S.Gregorio di Nissa - La verginità

Lettera che anticipa quanto viene esposto in seguito, consistente in un'esortazione alla vita virtuosa

Lo scopo del trattato è d'infondere in coloro che lo leggeranno il desiderio della vita virtuosa. Poiché, come dice il divino apostolo, la vita secolare è soggetta a molte distrazioni, il nostro scritto non può fare a meno di raccomandare la vita basata sulla verginità come porta d'ingresso ad una condotta più saggia: per coloro che si trovano impigliati nella vita comune non è facile, in effetti, attendere con la necessaria serenità di spirito alla vita più divina, mentre coloro che si sono totalmente staccati dal turbine della vita secolare hanno maggiori possibilità di dedicarsi ininterrottamente alle più alte occupazioni. L'esortazione non riesce da sola a persuadere, e con il semplice discorso non è facile indurre o spronare qualcuno a fare qualcosa di utile, se prima non si fa vedere la nobiltà dello scopo a cui si esorta l'ascoltatore; per questa ragione, il nostro discorso partendo dall'encomio della verginità termina con l'esortazione. E poiché la bellezza di una determinata cosa è in un certo senso posta maggiormente in risalto dal raffronto con il suo contrario, abbiamo dovuto ricordare anche gli aspetti sgradevoli della vita secolare. Quindi, seguendo il metodo migliore, abbiamo dato uno schizzo della vita spirituale, e fatto vedere come colui che è assorbito dai pensieri del mondo non possa raggiungerla. I desideri corporei sono sopiti in coloro che hanno rinunziato al mondo; di conseguenza, abbiamo cercato di dare un contorno preciso a quello che deve essere il vero oggetto dei nostri desideri: proprio in vista di quest'oggetto abbiamo ricevuto dal creatore della nostra natura la facoltà di desiderare. Una volta che l'avremo rivelato nei limiti delle nostre possibilità, potremo anche pensare al modo di conseguire questo bene. La vera verginità, quella che purifica da tutte le sozzure prodotte dai peccati, si rivela dunque adatta a tale intento, di modo che tutta la parte centrale del nostro discorso, anche se dà l'impressione di trattare altri argomenti, mira in realtà al suo encomio. Per non dilungarsi troppo, il trattato ha preferito sorvolare sulle regole particolari proprie di tale tipo di vita, praticate da coloro che perseguono questo nobile ideale: introducendo le sue esortazioni con consigli più generali, esso abbraccia in un certo senso anche le questioni singole, in modo da non tralasciare quanto è necessario e da evitare una lunghezza eccessiva. Data l'abitudine che tutti hanno di dedicarsi più volentieri a quell'occupazione da cui vedono altri acquistare fama, non abbiamo potuto non ricordare i santi che sono divenuti illustri con il celibato. Ma poiché gli esempi riportati nella narrazione non valgono a realizzare la virtù quanto la viva voce ed i buoni esempi viventi, abbiamo dovuto ricordare verso la fine del trattato il nostro piissimo vescovo e padre come il solo che è capace di educare a tale norma di vita. Non ne abbiamo ricordato il nome; mediante certe allusioni, il trattato fa però capire che è proprio lui la persona di cui si parla. In tal modo, coloro che in futuro lo leggeranno non solo non giudicheranno inutile il consiglio che esorta i giovani a frequentare la compagnia di un uomo morto, ma, pensando soltanto a come deve essere il maestro di tale vita, saranno anche in grado di scegliersi come guide coloro che la grazia divina avrà mostrato degni di sovrintendere ad una condotta di vita conforme alla virtù: o troveranno la persona che cercano, o sapranno bene come bisogna essere.

