I - INSEGNAMENTI DELLA ENCICLICA "RERUM NOVARUM"
E TEMPESTIVI SVILUPPI DEL MAGISTERO DI PIO XI E PIO XII

I temi della "Rerum novarum"

7. Leone XIII parlò in anni di radicali trasformazioni, di accesi contrasti e di acerbe ribellioni. Le ombre di quel tempo ci fanno maggiormente apprezzare la luce che promana dal suo insegnamento.

Come è noto, allora la concezione del mondo economico più diffusa e maggiormente tradotta nella realtà era una concezione naturalistica, che negava ogni rapporto tra morale ed economia. Motivo unico dell’operare economico, si affermava, è il tornaconto individuale. Legge suprema regolatrice dei rapporti tra gli operatori economici è una libera concorrenza senza alcun limite. Interessi dei capitali, prezzi delle merci e dei servizi, profitti e salari, sono determinati puramente e meccanicamente dalle leggi del mercato. Lo Stato deve astenersi da ogni intervento in campo economico. Le associazioni sindacali erano, a seconda dei paesi, o vietate o tollerate o considerate come di diritto privato.

In un mondo economico cosi concepito la legge del più forte trovava piena giustificazione sul piano teorico e dominava sul piano dei rapporti concreti tra gli uomini. Ne risultava cosi un ordine economico radicalmente sconvolto.

8. Mentre ingentissime ricchezze s’accumulavano nelle mani di pochi, le classi lavoratrici venivano a trovarsi in condizioni di crescente disagio. Salari insufficienti o di fame, logoranti le condizioni di lavoro e senza alcun riguardo alla sanità fisica, al costume morale e alla fede religiosa. Inumane soprattutto le condizioni di lavoro a cui spesso erano sottoposti i fanciulli e le donne. Sempre incombente lo spettro della disoccupazione. Soggetta a processo di disintegrazione la famiglia.

Di conseguenza, profonda insoddisfazione tra le classi lavoratrici, nelle quali serpeggiava e si rafforzava lo spirito di protesta e di ribellione. Ciò spiega perché tra quelle classi trovassero largo favore teorie estremiste, che proponevano rimedi peggiori dei mali.

Le vie della ricostruzione

9. In quel frangente toccò a Leone XIII bandire il suo messaggio sociale tratto dalla stessa natura umana ed informato ai principi e allo spirito del Vangelo; messaggio che al suo apparire suscitò, pur tra comprensibili opposizioni, universale ammirazione ed entusiasmo.

Certamente non era la prima volta che la Sede Apostolica scendeva sull’arena dei terreni interessi a difesa dei miseri. Altri documenti dello stesso Leone XIII ne avevano già spianata la strada; allora però venne formulata una sintesi organica dei principi ed una prospettiva storica cosi ampia che fa dell’enciclica Rerum novarum una somma del cattolicesimo in campo economico - sociale.

Né fu un gesto senza ardimento. Mentre taluni osavano accusare la Chiesa cattolica quasi che di fronte alla questione sociale si limitasse a predicare la rassegnazione ai poveri e ad esortare i ricchi alla generosità, Leone XIII non esitò a proclamare e a difendere i legittimi diritti dell’operaio.

Ed accingendosi ad esporre i principi della dottrina cattolica nel campo sociale dichiarava solennemente: "Entriamo fiduciosi in questo argomento e di pieno nostro diritto, giacché trattasi di questione di cui non è possibile trovare soluzione che valga, senza ricorrere alla religione e alla Chiesa" (cf. Acta Leonis XIII, XI, 1891, p. 107).

10. A voi sono ben noti, venerabili fratelli, quei principi basilari esposti dall’immortale Pontefice con chiarezza pari all’autorità, secondo i quali deve ricomporsi il settore economico - sociale dell’umana convivenza.

