AGOSTINO DI IPPONA

PRIMA CATECHESI CRISTIANA

L’occasione dello scritto.

1. 1. Mi hai chiesto, caro fratello Deogratias, di scriverti qualcosa che possa esserti utile sulla catechesi da fare a chi è nuovo nella fede. Infatti, come hai detto, spesso a Cartagine, dove sei diacono, ti sono condotte persone da iniziare in tutto e per tutto alla fede cristiana, per il fatto che hai fama d’essere un ottimo catechista, per la dottrina che metti in opera nell’esporre la fede e per il fascino che eserciti nel porgere il discorso. Ma, come hai aggiunto, da parte tua quasi sempre ti trovi in difficoltà sul come debba essere opportunamente presentato ciò che, se vi aderiamo, ci fa cristiani. Ti chiedi da dove abbia a cominciare e fin dove abbia da esser condotta l’esposizione storica; se terminata quest’ultima, dobbiamo ricorrere a qualche esortazione oppure solamente a precetti, osservando i quali chi ascolta sappia poi mantenere cristiana la propria vita e la propria professione di fede. Inoltre mi hai confidato, lamentandotene, che spesso ti è accaduto, durante un lungo discorso privo di calore, di svilirti ai tuoi occhi e di esser colto da fastidio tu stesso e tanto più coloro che con la tua parola iniziavi e gli altri che stavano ad ascoltare. Messo alle strette da tali necessità, ti sei sentito spinto a forzare il mio volere, perché in nome della carità che ti devo, di buon grado tra le mie occupazioni, ti scrivessi qualcosa sull’argomento.

1. 2. Per quanto mi compete, mi sento costretto da quella carità e da quel servizio che debbo prestare non solo a te personalmente, ma universalmente alla nostra madre Chiesa a non rifiutare in alcun modo il compito propostomi, ma anzi ad accoglierlo con volontà pronta e fedele, se tramite l’opera mia, che per la generosità del Signore nostro sono in grado di adempiere, il Signore stesso mi ordina di aiutare in qualcosa coloro che mi ha dato come fratelli. Infatti quanto più desidero ardentemente che il tesoro del Signore sia dispensato con larghezza, tanto più, se so che i miei confratelli trovano difficoltà nel dispensarlo, occorre che faccia quanto sta in me perché essi possano compiere con facilità e prontezza ciò che desiderano con diligenza e zelo.

Osservazioni introduttive.

2. 3. Dunque, per venire alla tua osservazione, non vorrei che fossi turbato dal fatto che spesso ti è parso di fare un discorso trascurato e fastidioso. Infatti, può darsi che non sia parso tale a chi rivolgevi il tuo insegnamento, ma poiché tu desideravi far udire qualcosa di meglio, può darsi che ti sia parso immeritevole d’essere ascoltato da altri ciò che andavi esponendo. Del resto anche a me quasi sempre i discorsi che faccio non piacciono dal momento che è mio ardente desiderio farne altri migliori: e molte volte li gusto interiormente prima di cominciare a svilupparli con il suono delle parole; se poi mi riescono inferiori rispetto a quelli che avevo concepito dentro di me, mi rattristo perché la lingua non è in grado di corrispondere al mio sentire profondo. Vorrei infatti che chi mi ascolta vedesse con la mente ciò che io vedo; invece mi accorgo di non esprimermi in modo da riuscire nell’intento, soprattutto perché la visione pervade l’animo, per così dire, con la rapidità di un baleno, mentre l’espressione è tarda, prolissa e molto diversa; mentre questa si sviluppa, quella già si è ritirata nei suoi recessi. Tuttavia, poiché la visione della mente in modo mirabile lascia impresse nella memoria tracce pur labili, queste permangono nella durata delle sillabe; da tali tracce ricaviamo quel complesso di segni fonetici che si chiama lingua, sia essa la latina o la greca o l’ebraica o qualsivoglia altra, sia che tali segni vengano pensati sia che vengano anche vocalmente proferiti. In vero, le tracce di cui si è detto non sono né latine né greche né ebraiche e neppure appartengono ad alcun’altra gente, ma si producono nell’animo così come nel corpo si produce l’espressione del viso. Di fatto la collera è designata con un termine in latino, con un altro termine in greco e con altri termini ancora in altre lingue. Ma l’espressione del viso di un uomo adirato non è né greca né latina. Pertanto se uno dice: Iratus sum (Sono adirato), non tutti lo capiscono, ma solo i latini; al contrario, se la passione di un animo in collera si manifesta sul volto e ne cambia l’espressione, tutti si accorgono di trovarsi di fronte ad un uomo adirato. Certo, però, non è possibile con il suono prodotto dalla voce esprimere e, per così dire, porgere alla percezione di chi ascolta quelle tracce impresse nella memoria della visione intellettuale nella forma chiara e manifesta con cui le rende l’espressione del viso; le une, infatti, si trovano dentro, nell’animo, l’altra fuori, nel corpo. Per la qual cosa possiamo opinare quale sia il divario tra il suono della voce e l’impronta della visione intellettuale, dal momento che non è simile neppure all’impressione lasciata nella memoria. Per quanto ci riguarda, desiderando di solito ardentemente giovare a chi ci ascolta, vorremmo parlare secondo ciò che ci suggerisce la visione intellettuale, mentre, a causa della tensione stessa del nostro spirito non possiamo. E poiché la cosa non riesce, ci angustiamo e, nella convinzione di spenderci in un’opera vana, ci snerviamo nel disgusto e a causa di questo stesso disgusto il nostro discorso diviene più smorto ed inespressivo di quanto non fosse dal punto in cui aveva preso a disgustarci.

2. 4. Ma l’attenzione di coloro che hanno desiderio di ascoltarmi spesso mi rende manifesto che il mio parlare non è così noioso come mi pare, e, dal godimento che ne traggono, mi accorgo che vi trovano qualche utilità e con ogni cura impegno me stesso per non venir meno nell’offrire questo servizio, nel quale vedo che chi ascolta accoglie bene quel che viene presentato. Allo stesso modo anche tu per il fatto stesso che frequentemente ti sono condotte persone da iniziare alla fede, devi capire che il tuo discorso non è sgradito agli altri come è sgradito a te, né devi ritenerti inutile se non riesci a rendere come vorresti ciò che vedi con la mente, dal momento che forse neppure sei in grado di vedere come desidereresti. Chi infatti in questa vita vede se non in modo enigmatico e come per riflesso? Neanche l’amore è tanto grande da penetrare, squarciata la caligine della carne, nella serenità eterna, di dove comunque traggono luce anche le cose transeunti. Poiché d’altronde i buoni progrediscono di giorno in giorno verso la visione di un giorno che non conosce il muoversi circolare del cielo né l’irrompere della notte, che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrò in cuore di uomo, non vi è motivo per cui, nell’iniziare alla fede chi ne è lontano, il nostro discorso diminuisca per noi di valore, se non questo: che piace discernere cose inusitate ed annoia parlare delle consuete. E, inoltre, indubbiamente siamo ascoltati molto più volentieri allorché anche noi traiamo diletto dal parlare, giacché il filo del nostro eloquio vibra della gioia stessa che proviamo e riesce più facile e più gradito. Per ciò non è cosa difficile raccomandare da dove e fino a dove si debba narrare ciò che è insegnato come materia di fede; o come si debba variare la narrazione di modo che sia ora più breve, ora più lunga, ma sempre risulti compiuta e perfetta; e quando occorra valersi di quella più breve e quando di quella più lunga. In quali modi piuttosto ciò debba essere fatto perché il catechista insegni con gioia (infatti, quanto più sarà pieno di gioia tanto più riuscirà accetto presso chi lo ascolta): è questo il massimo impegno a cui occorre dedicarsi. Ed in proposito la regola è evidente e nota. Se Dio, infatti, ama chi dispensa con gioia i beni materiali, quanto più amerà chi dispensa in egual modo i beni spirituali? Quanto poi al fatto che una tale gioia sia presente al tempo opportuno, dipende dalla misericordia di Colui che la raccomanda. Tratteremo pertanto in primo luogo del metodo con cui affrontare l’esposizione storica, secondo il desiderio che hai espresso, poi dei temi relativi all’insegnare e all’esortare, infine del modo di ottenere la gioia a cui si è fatto cenno: tutto ciò seguendo l’ispirazione che Dio ci darà.

