CAPITOLO QUARANTATREESIMO

Come frate Currado da Offida convertì un frate giovane, molestando egli gli altri frati. E come il detto frate giovane morendo, egli apparve al detto frate Currado, pregandolo che orasse per lui. E come lo liberò per la sua orazione delle pene grandissime del purgatorio. Il detto frate Currado da Offida, mirabile zelatore della evangelica povertà e della regola di santo Francesco, fu di sì religiosa vita e di sì grande merito appo Iddio, che Cristo benedetto l'onorò, nella vita e nella morte, di molti miracoli. Tra' quali una volta, essendo venuto al luogo d'Offida forestiere, li frati il pregarono per l'amore di Dio e della carità, ch'egli ammonisse uno frate giovane che era in quello luogo, lo quale si portava sì fanciullescamente e disordinatamente e dissolutamente, che li vecchi e li giovani di quella famiglia turbava dello ufficio divino, e delle altre regolari osservanze o niente o poco si curava. Di che frate Currado per compassione di quello giovane e per li prieghi de' frati, chiamò un dì a sparte il detto giovane e in fervore di carità gli disse sì efficaci e divote parole d'ammaestramento che con la operazione della divina grazia colui subitamente diventò, di fanciullo, vecchio di costumi e sì obbediente e benigno e sollecito e divoto, e appresso sì pacifico e servente e a ogni cosa virtuosa sì studioso, che come prima tutta la famiglia era turbata per lui, così per lui tutti n'erano contenti e consolati e fortemente l'amavano. Addivenne, come piacque a Dio, che pochi di poi dopo questa sua conversione, il detto giovane si morì, di che li detti frati si dolsono, e pochi di poi dopo la sua morte, l'anima sua apparve a frate Currado, istandosi egli divotamente in orazione dinanzi allo altare del detto convento, e sì lo saluta divotamente come padre; e frate Currado il dimanda: "Chi se' tu?". Risponde: "Io sono l'anima di quel frate giovane che morì in questi dì". E frate Currado: "O figliuolo mio carissimo, che è di te?". Risponde: "Padre carissimo, per la grazia di Dio e per la vostra dottrina, ènne bene, però ch'io non sono dannato, ma per certi miei peccati, li quali io non ebbi tempo di purgare sofficientemente, sostegno grandissime pene di purgatorio; ma io priego te, padre, che, come per la tua pietà mi soccorresti, quand'io ero vivo, così ora ti piaccia di soccorrermi nelle mie pene, dicendo per me alcuno paternostro, ché la tua orazione è molto accettevole nel cospetto di Dio". Allora frate Currado, consentendo benignamente alle sue preghiere e dicendo una volta il paternostro con requiem aeternam, disse quella anima: "O padre carissimo, quanto bene e quanto refrigerio io sento! Ora io ti priego, che tu lo dica un'altra volta". E frate Currado il dice un'altra volta; e detto che l'ebbe, dice l'anima: "Santo padre, quando tu ori per me, tutto mi sento alleviare; onde io ti priego che tu non resti di orare per me". Allora frate Currado, veggendo che quella anima era così aiutata con le sue orazioni, si disse per lui cento paternostri, e compiuti che gli ebbe, disse quell'anima: "Io ti ringrazio, padre carissimo, dalla parte di Dio della carità che hai avuto verso di me, imperò che per la tua orazione io sono liberato da tutte le pene e sì me ne vo al regno celestiale". E detto questo, si part' quella anima. Allora frate Currado, per dare allegrezza e conforto alli frati, loro recitò per ordine tutta questa visione. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

CAPITOLO QUARANTAQUATTRESIMO