La successione degli argomenti è la seguente:
1. La verginità è superiore ad ogni encomio.
2. La verginità rappresenta la perfezione propria della natura divina ed incorporea.
3. Ricordo degli aspetti spiacevoli della vita matrimoniale; si fa anche notare che l'autore del trattato non è celibe.
4. Tutte le assurdità della vita si originano dal matrimonio; come deve essere colui che si è veramente staccato dalla vita secolare.
5. L'assenza di passioni nell'anima è più importante della purezza del corpo.
6. Elia e Giovanni seguirono la severa regola di questo tipo di vita.
7. Il matrimonio non va annoverato tra le cose condannabili.
8. Chi ha l'anima molto divisa difficilmente riesce a raggiungere lo scopo più alto.
9. E' in genere difficile cambiare le proprie abitudini.
10. Qual è l'oggetto che si deve desiderare veramente.
11. Come si può giungere a pensare alla vera bellezza.
12. Chi si è purificato è in grado di contemplare in se stesso la bellezza divina; della causa del male.
13. L'inizio della cura di se stessi è la rinunzia al matrimonio.
14. La verginità è superiore al potere della morte.
15. La vera verginità si vede in tutto ciò che si fa.
16. Tutte le occasioni di abbandono della virtù presentano un uguale pericolo.
17. E' imperfetto nei riguardi del bene chi è difettoso anche in una sola delle pratiche virtuose.
18. Tutte le facoltà dell'anima devono mirare alla virtù.
19. Ricordo di Maria sorella di Aronne, come colei che inaugurò questo tipo di vita perfetta.
20. E' impossibile essere schiavi dei piaceri corporei e nello stesso tempo cogliere i frutti della gioia divina.
21. Colui che ha scelto una severa disciplina di vita deve estraniarsi da ogni tipo di piacere corporeo.
22. Non bisogna praticare la continenza al di là del necessario; alla perfezione dell'anima si oppone sia la carnosità del corpo che la mortificazione priva di misura.
23. Colui che desidera apprendere la severa regola di questo tipo di vita deve farsi istruire da chi ha realizzato tale perfezione.

I.
La verginità è superiore ad ogni encomio

Il tipo nobile di verginità, onorato da tutti coloro che fanno consistere la bellezza nella purezza, si trova soltanto in chi è benevolmente assistito dalla grazia divina nella sua. lotta per la realizzazione di questo bel desiderio, e riceve quindi una lode adeguata dall'aggettivo che l'accompagna. Il termine «incorruttibile», che molti usano abitualmente per caratterizzare la verginità, è infatti indice della sua purezza. Grazie a tale termine equivalente è possibile comprendere la superiorità ed il pregio di questa grazia, giacché tra i tanti modi in cui la virtù si realizza, solo essa è stata onorata con l'appellativo «incorruttibile». Se poi bisogna glorificare con elogi questo grande dono di Dio, a garantire la sua fama basta il divino apostolo, che sotto poche parole ha nascosto tutti i più alti encomi, chiamando santa ed irreprensibile colei che se ne è adornata. Se la nobile verginità si realizza quando si diventa irreprensibili e santi (a ragione questi appellativi si applicano in primo luogo al Dio incorruttibile), quale lode della verginità è più grande di quella che, servendosi proprio di tali aggettivi, la mostra nell'atto di deificare in un certo senso coloro che sono partecipi dei suoi puri misteri fino al punto di godere della gloria dell'unico Dio veramente santo ed irreprensibile e d'imparentarsi con lui grazie alla purezza ed all'incorruttibilità? Coloro che dilungano le lodi in discorsi particolareggiati nell'intento di aggiungere qualcosa al carattere meraviglioso della verginità non si accorgono a mio giudizio di nuocere allo scopo che perseguono e di rendere sospetta la lode con le loro esaltazioni esagerate. Le cose splendide della natura, quali il cielo, il sole o le altre meraviglie dell'universo, possiedono in se stesse il loro carattere meraviglioso e non hanno bisogno dell'apologia dei discorsi; soltanto alle occupazioni più umili il discorso fa da sostegno ed aggiunge una parvenza di grandezza, rievocando le lodi. Per questo motivo si nutrono spesso dei sospetti nei confronti delle meraviglie approntate dai discorsi, come se si trattasse di cose sofisticate dagli uomini. L'unica lode appropriata che si può fare della verginità consiste nel mostrare come questa virtù sia superiore agli elogi e nel provare la propria ammirazione per la purezza più con il proprio modo di vivere che con le parole. Chi per ambizione la prende come argomento dei suoi encomi, se è convinto che è possibile magnificare con discorsi umani una grazia così grande, sembra vedere nella goccia prodotta dai suoi sudori un'aggiunta considerevole al mare infinito: o sopravvaluta la sue possibilità o non conosce ciò che loda.