Sul modo di condurre il racconto.

3. 5. L’esposizione storica è compiuta quando la catechesi comincia dal versetto: In principio Dio creò il cielo e la terra e prosegue fino al tempo presente della Chiesa. Tuttavia, non dobbiamo per questo citare a memoria, nel caso li si conosca parola per parola, tutto il Pentateuco, e tutti i libri dei Giudici, dei Regni e di Esdra, e tutto il Vangelo e gli Atti degli Apostoli; neppure dobbiamo narrare e spiegare tutto ciò che è contenuto in questi libri esponendolo con nostre parole. Il tempo non lo consente né alcuna necessità lo esige. Dobbiamo, invece, abbracciare l’insieme per sommi capi e in linea generale, in modo da scegliere gli eventi più mirabili, che si ascoltano con maggior diletto e che d’altra parte si situano nelle articolazioni cruciali della storia, non mostrandoli come manoscritti nei loro involucri, per poi sottrarli subito alla vista; al contrario conviene, indugiandovi alquanto, chiarirli e spiegarli e offrirli all’attenzione degli ascoltatori perché li considerino e se ne meraviglino. Al resto possiamo accennare con rapide battute inserendolo nel contesto. In tal modo gli elementi che vogliamo mettere soprattutto in evidenza emergono di più per la minor rilevanza degli altri; né stancamente giunge a possederli chi desideriamo stimolare con la nostra esposizione storica, né rimane confusa la mente di chi dobbiamo ammaestrare con il nostro insegnamento.

Fine del precetto è la carità. La Sacra Scrittura assicura la venuta del Signore e prefigura la Chiesa futura.

3. 6. Indubbiamente in tutte le cose non solo occorre che non perdiamo di vista il fine del precetto, vale a dire la carità che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera (ad esso dobbiamo ricondurre tutto ciò che diciamo), ma occorre pure che verso quel medesimo precetto sia avviato e diretto lo sguardo di colui che ammaestriamo con la parola. Non per altro, infatti, tutto quello che leggiamo nelle Sacre Scritture è stato scritto, prima della venuta del Signore, se non per assicurare la sua venuta e per prefigurare la Chiesa futura, cioè il popolo di Dio in mezzo alle universe genti, che è il suo corpo; popolo che unisce ed annovera tutti i santi che vissero in questo mondo anche prima dell’avvento del Signore e credettero che egli sarebbe venuto, come noi crediamo che è venuto. Difatti Giacobbe, nascendo, mise fuori dal grembo materno dapprima la mano, con cui teneva il piede del fratello già nato, poi il capo e infine necessariamente le altre membra; e nondimeno il capo supera per dignità e valore non solo le membra che lo hanno seguito, ma anche la mano stessa che nel momento della nascita l’ha preceduto; esso ha il primo posto nell’ordine della natura, benché non lo abbia avuto rispetto al tempo in cui è apparso. Allo stesso modo anche il Signore Gesù Cristo prima di apparire nella carne e in certa maniera uscire dal grembo del suo mistero, uomo dinanzi agli occhi degli uomini, mediatore fra Dio e gli uomini, lui che è sopra tutti Dio benedetto nei secoli, nei santi Patriarchi e Profeti mandò avanti una parte del suo corpo tramite cui, preannunciando la sua nascita come con la mano, tener a freno con i vincoli della legge, come con le cinque dita, il popolo che lo precedeva orgoglioso. Poiché nel corso delle cinque articolazioni decisive della storia non cessò di preannunciare e profetare la sua venuta: e in accordo a ciò, colui tramite il quale fu data la legge scrisse cinque libri e quegli uomini superbi che sentivano secondo la carne e volevano stabilire la propria giustizia non furono provveduti abbondantemente di benedizioni dalla mano aperta di Cristo, ma tenuti a bada dalla sua mano saldamente serrata, e così i loro piedi furono impediti ed essi caddero, ma noi ci siamo levati e restiamo in piedi. Dunque, benché – come ho detto – Cristo Signore abbia mandato avanti una parte del suo corpo nella figura dei santi che lo hanno preceduto rispetto al tempo della sua nascita, egli tuttavia è il capo del corpo della Chiesa; e tutti quei santi si sono uniti a quel medesimo corpo, di cui è capo, credendo in Colui che preannunciavano. L’averlo, infatti, preceduto non ha comportato la loro separazione da lui; al contrario, l’avergli reso testimonianza ha comportato un maggior legame con lui. Poiché, per quanto la mano possa essere mandata avanti rispetto al capo, tuttavia la sua articolazione sta sotto il dominio del capo. Di conseguenza tutte le cose che sono state scritte prima, sono state scritte perché ci fossero di insegnamento e hanno rappresentato figure esemplari per noi; esse accadevano a loro in modo di prefigurazione, ma sono state scritte per noi, cui è venuta incontro la fine dei tempi.

Il motivo della venuta del Signore consiste nell’amore di Dio verso gli uomini.

