INCOMINCIA LA VITA

DEL BEATO FRANCESCO

 

 

CAPITOLO I

 

CONDOTTA DI FRANCESCO DA SECOLARE

 

1. Vi fu, nella città di Assisi, un uomo di nome Francesco, la cui memoria è in benedizione, perché Dio, nella Sua bontà, lo prevenne con benedizioni straordinarie e lo sottrasse, nella sua clemenza, ai pericoli della vita presente e, nella sua generosità, lo colmò con i doni della grazia celeste.

Nell’età giovanile, crebbe tra le vanità dei vani figli degli uomini.

Dopo un’istruzione sommaria, venne destinato alla lucrosa attività del commercio.

Assistito e protetto dall’alto, benché vivesse tra giovani lascivi e fosse incline ai piaceri, non seguì gli istinti sfrenati dei sensi e, benché vivesse tra avari mercanti e fosse intento ai guadagni, non ripose la sua speranza nel denaro e nei tesori.

Dio, infatti, aveva infuso nell’animo del giovane Francesco un sentimento di generosa compassione, che, crescendo con lui dall’infanzia, gli aveva riempito il cuore di bontà, tanto che già allora, ascoltatore non sordo del Vangelo, si propose di dare a chiunque gli chiedesse, soprattutto se chiedeva per amore di Dio.

Una volta, tutto indaffarato nel negozio, mandò via a mani vuote contro le sue abitudini, un povero che gli chiedeva l’elemosina per amor di Dio. Ma subito, rientrato in se stesso, gli corse dietro, gli diede una generosa elemosina e promise al Signore Iddio che, d’allora in poi, quando ne aveva la possibilità, non avrebbe mai detto di no a chi gli avesse chiesto per amor di Dio.

E osservò questo proposito fino alla morte, con pietà instancabile, meritandosi di crescere abbondantemente nell’amore di Dio e nella grazia.

Diceva, infatti, più tardi, quando si era ormai perfettamente rivestito dei sentimenti di Cristo, che, già quando viveva da secolare, difficilmente riusciva a sentir nominare l’amore di Dio, senza provare un intimo turbamento.

La dolce mansuetudine unita alla raffinatezza dei costumi; la pazienza e l’affabilità più che umane, la larghezza nel donare, superiore alle sue disponibilità che si vedevano fiorire in quell’adolescente come indizi sicuri di un’indole buona, sembravano far presagire che la benedizione divina si sarebbe riversata su di lui ancora più copiosamente nell’avvenire.

Un uomo di Assisi, molto semplice, certo per ispirazione divina, ogni volta che incontrava Francesco per le strade della città, si toglieva il mantello e lo stendeva ai suoi piedi, proclamando che Francesco era degno di ogni venerazione, perché di lì a poco avrebbe compiuto grandi cose, per cui sarebbe stato onorato e glorificato da tutti i cristiani.

 

2. Ma Francesco non conosceva ancora i piani di Dio sopra di lui: impegnato, per volontà del padre nelle attività esteriori e trascinato verso il basso dalla nostra natura corrotta fin dall’origine, non aveva ancora imparato a contemplare le realtà celesti né aveva fatto l’abitudine a gustare le realtà divine.

E siccome lo spavento fa comprendere la lezione, venne sopra di lui la mano del Signore e l’intervento della destra dell’Eccelso colpì il suo corpo con una lunga infermità, per rendere la sua anima adatta a recepire l’illuminazione dello Spirito Santo.

Quand’ebbe riacquistate le forze fisiche, si procurò, com’era sua abitudine, vestiti decorosi. Una volta incontrò un cavaliere, nobile ma povero e mal vestito e, commiserando con affettuosa pietà la sua miseria, subito si spogliò e fece indossare i suoi vestiti all’altro. Così, con un solo gesto, compì un duplice atto di pietà, poiché nascose la vergogna di un nobile cavaliere e alleviò la miseria di un povero.

 

3. La notte successiva mentre dormiva, la Bontà di Dio gli fece vedere un palazzo grande e bello, pieno di armi contrassegnate con la croce di Cristo, per dimostrargli in forma visiva come la misericordia da lui usata verso il cavaliere povero, per amore del sommo Re, stava per essere ricambiata con una ricompensa impareggiabile.

Egli domandò a chi appartenessero quelle armi e una voce dal cielo gli assicurò che erano tutte sue e dei suoi cavalieri.

Quando si destò, al mattino, credette di capire che quella insolita visione fosse per lui un presagio di gloria. Difatti egli non sapeva ancora intuire la verità delle cose invisibili, attraverso le apparenze visibili. Perciò, ignorando ancora i piani divini, decise di recarsi in Puglia, al servizio di un nobile conte, con la speranza di acquistare in questo modo quel titolo di cavaliere, che la visione gli aveva indicato.