II.
La verginità rappresenta la perfezione propria alla natura divina ed incorporea

Ci occorre una grande intelligenza per comprendere la sublimità di questa grazia, che è pensabile nel Padre incorruttibile; ma la cosa più straordinaria è che la verginità si trova nel Padre che pure ha un figlio che ha generato senza essere soggetto a passioni. Parimenti la si rivede nel Dio unigenito dispensatore d'incorruttibilità, nel momento in cui risplende nella sua generazione pura e scevra da passioni. Altro fatto ugualmente straordinario è rappresentato dal Figlio, quando si pensa che è nato dalla verginità. Allo stesso modo si può contemplare questo stato nella purezza incorruttibile propria della natura dello Spirito Santo: quando si parla di purezza e d'incorruttibilità, con questi due termini si allude proprio alla verginità. Essa si accompagna anche alle nature ultramondane; grazie alla mancanza di passioni, è presente nelle potenze superiori, senza mai separarsi dalle nature divine e senza mai attaccarsi a quelle opposte. Tutti gli esseri che o per natura o per libera scelta si rivolgono alla virtù si vantano della purezza e dell'incorruttibilità; e tutti gli esseri a cui è stata assegnata una collocazione opposta sono quello che sono e vengono chiamati così come vengono chiamati proprio perché hanno perso la purezza. Quale discorso sarà dunque così potente da eguagliare una grazia così grande? O come non bisogna temere di nuocere con delle lodi ricercate allo splendore di una cosa così sublime, rendendo la sua gloria inferiore all'idea che se ne erano fatta gli ascoltatori?

Poiché è impossibile elevare il discorso all'altezza dell'argomento, è meglio lasciare da parte ogni encomio della verginità e, nei limiti del possibile, ricordare sempre questa grazia divina parlando del bene che, pur essendo una proprietà ed un privilegio della natura incorporea, è stato elargito dall'amore di Dio a coloro che hanno ottenuto la vita per mezzo della carne e del sangue: è proprio quest'amore di Dio che, offrendo la partecipazione alla purezza come una mano soccorritrice, corregge la natura umana abbattuta dagli atteggiamenti passionali e la guida alla contemplazione delle cose superiori. A mio parere, nostro Signore Gesù Cristo, la fonte dell'incorruttibilità, è venuto al mondo senza aver bisogno dell'atto coniugale per mostrare, con il carattere della sua incarnazione, il grande mistero dovuto al fatto che la presenza e la venuta di Dio nel mondo possono trovare degna accoglienza solo in quella purezza che non si può realizzare in misura adeguata se non ci si estranea totalmente dalle passioni della carne. Quello che si verificò fisicamente in Maria immacolata quando la pienezza della divinità risplendette in Cristo attraverso la verginità, si ripete anche in ogni anima che resta vergine seguendo la ragione, anche se il Signore non è più presente materialmente. Dice infatti l'apostolo: «Non conosciamo più Cristo secondo la carne»; pur tuttavia, come ricorda un luogo del Vangelo, Egli si stabilisce spiritualmente nell'anima vergine e conduce con sé anche il Padre.