Come a frate Currado apparve la madre di Cristo e santo Giovanni Vangelista e santo Francesco; e dissegli quale di loro portò più dolore della passione di Cristo. Al tempo che dimoravano insieme nella custodia d'Ancona, nel luogo di Forano, frate Currado e frate Pietro sopraddetti (li quali erano due stelle lucenti nella provincia della Marca e due uomini celestiali); imperciò che tra loro era tanto amore e tanta carità che uno medesimo cuore e una medesima anima parea in loro due, e' si legarono insieme a questo patto, che ogni consolazione, la quale la misericordia di Dio facesse loro, eglino se la dovessino insieme rivelare l'uno all'altro in carità. Fermato insieme questo patto, addivenne che un dì istando frate Pietro in orazione e pensando divotissimamente la passione di Cristo; e come la Madre di Cristo beatissima e Giovanni Evangelista dilettissimo discepolo e santo Francesco erano dipinti appiè della croce, per dolore mentale crocifissi con Cristo, gli venne desiderio di sapere quale di quelli tre avea avuto maggior dolore della passione di Cristo, o la Madre la quale l'avea generato, o il discepolo il quale gli avea dormito sopra il petto o santo Francesco il quale era con Cristo crocifisso. E stando in questo divoto pensiero, gli apparve la vergine Maria con santo Giovanni Vangelista e con santo Francesco, vestiti di nobilissimi vestimenti di Gloria beata: ma già santo Francesco parea vestito di più bella vista che santo Giovanni. E istando frate Pietro tutto ispaventato di questa visione, santo Giovanni il confortò e dissegli: "Non temere, carissimo frate, imperò che noi siamo venuti a consolarti e a dichiararti del tuo dubbio. Sappi adunque che la Madre di Cristo ed io sopra ogni creatura ci dolemmo della passione di Cristo, ma dopo noi santo Francesco n'ebbe maggiore dolore che nessuno altro, e però tu lo vedi in tanta gloria". E frate Pietro il domanda: "Santissimo Apostolo di Cristo, perché pare il vestimento di santo Francesco più bello che'l tuo?". Risponde santo Giovanni: "La cagione si è questa: imperò che, quando egli era nel mondo, egli portò indosso più vili vestimenti che io". E dette queste parole, santo Giovanni diede a frate Pietro uno vestimento glorioso il quale egli portava in mano e dissegli: "Prendi questo vestimento, il quale io sì ho arrecato per darloti". E volendo santo Giovanni vestirlo di quello vestimento, e frate Pietro cadde in terra istupefatto e cominciò a gridare: "Frate Currado, frate Currado carissimo, soccorrimi tosto, vieni a vedere cose maravigliose!". E in queste parole, questa santa visione sparve. Poi venendo frate Currado, sì gli disse ogni cosa per ordine, e ringraziarono Iddio. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

CAPITOLO QUARANTACINQUESIMO

Della conversione e vita e miracoli e morte del santo frate Giovanni della Penna. Frate Giovanni dalla Penna essendo fanciullo e scolare nella provincia della Marca, una notte gli apparve uno fanciullo bellissimo e chiamollo dicendo: "Giovanni, va' a santo Stefano dove predica uno de' miei frati, alla cui dottrina credi e alle sue parole attendi, imperò che io ve l'ho mandato; e fatto ciò, tu hai a fare uno grande viaggio e poi verrai a me". Di che costui immantenente si levò su e sentì grande mutazione nell'anima sua. E andando a santo Stefano, e' trovovvi una grande moltitudine di uomini e di donne che vi stavano per udire la predica. E colui che vi dovea predicare era un frate ch'avea nome frate Filippo, il quale era uno delli primi frati ch'era venuto nella Marca d'Ancona, e ancora pochi luoghi erano presi nella Marca. Monta su questo frate Filippo a predicare, e predica divotissimamente non parole di sapienza umana, ma in virtù di spirito santo di Cristo, annunziando il reame di vita eterna. E finita la predica, il detto fanciullo se ne andò al detto frate Filippo, e dissegli: "Padre, se vi piacesse di ricevermi all'Ordine, io volentieri farei penitenza e servirei al nostro Signore Gesù Cristo". Veggendo frate Filippo e conoscendo nel detto fanciullo una maravigliosa innocenza e pronta volontà a servire a Dio, sì gli disse: "Verrai a me cotale dì a Ricanati, e io ti farò ricevere". Nel quale luogo si dovea fare Capitolo provinciale. Di che il fanciullo, il quale era purissimo, si pensò che questo fusse il grande viaggio che dovea fare, secondo la rivelazione ch'egli avea avuto, e poi andarsene a paradiso; così credea fare, immantanente che fusse ricevuto all'Ordine. Andò dunque e fu ricevuto, e veggendo che li suoi pensieri non si