Essi riguardano anzitutto il lavoro che deve essere valutato e trattato non già alla stregua di una merce, ma come espressione della persona umana. Per la grande maggioranza degli uomini, il lavoro è l’unica fonte da cui si traggono i mezzi di sussistenza e perciò la sua rimunerazione non può essere abbandonata al gioco meccanico delle leggi del mercato; deve invece essere determinata secondo giustizia ed equità, che altrimenti rimarrebbero profondamente lese, fosse pure stipulato liberamente da ambedue le parti il contratto di lavoro.

11. La proprietà privata, anche dei beni strumentali, è un diritto naturale che lo Stato non può sopprimere. Ad essa è intrinseca una funzione sociale, e però è un diritto che va esercitato a vantaggio proprio e a bene degli altri.

12. Lo Stato, la cui ragion d’essere è l’attuazione del bene comune nell’ordine temporale, non può rimanere assente dal mondo economico; deve esser presente per promuovervi opportunamente la produzione di una sufficiente copia di beni materiali, "l’uso dei quali è necessario per l’esercizio della virtù", (S. Th., De regimine principum, 1, 15) e per tutelare i diritti di tutti i cittadini, soprattutto dei più deboli, quali sono gli operai, le donne, i fanciulli. È pure suo compito indeclinabile quello di contribuire attivamente al miglioramento delle condizioni di vita degli operai.

13. È inoltre dovere dello Stato procurare che i rapporti di lavoro siano regolati secondo giustizia ed equità, e che negli ambienti di lavoro non sia lesa, nel corpo e nello spirito, la dignità della persona umana. A questo riguardo nell’enciclica leoniana sono segnate le linee secondo le quali si è intessuta la legislazione sociale delle comunità politiche nell’epoca contemporanea; linee, come già osservava Pio XI nell’enciclica Quadragesimo anno, (cf. AAS, XXIII, 1931, p. 185) che hanno contribuito efficacemente al sorgere e allo svilupparsi di un nuovo e nobilissimo ramo del diritto, e cioè del diritto del lavoro.

14. Ai lavoratori, si afferma ancora nell’enciclica, va riconosciuto come naturale il diritto di dar vita ad associazioni o di soli operai o miste di operai e padroni, come pure il diritto di conferire ad esse la struttura organizzativa che ritengono più idonea a perseguire i loro legittimi interessi economico - professionali e il diritto di muoversi autonomamente e di propria iniziativa all’interno di esse per il proseguimento di detti interessi.

15. Operai ed imprenditori devono regolare i loro rapporti ispirandosi al principio della solidarietà umana e della fratellanza cristiana; giacché tanto la concorrenza in senso liberistico, quanto la lotta di classe, in senso marxistico, sono contro natura e contrarie alla concezione cristiana della vita.

16. Ecco, venerabili fratelli, i principi fondamentali sui quali si regge un sano ordine economico-sociale.

Non è dunque da meravigliarsi se i cattolici più capaci, sensibili ai richiami dell’enciclica, abbiano dato vita a molte iniziative per tradurre nella realtà quei principi. E si sono mossi pure sulla stessa linea, sotto l’impulso di obiettive esigenze della stessa natura, uomini di buona volontà di tutti i paesi del mondo. Per cui l’enciclica, a ragione, è stata e viene riconosciuta la Magna Charta (cf. ivi, p. 189) della ricostruzione economico-sociale dell’epoca moderna.

La "Quadragesimo anno"

17. Pio XI, nostro predecessore di s.m., a quarant’anni di distanza commemora l’enciclica Rerum novarum con un nuovo documento solenne: l’enciclica Quadragesimo anno. (cf. ivi, pp. 177-228).

Nel documento il sommo Pontefice ribadisce il diritto e il dovere della Chiesa di portare il suo insostituibile contributo alla feclice soluzione degli urgenti gravissimi problemi sociali che angustiano la famiglia umana; riafferma i principi fondamentali e le direttive storiche dell’enciclica leoniana; coglie inoltre l’occasione per precisare alcuni punti di dottrina sui quali tra gli stessi cattolici erano sorti dubbi, e per enucleare il pensiero sociale cristiano in rispondenza alle mutate condizioni dei tempi.