Poiché dunque la verginità è così potente da rimanere nei cieli presso il Padre degli spiriti, da danzare assieme alle potenze ultramondane e da inserirsi nello stesso tempo anche nell'economia della salvezza umana facendo scendere Dio con sé fino a renderlo partecipe della vita degli uomini, elevando l'uomo al desiderio delle cose celesti, divenendo come il legame di parentela tra l'uomo e Dio e rendendo concordi, grazie alla sua mediazione, le cose che per natura sono distanti tra loro, quale discorso risulterà mai capace di elevarsi alla sublimità di questa meraviglia? Giacché però sarebbe del tutto fuori luogo dare l'impressione di essere come muti o insensibili e scegliere una di queste due alternative, o far mostra di non riconoscere la bellezza della verginità o apparire apatici ed inamovibili nei confronti della percezione delle cose belle, abbiamo pensato di dover dire poche cose su di essa per mostrare la nostra assoluta obbedienza verso chi ci ha ordinato di parlare su quest'argomento. Nessuno però cerchi in noi discorsi enfatici: non avendo dimestichezza con questo modo di parlare, non potremmo farli neanche di proposito. E se anche fossimo capaci di fare dell'enfasi, non preferiremmo acquistarci fama presso poche persone piuttosto che essere utili a tutti. Penso che l'uomo assennato tra tutti i mezzi espressivi debba ricercare non quelli che lo rendono più ammirato rispetto alla massa, ma quelli con cui può giovare sia a se stesso che agli altri.

III.
Ricordo degli aspetti spiacevoli della vita matrimoniale; si fa anche notare che l'autore del trattato non è celibe

Potessi trarre anch'io qualche profitto da tale pratica di vita! Con quanto maggiore entusiasmo mi sarei sobbarcato a questa fatica se, come dice la Scrittura, mi fossi impegnato nel mio discorso «animato dalla speranza di godere anch'io dei frutti dell'aratro e della trebbiatura»! Ora invece la conoscenza della bellezza della verginità è per me in un certo senso vana ed inutile, così come lo sono «i prodotti della terra per il bue che munito di museruola rivolta il terreno dell'aia» o come lo è per l'assetato l'acqua che scorre giù da un precipizio quando non può essere raggiunta. Beati coloro che possono scegliere liberamente le cose migliori e che non ne vengono tenuti lontani dopo essere stati catturati dalla vita comune! Noi siamo invece separati come da un abisso dalla gloria della verginità, alla quale non può giungere chi ha cominciato ad imprimere le sue orme sul cammino della vita secolare. Per questo noi non siamo che degli spettatori delle altrui bellezze e dei testimoni dell'altrui beatitudine: anche se ci siamo fatti una bella idea della verginità, la nostra sorte è simile a quella dei cuochi e dei servi, che fanno gustare ad altri la lussuosa tavola dei ricchi senza poter prendere nulla di ciò che è stato preparato. Come saremmo stati felici se le cose non fossero andate così e se non avessimo conosciuto il bello in seguito ad un tardo pentimento! Sono invece veramente invidiabili e si trovano in uno stato che non conosce preghiere e desideri coloro che non si sono preclusa la possibilità di godere di questi beni. Come si crucciano e si addolorano per la loro condizione coloro che raffrontano il lusso della ricchezza con la propria povertà, così noi, quanto più riconosciamo la ricchezza della verginità, tanto più commiseriamo l'altro tipo di vita, e avendo in mente le cose migliori arriviamo a comprendere di quali e quanti beni esso sia privo. Non parlo soltanto dei beni che la vita futura riserva a chi è vissuto secondo la virtù, ma anche di quelli che offre la vita presente. Se si esaminasse con cura la differenza tra la nostra vita secolare e la verginità, si vedrebbe che tra le due vite esiste pressappoco lo stesso divario che c'è tra le cose terrene e quelle celesti; chi osserverà più da vicino i fatti potrà rendersi conto della verità delle mie parole.