Di lì a poco si mise in viaggio; ma, appena giunto nella città più vicina, udì nella notte il Signore, che in tono familiare gli diceva: «Francesco, chi ti può giovare di più: il signore o il servo, il ricco o il poverello?». «Il signore e il ricco», rispose Francesco. E subito la voce incalzò: «E allora perché lasci il Signore per il servo; Dio così ricco, per l’uomo, così povero?».

Francesco, allora: «Signore, che vuoi che io faccia?». «Ritorna nella tua terra – rispose il Signore – perché la visione, che tu hai avuto, raffigura una missione spirituale, che si deve compiere in te, non per disposizione umana, ma per disposizione divina».

Venuto il mattino, egli ritorna in fretta alla volta di Assisi, lieto e sicuro. Divenuto ormai modello di obbedienza, restava in attesa della volontà di Dio.

 

4. Da allora, sottraendosi al chiasso del traffico e della gente, supplicava devotamente la clemenza divina, che si degnasse mostrargli quanto doveva fare.

Intanto la pratica assidua della preghiera sviluppava sempre più forte in lui la fiamma dei desideri celesti e l’amore della patria celeste gli faceva disprezzare come un nulla tutte le cose terrene.

Sentiva di avere scoperto il tesoro nascosto e, da mercante saggio, si industriava di comprare la perla preziosa, che aveva trovato, a prezzo di tutti i suoi beni.

Non sapeva ancora, però, in che modo realizzare ciò: un suggerimento interiore gli faceva intendere soltanto che il commercio spirituale deve iniziare dal disprezzo del mondo e che la milizia di Cristo deve iniziare dalla vittoria su se stessi.

 

5. Un giorno, mentre andava a cavallo per la pianura che si stende ai piedi di Assisi, si imbatté in un lebbroso. Quell’incontro inaspettato lo riempì di orrore. Ma, ripensando al proposito di perfezione, già concepito nella sua mente, e riflettendo che, se voleva diventare cavaliere di Cristo, doveva prima di tutto vincere se stesso, scese da cavallo e corse ad abbracciare il lebbroso e, mentre questi stendeva la mano come per ricevere l’elemosina, gli porse del denaro e lo baciò.

Subito risalì a cavallo; ma, per quanto si volgesse a guardare da ogni parte e sebbene la campagna si stendesse libera tutt’intorno, non vide più in alcun modo quel lebbroso.

Perciò, colmo di meraviglia e di gioia, incominciò a cantare devotamente le lodi del Signore, proponendosi, da allora in poi, di elevarsi a cose sempre maggiori.

Cercava luoghi solitari, amici al pianto; là, abbandonandosi a lunghe e insistenti preghiere, fra gemiti inenarrabili, meritò di essere esaudito dal Signore.

Mentre, un giorno, pregava, così isolato dal mondo, ed era tutto assorto in Dio, nell’eccesso del suo fervore, gli apparve Cristo Gesù, come uno confitto in croce,

Al vederlo, si sentì sciogliere l’anima. Il ricordo della passione di Cristo si impresse così vivamente nelle più intime viscere del suo cuore, che, da quel momento, quando gli veniva alla mente la crocifissione di Cristo, a stento poteva trattenersi, anche esteriormente, dalle lacrime e dai sospiri, come egli stesso riferì in confidenza più tardi, quando si stava avvicinando alla morte. L’uomo di Dio comprese che, per mezzo di questa visione, Dio rivolgeva a lui quella massima del Vangelo: Se vuoi venire dietro a me, rinnega te stesso, prendi la tua croce e seguimi.

 

6. Da allora si rivestì dello spirito di povertà, d’un intimo sentimento d’umiltà e di pietà profonda. Mentre prima aborriva non solo la compagnia dei lebbrosi, ma perfino il vederli da lontano, ora, a causa di Cristo crocifisso, che, secondo le parole del profeta, ha assunto l’aspetto spregevole di un lebbroso, li serviva con umiltà e gentilezza, nell’intento di raggiungere il pieno disprezzo di se stesso.

Visitava spesso le case dei lebbrosi; elargiva loro generosamente l’elemosina e con grande compassione ed affetto baciava loro le mani e il volto.

Anche per i poveri mendicanti bramava spendere non solo i suoi beni, ma perfino se stesso. Talvolta, per loro, si spogliava dei suoi vestiti, talvolta li faceva e pezzi, quando non aveva altro da donare.

Soccorreva pure, con reverenza e pietà, i sacerdoti poveri, provvedendo specialmente alla suppellettile dell’altare, per diventare, così, partecipe del culto divino, mentre sopperiva al bisogno dei ministri del culto.

 

Durante questo periodo, egli si recò a visitare, con religiosa devozione, la tomba dell’apostolo Pietro. Fu in questa circostanza che, vedendo la grande moltitudine dei mendicanti davanti alle porte di quella chiesa, spinto da una soave compassione, e, insieme, allettato dall’amore per la povertà, donò le sue vesti al più bisognoso di loro e, ricoperto degli stracci di costui, passò tutta la giornata in mezzo ai poveri, con insolita gioia di spirito.