adempievano allora, dicendo il ministro in Capitolo che chiunque volesse andare nella provincia di Provenza, per lo merito della santa obbidienza, egli gli darebbe la licenza; vennegli grande desiderio di andarvi, pensando nel cuore suo che quello fusse il grande viaggio che dovea fare inanzi ch'egli andasse a paradiso. Ma vergognandosi di dirlo, finalmente confidandosi di frate Filippo predetto, il quale l'avea fatto ricevere all'Ordine, sì lo pregò caramente che gli accattasse quella grazia d'andare nella provincia di Provenza. Allora frate Filippo veggendo la sua purità e la sua santa intenzione, sì gli accattò quella licenza onde frate Giovanni con grande letizia si mosse a andare, avendo questa opinione per certo che, compiuta quella via, se ne andrebbe in paradiso. Ma come piacque a Dio, egli stette nella detta provincia venticinque anni in questa espettazione e disiderio, vivendo in grandissima onestà e santità ed esemplarità, crescendo sempre in virtù e grazia di Dio e del popolo, ed era sommamente amato da' frati e da' secolari. Istandosi un dì frate Giovanni divotamente in orazione e piangendo e lamentandosi, perché il suo desiderio non si adempieva e che 'l suo pellegrinaggio di cotesta vita troppo si prolungava: gli apparve Cristo benedetto, al cui aspetto l'anima sua fu tutta liquefatta, e dissegli Cristo: "Figliuolo frate Giovanni, addomandami ciò che tu vuogli". Ed egli risponde: "Signore mio, io non so che mi ti addimandare altro che te, però ch'io non disidero nessuna altra cosa, ma di questo solo ti priego, che tu mi perdoni tutti li miei peccati e diami grazia che' io ti veggia un'altra volta quando n'arò maggiore bisogno". Disse Cristo: "Esaudita è la tua orazione". E detto cotesto si partì, e frate Giovanni rimase tutto consolato. Alla perfine, udendo li frati della Marca la fama di sua santità, feciono tanto col Generale, che gli mandò la obbedienza di tornare nella Marca, la quale obbedienza ricevendo egli lietamente, sì si mise in cammino, pensando che, compiuta quella via, se ne dovesse andare in cielo, secondo la promessa di Cristo. Ma tornato ch'egli fu alla provincia della Marca, vivette in essa trenta anni, e non era riconosciuto da nessuno suo parente, ed ogni dì aspettava la misericordia di Dio, ch'egli gli adempiesse la promessa. E in questo tempo fece più volte l'ufficio della guardiania con grande discrezione, e Iddio per lui adoperò molti miracoli. E tra gli altri doni, ch'egli ebbe da Dio, ebbe spirito di profezia; onde una volta, andando egli fuori del luogo, uno suo novizio fu combattuto dal demonio e sì forte tentato, che egli acconsentendo alla tentazione, diliberò in se medesimo d'uscire dell'Ordine, sì tosto come frate Giovanni fusse tornato di fuori: la quale tentazione e deliberazione conoscendo frate Giovanni per ispirito di profezia, immantanente ritorna a casa e chiama a sé il detto novizio, e dice che vuole che si confessi. Ma in prima ch'egli si confessi, sì gli recitò per ordine tutta la sua tentazione, secondo che Iddio gli aveva rivelato, e conchiuse: "Figliuolo, imperò che tu m'aspettasti e non ti volesti partire sanza la mia benedizione, Iddio t'ha fatta questa grazia, che giammai di questo Ordine tu non uscirai ma morrai nell'Ordine, colla divina grazia". Allora il detto novizio fu confermato in buona volontà e rimanendo nell'Ordine diventò uno santo frate. E tutte queste cose recitò a me frate Ugolino. Il detto frate Giovanni, il quale era uomo con animo allegro e riposato e rade volte parlava, ed era uomo di grande orazione e divozione e spezialmente dopo il mattutino mai non tornava alla cella, ma istava in chiesa per insino a dì in orazione; stando egli una notte dopo il mattutino in orazione, sì gli apparve l'Agnolo di Dio e dissegli: "Frate Giovanni, egli è compiuta la via tua, la quale tu hai tanto tempo aspettata; e però io t'annunzio dalla parte di Dio che tu addimandi qual grazia tu vuogli. Ed anche t'annunzio che tu elegga quale tu vuogli, o uno dì in purgatorio, o vuogli