Da dove si deve cominciare, per dipingere questa vita difficile con le tinte tragiche che le si addicono? O come si possono portare sotto gli occhi i suoi mali comuni, che tutti conoscono per diretta esperienza e che tuttavia la natura riesce a nascondere non so come a coloro che pure li conoscono, data la propensione degli uomini ad ignorare i frangenti in cui si trovano? Vuoi che cominciamo dagli aspetti più seducenti? La prima cosa che si cerca nel matrimonio è il raggiungimento di una piacevole vita in comune. Ammettiamo che questa si realizzi, e presentiamo pure un matrimonio felice sotto tutti i punti di vista: diamo per scontate la stirpe illustre, la ricchezza sufficiente, l'età coincidente, la bellezza fiorente, quella grande attrazione che si può supporre presente in ciascuno dei due più che nell'altro, e quella piacevole emulazione grazie alla quale ciascuno dei due vuol superare se stesso nelle manifestazioni amorose. Aggiungiamo pure la fama, la potenza, la pompa, e tutto ciò che preferisci. Considera però i dolori che necessariamente si accompagnano ai beni che abbiamo enumerato e che li consumano lentamente. Non mi riferisco all'invidia di cui sono oggetto le persone illustri, né al fatto che il sembrare di essere fortunati nella vita attira le insidie degli uomini, e neppure al fatto che chiunque non gode di un bene in misura uguale è naturalmente portato ad invidiare chi sta meglio di lui, anche se per questi motivi la vita di chi sembra essere felice è insidiata dai sospetti e procura più dolori che piaceri. Tralascio tutto ciò: ammettiamo pure che l'invidia non prenda di mira costoro, anche se è ben difficile trovare una persona a cui tocchino contemporaneamente questi due privilegi, quello di essere più felice degli altri e quello di non essere oggetto d'invidia. Se vuoi, supponiamo priva di tutti questi mali la loro vita. Vediamo piuttosto se può essere felice chi si trova in una simile situazione fortunata.

Tu mi chiederai: «Quale sarà mai allora questo dolore, se neanche l'invidia tocca le persone felici?». Io dico che è proprio l'assoluta felicità della loro vita a fare da esca al dolore. Finché sono uomini - esseri mortali e caduchi - e guardano le tombe dei loro antenati, non possono separarsi dai dolori, tanto questi sono uniti alla loro vita: basta che abbiano un solo barlume di ragione. L'attesa continua della morte, che non è riconoscibile con dei segni precisi e che data l'incertezza del futuro terrorizza come se fosse sempre imminente, guasta la felicità del momento e turba ogni gioia con la paura di ciò che si aspetta. Fosse possibile sapere prima della prova quello che hanno subito coloro che sono stati provati! Se infatti ci si potesse introdurre in questo tipo di vita con qualche sotterfugio per rendersi conto della situazione, quanti correrebbero spontaneamente ad abbracciare la verginità, abbandonando il matrimonio! Come si starebbe attenti a non lasciarsi prendere dalle trappole che non offrono scampo! Il dolore che esse procurano non lo si può immaginare con esattezza, se non si cade prigionieri delle loro reti. Se fosse possibile guardare senza rischio, si vedrebbe la gran confusione prodotta dalle contrarietà, il riso mescolato alle lacrime, il dolore unito alla gioia, l'attesa della morte che è presente in tutti gli avvenimenti e che tocca ogni cosa piacevole. Quando lo sposo vede il viso amato, subito s'insinua in lui anche la paura della separazione; e se sente la dolcissima voce della sposa, pensa al momento in cui non la sentirà più; e quando la contemplazione della bellezza lo fa gioire, allora soprattutto teme l'arrivo del dolore; se poi pensa ai pregi della giovinezza e a tutto ciò a cui ambiscono gli stolti, come lo sguardo che risplende sotto le ciglia, le sopracciglia che si stendono sopra gli occhi, la guancia dal sorriso dolce e delicato, le labbra fiorenti grazie al loro rosso naturale, i capelli folti, fermati da fili d'oro e risplendenti sul capo grazie alle trecce variegate, e tutti questi splendori caduchi, proprio allora, purché abbia un minimo d'intelligenza, comprende nel suo intimo che questa bellezza è destinata a dileguarsi, a dissolversi ed a svanire nel nulla: le sue attuali sembianze si tramutano in ossa fetide e ripugnanti, senza lasciare tracce, ricordi o resti della presente fioritura.