Voleva, così, disprezzare la gloria del mondo e raggiungere gradualmente la vetta della perfezione evangelica. Si applicava con maggior intensità alla mortificazione dei sensi, in modo da portare attorno, anche esteriormente, nel proprio corpo, la croce di Cristo che portava nel cuore.

 

Tutte queste cose faceva Francesco, uomo di Dio, quando, nell’abito e nella convivenza quotidiana, non si era ancora segregato dal mondo.

 

 

CAPITOLO II

 

PERFETTA CONVERSIONE A DIO.

RESTAURO DI TRE CHIESE

 

1. Il servo dell’Altissimo, in questa sua nuova esperienza, non aveva altra guida, se non Cristo, perciò Cristo, nella sua clemenza, volle nuovamente visitarlo con la dolcezza della sua grazia.

Un giorno era uscito nella campagna per meditare. Trovandosi a passare vicino alla chiesa di San Damiano, che minacciava rovina, vecchia com’era, spinto dall’impulso dello Spirito Santo, vi entrò per pregare. Pregando inginocchiato davanti all’immagine del Crocifisso, si sentì invadere da una grande consolazione spirituale e, mentre fissava gli occhi pieni di lacrime nella croce del Signore, udì con gli orecchi del corpo una voce scendere verso di lui dalla croce e dirgli per tre volte: «Francesco, va e ripara la mia chiesa che, come vedi, è tutta in rovina!».

All’udire quella voce, Francesco rimane stupito e tutto tremante, perché nella chiesa è solo e, percependo nel cuore la forza del linguaggio divino, si sente rapito fuori dei sensi.

Tornato finalmente in sé, si accinge ad obbedire, si concentra tutto nella missione di riparare la chiesa di mura, benché la parola divina si riferisse principalmente a quella Chiesa, che Cristo acquistò col suo sangue, come lo Spirito Santo gli avrebbe fatto capire e come egli stesso rivelò in seguito ai frati.

Si alzò, pertanto, munendosi del segno della croce, e, prese con sé delle stoffe, si affrettò verso la città di Foligno, per venderle.

Vendette tutto quanto aveva portato; si liberò anche, mercante fortunato, del cavallo, col quale era venuto, incassandone il prezzo.

Tornando ad Assisi, entrò devotamente nella chiesa che aveva avuto l’incarico di restaurare. Vi trovò un sacerdote poverello e, dopo avergli fatta debita reverenza, gli offrì il danaro per la riparazione della chiesa e umilmente domandò che gli permettesse di abitare con lui per qualche tempo.

Il sacerdote acconsentì che egli restasse; ma, per timore dei suoi genitori, non accettò il denaro – e quel vero dispregiatore del denaro lo buttò su una finestra, stimandolo polvere abbietta.

 

2. Mentre il servo di Dio dimorava in compagnia di questo sacerdote, suo padre, lo venne a sapere e corse là con l’animo sconvolto.

Ma Francesco, atleta ancora agli inizi, informato delle minacce dei persecutori e presentendo la loro venuta, volle lasciar tempo all’ira e si nascose in una fossa segreta. Vi rimase nascosto per alcuni giorni, e intanto supplicava incessantemente, tra fiumi di lacrime, il Signore, che lo liberasse dalle mani dei persecutori e portasse a compimento, con la sua bontà e il suo favore, i pii propositi che gli aveva ispirato.

Sentendosi, così, ricolmo di una grandissima gioia, incominciò a rimproverare se stesso per la propria pusillanimità e viltà e, lasciato il nascondiglio e scacciata la paura, affrontò il cammino verso Assisi.

I concittadini, al vederlo squallido in volto e mutato nell’animo, ritenendolo uscito di senno, gli lanciavano contro il fango e i sassi delle strade, e, strepitando e schiamazzando, lo insultavano come un pazzo, un demente.

Ma il servo di Dio, senza scoraggiarsi o turbarsi per le ingiurie, passava in mezzo a loro, come se fosse sordo.

Quando suo padre sentì quello strano baccano, accorse immediatamente, non per liberare il figlio, ma piuttosto per rovinarlo: messo da parte ogni sentimento di pietà, lo trascina a casa e lo perseguita, prima con le parole e le percosse, Poi mettendolo in catene.

Però quest’esperienza rendeva il giovane più pronto e più deciso nel mandare a compimento l’impresa incominciata, perché gli richiamava quel detto del Vangelo: Beati quelli che sono perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

 

3. Ma dopo un po’ di tempo – mentre il padre si trovava lontano da Assisi – la madre, che non approvava l’operato del marito e che non sperava di poter far recedere il figlio dalla sua inflessibile decisione, lo sciolse dalle catene e lo lasciò libero di andarsene. Egli, allora, rendendo grazie al Signore onnipotente, ritornò al luogo di prima.

Ma quando il padre ritornò e non lo trovò in casa, rimproverata aspramente la moglie, corse a quel luogo, fremente di rabbia, nell’intento, se non poteva farlo ritornare, almeno di farlo mettere al bando.