4. 7. Ora, qual è il motivo più grande della venuta del Signore se non quello di mostrare da parte di Dio l’amore che ha per noi, raccomandandocelo sommamente? Perché mentre eravamo ancora suoi nemici, Cristo è morto per noi. E per ciò fine del precetto e pienezza della legge è la carità, così che pure noi ci amiamo l’un l’altro e, come egli ha dato la propria vita per noi, anche noi diamo la nostra per i fratelli; se un tempo si provava riluttanza ad amarlo, almeno ora non la si deve più provare nel rendere l’amore a quel Dio che per primo ci ha amati e non ha risparmiato il suo unico Figlio, ma lo ha dato per noi tutti. Non vi è infatti invito più efficace ad amare che esser primi nell’amare; e troppo duro è il cuore che, non avendo voluto spendersi nell’amare, non voglia neppure contraccambiare l’amore. Lo vediamo anche negli amori scandalosi e sordidi: chi vuol essere riamato non fa altro che manifestare e ostentare, per mezzo di ogni prova a sua disposizione, quanto ami; questi cerca di addurre come giustificazione un motivo apparentemente legittimo, per cui, in certo modo, pretende d’essere corrisposto da quel cuore che si sforza di sedurre; egli stesso si infiamma di più ardente passione quando si accorge che il cuore bramato già è arso dal medesimo fuoco. Se quindi per un verso un cuore intorpidito si desta, quando senta d’essere amato, e per altro verso un cuore già ardente di passione s’infiamma maggiormente, quando sappia d’essere riamato, è evidente che non vi è motivo più grande perché l’amore cominci o aumenti con il sapere d’essere amati, da parte di chi ancora non ama, oppure, da parte di chi ama per primo, con lo sperare di poter essere riamato o con l’averne già prova. E se ciò accade anche negli amori turpi, quanto più accade nell’amicizia! Infatti, per non scalfire l’amicizia, di che ci preoccupiamo se non di evitare che il nostro amico creda che non lo amiamo meno di quanto ci ami lui? Poiché se avesse quest’impressione, quell’amore, sulla cui base gli uomini instaurano rapporti di mutua amicizia, sarebbe in lui più freddo. E se pure quegli non è tanto inconsistente da permettere che una tale ferita smorzi in lui ogni affetto, si comporterà come uno che ama non perché ne gioisce, ma perché lo vuole. Inoltre vale la pena osservare che, quantunque i superiori vogliano essere amati dagli inferiori, dilettandosi dell’ossequio zelante di cui sono fatti oggetto, e li amino tanto più quanto più ne avvertono le manifestazioni, nondimeno un inferiore, quando si accorge di essere amato da un superiore, corrisponde con un affetto molto più grande. Di fatto l’amore è più accetto là dove non arde per l’arsura provocata dalla necessità, ma dove sgorga abbondante dalla ricchezza della benignità: giacché l’uno nasce dal bisogno, l’altro dalla benevolenza. Oltre a ciò, se l’inferiore disperava di poter essere amato dal superiore, sarà mosso ad amarlo al di là di ogni dire quando questi, di propria volontà, si sia degnato di mostrargli quanto ami lui, che mai avrebbe osato sperare un bene così grande. Ora, che cosa è più grande di Dio giudice, che cosa più privo di speranza dell’uomo peccatore? Quell’uomo che tanto più si era messo nelle mani di potenze superbe incapaci di dare felicità, per essere tutelato e soggiogato, quanto più aveva disperato che quella potenza, la quale intende esser eccelsa non per la sua malvagità, ma per la sua bontà, potesse aver cura di lui.

L’intera Scrittura narra di Cristo e raccomanda l’amore.

4. 8. Se dunque Cristo è venuto perché l’uomo conoscesse quanto Dio lo ami e lo sapesse per infiammarsi d’amore verso chi per primo lo ha amato e per amare il prossimo secondo il precetto e l’esempio di lui che si è fatto prossimo dell’uomo amandolo quando non gli era vicino, ma andava errando da lui lontano; se tutta la Scrittura divina che è stata redatta prima, lo è stata per preannunciare la sua venuta se ciò che in seguito è stato tramandato per iscritto e confermato dall’autorità divina narra di Cristo e raccomanda l’amore, è evidente allora che in quei due precetti riguardanti l’amore di Dio e del prossimo si raccolgono non solo tutta la legge e i profeti (la sola Scrittura esistente quando il Signore diceva quelle cose), ma anche tutti i restanti libri delle lettere divine, composti più tardi per la salvezza degli uomini e tramandati ai posteri. Per ciò nell’Antico Testamento è adombrato il Nuovo e nel Nuovo Testamento è reso manifesto l’Antico. Conformemente al velo che oscura l’uno, gli uomini carnali che pensano alle cose della carne sono stati allora e sono ora assoggettati dal timore dei castighi. Al contrario, conformemente alla rivelazione manifestata dall’altro, gli uomini spirituali che pensano alle cose dello spirito sono stati resi liberi dal dono della carità: e quelli che a quel tempo per il loro devoto atteggiamento videro aprirsi le cose ancora occulte e quelli che ora con atteggiamento non superbo sono in ricerca perché non si chiudano di nuovo le porte. Poiché dunque nulla è più contrario alla carità dell’invidia – e madre dell’invidia è la superbia –, lo stesso Signore Gesù Cristo, Dio uomo, è segno dell’amore di Dio verso di noi e in mezzo a noi esempio dell’umiltà che l’uomo deve avere, al fine che la grande superbia che ci è propria sia sanata da un più forte e contrario rimedio: infatti grande disgrazia è un uomo superbo, ma più grande misericordia è un Dio umile. Pertanto, dopo esserti proposto un tale amore come fine a cui orientare tutto ciò che dici, esponi ogni cosa in modo che chi ti ascolta ascoltando creda, credendo speri e sperando ami.

Le intenzioni dell’uomo e la misericordia di Dio: come il catechista deve avviare il suo discorso.

5. 9. Anche sulla base della severità di Dio, che incute ai cuori degli uomini un sacrosanto timore, deve essere edificata la carità. In tal modo chi gode d’essere amato da Colui che teme, avrà l’ardire di riamarlo e non avrà il coraggio di dispiacere all’amore di lui, anche potendolo fare impunemente. In vero accade molto raramente, anzi mai, che qualcuno venga con l’intenzione di diventare cristiano senza essere toccato nel profondo da un certo timore di Dio. Se infatti ha intenzione di diventare cristiano perché attende qualche vantaggio dalle persone che gli stanno intorno, alle quali ritiene altrimenti di non essere gradito, oppure perché vuol evitare danni da altre, dalle quali teme offesa o inimicizia, questi non vuole diventare veramente cristiano quanto piuttosto fingere di esserlo. Giacché la fede non è espressa da un corpo che si prostra, ma da un animo che crede. Spesso però, tramite l’opera del catechista, subentra la misericordia di Dio, cosicché il candidato, colpito dal discorso, vuol ormai diventare ciò che aveva stabilito di fingersi: quando un tale desiderio abbia preso in lui il sopravvento, allora possiamo ritenere che egli sia mosso da motivi genuini. Certo a noi rimane nascosto il momento in cui aderisca con il cuore quegli che già vediamo presente con il corpo; nondimeno dobbiamo agire con lui in modo che nel suo animo si sviluppi questo desiderio, seppure non c’è. Se poi già esiste e noi lo confermiamo con la nostra opera, non è fatica sprecata, anche se non sappiamo in quale tempo e in quale ora sia sorto. Senza dubbio è utile essere possibilmente avvertiti in precedenza, da coloro che conoscono il candidato, su quali siano le disposizioni interiori o su quali motivi lo abbiano spinto ad abbracciare la religione. E se non ci fosse persona da cui avere queste informazioni, occorre interrogare lui stesso per condurre l’inizio del nostro discorso secondo il tenore delle sue risposte. Se si è accostato con falsa intenzione, spinto dal desiderio di ottenere vantaggi umani o di evitare eventuali danni, in ogni caso ha l’intenzione di mentire; tuttavia, proprio dal fatto che mente si deve trarre lo spunto iniziale del discorso; non già per contraddire la sua menzogna, quasi tu ne fossi certo, ma, se egli dice d’essere venuto con una certa intenzione che si deve apprezzare, sia vero o falso ciò che dice, occorre approvare e lodare tuttavia quell’intenzione manifestata nella sua risposta. E ciò per far sì che egli si rallegri d’esser tale quale desidera apparire. Se poi manifesta motivi diversi da quelli che dovrebbero pervadere l’animo di chi deve essere iniziato alla fede cristiana, occorre riprenderlo con dolcezza e moderazione, come uomo privo di esperienza e di cognizioni, mettere in evidenza e raccomandare con brevità e convinzione il fine della dottrina cristiana in tutta la sua verità; e ciò senza occupare il tempo destinato all’esposizione storica e senza volerla imporre ad un animo non disposto in precedenza: bisogna che tu ti adoperi perché egli voglia quello che o per errore o per dissimulazione non voleva ancora.

Ammonizioni divine e responsi più sicuri delle Scritture.