Se penserà a queste cose e ad altre simili, potrà forse vivere felice? Potrà essere sicuro che i beni che gli sono a portata di mano gli rimarranno sempre? Da quanto si è detto risulta invece chiaro che, come dopo un sogno ingannevole, si troverà nell'imbarazzo, non nutrirà più fiducia nella vita e considererà quelli che sembrano beni come cose a lui estranee: se ha un minimo di capacità di osservazione, capirà perfettamente che nessuna di quelle cose che nella vita ci appaiono come beni si rivela nella sua reale natura, giacché la vita stessa, servendosi di sembianze ingannevoli, ci mostra le cose diverse da quello che in realtà sono, inganna con vane illusioni chi crede ciecamente in lei, si nasconde sotto mentite spoglie ed infine, dopo varie vicissitudini, si rivela improvvisamente diversa dalle speranze umane, che s'introducono con l'inganno nella mente degli stolti. Chi tien conto di tutto questo quale valore potrà più dare ai piaceri della vita? Quando potrà veramente godere, o gioire di quei beni che sembrano essere a sua disposizione? Sconvolto dalla paura di eventuali cambiamenti, non rimarrà invece sempre insensibile al godimento dei beni di cui può disporre?

Tralascio i segni, i sogni e simili altre sciocchezze, cose tutte che una consuetudine insensata rende oggetto di una superstiziosa osservanza e che vengono interpretate nel senso peggiore. Il momento del parto sorprende però la sposa; si pensa allora non alla nascita del figlio, ma alla presenza della morte, giacché il parto fa temere il decesso della madre incinta. Molte volte gli sposi non sono stati ingannati da questi foschi presagi: prima di celebrare il genetliaco, prima di potere assaporare qualcuno dei beni in cui avevano sperato, subito vedono la loro gioia tramutarsi in pianto. Ribollono ancora per l'incanto amoroso, sono ancora all'acme dei loro desideri, ancora non hanno potuto gustare i maggiori piaceri della vita, quando, come in un sogno, si trovano separati all'improvviso da tutti i beni che avevano a portata di mano. E che cosa accade successivamente? La camera nuziale è saccheggiata dai familiari come da dei nemici: non è essa, ma la morte a menar vanto, grazie alla tomba. In tale circostanza si levano invocazioni inutili, si battono invano le mani; si ricorda la vita precedente, si maledicono coloro che hanno consigliato le nozze, si rimproverano gli amici che non le hanno proibite; s'incolpano i genitori, vivi o morti che siano; ci si adira contro la vita umana, si accusa tutta la natura, la stessa provvidenza divina diventa oggetto di molti rimproveri e accuse; si combatte contro se stessi, si è in guerra con chi cerca di consigliare; non si indietreggia di fronte alle cose più strane, siano esse parole o fatti. Spesso, quando il dolore trabocca e la ragione viene inghiottita dalla disperazione in un modo che desta sorpresa, la tragedia ha un epilogo ancora più amaro, giacché neanche il coniuge che è rimasto riesce a sopravvivere alla disgrazia.

Ma questo non si verifica. Facciamo l'ipotesi migliore, supponendo che la sposa sia scampata ai pericoli del parto e che alla coppia sia nato un figlio, l'immagine stessa della bellezza dei genitori. E allora? I motivi del cruccio sono forse per questo diminuiti, o non si sono piuttosto accresciuti? I coniugi continuano ad avere le preoccupazioni di prima, ed in più hanno quelle per il figlio, nel timore che durante la crescita accada qualcosa di spiacevole, che si verifichi qualche disgrazia, o che qualche evento non desiderato sia foriero di malattie, di lesioni o di pericoli. Queste sono le preoccupazioni comuni ad entrambi gli sposi; ma chi potrebbe enumerare quelle che affliggono in particolare la sposa? Tralasciamo pure quelle banali e note a tutti, come il peso della gravidanza, il pericolo del parto, la fatica dell'allevamento, il fatto che un frammento del suo cuore se ne va con il figlio generato e che, se ha molti figli, la sua anima si divide in tante parti quanti sono i figli che ha avuto, di modo che essa sente nelle proprie viscere ciò che accade a ciascuno di loro. Ma perché parlare di tutte queste cose, universalmente note? Poiché però, come dice il divino oracolo, la sposa «non è padrona di se stessa»» ma «va da colui che in virtù del matrimonio è il suo padrone», anche se si separa per poco tempo dal marito, è come se fosse separata dalla propria testa: non sopporta la solitudine, ma considera anche una breve lontananza dello sposo come un'esercitazione alla vedovanza. La paura le fa subito dimenticare le speranze più belle. Per questo, piena di turbamento e di spavento, rimane con l'occhio fisso sull'ingresso di casa, mentre le sue orecchie ascoltano tutte le chiacchiere che si dicono intorno; il suo cuore è come frustato dalla paura, e prima ancora che giunga qualche notizia, il solo rumore sentito dinanzi alla porta, vero o supposto che sia, le scuote improvvisamente l'animo come se fosse un annunciatore di mali. Le notizie che vengono da fuori potrebbero forse essere buone, e non rappresentare un motivo di timore; eppure, lo svenimento precede l'annunzio e fa volgere la mente dai pensieri belli a quelli contrari. Questa è la vita delle persone felici. E' veramente una bella vita! Non è certo paragonabile alla libertà assicurata dalla verginità.