Francesco, però, reso forte da Dio, andò incontro spontaneamente al padre infuriato, gridandogli con libera voce che stimava un nulla le sue catene e le sue percosse e dichiarando, per di più, che per il nome di Cristo avrebbe affrontato con gioia qualsiasi tormento.

Il padre, vedendo che non poteva farlo ritornare, si preoccupò di estorcergli il denaro e quando, finalmente, lo trovò sulla finestrella, mitigò un po’ il suo furore: quella sorsata di denaro aveva in qualche misura mitigato la sete dell’avarizia.

 

4. Quel padre carnale cercava, poi, di indurre quel figlio della grazia, ormai spogliato del denaro, a presentarsi davanti al vescovo della città, per fargli rinunciare, nelle mani di lui, all’eredità paterna e restituire tutto ciò che aveva.

Il vero amatore della povertà accettò prontamente questa proposta.

Giunto alla presenza del vescovo, non sopporta indugi o esitazioni; non aspetta né fa parole; ma, immediatamente, depone tutti i vestiti e li restituisce al padre.

Si scoprì allora che l’uomo di Dio, sotto le vesti delicate, portava sulle carni un cilicio.

Poi, inebriato da un ammirabile fervore di spirito, depose anche le mutande e si denudò totalmente davanti a tutti dicendo al padre: «Finora ho chiamato te, mio padre sulla terra; d’ora in poi posso dire con tutta sicurezza: Padre nostro, che sei nei cieli, perché in Lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato tutta la mia fiducia e la mia speranza».

Il vescovo, vedendo questo e ammirando l’uomo di Dio nel suo fervore senza limiti, subito si alzò, lo prese piangendo fra le sue braccia e, pietoso e buono com’era, lo ricoprì con il suo stesso pallio. Comandò, poi, ai suoi di dare qualcosa al giovane per ricoprirsi.

Gli offrirono, appunto, il mantello povero e vile di un contadino, servo del vescovo.

Egli, ricevendolo con gratitudine, di propria mano gli tracciò sopra il segno della croce, con un mattone che gli capitò sottomano e formò con esso una veste adatta a ricoprire un uomo crocifisso e seminudo.

Così, dunque, il servitore del Re altissimo, fu lasciato nudo, perché seguisse il nudo Signore crocifisso, oggetto del suo amore; così fu munito di una croce, perché affidasse la sua anima al legno della salvezza, salvandosi con la croce dal naufragio del mondo.

 

5. D’allora in poi, affrancato dalle catene dei desideri mondani, quello spregiatore del mondo abbandonò la città, e, libero e sicuro, si rifugiò nel segreto della solitudine, per ascoltare, solo e nel silenzio, gli arcani colloqui del cielo.

E, mentre se ne andava per una selva, l’uomo di Dio Francesco, e cantava giubilante le lodi di Dio nella lingua di Francia, fu assalito dai briganti, sbucati all’improvviso. Costoro, con intenzioni omicide, gli domandarono chi era Ma l’uomo di Dio, pieno di fiducia, rispose con espressione profetica: «Io sono l’araldo del gran Re». Quelli, allora, lo percossero e lo gettarono in un fosso pieno di neve, dicendo: ~ Sta lì, rozzo araldo di Dio».

Mentre se ne andavano, Francesco saltò fuori dal fosso e invaso dalla gioia, continuò a cantare con voce più alta le lodi in onore del Creatore di tutte le cose, facendone riecheggiare le selve.

 

6. Si recò, poi, ad un vicino monastero, dove chiese come un medicante l’elemosina, che gli fu data come si dà ad una persona sconosciuta e disprezzata.

Proseguì verso Gubbio, dove fu riconosciuto e accolto da un antico amico, che gli diede anche una povera tonachella, che egli indossò come poverello di Cristo.

Poi, amante di ogni forma d’umiltà, si trasferì presso i lebbrosi, restando con loro e servendo a loro tutti con somma cura.

Lavava loro i piedi, fasciava le piaghe, toglieva dalle piaghe la marcia e le ripuliva dalla purulenza. Baciava anche, spinto da ammirevole devozione, le loro piaghe incancrenite, lui che sarebbe ben presto diventato il buon samaritano del Vangelo.

Per questo motivo il Signore gli concesse grande potenza e meravigliosa efficacia nel guarire in modo meraviglioso le malattie dello spirito e del corpo.

Riferirò uno dei fatti, che accadde in seguito, quando la fama dell’uomo di Dio già splendeva più largamente.

 

Un uomo della contea di Spoleto, aveva una malattia orrenda che gli devastava e corrodeva la bocca e la mascella; nessun rimedio della medicina poteva giovargli. Costui si era recato a Roma, per visitare la tomba degli Apostoli e impetrare da loro la grazia. Tornando dal pellegrinaggio, incontrò il servo di Dio, al quale avrebbe voluto, per devozione, baciare i piedi. Ma l’umile Francesco non lo permise, anzi baciò in volto colui che avrebbe voluto baciargli i piedi.