sette dì di pene in questo mondo". Ed eleggendo piuttosto frate Giovanni li sette dì di pene di questo mondo, subitamente egli infermò di diverse infermità, ché gli prese la febbre forte, e le gotte nelle mani e nelli piedi, e 'l mal del fianco e molti altri mali: ma quello che peggio gli facea si era ch'uno demonio gli stava dinanzi e tenea in mano una grande carta iscritta di tutti li peccati ch'egli avea mai fatti o pensati e diceagli: "Per questi peccati che tu hai fatti col pensiero e con la lingua e con le operazioni, tu se' dannato nel profondo dello inferno". Ed egli non si ricordava di nessuno bene ch'egli avesse mai fatto, né che fusse nell'Ordine, né che mai vi fosse stato, ma così si pensava d'essere dannato, come il demonio gli dicea. Onde quando egli era domandato com'egli stesse, rispondea: "Male, però che io sono dannato". Veggendo questo i frati, sì mandarono per uno frate antico ch'avea nome frate Matteo da Monte Robbiano, il quale era uno santo uomo e molto amico di questo frate Giovanni. E giunto il detto frate Matteo a costui il settimo dì della sua tribulazione, salutollo o domandollo com'egli stava. Rispuose, ched egli stava male, perch'egli era dannato. Allora disse frate Matteo: "Non ti ricordi tu, che tu ti se' molte volte confessato da me, ed io t'ho interamente assolto di tutti i tuoi peccati? Non ti ricordi tu ancora che tu hai servito sempre a Dio in questo santo Ordine molti anni? Appresso, non ti ricordi tu che la misericordia di Dio eccede tutti i peccati del mondo, e che Cristo benedetto nostro Salvatore pagò, per noi ricomperare infinito prezzo? E però abbi buona isperanza, ché per certo tu se' salvo". E in questo dire, imperò ch'egli era compiuto il termine della sua purgazione, si partì la tentazione e venne la consolazione. E con grande letizia disse frate Giovanni a frate Matteo: "Imperò che tu se' affaticato e l'ora è tarda, io ti priego che tu vada a posarti". E frate Matteo non lo volea lasciare; ma pure finalmente, a grande sua istanza, si partì da lui ed andossi a posare. E frate Giovanni rimase solo col frate che 'l serviva. Ed ecco Cristo benedetto viene con grandissimo splendore e con eccessiva soavità d'odore, secondo ch'egli gli avea promesso d'apparirgli un'altra volta, cioè quando n'avesse maggior bisogno e sì lo sanò perfettamente da ogni sua infermità. Allora frate Giovanni con le mani giunte, ringraziando Iddio, che con ottimo fine avea terminato il suo grande viaggio della presente misera vita, e nelle mani di Cristo raccomandò e rendette l'anima sua a Dio, passando di questa vita mortale a vita eterna con Cristo benedetto, il quale egli con si lungo tempo avea disiderato e aspettato di vedere. Ed è riposto il detto frate Giovanni nel luogo della Penna di Santo Giovanni. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

CAPITOLO QUARANTASEIESIMO

Come frate Pacifico, istando in orazione, vide l'ariima di frate Umile suo fratello andare in cielo. Nella detta provincia della Marca, dopo la morte di santo Francesco, furono due fratelli nell'Ordine, l'uno ebbe nome frate Umile e l'altro ebbe nome frate Pacifico; li quali furono uomini di grandissima santità e perfezione: e l'uno, cioè frate Umile, stava in nel luogo di Soffiano ed ivi si morì, e l'altro istava di famiglia in uno altro luogo assai lungi da lui. Come piacque a Dio, un dì frate Pacifico, istando in orazione in luogo solitario, fu ratto in estasi e vide l'anima del suo fratello Umile andare in cielo diritta, sanza altra ritenzione o impedimento; la quale allora si partia del corpo. Avvenne che poi, dopo molti anni questo frate Pacifico che rimase, fu posto di famiglia nel detto luogo di Soffiano, dove il suo fratello era morto. In questo tempo li frati, a petizione de' signori di Bruforte, mutarono il detto luogo in un altro; di che, tra l'altre cose, eglino traslatarono le reliquie de' santi frati ch'erano morti in quello luogo. E venendo dalla sepoltura di frate Umile, il suo fratello frate Pacifico sì prese l'ossa sue e sì