoscenza della predestinazione dei buoni e della prescienza dei malvagi, per cui mezzo il Padre previene i giusti con le benedizioni della sua dolcezza (Sal. 20, 4) nel suo Figlio Gesù Cristo, l'anima in maniera sublime e stretta si trasforma in amore di Dio secondo queste notizie, amando e ringraziando nuovamente il Padre con grande gusto e diletto, per avere dato il suo Figlio Gesù Cristo. Ciò ella fa insieme con Lui.

Il sapore poi di questa lode è sì delicato che è totalmente ineffabile: l'anima lo dice nel verso seguente:

 

di melagrana il succo gusteremo.

 

7 - Le melagrane sono simbolo dei misteri di Cristo, dei giudizi della sapienza divina, delle virtù e degli attributi di Dio che dalla conoscenza di quei misteri e giudizi si vengono a conoscere in Lui, e che sono innumerevoli. Infatti come ogni melagrana contiene molti chicchi nati e contenuti nella sua cavità sferica, così ogni attributo, mistero, giudizio e virtù di Dio contiene in sé una grande moltitudine di effetti e provvidenze meravigliose di Dio, contenuti e sostentati nel seno sferico della virtù e del mistero che riguarda quei determinati effetti.

Si noti qui la figura circolare o sferica della melagrana, poiché per ciascuna di esse intendiamo una virtù e un attributo divino, attributo o virtù che sono lo stesso Dio, il quale, in quanto è senza principio e fine, viene simboleggiato dal cerchio o dalla sfera.

Poiché la sapienza divina contiene in sé giudizi e misteri senza numero, la sposa dei Cantici dice allo Sposo: il tuo seno è di avorio, smaltato di zaffiri (5, 14), dai quali vengono significati i misteri e giudizi suddetti della sapienza (simboleggiata nel «seno »), poiché lo zaffiro è una pietra preziosa del colore del cielo limpido e sereno.

 

8 - Il succo di queste melagrane che gusteranno lei e lo Sposo è la fruizione e il diletto dell'amore di Dio che ridonda nell'anima dalla conoscenza di quei misteri. Come da molti chicchi di melagrana quando si mangiano esce un unico succo, così da tutte queste meraviglie e grandezze di Dio infuse nell'anima ridonda in lei una sola fruizione e un solo diletto di amore, la bevanda dello Spirito Santo, cosa che ella offre subito a Dio, al Verbo, suo Sposo, con grande tenerezza della volontà. Ella infatti nel Cantico la promette allo Sposo, se Egli la introdurrà in queste notizie: Lì tu mi ammaestrerai ed io ti darò una bevanda di vino aromatico ed il succo delle mie melagrane (8, 2).

Chiama sue le divine notizie, quantunque siano di Dio che gliele ha date, e quindi essa, come proprie, le offre a Lui. L'anima dunque offre come bevanda al Signore il goodimento e la fruizione di tali notizie nel vino d'amore. Ecce ciò che significa di melagrana il succo gusteremo poiché, mentre lo gusta, Dio lo fa gustare anche all'anima la quale, gustandolo a sua volta lo fa gustare a Dio, e così il dilette è comune.

 

NOTA SULLA STROFA SEGUENTE

 

I - Nelle due ultime strofe la sposa ha cantato i ben che lo Sposo le dovrà concedere nella felicità eterna, dove sarà da Lui trasformata di fatto nella bellezza della sua sapienza creata ed increata e anche nella bellezza della unione del Verbo con l'umanità, per cui ella conoscerà Dio tanto di faccia che di spalle.

Nella strofa che. segue ella afferma due cose, esprime cioè il modo con cui gusterà il succo di vino degli zaffiri o delle. melagrane di cui ~a parlato e rammenta allo Sposo la gloria che le deve elargire per sua predestinazione.

È bene notare come tutti questi beni siano contenuti nell'unica gloria essenziale dell'anima, quantunque ella li descriva uno per uno.

Dice dunque:

 

STROFA 38

 

Colà mi mostrerai

quanto da te voleva l'alma mia

e tosto mi darai

colà tu, vita mia,

quello che l'altro giorno mi donasti.

 

SPIEGAZIONE

 

2 - Il fine per cui l'anima desiderava di entrare in quelle caverne era quello di pervenire interamente a ciò cui aveva sempre aspirato, alla consumazione dell'amore di Dio, eroe ,ad amare Dio con la purezza e perfezione con cui ella e amata da Lui e a rendergli il contraccambio.