Appena Francesco, il servitore dei lebbrosi, mosso dalla sua mirabile pietà, ebbe toccato con la sua sacra bocca quella piaga orrenda, questa scomparve completamente e il malato ricuperò la sospirata salute.

Non so che cosa ammirare maggiormente, a ragion veduta, in questo fatto: se l’umiltà profonda, che spinse a quel bacio così benevolo, o la splendida potenza che operò un miracolo così stupendo.

 

7. Ormai ben radicato nell’umiltà di Cristo, Francesco richiama alla memoria l’obbedienza di restaurare la chiesa di San Damiano, che la Croce gli ha imposto.

Vero obbediente, ritorna ad Assisi, per eseguire l’ordine della voce divina, se non altro con la mendicazione.

Deposta ogni vergogna per amore del povero Crocifisso, andava a cercar l’elemosina da coloro con i quali un tempo aveva vissuto nell’abbondanza, e sottoponeva il suo debole corpo, prostrato dai digiuni, al peso delle pietre.

Riuscì così, a restaurare quella chiesetta, con l’aiuto di Dio e il devoto soccorso dei concittadini. Poi, per non lasciare intorpidire il corpo nell’ozio, dopo la fatica, passò a riparare, in un luogo un po’ più distante dalla città, la chiesa dedicata a San Pietro spinto dalla devozione speciale che nutriva, insieme con la fede pura e sincera, verso il Principe degli Apostoli.

 

8. Riparata anche questa chiesa, andò finalmente in un luogo chiamato Porziuncola, nel quale vi era una chiesa dedicata alla beatissima Vergine: una fabbrica antica, ma allora assolutamente trascurata e abbandonata. Quando l’uomo di Dio la vide così abbandonata, spinto dalla sua fervente devozione per la Regina del mondo, vi fissò la sua dimora, con l’intento di ripararla.

Là egli godeva spesso della visita degli Angeli, come sembrava indicare il nome della chiesa stessa, chiamata fin dall’antichità Santa Maria degli Angeli. Perciò la scelse come sua residenza, a causa della sua venerazione per gli Angeli e del suo speciale amore per la Madre di Cristo.

Il Santo amò questo luogo più di tutti gli altri luoghi del mondo. Qui, infatti, conobbe l’umiltà degli inizi; qui progredì nelle virtù; qui raggiunse felicemente la meta. Questo luogo, al momento della morte, raccomandò ai frati come il luogo più caro alla Vergine.

Riguardo a questo luogo, un frate, a Dio devoto, prima della sua conversione ebbe una visione degna di essere riferita. Gli sembrò di vedere innumerevoli uomini, colpiti da cecità, che stavano attorno a questa chiesa, in ginocchio e con la faccia rivolta al cielo. Tutti protendevano le mani verso l’alto e, piangendo, invocavano da Dio misericordia e luce.

Ed ecco, venne dal cielo uno splendore immenso, che penetrando in loro tutti, portò a ciascuno la luce e la salvezza desiderate.

È questo il luogo, nel quale san Francesco, guidato dalla divina rivelazione, diede inizio all’Ordine dei frati minori. Proprio per disposizione della Provvidenza divina, che lo dirigeva in ogni cosa, il servo di Cristo aveva restaurato materialmente tre chiese, prima di fondare l’Ordine e di darsi alla predicazione del Vangelo. In tal modo non solamente egli aveva realizzato un armonioso progresso spirituale, elevandosi dalle realtà sensibili a quelle intelligibili, dalle minori alle maggiori; ma aveva anche, con un’opera tangibile, mostrato e prefigurato simbolicamente la sua missione futura.

Infatti, così come furono riparati i tre edifici, sotto la guida di quest’uomo santo si sarebbe rinnovata la Chiesa in tre modi: secondo la forma di vita, secondo la Regola e secondo la dottrina di Cristo da lui proposte – e avrebbe celebrato i suoi trionfi una triplice milizia di eletti. E noi ora costatiamo che così è avvenuto.

 

 

CAPITOLO III

 

L’ISTITUZIONE DELLA RELIGIONE

E L’APPROVAZIONE DELLA REGOLA

 

1. Nella chiesa della Vergine Madre di Dio dimorava, dunque, il suo servo Francesco e supplicava insistentemente con gemiti continui Colei che concepì il Verbo pieno di grazia e di verità, perché si degnasse di farsi sua avvocata. E la Madre della misericordia ottenne con i suoi meriti che lui stesso concepisse e partorisse lo spirito della verità evangelica.

Mentre un giorno ascoltava devotamente la messa degli Apostoli, sentì recitare il brano del Vangelo in cui Cristo, inviando i discepoli a predicare, consegna loro la forma di vita evangelica, dicendo: Non tenete né oro né argento né denaro nelle vostre cinture, non abbiate bisacce da viaggio, né due tuniche, né calzari, né bastone.

Questo udì, comprese e affidò alla memoria l’amico della povertà apostolica e, subito, ricolmo di indicibile letizia, esclamò: «Questo è ciò che desidero questo è ciò che bramo con tutto il cuore!».