le lavò con buono vino e poi le rinvolse in una tovaglia bianca e con grande reverenza e divozione le baciava e piagneva; di che gli altri frati si maravigliavano e non aveano di lui buono esempio, imperò che essendo egli uomo di grande santità, parea che per amore sensuale e secolare egli piagnesse il suo fratello, e che più divozione egli mostrasse alle sue reliquie che a quelle degli altri frati ch'erano stati non di minore santità che frate Umile, ed erano degne di reverenza quanto le sue. E conoscendo frate Pacifico la sinistra immaginazione de' frati soddisfece loro umilmente e disse: "Frati miei carissimi, non vi maravigliate se alle ossa del mio fratello io ho fatto quello che non ho fatto alle altre; imperò che, benedetto sia Iddio, e' non mi ha tratto, come voi credete, amore carnale; ma ho fatto così, però che quando il mio fratello passò di questa vita, orando io in luogo diserto e remoto da lui, vidi l'anima sua per diritta via salire in cielo; e però io son certo che le sue ossa sono sante e debbono essere in paradiso. E se Iddio m'avesse conceduta tanta certezza degli altri frati, quella medesima reverenza avrei fatta alle ossa loro". Per la quale cosa li frati, veggendo la sua santa e divota intenzione, furono da lui bene edificati e laudarono Iddio, il quale fa così maravigliose cose a' santi suoi frati. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

CAPITOLO QUARANTASETTESIMO

Di quello santo frate a cui la Madre di Cristo apparve, quando era infermo, ed arrecogli tre bossoli di lattovaro. Nel soprannominato luogo di Soffiano fu anticamente un frate Minore di sì grande santità e grazia, che tutto parea divino e spesse volte era ratto in Dio. Istando alcuna volta questo frate tutto assorto in Dio ed elevato, però ch'avea notabilmente la grazia della contemplazione, veniano a lui uccelli di diverse maniere e dimesticamente si posavano sopra le sue spalle e sopra il capo e in sulle mani, e cantavano meravigliosamente. Era costui molto solitario e rade volte parlava, ma quando era domandato di cosa veruna, rispondea sì graziosamente e sì saviamente che parea piuttosto agnolo che uomo, ed era di grandissima orazione e contemplazione, e li frati l'aveano in grande reverenza. Compiendo questo frate il corso della sua virtuosa vita, secondo la divina disposizione infermò a morte, intanto che nessuna cosa potea prendere, e con questo non volea ricevere medicina nessuna carnale, ma tutta la sua confidenza era nel medico celestiale Gesù Cristo benedetto e nella sua benedetta Madre; dalla quale egli meritò per divina clemenza d'essere misericordiosamente visitato e medicato. Onde standos'egli una volta in sul letto disponendosi alla morte con tutto il cuore e con tutta la divozione, gli apparve la gloriosa vergine Maria madre di Cristo, con grandissima moltitudine d'agnoli e di sante vergini, con maraviglioso splendore, e appressossi al letto suo. Ond'egli ragguardandola prese grandissimo conforto e allegrezza, quanto all'anima e quanto al corpo, e cominciolla a pregare umilmente ched ella prieghi il suo diletto Figliuolo che per li suoi meriti il tragga della prigione della misera carne. E perseverando in questo priego con molte lagrime, la vergine Maria gli rispuose chiamandolo per nome: "Non dubitare, figliuolo, imperò ch'egli è esaudito il tuo priego, e io sono venuta per confortarti un poco, innanzi che tu ti parta di questa vita". Erano allato alla vergine Maria tre sante vergini, le quali portavano in mano tre bossoli di lattovaro di smisurato odore e suavità. Allora la Vergine gloriosa prese e aperse uno di quelli bossoli, e tutta la casa fu ripiena d'odore; e prendendo con uno cucchiaio di quello lattovaro, il diede allo infermo, il quale sì tosto come l'ebbe assaggiato, lo infermo sentì tanto conforto e tanta dolcezza, che l'anima sua non parea che potesse stare nel corpo; ond'egli incominciò a dire: "Non più, o santissima Madre vergine benedetta, o medica benedetta e salvatrice della umana generazione; non più, ch'io