Perciò, nella, presente strofa dice allo Sposo che Egli le mostrerà lì ciò che ella ha sempre bramato con tutti i suoi atti e i suoi propositi, le insegnerà cioè ad amare il Signore perfettamente come Egli ama se stesso. In secondo luogo afferma che Egli in questo stato le darà la gloria essenziale, alla quale l 'ha predestinata dal giorno della sua eternità.

 

Colà mi mostrerai

quanto dà te voleva l'alma mia.

 

3 - L'anima ora chiede l'uguaglianza di amore che ha sempre desiderato naturalmente e soprannaturalmente, poiché l'amante non può essere contento se non sa di amare tanto quanto è amato.

E poiché l'anima vede che con la sua trasformazione attuale in Dio, benché lo ami immensamente, non può giungere ad eguagliare l'amore con cui ella è amata da Lui per raggiungere questa meta, desidera la trasformazione gloriosa. Infatti, - anche se nel presente stato sublime vi ( una vera unione della volontà, tuttavia ella non può per· venire all'eminente qualità e forza di amore, propria della unione gloriosa. Infatti come ella conoscerà Dio come è conosciuta da Lui (I Cor. 13, 12), così allora l'amerà ano che come è amata da Lui, poiché come il suo intelletto sarà divino, cosi la sua volontà e il suo amore saranno divini Infatti, sebbene la sua volontà non sia perduta, tuttavia è unita tanto fortemente con la forza della volontà di Dio COI cui è amata da Lui, che lo ama tenacemente e perfettamente come è amata da Lui, essendo le due volontà unite in una sola volontà e in un solo amore di Dio. L'anima quindi ama Dio con la volontà e la forza di Dio stesso, unita con Il stessa forza di amore con cui è amata da Lui. Questa forza è nello Spirito Santo, in cui l'anima è trasformata poiché essendo infuso in lei per rafforzare questo amore, data Il trasformazione di gloria, supplisce in lei quanto le manca.

Questo avviene anche nella trasformazione perfetta dello stato matrimoniale a cui l'anima giunge in terra, ne quale è tutta rivestita di grazia e si può dire in qualche modo che ama per mezzo dello Spirito Santo, che le vieni dato (Rom. 5, 5) in tale trasformazione.

 

4 - Pertanto c'è da notare che l'anima non afferma ora che Dio le darà il suo amore anche se veramente glielo concede, poiché con ciò non significherebbe altro che l'amore di Dio verso di lei, ma che le insegnerà ad amarlo con la perfezione desiderata, poiché mentre le dà il suo amore le insegna ad amarlo come ella è amata da Lui.

Infatti, oltre ad insegnare all'anima ad amare puramente, liberamente e senza interesse, come Egli ci ama, trasformandola nel suo amore, fa sì che ella ami con la forza con cui è amata da Lui, conferendole quindi la sua stessa forza perché possa amarlo. È come se le ponesse in mano lo strumento e le insegnasse il modo per adoperarlo, usandolo insieme con lei, il che equivale ad insegnarle ad amare e dargliene la capacità.

Finché non raggiunge questa meta, l'anima non è contenta; non lo sarebbe neppure nell'altra vita se, come dice S. Tommaso in opusculo De Beatitudine, non si accorgesse di amare Dio quanto è amata da Lui. Se dunque nello stato del matrimonio spirituale non vi è la perfezione dell'amore glorioso, vi è però una viva immagine di quella perfezione, che è del tutto ineffabile.

 

E tosto mi darai

colà tu, vita mia,

quello che l'altro giorno mi donasti.

 

5 - Quello che lo Sposo, secondo quanto dice l'anima, darebbe tosto a lei è la gloria essenziale. consistente nella visione della natura di Dio. Perciò prima di andare oltre, è necessario sciogliere il dubbio seguente: se la gloria essenziale consiste nella visione e non nell'amore di Dio, perché l'anima afferma di desiderare non la gloria essenziale, ma l'amore ponendolo a principio della strofa, mentre come cosa di meno importanza mette dopo la richiesta della gloria essenziale? Ciò avviene per due ragioni: in primo luogo, perché il fine di tutte le cose è l'amore il quale ha per soggetto la volontà, la cui proprietà è quella di dare e non di ricevere, mentre proprietà dell'intelletto, che è soggetto della gloria essenziale, non è quella di dare, ma di ricevere. L'anima, ora inebriata di amore, non pensa alla gloria che dovrà ricevere da Dio, ma a darsi tutta a Lui con vero affetto, senza alcuna preoccupazione del proprio interesse.