Si toglie i calzari dai piedi; lascia il bastone; maledice bisaccia e denaro e, contento di una sola tonachetta, butta via la cintura e la sostituisce con una corda e mette ogni sua preoccupazione nello scoprire come realizzare a pieno le parole sentite e adattarsi in tutto alla regola della santità, dettata agli apostoli.

 

2. Da quel momento l’uomo di Dio, per divino incitamento, si dedicò ad emulare la perfezione evangelica e ad invitare tutti gli altri alla penitenza.

I suoi discorsi non erano vani o degni di riso, ma ripieni della potenza dello Spirito Santo: penetravano nell’intimo del cuore e suscitavano forte stupore negli ascoltatori. In ogni sua predica, all’esordio del discorso, salutava il popolo con l’augurio di pace, dicendo: «Il Signore vi dia la pace!"

Aveva imparato questa forma di saluto per rivelazione del Signore, come egli stesso più tardi affermò. Fu così che, mosso anch’egli dallo spirito dei profeti, come i profeti annunciava la pace, predicava la salvezza e, con le sue ammonizioni salutari, riconciliava in un saldo patto di vera amicizia moltissimi, che prima, in discordia con Cristo, si trovavano lontani dalla salvezza.

 

3. In questo modo molti incominciarono a riconoscere la verità della dottrina, che l’uomo di Dio con semplicità predicava, e della sua vita. Alcuni incominciarono a sentirsi incitati a penitenza dal suo esempio e ad unirsi a lui nell’abito e nella vita, lasciando ogni cosa. Il primo di loro fu il «venerabile Bernardo», che, reso partecipe della vocazione divina, meritò di essere il primogenito del beato padre, primo nel tempo e primo nella santità.

Bernardo, dopo avere costatato di persona la santità del servo di Cristo, decise di seguire il suo esempio, abbandonando completamente il mondo. Perciò si rivolse a lui, per sapere come realizzare questo proposito.

Ascoltandolo, il servo di Dio si sentì ripieno della consolazione dello Spirito Santo, perché aveva concepito il suo primo figlio, ed esclamò: «Un simile consiglio dobbiamo chiederlo a Dio!».

Poiché era ormai mattina, entrarono nella chiesa di San Nicolò. Dopo aver pregato, Francesco, devoto adoratole della Trinità, per tre volte aprì il libro dei Vangeli, chiedendo a Dio che per tre volte confermasse il proposito di Bernardo.

Alla prima apertura si imbatté nel passo che dice: «Se vuoi essere perfetto, va, vendi tutto quello che hai e dàllo ai poveri.

Alla seconda: Non portate niente durante il, viaggio.

Alla terza: Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.

«Questa – disse il Santo – è la vita e la regola nostra e di tutti quelli che vorranno unirsi alla nostra compagnia. Va, dunque, se vuoi essere perfetto, e fa come hai sentito».

 

4. Poco tempo dopo, lo stesso Spirito chiamò altri cinque uomini e il numero dei frati salì a sei. Fra loro, il terzo posto toccò al santo padre Egidio, uomo davvero pieno di Dio e degno di essere solennemente ricordato. Egli, infatti, divenne in seguito famosissimo per le sue sublimi virtù, come di lui aveva predetto il servitore del Signore, e, quantunque illetterato e semplice, si elevò ai più eccelsi vertici della contemplazione.

Egidio per lunghi periodi di tempo si dedicava incessantemente alle ascensioni mistiche e veniva rapito in Dio con estasi così frequenti, che, pur essendo in mezzo agli uomini, sembrava conducesse ormai una vita più angelica che umana. L’ho potuto costatare anch’io con i miei occhi e perciò ne faccio fede.

 

5. Sempre in quel periodo, un sacerdote della città di Assisi, chiamato Silvestro, uomo di onorata condotta, ebbe dal Signore una visione, che non va taciuta.

Silvestro, giudicando secondo il criterio degli uomini, aveva in orrore il modo di vivere seguito da Francesco e dai suoi frati. Ma la grazia celeste rivolse a lui il suo sguardo e lo visitò, perché non venisse a trovarsi in pericolo a causa di quel suo giudizio privo di fondamento. Vide, dunque, in sogno, tutta la città di Assisi circondata da un grande dragone, che con la sua sterminata grandezza sembrava minacciare lo sterminio a tutta la regione. Dopo di ciò, vedeva uscire dalla bocca di Francesco una croce tutta d’oro, che con la punta toccava il cielo e con le braccia, protese per il largo, sembrava estendersi fino alle estremità del mondo. Questa apparizione fulgentissima metteva definitivamente in fuga il dragone fetido e orrendo.

Questo spettacolo gli fu mostrato per tre volte. Egli comprese, allora, che si trattava di un messaggio divino e riferì tutto ordinatamente all’uomo di Dio e ai suoi frati, e dopo non molto tempo lasciò il mondo e seguì la via di Cristo con grande perseveranza, rendendo autentica, mediante la condotta da lui tenuta nell’Ordine, la visione che aveva avuto nel secolo.