Eppure il nostro discorso, mentre procedeva, ha tralasciato molte cose ancora più tristi. Spesso la sposa, ancora giovane nel corpo, ancora brillante dello splendore delle nozze, e forse ancora in preda al rossore che la sorprende all'arrivo dello sposo e alla vergogna che le fa abbassare lo sguardo, proprio quando i desideri si fanno più ardenti anche se il pudore impedisce loro di manifestarsi, rimane improvvisamente vedova, disgraziata e sola, attirando su di sé tutti gli appellativi più brutti: la disgrazia sopravvenuta tinge di nero improvvisamente e veste a lutto colei che fino a quel momento risplendeva, che aveva le vesti bianche e che era da tutti ammirata, rovinando la grazia che è propria delle giovani spose. La tenebra si sostituisce allo splendore del talamo, mentre le donne pagate per lamentarsi prolungano i suoi pianti; chi cerca di consolarla nel suo dolore finisce con l'essere odiato; lei stessa prova disgusto per i cibi, mentre il suo corpo si consuma, il suo animo si abbatte ed il desiderio di morire si fa sentire spesso fino alla morte. E anche se il tempo riesce a mitigare la disgrazia, ne subentra una nuova, ci siano o no i figli. Se ci sono, essi sono dei veri e propri orfani, e per questo sono degni di commiserazione e rinnovano con la loro presenza il dolore; se non ci sono, il ricordo dello scomparso svanisce completamente ed il lutto diventa inconsolabile.

Tralascio gli altri mali propri della vedovanza. Chi potrebbe infatti enumerarli uno per uno? Mi riferisco ai nemici, ai familiari, a coloro che infieriscono sulla disgrazia, a coloro che gioiscono della solitudine della sposa e che con occhio cattivo assistono alla rovina della casa provandone piacere, ai servi che disprezzano ed a tutti quegli altri mali che si possono vedere in misura rilevante quando si verificano tali luttuosi eventi: per questo molte vedove, non sopportando la cattiveria dei derisori, quasi per allontanare coloro che le addolorano approfittando dei loro mali, si vedono costrette a sottoporsi per una seconda volta ad una prova analoga. Molte invece ricordando ciò che è accaduto preferiscono sopportare qualsiasi cosa pur di non incorrere nuovamente in una disgrazia simile. Se vuoi renderti conto dei dolori della vita secolare, ascolta ciò che dicono le donne che l'hanno conosciuta per averne fatto esperienza: senti come esaltano la vita di chi ha scelto fin dall'inizio lo stato verginale senza averne compreso la bellezza in seguito ad una disgrazia. La verginità è in effetti immune da tutti questi mali: non piange gli orfani, non si lamenta della vedovanza; sta sempre insieme allo sposo incorruttibile; sempre mena vanto dei frutti della pietà; vede la casa - che è veramente sua - sempre adorna dei frutti più belli, giacché il suo padrone vi è sempre presente e sempre vi abita; nel suo caso, la morte determina non la separazione dalla persona amata, ma l'unione con lei, giacché, come dice l'apostolo, «quando l'anima se ne va, proprio allora viene a trovarsi insieme a Cristo».