In secondo luogo accade ciò perché nella prima richiesta è inclusa la seconda, la quale anzi è presupposta nella strofa precedente, poiché è impossibile giungere all'amore perfetto di Dio senza la perfetta visione di Lui. Quindi il dubbio proposto viene chiarito nella prima ragione, poiché l'anima con l'amore paga a Dio quanto gli deve, mentre con l'intelletto piuttosto riceve da Lui.

 

6 - Passando ora alla spiegazione, cerchiamo di capire che giorno sia l'altro di cui parla l'anima e che cosa sia quello datole allora da Dio e che ora ella gli chiede per quando sarà nella gloria. Per l'altro giorno l'anima intende il giorno dell'eternità di Dio, che è ben diverso da quello temporale. In quel giorno dell'eternità, Dio predestinò l'anima alla gloria, determinò quale le avrebbe dovuto dare e gliela dette liberamente a principio, prima che la creasse. Tutto ciò ormai appartiene all'anima in maniera tale che nessun avvenimento o contrasto di qualunque genere riuscirà mai a toglierglielo; anzi ella arriverà a possedere senza fine quel bene a cui Dio la predestinò senza principio. Questo è quello che le è stato dato l'altro giorno e che essa desidera possedere in modo aperto nella gloria.

Ma che cos'è quanto le dette allora? Occhio non vide, orecchio non udì, né cadde in pensiero umano, come dice l'Apostolo (I Cor. 2, 9)' Isaia poi aveva detto: Occhio non vide, o Signore, all'infuori di te, quello che preparasti, ecc. (64, 4), cosa che per non avere altro nome, viene detta dall'anima quello, che è la visione di Dio, ma non c'è altro termine all'infuori di quello per esprimere la natura di tale visione.

 

7 - Tuttavia per non tralasciare di dirne qualcosa, riferiamo quanto ne dice il Cristo a S. Giovanni nell'Apocalisse ~on molti termini~ vocaboli e con numerose comparazioni, m sette volte, poiché quel qualcosa non può essere compreso m un vocabolo, né detto in una volta, poiché anche dopo queste volte è rimasto ancora da dire.

Dice dunque il Signore: A chi vincerà, io darò da mangiare dell'albero della vita, che è nel paradiso del mio Dio (2, 7).

Ma poiché questa espressione non spiega bene il quello, ne aggiunge subito un'altra: Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita (2, 10).

Giacché anche questa frase non ne dà la spiegazione adatta, ne dice un'altra più oscura, ma che lo fa capire maggiormente: A chi vincerà, darò la manna nascosta e un sassolino bianco, sul quale è scritto un nome nuovo che nessuno conosce, ad eccezione di chi lo riceve (2, 17).

Tuttavia, non bastando neppure questa frase a spiegare il quello, il Figlio di Dio ne dice un'altra gioiosa e di grande potenza: A chi vincerà e compierà le mie opere fino alla fine, darò potere sulle genti, le reggerà con verga di ferro e come un vaso di argilla saranno stritolate, come anch'io ricevetti dal Padre mio. Gli darò la stella del mattino (2, 26-28).

E, non contento di ciò, dice poi: Chi vincerà, sarà vestito di vesti bianche e il suo nome non sarà mai cancellato dal libro della vita, io poi confesserò il nome suo davanti al Padre mio (3, 5).

 

8 - Ma poiché tutto ciò che è stato detto non riesce a spiegare il quello, preferisce ora numerosi termini i quali racchiudono in sé inestimabile maestà e grandezza: Chi vincerà - dice - sarà costituito come colonna nel tempio del mio Dio; non uscirà mai fuori e scriverò su di lui il nome del mio Dio e della città nuova del mio Dio, di Gerusalemme, che discende dal trono del mio Dio, ed anche il mio nome nuovo (3, 12).

Infine per spiegare il quello dice la settima frase: A colui che vincerà, concederò di sedere con me sul mio trono come io vinsi e mi sedetti con il Padre mio sul suo trono. Chi ha orecchie da intendere intenda, ecc. (3, 21-22). Fin qui sono parole del Figlio di Dio, dirette a far capire il quello; sono tutte molto appropriate, ma non lo spiegano del tutto, poiché le cose immense hanno di bello che tutti i termini di eccellenza, di qualità e di grandezza e bontà quadrano loro, ma nessuno e neppure tutti insieme riescono a spiegarle.

 

9 - Vediamo ora se David dice niente sul quello. In un salmo (30, 20) scrive: Quanto è grande l'abbondanza della tua dolcezza che nascondi per quei che ti temono! In altra parte ne parla come di un torrente di delizie: Lo farai bere al torrente delle tue delizie (Sal. 35, 9)· Ma poiché neppure in questo caso trova un termine che significhi la cosa, in un altro caso lo chiama anticipazione delle benedizioni della dolcezza di Dio (Sal. 20, 4)'

E così non si trova un nome che quadri al quello, cioè alla felicità alla quale l'anima fu predestinata dal Signore.