 

6. All’udire quella visione, l’uomo di Dio non si lasciò trascinare dalla vana gloria degli uomini, ma, riconoscendo la bontà di Dio nei suoi benefici, si sentì più fortemente animato a combattere la malizia dell’antico nemico e a predicare la gloria della croce di Cristo.

 

Un giorno, mentre, ritirato in luogo solitario, piangeva ripensando con amarezza al suo passato, si sentì pervaso dalla gioia dello Spirito Santo, da cui ebbe l’assicurazione che gli erano stati pienamente rimessi tutti i peccati.

Rapito fuori di sé e sommerso totalmente in una luce meravigliosa che dilatava gli orizzonti del suo spirito, vide con perfetta lucidità l’avvenire suo e dei suoi figli.

Dopo l’estasi, ritornò dai frati e disse loro: «Siate forti, carissimi, e rallegratevi nel Signore. Non vogliate essere tristi, perché siete in pochi, e non vi faccia paura la mia o la vostra semplicità; poiché, come il Signore mi ha mostrato con una visione veritiera, Iddio ci farà diventare una grande moltitudine e la sua grazia e la sua benedizione ci faranno crescere in molti modi».

 

7. Sempre nello stesso periodo, entrò nella religione un’altra persona dabbene e così i figli benedetti dell’uomo di Dio raggiunsero il numero di sette.

Allora il pio padre raccolse intorno a sé tutti i figli suoi e parlò a lungo con loro del regno di Dio, del disprezzo del mondo, della necessità di rinnegare la propria volontà e di mortificare il proprio corpo, e svelò la sua intenzione di inviarli nelle quattro parti del mondo.

Ormai il padre santo, come la donna sterile, semplice e poverella della Bibbia, aveva partorito sette volte, e desiderava partorire a Cristo tutto quanto il popolo dei fedeli, chiamandolo al pianto e alla penitenza.

«Andate – disse il dolce padre ai figli suoi – annunciate agli uomini la pace; predicate la penitenza per la remissione dei peccati. Siate pazienti nelle tribolazioni, vigilanti nell’orazione, valenti nelle fatiche, modesti nel parlare, gravi nel comportamento e grati nei benefici. F in compenso di tutto questo è preparato per voi il regno eterno».

Quelli, inginocchiati umilmente davanti al servo di Dio, accoglievano con intima gioia la missione della santa obbedienza

Diceva, poi, a ciascuno in particolare: Affida al Signore la tua sorte, ed Egli ti nutrirà. Erano queste le parole che egli ripeteva abitualmente, quando assegnava a qualche frate un incarico per obbedienza.

Li suddivise a due a due, in forma di croce, inviandoli per il mondo. Dopo aver assegnato le altre tre parti agli altri sei, egli stesso si diresse con un compagno verso una parte del mondo, ben sapendo che era stato scelto come esempio per gli altri e che doveva prima fare e poi insegnare.

Ma, poco tempo dopo quella partenza, il padre buono sentiva gran desiderio di rivedere la sua cara prole e, siccome non poteva farla ritornare egli stesso, pregava che lo facesse colui che raduna i dispersi d’Israele.

E così avvenne che, senza bisogno di umano richiamo, insperatamente e non senza meraviglia da parte loro, si ritrovarono ugualmente insieme, secondo il suo desiderio e per opera della bontà divina.

Sempre in quei giorni, si unirono a loro quattro persone dabbene, sicché raggiunsero il numero di dodici.

 

8. Vedendo che il numero dei frati a poco a poco cresceva, il servitore di Cristo scrisse per sé e per i suoi frati con parole semplici, una formula di vita, nella quale, posta come fondamento imprescindibile l’osservanza del santo Vangelo, inserì poche altre cose, che sembravano necessarie per vivere in modo uniforme.

Desiderando che venisse approvato dal sommo Pontefice quanto aveva scritto, decise di recarsi, con quell’adunata di uomini semplici, alla presenza della Sede Apostolica, affidandosi unicamente alla guida di Dio.

Dio, che aveva guardato dall’alto al desiderio del suo servo, per rinvigorire il coraggio dei suoi compagni, terrorizzati dalla coscienza della propria semplicità, gli mandò questa visione: gli sembrava di camminare su una strada, a fianco della quale si ergeva un albero molto alto. Avvicinatosi all’albero, si era messo ad osservare dal di sotto la sua altezza, quando improvvisamente una forza divina lo sollevò tanto in alto che riusciva a toccare la sommità dell’albero e a piegarne con estrema facilità la cima fino a terra.

L’uomo di Dio comprese perfettamente che quella visione era un presagio e gli indicava come l’autorità apostolica nella sua accondiscendenza si sarebbe piegata fino a lui.

Con l’animo pieno di gioia, confortò i compagni e affrontò con loro il cammino.

 

9. Presentatosi alla Curia romana, e introdotto al cospetto del sommo Pontefice, gli espose le sue intenzioni, chiedendoli umilmente e vivamente che approvasse la Regola di vita da lui scritta.