non posso sostenere tanta suavità". Ma la pietosa e benigna Madre pure porgendo ispesso di quello lattovaro allo infermo e facendogliene prendere, votò tutto il bossolo. Poi, votato il primo bossolo, la Vergine beata prende il secondo e mettevi dentro il cucchiaio per dargliene; di che costui dolcemente si rammarica dicendo: "O beatissima Madre di Dio, o se l'anima mia è quasi tutta liquefatta per l'odore e suavità del primo lattovaro, come potrò io sostenere il secondo? Io ti priego, benedetta sopra tutti li santi e sopra tutti gli agnoli, che tu non me ne vogli più dare". Risponde la gloriosa donna: "Assaggia, figliuolo, pure un poco di questo secondo bossolo". E dandogliene un poco dissegli: "Oggimai, figliuolo, tu ne hai tanto che ti può bastare. Confortati, figliuolo, che tosto verrò per te e menerotti al reame del mio Figliuolo, il quale tu hai sempre desiderato e cercato". E detto questo, accomiatandosi da lui si partì, ed egli rimase sì consolato e confortato per la dolcezza di questo confetto, che per più dì sopravvivette sazio e forte senza cibo nessuno corporale. E dopo alquanti dì, allegramente parlando co' frati, con grande letizia e giubilo passò di questa misera vita. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

CAPITOLO QUARANTOTTESIMO

Come frate Iacopo dalla Massa vide in visione tutti i frati Minori del mondo, in visione di uno arbore, e conobbe la virtù e li meriti e li vizi di ciascuno. Frate Iacopo della Massa, al quale Iddio aperse l'uscio delli suoi segreti e diedegli perfetta scienza e intelligenza della divina Scrittura e delle cose future, fu di tanta santità, che frate Egidio da Sciesi e frate Marco da Montino e frate Ginepro e frate Lucido dissono di lui che non ne conoscieno nessuno nel mondo appo Dio maggiore che questo frate Iacopo. Io gli ebbi grande desiderio di vederlo, imperò che pregando io certe cose di spirito, egli mi disse: "Se tu vuogli essere bene informato nella vita spirituale, procaccia di parlare con frate Iacopo della Massa, imperò che frate Egidio disiderava di essere alluminato da lui, e alle sue parole non si può aggiugnere né scemare; imperò che la mente sua è passata a' segreti celestiali e le parole sue sono parole dello Spirito Santo, e non è uomo sopra la terra ch'io tanto disideri di vedere". Questo frate Iacopo, nel principio del ministero di frate Giovanni da Parma orando una volta fu ratto in Dio e stette tre dì in questo ratto in estasi, sospeso da ogni sentimento corporale, e istette sì insensibile, che i frati dubitavano che non fusse morto. E in questo ratto gli fu rivelato da Dio ciò che dovea essere e addivenire intorno alla nostra religione; per la qual cosa, quando l'udii, mi crebbe il disiderio di udirlo e di parlare con lui. E quando piacque a Dio ch'io avessi agio di parlargli, io il priegai in cotesto modo: "Se vero è questo ch'io ho udito dire di te, io ti priego che tu non me lo tenga celato. Io ho udito che, quando tu istesti tre dì quasi morto, tra l'altre cose che Dio ti rivelò fu ciò che dovea addivenire in questa nostra religione, e questo ha avuto a dire frate Matteo ministro della Marca, al quale tu lo rivelasti per obbedienza". Allora frate Iacopo con grande umiltà gli concedette che quello che dicea frate Matteo era vero. Il dire suo, cioè del detto frate Matteo ministro della Marca, era questo: "Io so di frate Iacopo al quale Iddio ha rivelato ciò che addiverrà nella nostra religione, imperò che frate Iacopo dalla Massa m'ha manifestato e detto che, dopo molte cose che Iddio gli rivelò nello stato della Chiesa militante, egli vide in visione un arbore bello e grande molto, la cui radice era d'oro, li frutti suoi erano uomini e tutti erano frati Minori. Li rami suoi principali erano distinti secondo il numero delle provincie dell'Ordine, e ciascuno ramo avea tanti frati, quanti v'erano nella provincia improntata in quello ramo: e allora egli seppe il numero di tutti li frati dell'Ordine e di ciascuna provincia, e anche li nomi loro e l'età e le condizioni