Per questo accettiamo il termine usato dall'anima e spieghiamo il verso in tal modo: Sposo mio, quello che mi desti nel giorno della tua eternità, cioè il cumulo di gloria al quale mi predestinasti, quando credesti bene decretare la mia creazione, me lo darai lassù nel giorno delle mie nozze e nel giorno della letizia del mio cuore allorché, liberatami dalla carne, entrata nelle profonde caverne del tuo talamo e trasformatami gloriosamente in te, berremo il succo delle soavi melagrane.

 

NOTA SULLA STROFA SEGUENTE

 

I - Nello stato di matrimonio spirituale, di cui ora trattiamo, l'anima riesce a sapere qualcosa di quello. Poiché, essendo trasformata in Dio, ne ha qualche esperienza parziale, non vuoi tralasciare di parlare un po' di quella cosa i cui pegni e le cui vestigia già sente in sé, poiché, come si legge in Giobbe: Chi potrà trattenere, senza esprimerla, la parola già in sé concepita? (4, 2).

Perciò nella strofa seguente, l'anima cerca di dire qualcosa su quella fruizione che godrà nella visione beatifica dichiarando, per quanto è possibile, che cosa sia e come avvenga ciò che l'aspetta in cielo.

 

STROFA 39

 

Dell'aura lo spirare,

del soave usignolo il dolce canto,

il bosco e la sua grazia

nella notte serena,

con fiamma che consuma e non dà pena.

 

SPIEGAZIONE

 

2 - In questa strofa l'anima spiega che cosa lo Sposo le darà nella trasformazione beatifica, sintetizzandolo in cinque espressioni: primo, le; spirar dello Spirito Santo da Dio a lei e da lei a Dio; secondo, il giubilo a Dio nella fruizione di Dio; terzo, la conoscenza delle creature e del loro ordine; quarto, la pura e chiara contemplazione dell'essenza divina; quinto, la trasformazione totale nell'amore immenso di Dio.

Dice quindi il verso:

 

Dell'aura lo spirare.

 

3 - Questo spirare dell'aura è una capacità ricevuta dall'anima nella comunicazione dello Spirito Santo, il quale con la sua spirazione divina l'innalza in maniera sublime e la informa e le dà capacità affinché ella spiri in Dio la medesima spirazione di amore che il Padre spira nel Figlio e il Figlio nel Padre, che è lo stesso Spirito Santo, che in questa trasformazione spira in lei nel Padre e nel Figlio per unirla a sé. Infatti non sarebbe questa vera e totale trasformazione se l'anima non si trasformasse nelle Tre Persone della Santissima Trinità in un grado chiaro e manifesto.

Tale spirar dello Spirito Santo, per mezzo del quale Dio la trasforma in sé, procura all'anima un diletto tanto sublime, delicato e profondo che non può essere espresso da lingua mortale e non può essere appreso, neppure in parte, dall'intelletto umano in quanto tale. Non Si può riferire nemmeno quello che nella trasformazione temporale avviene nell'anima circa tale comunicazione perché ella, trasformata in Dio e unita con Lui, spira a Dio in Dio la stessa spirazione che il Signore compie in lei divinamente trasformata.

 

4 - Nella trasformazione a cui l'anima giunge in terra, questo spirar passa da Dio a lei e da lei a Dio. con molta frequenza, con altissimo diletto. di amore m lei" anche. se non è in grado svelato e manifesto, come nell'altra vita. Mi pare che ciò voglia dire S. Paolo. quando scrive: Poiché siete figli di Dio, Egli ha inviato nei vostri cuori lo Spirito del Figlio suo il quale grida: Abba, Padre (Gal. 4, 6), la qual cosa accade ai beati del cielo e ai perfetti della terra nella maniera suddetta.

Non c'è da meravigliarsi che l'anima sia capace di una cosa tanto sublime, cioè che ella per partecipazione spiri in Dio come Dio spira in lei. Infatti, dato che Dio le faccia la grazia di essere unita con la Santissima Trinità, grazia per cui ella diventa deiforme e Dio per partecipazione, non è più incredibile che anch'ella compia il suo atto d'intelletto, di notizia e di amore nella Trinità congiuntamente con essa e come la stessa Trinità, ma per partecipazione, poiché è Dio stesso che la compie in lei. Ecco che cosa vuol dire essere trasformati nelle Tre Persone in potenza, in sapienza e in amore, in cui l'anima è simile a Dio, il quale la creò a sua immagine e somiglianza perché potesse giungere a tale meta.