Il Vicario di Cristo, papa Innocenzo III davvero illustre per sapienza, ammirando nell’uomo di Dio la purezza e la semplicità dell’animo, la fermezza nel proposito e l’infiammato ardore di una volontà santa, si sentì incline ad accogliere con pio assenso le sue richieste.

Tuttavia non volle approvare subito la norma di vita proposta dal poverello, perché ad alcuni cardinali sembrava strana e troppo ardua per le forze umane.

Ma il cardinale Giovanni di San Paolo, vescovo di Sabina, persona degna di venerazione, amante di ogni santità e sostegno dei poveri di Cristo, infiammato dallo Spirito di Dio, disse al sommo Pontefice e ai suoi fratelli cardinali: «Questo povero, in realtà, ci chiede soltanto che gli venga approvata una forma di vita evangelica. Se, dunque, respingiamo la sua richiesta, come troppo difficile e strana, stiamo attenti che non ci capiti di fare ingiuria al Vangelo. Se, infatti, uno dicesse che nell’osservanza della perfezione evangelica e nel voto di praticarla vi è qualcosa di strano o di irrazionale, oppure di impossibile, diventa reo di bestemmia contro Cristo, autore del Vangelo».

Messo di fronte a queste ragioni, il successore di Pietro si rivolse al povero di Cristo e gli disse: «Prega Cristo, o figlio, affinché per mezzo tuo ci mostri la sua volontà. Quando l’avremo conosciuta con maggiore certezza, potremo accondiscendere con maggior sicurezza ai tuoi pii desideri».

 

AGGIUNTA POSTERIORE

 

9a. Quando giunse presso la curia romana, venne condotto alla presenza del sommo Pontefice. Il Vicario di Cristo, che si trovava nel palazzo lateranense e stava camminando nel luogo chiamato Speculum, immerso in profondi pensieri, cacciò via con sdegno, come un importuno, il servitore di Cristo.

Questi umilmente se ne uscì. Ma la notte successiva il Pontefice ebbe da Dio una rivelazione. Vedeva ai suoi piedi una palma, che cresceva a poco a poco fino a diventare un albero bellissimo. Mentre il Vicario di Cristo si chiedeva, meravigliato, che cosa volesse indicare tale visione, la luce divina gli impresse nella mente l’idea che la palma rappresentava quel povero, che egli il giorno prima aveva scacciato.

Il mattino dopo il Papa fece ricercare dai suoi servi quel povero per la città. Lo trovarono nell’ospedale di Sant’Antonio, presso il Laterano, e per comodo del Papa lo portarono in fretta al suo cospetto.

 

10. Il servo di Dio onnipotente, affidandosi totalmente alla preghiera, con le sue devote orazioni ottenne che Dio rivelasse a lui le parole con cui doveva esprimersi e al Papa le decisioni da prendere.

Egli, infatti raccontò al Pontefice, come Dio gliel’aveva suggerita, la parabola di un ricco re che con gran gioia aveva sposato una donna bella e povera e ne aveva avuto dei figli che avevano la stessa fisionomia del re, loro padre e che, perciò, vennero allevati alla mensa stessa del re.

Diede, poi, l’interpretazione della parabola, giungendo a questa conclusione: «Non c’è da temere che muoiano di fame i figli ed eredi dell’eterno Re; perché essi, a somiglianza di Cristo, sono nati da una madre povera, per virtù dello Spirito Santo e sono stati generati per virtù dello spirito di povertà, in una religione poverella. Se, infatti, il Re del cielo promette ai suoi imitatori il Regno eterno, quanto più provvederà per loro quelle cose che elargisce senza distinzione ai buoni e ai cattivi».

Il Vicario di Cristo ascoltò attentamente questa parabola e la sua interpretazione e, pieno di meraviglia, riconobbe senza ombra di dubbio che, in quell’uomo, aveva parlato Cristo. Ma si sentì rassicurato anche da una visione, da lui avuta in quella circostanza, nella quale lo Spirito di Dio gli aveva mostrato la missione a cui Francesco era destinato. Infatti, come egli raccontò, in sogno vedeva che la Basilica del Laterano ormai stava per rovinare e che, un uomo poverello, piccolo e di aspetto spregevole, la sosteneva, mettendoci sotto le spalle, perché non cadesse.

«Veramente – concluse il Pontefice – questi è colui che con la sua opera e la sua dottrina sosterrà la Chiesa di Cristo».

Da allora, sentendo per il servo di Cristo una straordinaria devozione, ci mostrò incline ad accogliere in tutto e per tutto le sue richieste e lo amò poi sempre con affetto speciale.

Concedette, dunque, le cose richieste e promise che ne avrebbe concesse ancora di più.

Approvò la Regola: conferì il mandato di predicare la penitenza e a tutti i frati laici, che erano venuti con il servo di Dio, fece fare delle piccole chieriche, perché potessero predicare liberamente la Parola di Dio.

 

 

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