6. 10. Se poi, per caso, risponde d’essere stato indotto a diventare cristiano perché avvisato o spaventato da un segno divino, allora egli ci offre uno spunto molto favorevole per l’esordio, consistente nel porre in luce quanto grande sia l’interessamento di Dio per noi. Certamente la sua attenzione deve essere trasferita da un tal genere di ammonizioni miracolose e di sogni al terreno più solido e ai responsi più sicuri delle Scritture, così che comprenda con quanta misericordia gli sia stato dato quell’avvertimento, prima di accostarsi alle Sacre Scritture. E in ogni modo gli si deve spiegare che il Signore non lo inciterebbe e non lo incalzerebbe a diventare cristiano e ad entrare nel corpo della Chiesa, né lo ammaestrerebbe con tali segni e rivelazioni, se non avesse voluto avviarlo in modo più sicuro e certo sul cammino già predisposto nelle Sacre Scritture: ivi egli, anziché cercare miracoli visibili, si abituerà a sperare miracoli invisibili e riceverà avvertimenti non nel sonno, ma nella veglia. Per questo occorre cominciare l’esposizione storica dal punto in cui si dice che Dio creò tutti gli esseri molto buoni e proseguirla – come abbiamo già detto – fino al tempo presente della Chiesa, così da spiegare le ragioni e le cause dei singoli fatti e avvenimenti che narriamo, riferendoli in tal maniera a quel fine dell’amore, che in tutte le nostre azioni e parole dobbiamo sempre mantenere dinanzi agli occhi. Infatti, anche coloro che sono ritenuti e denominati buoni grammatici si sforzano di riferire a un qualche fine utile i racconti inventati dai poeti per il piacere di spiriti dei quali costituiscono frivolo nutrimento, benché un tale fine sia vano e avido di profano alimento. Se ciò è vero, quanto più ci conviene esser cauti perché non accada che si presti fede per vano diletto o, peggio, per dannosa passione agli avvenimenti da noi raccontati come veri, per il fatto di presentarli senza rendere conto delle loro cause. Tuttavia non dobbiamo soffermarci su tali cause in modo che, interrotto il corso dell’esposizione storica, il nostro spirito e la nostra lingua si smarriscano nell’intrico di una discussione troppo ardua; dobbiamo invece adoperarci perché la verità stessa delle motivazioni adottate risulti come il filo d’oro che lega una serie di perle, senza tuttavia turbarne la successione, per eccesso di ornamento.

Sul modo di dar precetti e di fare esortazioni.

7. 11. Terminata l’esposizione storica, è necessario annunciare la speranza della resurrezione. Secondo la capacità e le forze di chi ascolta e secondo il tempo stesso a disposizione, contro il falso scherno degli infedeli, è dunque necessario trattare della resurrezione del corpo, della benignità del futuro giudizio finale verso i buoni, della sua severità verso i malvagi, della sua equità verso tutti. E, dopo aver ricordato con sentimenti di esecrazione e di orrore le pene riservate agli empi, è necessario preannunciare con animo ardente il regno dei giusti e dei fedeli e quella città superna con la sua beatitudine. Quindi è necessario ammaestrare e animare la debolezza umana contro le tentazioni e gli scandali, esistenti sia all’esterno che all’interno della Chiesa; all’esterno contro i pagani, gli ebrei e gli eretici, all’interno contro la paglia presente nell’aia del Signore. Ciò va fatto non per discutere contro ogni singola categoria di questi uomini stravolti o per confutare con adeguate argomentazioni le loro opinioni erronee, ma per dimostrare, nel breve tempo a disposizione, che così era stato predetto; e inoltre per sottolineare qual sia l’utilità delle tentazioni per la formazione dei fedeli e qual rimedio si possa cogliere nella pazienza di Dio che ha disposto di permettere tali tentazioni fino alla fine. Quando poi il candidato è ammaestrato nei confronti di quei dissennati le cui schiere riempiono materialmente le chiese, gli si deve ricordare in modo breve e conveniente i precetti di un comportamento cristiano e onesto, al fine che non si lasci adescare così facilmente dagli ubriaconi, dagli avari, dai frodatori, dai giocatori d’azzardo, dagli adulteri, dai fornicatori, dagli amanti degli spettacoli, dai propinatori di rimedi sacrileghi, dagli incantatori, dagli astrologhi, dagli indovini di qualsiasi arte vana e malefica e da altri individui dello stesso genere, e non creda di poter fare altrettanto impunemente, perché vede molti che, cristiani di nome, prediligono, operano, difendono, consigliano tali cose e inducono altri a compierle. Quale sorte attenda coloro che perseverano in un tal genere di vita e quanto debbano essere tollerati nella Chiesa stessa, dalla quale alla fine è necessario siano separati, si deve loro insegnare sulla base delle testimonianze dei libri divini. Come ugualmente si deve prevenire il candidato del fatto che egli troverà nella Chiesa molti buoni cristiani, veri cittadini della Gerusalemme celeste, se cominci egli stesso ad esser tale. Infine, occorre raccomandargli con insistenza di non riporre la propria speranza nell’uomo, poiché da parte dell’uomo non si può facilmente valutare chi sia giusto, e se pure lo si potesse, si deve essere consapevoli che i giusti non ci sono proposti ad esempio perché siamo resi giusti da loro, ma perché ci sia chiaro che, imitandoli, anche noi saremo resi giusti da Colui che tali li ha resi. Di conseguenza avverrà una cosa che è molto importante mettere in luce: quando colui che ci ascolta, anzi ascolta Dio tramite nostro, avrà cominciato a progredire nella condotta della vita e nella conoscenza della dottrina ed a percorrere alacremente la via di Cristo, non oserà attribuire a noi o a sé questo successo, ma amerà se stesso, noi e chiunque altro ami come amico in Chi e per Chi lo ha amato quando era nemico, così da farlo amico rendendolo giusto. Non credo poi che tu abbia bisogno di alcun maestro per sapere che, se il tempo a disposizione tua o dei tuoi ascoltatori è limitato, è bene che sia breve; se, al contrario, è più ampio, potrai essere più lungo nel discorso: la necessità stessa te lo suggerirà, senza necessità che alcuno intervenga.

Modo di comportarsi se il precatecumeno è persona coltivata negli studi liberali.