 

5 - Non è possibile né sapere né descrivere come ciò avvenga. Si può soltanto dire che il Figlio di Dio ci ottenne e ci meritò di giungere ad un grado tanto sublime afferma S:_ Giovanni, di potere essere figli di Dio (I, 12)~ perciò Egli stesso lo chiese al Padre dicendo: Padre, che quelli che mi hai dato stiano con me dove sono io, affinché vedano la gloria che mi hai concesso (Ibid. 17, 24), vale a dire che per partecipazione essi compiano in noi la stessa azione che io compio per natura, cioè quella di spirare lo Spirito Santo. E soggiunge: Padre, non prego solamente per i presenti, ma anche per quelli che, per la loro parola, crederanno in me: che tutti siano una cosa sola; come tu, o Padre, sei in me ed io in te, così essi siano in noi una medesima cosa. Ed io ho dato loro la gloria che mi desti perché siano una sola cosa come noi lo siamo. lo in essi ; tu in me affinché siano perfetti nell'unità, perché il mondo conosca che mi hai mandato e che li amasti come hai amato me (Gv. 17, 20-23), cioè comunicando loro il medesimo amore che al Figlio, anche se ciò non avviene per natura come a Lui, ma per unione e trasformazione di amore. Anche questa frase non va intesa nel senso che il Figlio chieda al Padre che i Santi siano una cosa sola essenzialmente e naturalmente come lo sono il Padre e il Figlio, ma che lo siano per unione di amore, come il Padre e il Figlio vivono in unità di amore.

 

6 - Perciò le anime possiedono per partecipazione gli stessi beni che Egli possiede per natura. In forza di ciò esse sono veramente Dio per partecipazione, uguali a Lui e sue compagne. Perciò S. Pietro dice: Siano complete in voi la grazia e la pace nella cognizione di Dio e di Gesù Cristo Nostro Signore in quella maniera in cui ci sono date tutte le cose necessarie alla vita e alla pietà, per mezzo della conoscenza di colui che ci chiamò con la sua gloria e virtù e per mezzo del quale ci dette promesse molto grandi e preziose, affinché per queste diventassimo partecipi della divina natura (2 Piet. I, 2-4). Fin qui sono parole di S. Pietro. In esse si fa intendere chiaramente che l'anima partecipa di Dio compiendo con Lui, in compagnia di Lui, l'opera della Santissima Trinità nel modo già descritto a causa dell'unione sostanziale esistente tra lei e Dio. Se è vero che ciò si verifica perfettamente solo nell'altra vita, tuttavia anche in questa, allorché si giunga allo stato perfetto, come ha fatto l'anima di cui parliamo, se ne gusta un grande saggio, quantunque non si sappia esprimere.

 

7 - O anime create per queste grandezze e ad esse chiamate, che cosa fate? In che cosa vi intrattenete? Le vostre aspirazioni sono bassezze e i vostri beni miserie. O misera cecità degli occhi dell'anima vostra, poiché siete ciechi dinanzi a tanta luce e dinanzi a cosi grandi voci sordi, senza accorgervi che mentre andate in cerca di grandezze e di gloria rimanete miseri e vili, ignari e indegni di tanto bene!

Segue la seconda richiesta dell'anima:

 

del soave usignolo il dolce canto.

 

8 - Dallo spirar dell'aura nasce nell'anima la dolce voce dell'Amato indirizzata a lei, nella quale ella risponde con il suo canto di giubilo; l'una cosa e l'altra vengono dette canto dell'usignolo. Infatti come il canto dell'usignolo si sente in primavera, quando ormai sono cessate le piogge, i freddi e gli sconvolgimenti dell'inverno, e con le sue melodie solleva lo spirito, cosi nella presente comunicazione e trasformazione di amore, quando ormai la sposa è libera e sicura da ogni turbamento e vicenda umana, nuda e purificata dalle imperfezioni, miserie e nebbie naturali sia del senso che dello spirito, essa percepisce una nuova primavera di libertà, di larghezza e di gioia. Sente in essa la voce soave dello Sposo, cioè del suo dolce usignolo, con la quale le rinnova refrigerandola la sostanza dell'anima, come colei che è già ben disposta a camminare verso la vita eterna, chiamandola dolcemente e soavemente con queste parole:

Alzati, affrettati, amica mia, colomba mia, bella mia e vieni poiché l'inverno è passato, la pioggia si è dileguata. Sono spuntati i fiori nella nostra terra, è giunto il tempo della potatura e nelle nostre campagne si è udita la voce della tortora (Cant. 2, 10-12).