e gli uffici grandi e le dignità e le grazie di tutti e le colpe. E vide frate Giovanni da Parma nel più alto luogo del ramo di mezzo di questo arbore; e nelle vette de' rami, ch'erano d'intorno a questo ramo di mezzo istavano li ministri di tutte le provincie. E dopo questo vide Cristo sedere su in uno trono grandissimo e candido, il quale Cristo chiamava santo Francesco, e davagli uno calice pieno di spirito di vita e mandavalo dicendo: "Va' e visita li frati tuoi, e da' loro bere di questo calice dello spirito della vita, imperò che lo ispirito di Satana si leverà contro a loro e percoteragli, e molti di loro cadranno e non si rileveranno". E diede Cristo a santo Francesco due Agnoli che lo accompagnassono. E allora venne santo Francesco a porgere il calice della vita alli suoi frati, e cominciò a porgerlo a frate Giovanni, il quale prendendolo il bevette tutto quanto in fretta e divotamente, e subitamente diventò tutto luminoso come il sole. E dopo lui seguentemente santo Francesco il porgeva a tutti gli altri, e pochi ve n'erano di questi che con debita reverenza e divozione il prendessino e bevessino tutto. Quelli che 'l prendeano divotamente e beveanlo tutto, di subito diventavano isplendidi come il sole; e questi che tutto il versavano e non lo prendeano con divozione diventavano neri e oscuri e isformati a vedere e orribili, quelli che parte ne beveano e parte ne versavano, diventavano parte luminosi e parte tenebrosi, e più e meno secondo la misura del bere e del versare. Ma sopra tutti gli altri, il sopradetto frate Giovanni era risplendente, il quale più compiutamente avea bevuto il calice della vita, per lo quale egli avea più profondamente contemplato l'abisso della infinita luce divina, e in essa avea inteso l'avversità e la tempesta la quale si dovea levare contra la detta arbore, e crollare e commuovere i suoi rami. Per la qual cosa il detto frate Giovanni si parte dalla cima del ramo nel quale egli stava e, discendendo di sotto a tutti li rami, si nascose in sul sodo dello stipite dello arbore e stavasi tutto pensoso. E frate Bonaventura, il quale avea parte preso del calice e parte n'avea versato, salì in quello ramo e in quello luogo onde era disceso frate Giovanni. E stando nel detto luogo, sì gli diventarono l'unghie delle mani unghie di ferro aguzzate e taglienti come rasoi: di che egli si mosse di quello luogo dov'egli era salito, e con empito e furore volea gittarsi contro al detto frate Giovanni per nuocergli. Ma frate Giovanni, veggendo questo, gridò forte e raccomandossi a Cristo, il quale sedea nel trono: e Cristo al grido suo chiamò santo Francesco e diegli una pietra focaia tagliente e dissegli: "Va' con questa pietra e taglia l'unghie di frate Bonaventura, con le quali egli sì vuole graffiare frate Giovanni, sicché egli non gli possa nuocere". Allora santo Francesco venne e fece siccome Cristo gli avea comandato. E fatto questo, sì venne una tempesta di vento e percosse nello arbore così forte, che li frati ne cadeano a terra, e prima ne cadeano quelli che aveano versato tutto il calice dello spirito della vita, ed erano portati dalli demoni in luoghi tenebrosi e penosi. Ma il detto frate Giovanni, insieme con gli altri che aveano bevuto tutto il calice, furono traslatati dagli Agnoli in luogo di vita e di lume eterno e di splendore beato. E sì intendea e discernea il sopradetto frate Iacopo, che vedea la visione, particolarmente e distintamente ciò che vedea, quanto a' nomi e condizioni e stati di ciascheduno chiaramente. E tanto bastò quella tempesta contro allo arbore, ch'ella cadde e il vento ne la portò. E poi, immantanente che cessò la tempesta, della radice di questo arbore, ch'era d'oro, uscì un altro arbore tutto d'oro, lo quale produsse foglie e fiori e frutti orati. Del quale arbore e della sua dilatazione, profondità, bellezza e odore e virtù, è meglio a tacere che di ciò dire al presente. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

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