8. 12. In particolar modo non bisogna dimenticare che, se viene da te per ricevere la catechesi una persona coltivata negli studi liberali, che già abbia preso la decisione di farsi cristiano e venga allo scopo appunto di diventarlo, è del tutto improbabile che non conosca molti brani delle nostre Scritture e delle nostre opere: essendone già a conoscenza, questi viene soltanto per prender parte ai misteri cristiani. Infatti le persone di tal genere sono solite considerare ogni cosa con cura e comunicare ed esaminare ciò che sentono nell’animo, con quanti possono, non nel momento stesso in cui divengono cristiani, ma in precedenza. Pertanto con costoro bisogna esser brevi, senza insistere in maniera fastidiosa su argomenti che già conoscono, ma accennandovi con discrezione, in modo tale da far intendere che riteniamo che essi siano già a conoscenza di questo o di quell’argomento. Con loro si può passare velocemente in rassegna tutto ciò che si dovrebbe inculcare in quanti non conoscono le cose cristiane e negli ignoranti; sicché se quell’erudito già conosce una cosa, non l’ascolti come detta da un maestro; se ne ignora qualche altra, la apprenda mentre gli si ricorda ciò che gli è già noto. E non sarà inutile domandargli per quali ragioni sia stato indotto a voler diventare cristiano. Così, se ti accorgi che è stato persuaso dalla lettura sia di libri canonici, sia di altri trattati utili, puoi cominciare col dire qualcosa riguardo ad essi, facendone le lodi conformemente alla varietà dei pregi, per l’autorità canonica e per la diligente cura posta dagli autori: col mettere in rilievo nelle Scritture soprattutto la semplicità saluberrima della loro mirabile altezza, negli altri libri l’eloquio sonante e, per così dire, maggiormente tornito, adatto – secondo l’abilità oratoria di ciascuno scrittore – agli spiriti superiori, in questo davvero inferiori. Come pure si deve far in modo che il candidato indichi quale autore abbia letto preferibilmente e quali libri gli siano stati familiari, tanto da averlo persuaso a voler far parte della Chiesa. Quando avrà risposto, allora, se quei libri ci sono noti o quanto meno se veniamo a sapere, per averlo sentito nell’ambito della Chiesa, che sono stati scritti da autori cattolici di indubbia fama, li approveremo con gioia. Se, al contrario, il candidato si è imbattuto in opere di qualche eretico e, senza sapere forse ciò che la vera fede riprova, vi ha aderito e le ritiene espressione della dottrina cattolica, occorre istruirlo con cura, adducendo l’autorità della Chiesa universale e anche quella di uomini eminenti segnalatisi in controversie e in scritti relativi alle verità della Chiesa stessa. Per quanto anche quegli autori che hanno lasciato questa vita nella fede cattolica e hanno tramandato ai posteri opere di letteratura cristiana abbiano fornito, in qualche passo dei loro scritti, ai pretestuosi e ai temerari l’occasione per ordire e far nascere una qualche eresia: e ciò avviene o perché non sono stati compresi rettamente o perché, come accade, per i limiti dell’umano ingegno, non sono stati in grado di penetrare con l’acutezza della mente le cose più recondite, essendosi allontanati dalla verità per seguire la parvenza del vero. La qual cosa non fa meraviglia, quando dagli stessi scritti canonici, dove ogni cosa è stata detta perfettamente, molti hanno fatto nascere molte dottrine perniciose che hanno spezzato l’unità della comunione; e non certo per aver interpretato qualche passo diversamente da come lo scrittore ha inteso o come il vero senso per se stesso comporta (infatti, se si trattasse unicamente di questo, chi non concederebbe volentieri perdono alla debolezza umana pronta a correggersi?), ma per aver difeso con asperrima animosità e con ostinata arroganza le loro opinioni erroneamente perverse. Al candidato che accede alla comunità del popolo cristiano non, come si dice, da ignorante, ma da persona resa colta e raffinata dallo studio delle opere di uomini dotti, nel corso di una pacata conversazione, devono essere esposte tutte queste cose e, nell’esporle, si deve assumere l’autorità di chi insegna (perché egli si guardi dagli errori di presunzione) nella misura in cui l’umiltà stessa del candidato, che lo ha indotto a voler diventare cristiano, ci sembra che ormai lo permetta. Quanto poi agli altri argomenti da esporre e da discutere secondo le regole della dottrina salvifica, quali che siano, concernenti sia la fede sia la condotta di vita sia le tentazioni, tutto deve essere ricondotto – nel modo che ho già indicato – alla via sopraeminente della carità.

Se il precatecumeno è grammatico o oratore.

9. 13. Parimenti, ci sono candidati che provengono dalle più diffuse scuole dei grammatici e degli oratori; certamente non puoi enumerare costoro tra gli illetterati, ma neppure li puoi annoverare tra le persone dottissime, la cui intelligenza è adusa ad affrontare ardui problemi. Pertanto, quando costoro, che appaiono eccellere sugli altri uomini nell’arte oratoria, si presentano per diventare cristiani, si deve impartire loro con più forza che alle persone illetterate questo caloroso avvertimento: che apprendano, rivestiti d’umiltà cristiana, a non disprezzare quanti essi hanno visto evitare gli errori della vita più che quelli del discorso; e che non osino paragonare alla purezza di cuore quell’esercizio della lingua, che erano soliti tenere in maggior considerazione. Inoltre è necessario ammaestrare costoro a comprendere principalmente le Scritture divine, in modo che non ne spregino l’eloquio sostanzioso, con la scusa che sono prive di enfasi, né credano che le parole e le azioni degli uomini che si leggono nei Libri sacri, avvolte e coperte come sono da rivestimenti carnali, per venir comprese non debbano essere spiegate e interpretate, ma intese così nel loro senso letterale. Riguardo poi all’utilità stessa del significato recondito – da cui viene anche il nome di mysteria –, quale sia l’efficacia dell’oscurità degli enigmi nell’accrescere l’amore per la verità e nel dissipare il torpore derivante dalla noia è l’esperienza diretta con tali persone a dimostrarlo, quando qualche particolare che, proposto in maniera evidente, non li colpiva, li scuote attraverso la spiegazione del suo senso allegorico. Infatti a costoro giova massimamente sapere che i pensieri sono da anteporre alle parole, come l’anima è da anteporre al corpo. Da ciò consegue che si deve preferire ascoltare i discorsi più veri che eloquenti, così come si deve preferire avere amici più saggi che belli di aspetto. Sappiano pure che non giunge alle orecchie di Dio nessun’altra voce se non il sentimento profondo del cuore. Così dunque non rideranno se per caso abbiano sentito qualche responsabile e ministro della Chiesa invocare Dio, usando barbarismi e solecismi, o non comprendere il significato delle parole stesse che pronunzia e separarle in modo scorretto. Non che questi errori non debbano essere corretti (sì che il popolo possa dire amen a ciò che comprende pienamente); nondimeno, devono essere tollerati in spirito di carità da chi ha imparato che, come il “ parlare in modo acconcio “ è legato nel foro al suono della voce, così nella chiesa lo è alla sincerità della preghiera. Pertanto, il discorso nel foro talvolta può forse essere definito bona dictio, mai tuttavia benedictio. Per quel che riguarda poi il sacramento al quale si apprestano a partecipare, è sufficiente per i più perspicaci sentir parlare del significato del rito; per i più lenti occorre invece condurre la spiegazione in modo più articolato e con un maggior numero di similitudini, sì che tengano nel dovuto conto ciò a cui assistono.

Sul modo di ottenere la gioia. Le cause dell’insoddisfazione interiore nel catechista.