 

9 - In questa voce dello Sposo, che le parla nell'intimo, la sposa sente la fine dei suoi mali e il principio di ogni suo bene, nel cui refrigerio, rifugio e sentimento gustoso anch'essa emette la sua voce dolce di usignolo innalzando un nuovo cantico a Dio, insieme con Lui che ne è la causa. Egli infatti invia a lei la sua voce affinché ella insieme con Lui la indirizzi a Dio, essendo questa la sua aspirazione e il suo desiderio, secondo quanto esprime lo stesso Sposo nel Cantico dicendo: Alzati, affrettati, amica mia; vieni, colomba mia, nei forami della pietra e nelle caverne del muro di cinta; mostrami la tua faccia, fa risuonare la tua voce alle mie orecchie (Cant. 2, 13-14).

Le «orecchie» di Dio qui significano il desiderio che Egli ha di essere lodato dall'anima con perfetta voce di giubilo. Perché tale voce sia perfetta, lo Sposo chiede che risuoni «nelle caverne della pietra », cioè nella trasformazione dei misteri di Cristo. Poiché in questa unione l'anima giubila e loda il Signore insieme con Lui, ne segue che, come è stato detto per l'amore, si tratta di una lode molto gradita e perfetta perché, trovandosi in uno stato di perfezione, anche le sue azioni sono perfette. Perciò questa voce di giubilo è molto soave per Dio e per l'anima; lo Sposo quindi soggiunge: La tua voce è dolce (Cant, 2, 14), non solo per te, ma anche per me, giacché, essendo un'unica cosa con me, per me e con me emetti la tua voce di dolce usignolo.

 

10 - Di questo genere è il canto dell'anima nella trasformazione di cui gode in terra, canto la cui dolcezza sorpassa ogni parola. Ma poiché esso non è perfetto come il cantico nuovo della vita di gloria, l'anima, inebriata da quello che sente in terra, dall'altezza di esso immaginando l'eccellenza di quello che innalzerà in cielo, indubbiamente più sublime, lo ricorda chiamandolo del soave usignolo il dolce canto.

E dice tosto:

 

il bosco e la sua grazia.

 

11 - È la terza cosa che lo Sposo darà all'anima. Per bosco, che nutre in sé molte piante e numerosi animali, ella intende Dio che crea dando l'essere a tutte le creature, le quali hanno in Lui la loro vita e la loro radice. Con ciò vuoi far capire che il Signore si mostrerà e si farà conoscere a lei come Creatore.

Con il termine grazia, di questo bosco, l'anima chiede allo Sposo di conoscere la grazia, la sapienza e la bellezza ricevute da Dio da ogni creatura celeste e terrestre e quanto risulta dall'armonia sapiente, ordinata, graziosa e amabile, sia delle creature inferiori che di quelle superiori tra di loro, la cui conoscenza arreca all'anima un grande e dilettoso piacere. Segue quindi la quarta richiesta:

 

nella notte serena.

 

12 - Questa notte, nella quale l'anima desidera vedere tali cose, è la contemplazione. Essa è oscura, perciò viene chiamata notte e con un altro nome «mistica teologia », che vuoi dire sapienza nascosta o segreta di Dio nella quale, senza rumore di parole, senza aiuto di nessun senso corporeo o spirituale, come nel silenzio e nella quiete, all'oscuro di tutto ciò che è sensitivo e naturale, Dio ammaestra l'anima in maniera del tutto occulta e segreta, senza che ella sappia come ciò avvenga. Alcuni spirituali chiamano ciò un intendere senza intendere, perché queste cognizioni non vengono formulate da quello a cui i filosofi danno il nome di intelletto attivo, il quale opera su forme, fantasmi ed apprensioni delle cose, ma da quello possibile e passivo, il quale non riceve le forme suddette, ma riceve passivamente un'intelligenza sostanziale priva di immagini, che gli viene concessa senza alcuna sua attività.

 

13 - Per questo l'anima chiama notte la contemplazione in cui ella in terra conosce questo bosco divino e la sua bellezza in maniera sublime per mezzo della trasformazione di cui gode.