18. I dubbi sorti concernevano, in modo speciale, la proprietà privata, il regime salariale, il comportamento dei cattolici nei confronti di una forma di socialismo moderato. Quanto alla proprietà privata, il nostro predecessore ne riafferma il carattere di diritto naturale e ne accentua l’aspetto sociale e la rispettiva funzione.

19. In ordine al regime salariale, respinge la tesi che lo qualifica ingiusto per sua natura; ne riprova però le forme inumane ed ingiuste, secondo le quali non di rado è stato realizzato; ribadisce e sviluppa i criteri ai quali deve ispirarsi e le condizioni che devono essere soddisfatte perché in esso non sia lesa la giustizia o l’equità.

20. In questa materia, chiaramente indica il nostro predecessore, nelle presenti condizioni è opportuno temperare il contratto di lavoro con elementi desunti dal contratto di società, in maniera che "gli operai diventino cointeressati o nella proprietà o nell’amministrazione o compartecipi in certa misura dei lucri percepiti" (cf. ivi, p. 199).

21. Della più alta importanza dottrinale e pratica va pure considerata la sua affermazione che il lavoro non si può "valutare giustamente né retribuire adeguatamente, dove non si tenga conto della sua natura sociale e individuale" (cf. ivi, p. 200). Conseguentemente nel determinare la rimunerazione, dichiara il Pontefice, la giustizia esige che si abbia riguardo oltre che ai bisogni dei singoli lavoratori e alle loro responsabilità familiari, anche alle condizioni degli organismi produttivi nei quali i lavoratori prestano la loro opera e alle esigenze del bene economico pubblico (cf. ivi, p. 201).

22. Tra comunismo e cristianesimo, il Pontefice ribadisce che l’opposizione è radicale, e precisa che non è da ammettersi in alcun modo che i cattolici aderiscano al socialismo moderato: sia perché è una concezione di vita chiusa nell’ambito del tempo, nella quale si ritiene obiettivo supremo della società il benessere, sia perché in esso si propugna una organizzazione sociale della convivenza al solo scopo della produzione, con grave pregiudizio della libertà umana, sia perché in esso manca ogni principio di vera autorità sociale.

23. Ma non sfugge a Pio XI che nei quarant’anni passati dalla promulgazione dell’enciclica leoniana la situazione storica si era profondamente mutata. Infatti la libera concorrenza, in virtù di una dialettica ad essa intrinseca, aveva finito per distruggere se stessa o quasi; aveva portato ad una grande concentrazione della ricchezza e all’accumularsi altresì di un potere economico enorme in mano di pochi, e "questi spesso neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento" (cf. ivi, p. 210s).

24. Pertanto, come osserva con perspicacia il sommo Pontefice, "alla libertà di mercato è sottentrata l’egemonia economica; alla bramosia del lucro è seguita la sfrenata cupidigia del predominio; tutta l’economia è cosi diventata orribilmente dura, inesorabile, crudele" (cf. ivi, p. 211) determinando l’asservimento dei poteri pubblici agli interessi di gruppo e sfociando nell’imperialismo internazionale del denaro.

25. Per porre rimedio ad una tale situazione, il supremo Pastore indica, come principi fondamentali, il reinserimento del mondo economico nell’ordine morale e il perseguimento degli interessi, individuali e di gruppo, nell’ambito del bene comune.

Ciò comporta, secondo il suo insegnamento, la ricomposizione della convivenza mediante la ricostruzione di corpi intermedi autonomi a finalità economico-professionali, creati dai rispettivi membri e non imposti dallo Stato; il ripristino dell’autorità dei poteri pubblici nello svolgimento di quei compiti che loro competono in ordine all’attuazione del bene comune; la collaborazione su piano mondiale fra le comunità politiche, anche in campo economico.