10. 14. A questo punto forse ti attendi un esempio di discorso, che ti mostri in forma concreta in che maniera si debba mettere in pratica ciò che ti ho detto. E lo farò certamente con l’aiuto del Signore, per quanto sta nelle mie capacità. Prima, però, devo parlare di quanto ho promesso, ossia del modo di ottenere la gioia. Infatti, per quel che riguarda i precetti del discorso da tenere nel catechizzare chi si presenta per diventare cristiano, ho mantenuto ciò che avevo promesso, nella misura che è parsa sufficiente. È davvero inutile che io stesso dia in questo scritto un esempio di ciò che insegno a fare. Se lo darò, dunque, sarà in sovrappiù; ma come può, in ogni modo, traboccare da me il sovrappiù prima che io abbia colmato la misura del debito? Ho sentito infatti che ti lamenti soprattutto del fatto che il tuo discorso, quando introduci un candidato alla fede cristiana, ti sembra piatto e trascurato. D’altronde so bene che ciò accade non tanto per la mancanza di argomenti da trattare, nei quali so che sei ben pronto e ferrato, né per la povertà del tuo eloquio, quanto per un’insoddisfazione interiore. Questa deriva dal motivo a cui ho fatto cenno: perché ciò che vediamo con la mente, senza l’ausilio delle parole, ci attrae maggiormente, ci avvince e non vogliamo essere portati lungi dal dissonante suono prodotto dalle parole. Scaturisce dal fatto che, se pure il discorso è brillante, preferiamo ascoltare o leggere ciò che è stato espresso in uno stile più tornito e prodotto senza nostro sforzo e preoccupazione, piuttosto che, improvvisando, dover adattare le parole alla capacità di chi ascolta, non sapendo se esse vengano in ausilio al pensiero e se siano recepite con una qualche utilità. Un altro motivo può aggiungersi, giacché proviamo fastidio nel tornare più e più volte su argomenti, a noi ben noti e ormai non necessari per progredire nel cammino, proposti a coloro che vogliono diventare cristiani: il nostro spirito, non più ai primi passi, ripercorre con scarso piacere argomentazioni tanto usuali e per così dire infantili. D’altra parte, in chi parla produce insoddisfazione anche il fatto che chi ascolta resti inerte; non certo perché sia bene per noi desiderare i consensi umani, ma perché le parole di cui siamo dispensatori sono dono di Dio. E quanto più amiamo coloro a cui ci rivolgiamo, tanto più desideriamo che sia accetto ciò che offriamo per la loro salvezza. E se la cosa non si verifica, ci rattristiamo e nel corso stesso dell’esposizione ci sentiamo scoraggiati ed abbattuti, come se ci spendessimo in un’opera vana. Talvolta poi l’insoddisfazione nasce allorché veniamo distolti da un qualche lavoro che desideravamo fare e il cui compimento ci dilettava e ci pareva maggiormente necessario, e siamo costretti, o per volere di qualcuno che non vogliamo urtare o per inevitabile richiesta di altri, a istruire con la catechesi qualche candidato. In tal modo, già contrariati, ci disponiamo ad un’occupazione che richiede una grande serenità, dispiaciuti perché non ci è concesso di mantenere l’ordine da noi desiderato nel susseguirsi dei lavori e perché non siamo in grado di far fronte a tutto. E così l’eloquio, ispirato dalla tristezza stessa, riesce meno gradevole, perché dall’aridità interiore, determinata dalla mestizia, fluisce meno copiosi. Similmente, qualche volta, mentre il dispiacere, derivante da qualche scandalo, angustia il nostro cuore, ci sentiamo dire: “Vieni e parla a questa persona che ha intenzione di farsi cristiana”. Certamente ce lo sentiamo dire da persone che ignorano quale dolore segreto bruci dentro di noi; e se non è opportuno rivelare loro il nostro stato d’animo, intraprendiamo malvolentieri quel che ci viene chiesto: allora, sì, il discorso, passato al vaglio di un cuore bruciante e torbido, riuscirà smorto e poco gradevole. Dunque, a quest’insieme di cause, quale che sia tra di esse quella che offusca la serenità del nostro animo, bisogna cercar rimedio con la grazia di Dio; di modo che si plachi quella tensione interiore e noi si possa gioiosamente esultare con spirito fervido nella tranquillità che deriva dal compimento di un’opera buona. Perché Dio ama chi dona con gioia.

L’esempio datoci da Cristo.

10. 15. Se infatti siamo contrariati perché chi ci ascolta non comprende il nostro pensiero, scendendo dalla cui sommità, in una maniera o nell’altra, siamo costretti ad indugiare lungo un cammino lento fatto di sillabe scandite e ci preoccupiamo di come far uscire dalla bocca, attraverso lunghi ed intricati giri di parole, quello che la mente vede nel tempo di un respiro; e poiché troviamo che vien fuori ben diverso da come vorremmo, dispiace parlare ed è gradito tacere: riflettiamo allora a cosa ci è stato prima donato da Colui che ci ha offerto l’esempio, affinché seguissimo le sue orme. Per quanto infatti possa differire l’articolazione verbale dalla vivacità della nostra intelligenza, molto di più differisce la caducità dell’uomo dall’immutabilità di Dio. E tuttavia, pur essendo di natura divina, Cristo spogliò se stesso assumendo la condizione di servo, ecc. fino alla morte di croce. E per quale ragione, se non perché si è fatto debole coi deboli, per guadagnare i deboli? Ascolta colui che ne è divenuto imitatore e che dice in un altro passo: Se infatti siamo stati fuori di senno, era per Dio: se siamo assennati è per voi. Poiché l’amore di Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti. In che modo infatti sarebbe stato pronto a prodigarsi per le loro anime, se avesse avuto riluttanza a piegarsi alle loro orecchie? In ragione di questo amore, Cristo si è fatto piccolo tra noi, come una nutrice che nutre i suoi figli; giacché è forse piacevole mormorare parole tronche e spezzate se non fosse l’amore a suggerirle? E tuttavia gli uomini desiderano avere bambini con i quali far così: per una madre è persino più dolce dare al figlioletto piccoli bocconi da lei sminuzzati, piuttosto che mangiare avidamente bocconi più grandi. Neppure si dimentichi l’esempio della chioccia che copre con le delicate piume i teneri nati e chiama a sé con debole verso i pulcini pigolanti; quelli che, alteri, si sottraggono alle carezzevoli ali, diventano preda di uccelli di rapina. Se la facoltà di comprendere si diletta nel penetrare recessi del tutto inviolati, si diletti pure nel comprendere che la carità, quanto più servizievole si cala nelle umili realtà, tanto più fortificata penetra nell’intimità dell’anima, con la chiara consapevolezza di nulla chiedere a coloro a cui si rivolge, se non la loro salvezza eterna.

Preferiamo leggere o ascoltare discorsi già espressi in forma compiuta piuttosto che improvvisare.