Ma per quanto alta sia questa notizia, tuttavia è oscura in confronto con quella beatifica che essa ora chiede. Perciò, desiderando la contemplazione chiara, l'anima domanda allo Sposo che la fruizione della selva, della sua bellezza e delle altre cose di cui si è parlato, avvenga nella notte già serena, cioè durante la contemplazione beatifica ormai chiara, di modo che cessi infine l'oscurità della contemplazione propria di questa vita per dar luogo a quella della visione chiara e serena di Dio. Di questa notte della contemplazione David dice: La notte mi servirà di luce nelle mie delizie (Sal. 138, II), come se dicesse: Quando godrò le delizie della visione essenziale di" Dio, la notte della contemplazione sarà già mutata in luce diurna nel mio intelletto.

Segue la quinta:

 

con fiamma che consuma e non dà pena.

 

14 - Per fiamma l'anima intende l'amore dello Spirito Santo e per consumare finire, rendere perfetto. Ella dice che l'Amato deve concederle tutti i doni enumerati in questa strofa che ella possederà con amore perfetto, tutti assorti, e lei con loro, in un amore perfetto che non dà pena. Dicendo ciò vuoi mettere in risalto la perfezione di tale amore.

Esso infatti per essere perfetto deve avere due qualità, quella di trasformare, consumandola, l'anima in Dio e quella di impedire che l'incendio trasformante di questa fiamma produca pena, il che non può avvenire che nello stato dei beati, dove ormai tale fiamma è amore soave. Nella trasformazione dell'anima in essa vi è soddisfazione e conformità dall'una e dall'altra parte, e quindi quella fiamma non dà pena a causa della sua maggiore o minore intensità, come invece accadeva prima che l'anima fosse diventata capace dell'amore perfetto. Una volta che abbia raggiunto questa meta, ella è in un amore tanto conforme e soave di Dio che, pur essendo Egli, come afferma Mosè (Deut, 4, 24), fuoco che consuma, in lei non fa altro che rifinire e ristorare. Non avviene dunque come in questa vita in cui la trasformazione, quantunque sia perfetta e renda perfetto l'amore dell'anima, per lei è un po' consumante e sterminatrice. Si comporta come il fuoco il quale, sebbene trasformi in sé il carbone facendolo cessare da emettere fumo come faceva prima, tuttavia, anche se lo trasforma in fuoco, insieme lo consuma e riduce in cenere.

La stessa cosa accade all'anima che in vita è trasformata in perfezione di amore. Anche se vi è conformità, tuttavia ella soffre pene e danno, prima di tutto a causa della trasformazione beatifica la cui mancanza sente sempre nelle spirito e in secondo luogo per il danno che. il senso fiacco t corruttibile riporta dalla grande forza di questo amore, poiché qualsiasi cosa eccellente è di pena e di danno per la fiacchezza naturale, giacché si trova scritto:Corpus quod corrumpitur, aggravat animam (Sap. 9, 15). Ma nella vita beata l'anima non proverà alcun danno né alcuna pena anche se la sua conoscenza sarà profondissima e il suo amo re· immenso, poiché per la prima Dio le darà la capacità e per il secondo la forza, perfezionandone l'intelletto con l: sapienza e la volontà con l'amore.

 

15 - E poiché, nelle strofe precedenti e nella presente, la sposa ha chiesto comunicazioni e notizie immense di Dio, avendo bisogno di amore forte e profondo per amare a seconda della loro sublimità ed altezza, ora domanda che tutte queste siano ricevute in questo amore consumato, perfettivo e forte.

 

STROFA 40

 

Nessuno la mirava ...

neppure Aminadab compariva …

l'assedio ormai sostava ..

e la cavalleria

alla vista delle acque discendeva ...

 

SPIEGAZIONE E NOTA

 

I - L'anima conosce ormai che l'appetito della sua volontà è distaccato da tutte le cose e unito a Dio con strettissimo amore; sa che la parte sensitiva, con tutte le sue forze, potenze e appetiti, è conforme allo spirito, essendo già finite e sottomesse le sue ribellioni; conosce pure che il demonio, per il vario e lungo esercizio della lotta spirituale, è vinto e cacciato molto lontano mentre essa è unita e trasformata in Dio con abbondanza di ricchezze e di doni celesti. Essendo quindi ben disposta, apparecchiata e forte ricolma di delizie e appoggiata al suo Sposo (Cant. 8, 5) per salire, attraverso il deserto della morte, ai seggi gloriosi dello Sposo, desiderando che lo Sposo porti e termini tale opera, per spingervelo maggiormente, in questa ultima strofa gli pone davanti tutte queste considerazioni ricordandone cinque:

prima, che la sua anima è già distaccata e lontana da ogni cosa; seconda, che il demonio è già vinto e messo in fuga; terza, che ha già sottoposte le passioni e mortificati gli appetiti naturali; quarta e quinta, che la parte sensitiva è riformata e purificata in modo conforme a quella Spirituale cosicché non solo non sarà di impedimento alla recezione dei beni spirituali, ma si adatterà ad essi, poiché secondo la propria capacità partecipa anche a quelli che ora possiede.