26. Ma i motivi di fondo che caratterizzano la magistrale enciclica di Pio XI possono ridursi a due. Il primo motivo è che non si può assumere come criterio supremo delle attività e delle istituzioni del mondo economico l’interesse individuale o di gruppo, né la libera concorrenza, né il predominio economico, né il prestigio della nazione o la sua potenza o altri criteri simili. Vanno invece considerati criteri supremi di quelle attività e di quelle istituzioni la giustizia e la carità sociali.

27. Il secondo motivo è che ci si deve adoperare per dare vita ad un ordinamento giuridico, interno e internazionale, con un complesso di stabili istituzioni, sia pubbliche che libere, ispirato alla giustizia sociale, a cui l’economia si conformi, cosi da rendere meno difficile agli operatori economici svolgere la loro attività in armonia con le esigenze della giustizia nel quadro del bene comune.

Il Radiomessaggio della Pentecoste 1941

28. Ma nel definire e nello sviluppare la dottrina sociale cristiana ha non poco contribuito anche Pio XII, nostro predecessore di v.m., il quale il 10 giugno 1941, nella solennità della Pentecoste, trasmetteva un radiomessaggio "per attirare l’attenzione del mondo cattolico sopra una ricorrenza meritevole di essere a caratteri d’oro segnata nei fastigi della Chiesa: sul cinquantesimo anniversario della fondamentale enciclica sociale Rerum novarum di Leone XIII... (cf. AAS, XXXIII, 1941, p. 196) e per rendere a Dio onnipotente... umili grazie per il dono che... largi alla Chiesa con quell’enciclica del suo vicario in terra, e per lodarlo del soffio dello Spirito rinnovatore, che per essa, d’allora in modo sempre crescente, effuse sulla umanità intera" (cf. ivi, p. 197).

29. Nel radiomessaggio il grande Pontefice rivendica alla Chiesa "la inoppugnabile competenza di giudicare se le basi di un dato ordinamento sociale siano in accordo con l’ordine immutabile che Dio creatore e redentore ha manifestato per mezzo del diritto naturale della rivelazione; (cf. ivi, p. 196) riafferma la perenne vitalità degli insegnamenti dell’enciclica Rerum novarum e la loro inesauribile fecondità; e coglie l’occasione "per dare ulteriori principi direttivi morali sopra tre valori fondamentali della vita sociale ed economica; i tre valori fondamentali che si intrecciano, si saldano, si aiutano a vicenda sono: l’uso dei beni materiali, il lavoro, la famiglia" (cf. ivi, p. 198s).

30. Per quanto riguarda l’uso dei beni materiali, il nostro predecessore afferma che il diritto di ogni uomo ad usare di quei beni per suo sostentamento è in rapporto di priorità nei confronti di ogni altro diritto a contenuto economico; e però anche nei confronti del diritto di proprietà. Certo, aggiunge il nostro predecessore, anche il diritto di proprietà dei beni è un diritto naturale; però, secondo l’ordine obiettivo stabilito da Dio, il diritto di proprietà va configurato in maniera da non costituire un ostacolo a che sia soddisfatta l’"inderogabile esigenza che i beni, da Dio creati per tutti gli uomini, equamente affluiscano a tutti, secondo i principi della giustizia e della carità" (cf. ivi, p. 199).

31. In ordine al lavoro, riprendendo un motivo ricorrente nella enciclica leoniana, Pio XII ribadisce che esso è simultaneamente un dovere e un diritto dei singoli esseri umani. Di conseguenza spetta ad essi, in prima istanza, regolare i loro vicendevoli rapporti di lavoro. Solo nel caso in cui gli interessati non adempiano o non possano adempiere il loro compito "rientra nell’ufficio dello Stato di intervenire nel campo della divisione e della distribuzione del lavoro, secondo la forma e la misura che richiede il bene comune rettamente inteso" (cf. ivi, p. 201).

32. Per quanto riguarda la famiglia, il sommo Pontefice afferma che la proprietà privata dei beni materiali va pure considerata come "spazio vitale della famiglia; e cioè un mezzo idoneo ad assicurare al padre di famiglia la sana libertà di cui ha bisogno per poter adempiere i doveri assegnatigli dal Creatore, concernenti il benessere fisico, spirituale, religioso della fami- glia" (cf. ivi, p. 202).