11. 16. Se invece preferiamo leggere ed ascoltare discorsi già preparati ed espressi in una forma più curata e per questo motivo proviamo fastidio ad improvvisare con esito incerto quanto diciamo secondo le circostanze, bisogna confidare in ciò: fermo restando che l’animo non si deve discostare dalla verità dei fatti, è facile che, se qualche espressione abbia urtato chi ascolta, questi dall’occasione stessa impari – allorché il pensiero sia stato compreso – quanta poca importanza abbia il dato che le parole adoperate per farlo comprendere non siano perfettamente compiute o appropriate. Se poi la limitata capacità umana abbia portato a scostarsi anche dalla verità stessa delle cose (sebbene nel catechizzare è difficile che ciò possa accadere, dal momento che bisogna mantenersi in un tracciato già battuto), tuttavia, perché non accada per caso che chi ascolta ne abbia danno, non dobbiamo vedere nell’accaduto se non che Dio ha voluto mettere alla prova la nostra capacità di sopportare la correzione con animo sereno, in modo da evitare di cadere, difendendo il nostro errore, in un errore più grande. Se poi nessuno ce lo ha fatto notare e il nostro errore è passato inosservato a noi e all’uditorio, non vi è motivo di dolersene, purché non accada di nuovo. Il più delle volte, però, passando mentalmente in rassegna quanto abbiamo detto, disapproviamo qualche parola e non sappiamo in che modo, quando è stata detta, abbia potuto essere presa per buona; quando in noi arde la carità, ci addoloriamo ancor di più se la nostra parola sia stata tranquillamente accolta, benché fosse erronea. Per questo motivo, quando si presenta l’opportunità, come abbiamo disapprovato noi stessi in silenzio, così dobbiamo preoccuparci di correggere con delicatezza anche coloro che sono caduti in qualche errore non per difetto della parola di Dio, ma certo della nostra. Se poi ci sono quelli che, maldicenti, detrattori, odiosi dinanzi a Dio, accecati da un’insana invidia si rallegrano del fatto che abbiamo sbagliato, sia questa per noi l’occasione di esercitare la pazienza insieme alla benevolenza, giacché anche la pazienza di Dio li spinge alla penitenza. Che cosa invero è più detestabile e che cosa accumula la collera per il giorno dell’ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio, più che il rallegrarsi del male altrui, a mala somiglianza ed imitazione del diavolo? Talvolta, benché abbiamo parlato bene e secondo verità, un qualche argomento o non viene compreso o per la sua stessa novità, contraria all’opinione familiare di un inveterato errore, scandalizza e sconcerta l’uditore mal disposto. Se il suo dissentire si sia manifestato con chiarezza e si dimostri sanabile, occorre senza alcun indugio ripararlo con abbondanza di testimonianze e di argomentazioni probanti. Se invece è celato dal silenzio, può venire in soccorso il rimedio divino. Ma se chi ascolta si ritrae e si rifiuta di essere soccorso, ci consoli l’esempio offerto dal Signore, il quale, essendosene alcuni andati via scandalizzati a causa della sua parola che era parsa dura, disse a quanti erano rimasti: Forse volete andarvene anche voi? Infatti, bisogna tenere per cosa ben ferma ed immutabile nell’animo che, trascorso il tempo opportuno, la Gerusalemme fatta prigioniera dalla Babilonia di questo mondo sarà liberata e nessuno dei suoi cittadini perirà: colui che perirà, infatti, non apparteneva ad essa. Poiché il fondamento gettato da Dio sta saldo e porta questo sigillo: Il Signore conosce i suoi. E si allontani dall’iniquità chiunque invoca il nome del Signore. Meditando ciò ed invocando nel nostro cuore il Signore, avremo meno timore del dubbio risultato del nostro discorso per le incerte reazioni di chi ascolta. E ci procurerà perfino gioia il sopportare i fastidi che comporta il compiere l’opera di carità, se, nel compierla, non cercheremo la nostra gloria. Un’opera è veramente buona quando l’intuizione di chi agisce è proiettata come un dardo dalla carità e, ritornando per così dire al luogo che le è proprio, trova nuovamente pace nella carità. Persino una lettura che ci diletta o un discorso particolarmente curato che amiamo ascoltare, tale, se lo si metta in luce, da rendere la nostra parola stanca e tediosa e da relegarla in secondo piano, dopo la nostra fatica ci troveranno più disposti a gustarli e ci risulteranno più graditi. Con maggiore fiducia pregheremo Dio che ci parli come desideriamo, se accettiamo con gioia che egli parli, per bocca nostra, come possiamo. Così avviene che per coloro che amano Dio tutto concorra al bene.

Il fastidio di ripetere molte volte argomenti ben noti.

12. 17. Se poi ci infastidisce ripetere molte volte argomenti usuali e da bambini, adattiamoci a chi ci ascolta con amore fraterno, paterno e materno e, così uniti in un cuor solo, anche a noi quegli argomenti sembreranno nuovi. Infatti il sentimento di un animo capace di condividere tanto può che, quando coloro che ci ascoltano sono impressionati da noi che parliamo e noi da loro che apprendono, ci si compenetra a vicenda: di conseguenza, quelli espongono quasi per bocca nostra ciò che ascoltano, mentre noi in certo modo apprendiamo da loro ciò che insegniamo. Forse non accade solitamente che quando mostriamo a persone che mai prima li avevano visti luoghi di splendida bellezza, siti in città o in campagna, davanti ai quali solevamo passare senza sentire alcun piacere per averli già visti molte volte, il nostro diletto si rinnovi partecipando al diletto suscitato negli altri dalla novità? E ciò tanto più accade, quanto più queste persone ci sono amiche, giacché, in virtù del vincolo dell’amore, in quanto siamo in loro, in tanto sentiamo nuove anche per noi le cose vecchie. Ma, se abbiamo fatto qualche passo avanti nel contemplare le cose, non desideriamo ormai che le persone che amiamo provino gioia e meraviglia vedendo le opere compiute dalla mano dell’uomo, ma desideriamo che si elevino fino a cogliere l’arte e il progetto dell’istitutore e quindi si innalzino fino ad ammirare e lodare Dio, creatore di tutte le cose, nel quale si trova il fine sommamente fecondo dell’amore. Dunque, tanto più dobbiamo gioire quando gli uomini si presentano per imparare a conoscere Dio stesso, per il quale deve essere appresa ogni cosa da apprendere; e partecipare come uomini nuovi al loro rinnovamento, cosicché, se solitamente il nostro insegnamento è troppo freddo, diventi ardente per l’udienza insolita riservatagli dai nostri ascoltatori. A ciò si aggiunge, al fine di ottenere la gioia, la riflessione che facciamo considerando da quale errore mortale l’uomo passi alla vita della fede. E se per caso, per indicare la strada a una persona provata dallo sforzo di andare errando, ci capita di passare per vie ben conosciute con gioia benefica, con tanta maggiore prontezza e letizia dobbiamo camminare nella dottrina salvifica – anche per quelle parti che non occorre ripetere a noi stessi – allorché conduciamo per le vie della pace un’anima degna di compassione e fiaccata dagli errori di questo mondo, comandandocelo colui stesso che ci ha dato quella pace.

L’impassibilità di chi ascolta scoraggia chi parla.

13. 18. Nondimeno, in vero, è certo difficile proseguire il discorso fino al termine prestabilito, quando non si vede alcun cenno di assenso da parte di chi ascolta: o perché, frenato da religioso timore, non osa manifestare verbalmente o con un gesto la sua approvazione, o perché è trattenuto dall’umana timidezza, o perché non comprende ciò che gli viene detto o lo ritiene di poco conto. Allorché, non potendo discernere da parte nostra lo stato d’animo di chi ascolta, si è nell’incertezza, bisogna allora tentare di mettere in atto con il discorso tutti i mezzi che possono servire a spronarlo e, per così dire, a farlo uscire dal suo nascondiglio. Giacché bisogna bandire con suasivo incoraggiamento l’eccessivo timore che gli impedisce di esprimere la sua opinione; mitigarne la timidezza introducendo un rapporto fraterno; cercare di rendersi conto con qualche domanda della sua capacità di capire; dargli fiducia, in modo che, qualora gli sembri di dover ribattere su qualche argomento, parli liberamente. È necessario anche chiedergli se ha già udito qualche volta ciò che gli è insegnato; e se per caso non lo interessi per il fatto che si tratta di argomenti a lui ben conosciuti e familiari. In conformità alla sua risposta, ci si deve impegnare o a parlare in modo più semplice e più chiaro; o a ribattere un’obiezione; oppure a non dilungarsi in dettagliate spiegazioni sugli argomenti che gli sono già noti, ma a riassumerli brevemente, a scegliere nei Libri Sacri alcuni passi espressi in forma allegorica, e soprattutto nella nostra stessa narrazione spiegarli e chiarirli di modo che il discorso sia reso gradevole. Se poi il candidato è troppo lento a capire, refrattario e sordo a dolcezze di tal fatta, lo si deve sopportare con benevolenza e dopo aver fatto un breve accenno agli altri argomenti, occorre insistere, in modo da suscitare timore a causa del futuro giudizio, su quei punti che sono affatto necessari, relativi all’unità della Chiesa cattolica, alle tentazioni, alla condotta cristiana; e si devono dire molte più cose a Dio per lui, che a lui di Dio.