Dice così:

 

Nessuno la mirava,

 

2 - vale a dire: l'anima mia ormai è così nuda, sola, lontana e distaccata da tutte le cose create celesti e terrestri ed è tanto penetrata nel raccoglimento con te c?e nessuna di esse riesce a conoscere il diletto che godo m te, vale a dire nessuna riesce a muoverla a piacere o gioia con la sua soavità o a disgusto e molestia con la sua miseria e viltà, poiché essa è molto lontana da loro che quindi vengono perdute di vista da lei.

Non solo questo, ma

 

neppure Aminadab compariva.

 

3 - Aminadab nella Sacra Scrittura è simbolo del demonio, nemico dell'anima. Egli in passato la combatteva sempre turbandola con le innumerevoli munizioni delle sue batterie, onde impedirle l'ingresso nella fortezza e nel nascondiglio del raccoglimento interiore con l'Amato. Ma entratavi, l'anima si sente così protetta, forte e vittoriosa per le virtù che possiede e per la protezione dell'abbraccio di Dio, che il demonio non solo non osa avvicinarsi, ma preso da grande paura se ne fugge lontano e non ardisce più di comparirle davanti. Infatti a causa dell'esercizio delle virtù e dello stato perfetto in cui si trova, l'anima l'ha sconfitto e messo in fuga in maniera tale che egli non ardisce più presentarlesi davanti. Perciò afferma che neppur Aminadab compariva con qualche protesa per impedirle il bene a cui aspira.

 

L'assedio ormai sostava.

 

4 - Per assedio si intendono le passioni e gli appetiti dell'anima I quali, se non vinti e mortificati, le si stringono Intorno per combatterla da ogni parte: di qui il termine assedio. Di esso l'anima dice che è cessato, che le passioni Cioè sono ordinate secondo ragione e gli appetiti mortificati. Perciò invita lo Sposo a concederle le grazie da lei richieste poiché l'assedio non può più essere di impedimento ad esse. Dice così perché, finché le sue quattro passioni non sono ordinate in Dio e gli appetiti mortificati e purificati l'anima non è capace di vedere il Signore.

Per questo dice:

 

e la cavalleria

alla vista delle acque discendeva ...

 

5 - Per acque si intendono i beni e diletti spirituali di Dio che l'anima gode nell'intimo. Per cavalleria si intendono . i sensi corporei, sia interni che esterni, della parte sensitiva, i quali recano seco i fantasmi e le immagini del loro oggetto.

La sposa dice che essi discendono alla vista delle acque spirituali, poiché nello stato del matrimonio spirituale questa parte sensitiva o inferiore dell'anima è purificata e spiritualizzata in maniera tale che insieme con le sue potenze e forze naturali e sensitive partecipa e gode a modo suo dei grandi favori spirituali che Dio le comunica nell'intimo dello spirito, secondo quanto vuol far comprendere David quando dice: Il mio spirito e la mia carne si rallegrarono nel Dio vivente (Sal. 83, 3).

 

6 - C'è da notare come la sposa dice che la cavalleria non discendeva «al gusto» ma alla vista delle acque. Infatti la parte sensitiva con le sue potenze, essenzialmente e propriamente non può gustare i beni soprannaturali né in questa né nell'altra vita, ma per una certa ridondanza dello spirito ne riceve sollievo e diletto, in forza di cui le potenze e i sensi corporei sono attratti verso il raccoglimento interiore, nel quale l'anima si disseta alle acque dei ben spirituali. Ciò è piuttosto un discendere a vederle che per gustarne il sapore.

La sposa dice che discendevano, e non «andavano» ( altro termine, per far capire come in questa comunicazione della parte sensitiva con quella spirituale, allorché viene gustata la bevanda delle acque dello spirito, la prima discende dalle sue operazioni naturali, tralasciandole, al raccoglimento dello spirito.

 

7 - Tutte queste perfezioni e disposizioni la sposa presenta all'Amato, il Figlio di Dio, desiderando di essere trasferita da Lui dallo stato del matrimonio spirituale della Chiesa militante, a cui Dio l'ha fatta pervenire, a quelle della Chiesa trionfante. Piaccia al dolcissimo Gesù, Spose delle anime fedeli, di condurvi tutti quelli che invocano il suo nome, al quale sia onore e gloria insieme con il Padre e con lo Spirito Santo in saecula saeculorum.

Così sia.

 

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