Ma giacché abbiamo esaminato sia pure parzialmente i mali delle persone felici, sarebbe ora di passare in rassegna nella nostra trattazione anche gli altri tipi di vita, nei quali si fissano stabilmente la povertà, le disgrazie ed i rimanenti mali propri dell'inferma natura umana, quali le mutilazioni, le malattie e tutti gl'inconvenienti analoghi che toccano in sorte agli uomini durante la vita: chi vive da solo o riesce ad evitare queste prove o sopporta più facilmente le disgrazie, giacché può agevolmente concentrare su di sé il proprio pensiero, senza permettere che venga trascinato altrove. Chi invece ha i propri pensieri divisi tra la moglie e i figli, spesso non ha neppure il tempo di piangere sui propri mali, giacché le preoccupazioni per i suoi cari gli rimbombano nel cuore. Forse è superfluo soffermare il nostro discorso su fatti scontati: se ai supposti beni appaiono congiunti tanti travagli e dispiaceri, che cosa si dovrebbe immaginare a proposito dei loro contrari? Probabilmente, ogni descrizione che tentasse di porre sotto gli occhi la vita di queste altre persone rimarrebbe inferiore alla realtà. Pur tuttavia, è forse possibile mostrare succintamente i molti dolori della loro vita, giacché essi, avendo avuto in sorte una vita opposta a quella di coloro che sembrano felici, provano dei dolori che si originano da cause opposte. Se infatti la vita delle persone felici è sconvolta dall'attesa o anche dalla venuta della morte, per gli altri la disgrazia è invece rappresentata dal ritardo del suo arrivo; anche se la loro vita è diametralmente opposta, lo scoraggiamento giunge per entrambi ad un uguale sbocco.

Molteplici e vari sono i modi in cui il matrimonio dispensa i mali: i figli, nascano o no, vivano o muoiano, sono sempre causa di dolori. Mentre uno ha molti figli senza avere sufficienti mezzi di sostentamento, un altro, non avendo un successore che possa ereditare la grande fortuna per la quale si è tanto affaticato, ritiene un bene ciò che per gli altri è una disgrazia; ognuno vorrebbe avere ciò per cui vede infelice l'altro. Ad uno muore il figlio prediletto, ad un altro continua a vivere il figlio libertino; entrambi sono degni di commiserazione: l'uno piange per la morte del figlio, l'altro per la sua vita. Lascio da parte i lutti e le disgrazie a cui portano le gelosie e le lotte prodotte da fatti veri o da semplici sospetti. Chi potrebbe enumerarle con esattezza? Se vuoi renderti conto di come la vita umana sia piena di tali mali, non hai bisogno di rifarti alle narrazioni antiche, che hanno fornito ai poeti gli argomenti per i loro drammi: data l'esagerazione delle loro assurdità, sono ritenuti miti quelle storie in cui i figli vengono uccisi e divorati, gli uomini uccisi, le madri ed i fratelli trucidati, in cui si verificano accoppiamenti contrari ad ogni legge ed in cui la natura è sconvolta in ogni modo; i narratori di queste storie antiche cominciano il loro racconto proprio dalle nozze per terminare con tali disgrazie. Lascia stare tutto questo, e guarda piuttosto le tragedie che si svolgono sullo scenario della vita presente e che il matrimonio dispensa agli uomini. Va' al tribunale, e prendi visione delle leggi matrimoniali: imparerai lì certi segreti irrivelabili del matrimonio. Come, sentendo spiegare ai medici le varie malattie, sei in grado di renderti conto del miserando stato del corpo umano ed impari i tipi e la quantità di malattie di cui è ricettacolo, così, una volta imbattutoti nelle leggi e conosciuti i vari tipi di matrimoni illegittimi puniti da esse, potrai imparare tante cose sul conto del matrimonio. Il medico non cura le malattie immaginarie, così come la legge non punisce i mali inesistenti.

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