33. Ciò comporta per la famiglia anche il diritto d’emigrare. Su questo punto il nostro predecessore rileva che quando gli Stati, sia quelli che permettono di emigrare come quelli che accolgono nuovi elementi, si adoperino ad eliminare tutto ciò che "potrebbe essere d’impedimento al nascere e allo svolgersi di una vera fiducia" (cf. ivi, p. 203) tra loro, ne conseguirà un reciproco vantaggio, e si contribuirà insieme all’incremento del benessere umano e al progresso della cultura.

Ulteriori mutamenti

34. La situazione, già mutata all’epoca della commemorazione fatta da Pio XII, ha subito in questo ventennio profonde innovazioni, sia all’interno delle singole comunità politiche sia nei loro vicendevoli rapporti.

35. In campo scientifico-tecnico-economico: la scoperta dell’energia nucleare, le sue prime applicazioni a scopi bellici, la successiva crescente sua utilizzazione ad usi civili; le possibilità sconfinate aperte dalla chimica nelle produzioni sintetiche; l’estendersi dell’automatizzazione e dell’automazione nel settore industriale e in quello dei servizi; la modernizzazione del settore agricolo; la quasi scomparsa delle distanze nelle comunicazioni per effetto soprattutto della radio e della televisione; l’accresciuta rapidità nei trasporti; l’iniziata conquista degli spazi interplanetari.

36. Il campo sociale: lo sviluppo dei sistemi d’assicurazione sociale, e, in alcune comunità politiche economicamente sviluppate, l’instaurazione di sistemi di sicurezza sociale; il formarsi e l’accentuarsi nei movimenti sindacali di un’attitudine di responsabilità in ordine ai maggiori problemi economico-sociali; un progressivo elevarsi della istruzione di base; un sempre più diffuso benessere; la crescente mobilità sociale e la conseguente riduzione dei diaframmi fra le classi; l’interessamento dell’uomo di media cultura ai fatti del giorno su raggio mondiale. Inoltre l’aumentata efficienza dei sistemi economici in un numero crescente di comunità politiche, mette in maggiore risalto gli squilibri economico-sociali tra il settore dell’agricoltura da una parte e il settore dell’industria e dei servizi dall’altra; fra zone economicamente sviluppate e zone economicamente meno sviluppate nell’interno delle singole comunità politiche; e, su piano mondiale, gli squilibri economico-sociali ancora più stridenti fra paesi economicamente progrediti e paesi economicamente in via di sviluppo.

37. In campo politico: la partecipazione in molte comunità politiche alla vita pubblica di un numero crescente di cittadini di diverse condizioni sociali; l’estendersi e l’approfondirsi dell’azione dei poteri pubblici in campo economico e sociale. Si aggiunge inoltre, sul piano internazionale, il tramonto dei regimi coloniali e il conseguimento dell’indipendenza politica dei popoli d’Asia e d’Africa; il moltiplicarsi e l’infittirsi dei rapporti tra i popoli e l’approfondirsi della loro interdipendenza; il sorgere e lo svilupparsi di una rete sempre più ricca di organismi a dimensioni anche mondiali, con tendenza ad ispirarsi a criteri soprannazionali: organismi a finalità economiche, sociali, culturali, politiche.

Motivi della nuova enciclica

38. Noi, pertanto, sentiamo il dovere di mantener viva la fiaccola accesa dai nostri grandi predecessori, e di esortare tutti a trarre da essa impulso ed orientamento per la soluzione della questione sociale in forma più adeguata ai nostri tempi.

Per tale motivo, commemorando in forma solenne l’enciclica leoniana, siamo lieti di cogliere l’occasione per ribadire e precisare punti di dottrina già esposti dai nostri predecessori, e insieme enucleare ulteriormente il pensiero della Chiesa in ordine ai nuovi e più importanti problemi del momento.

 

 

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