Accade che qualche ascoltatore dapprima sia attento e poi si stanchi di stare in piedi o di ascoltare. Occorre provvedere con i rimedi adatti.

13. 19. Spesso accade pure che chi inizialmente ascoltava con piacere, stanco di ascoltare o di stare in piedi, apra la bocca non per lodare, ma per sbadigliare, e dia a vedere, benché involontariamente, di voler andar via. Appena ci si accorge di ciò, è bene ravvivare la sua attenzione col dire qualcosa insaporito da una gioia composta e conveniente all’argomento trattato; o qualcosa che susciti meraviglia e stupore o commozione e pianto; e più, qualcosa che lo riguardi in prima persona, in modo che, punto sul vivo, egli ridesti il suo interesse; tuttavia la cosa non deve urtare, con qualche espressione aspra, la riservatezza di chi ascolta, ma piuttosto conquistarne il favore con il tono familiare. Altrimenti, gli si può venire in aiuto offrendogli da sedere; sebbene sarebbe senza dubbio meglio che, là dove è possibile farlo in modo agevole, ascolti stando seduto sin dall’inizio. Molto opportunamente in alcune chiese d’oltremare, non solo i vescovi parlano al popolo stando seduti, ma pure il popolo dispone di sedili; in tal modo chi è più debole, stanco di stare in piedi, non è distolto dal prestare un’attenzione che si rivela tanto salutare o non è costretto addirittura ad andarsene. E tuttavia vi è una notevole differenza se si ritiri da una grande assemblea per recuperare le forze una persona già legata dalla comunione dei sacramenti ovvero se ne vada una persona che deve ricevere l’iniziazione a tali sacramenti (il più delle volte costretto a farlo per non venir meno vinto da un mancamento fisico); infatti per pudore non dice il motivo per cui si allontana e per debolezza non è in grado di stare in piedi. Parlo per esperienza, giacché così fece un contadino, mentre lo istruivo nella catechesi; da ciò ho imparato che bisogna usare molta cautela. Chi sopporterà infatti la nostra presunzione, qualora non permettessimo che siedano davanti a noi uomini che sono nostri fratelli o, meglio ancora uomini verso i quali si deve avere una sollecitudine tanto più grande di modo che diventino nostri fratelli, mentre una donna ha potuto ascoltare, restando seduta, proprio nostro Signore, accanto al quale stanno gli angeli? Certo se il discorso che si prevede di fare è breve o se il luogo ove si parla non è adatto per potervi star seduti, si ascolti stando in piedi; ma solo nel caso in cui gli uditori siano in gran numero e non debbano essere iniziati in quell’occasione. Poiché quando vi sono una, due, o poche persone venute appositamente per diventare cristiane, è inopportuno farle stare in piedi mentre parliamo. Tuttavia, se si è già intrapreso il discorso in questa situazione, almeno quando ci si avvede dell’incomodo dell’ascoltatore, gli si deve offrire da sedere, anzi, bisogna proprio insistere perché si sieda, e gli si deve anche dire qualche parola che ne ravvivi l’attenzione e allontani dal suo animo il disagio, se mai, fattosi presente, ha cominciato a distrarlo. Quando invece non siano individuabili con chiarezza le ragioni per cui, già chiuso nel suo silenzio, il candidato rifiuti di ascoltare, gli si dica, quando si sia seduto, qualche parola contro gli insorgenti pensieri derivanti dalle occupazioni di questo mondo, e lo si faccia in tono gioioso, come già ho detto, o in tono addolorato; perché, se sono proprio le preoccupazioni legate agli affari del mondo ad occupargli la mente, queste spariscono essendo state chiamate in causa una ad una. Se invece non sono tali preoccupazioni a distrarlo, ma si tratta del fatto che il candidato si è stancato di ascoltare, per riscattare la sua attenzione dalla noia, si può dire – nel modo a cui ho fatto cenno – qualcosa di imprevisto e di fuori dal comune riguardo a quelle preoccupazioni come fossero responsabili della situazione stessa (dal momento che ne ignoriamo la causa). Ma che in proposito il nostro discorso sia breve – soprattutto perché viene ad inserirsi come digressione – per evitare che la medicina non aggravi la malattia della noia, a cui vogliamo porre rimedio. Ci si deve quindi affrettare nel dire le restanti cose e promettere e giungere a una più rapida conclusione del discorso.

Il dover tralasciare un’attività per fare la catechesi, toglie in chi parla ogni piacere.

14. 20. Se poi ti ha rattristato l’aver dovuto tralasciare un’altra occupazione nella quale ti eri già impegnato ritenendola più urgente e, contrariato per questo motivo, ti dedichi alla catechesi senza il piacere di farlo, allora devi pensare (a parte il fatto che sappiamo di doverci comportare con benevolenza con gli uomini, qualunque cosa facciamo, e secondo il servizio della più pura carità; a parte questo dunque), devi pensare che non si sa che cosa sia più utile per noi compiere o che cosa sia più opportuno tralasciare o trascurare del tutto. Perché, in effetti, ignoriamo quali siano davanti a Dio i meriti degli uomini in favore dei quali ci adoperiamo, non comprendiamo che cosa ad essi giovi in un determinato momento, ma piuttosto lo supponiamo senza congettura alcuna o per congettura di esile fondamento. Per la qual cosa, appunto, dobbiamo dare un ordine alle cose da compiere secondo le nostre capacità: se le abbiamo potute condurre a termine nel modo che avevamo stabilito, rallegriamoci per il fatto che non a noi, ma a Dio è piaciuto compierle così; se poi, al contrario, interviene una qualche altra necessità a causa della quale l’ordine da noi stabilito è perturbato, pieghiamoci docilmente, senza abbatterci, in modo da far nostro l’ordine che Dio ha preferito a quello da noi concepito. Infatti è più giusto che noi seguiamo la volontà di Dio piuttosto che Dio segua la nostra. Del resto l’ordine delle cose da fare, che vogliamo mantenere secondo quanto deciso, è plausibile quando vi abbiano il primo posto le cose più importanti. Perché allora deve far male a noi uomini il fatto che il Signore Dio, tanto più potente, abbia il primo posto, fino a desiderare per amore dell’ordine da noi stabilito di essere nel disordine? Nessuno infatti dispone in miglior ordine la sua azione di colui che è più pronto a tralasciare ciò che è impedito dal potere divino piuttosto che, bramoso, eseguire ciò che ha progettato il suo umano pensiero. Poiché molti sono i pensieri nel cuore dell’uomo, ma solo il disegno del Signore rimane in eterno.

L’animo del catechista, se è per qualche ragione turbato, non può tenere un discorso sereno e gioioso.

14. 21. Se però l’animo, turbato da qualche scandalo, non è in grado di proporre un discorso sereno e gioioso, è necessario avere lo stesso una grande carità verso coloro per i quali Cristo è morto, riscattandoli a prezzo del suo sangue dalla morte derivata dalle colpe del mondo; se pur siamo rattristati, l’annuncio stesso che una persona ha intenzione di diventare cristiana deve servire a consolarci e a far scomparire il nostro turbamento, così come di solito la gioia dei guadagni lenisce il dolore provocato dalle perdite. Giacché lo scandalo provocato da una persona non ci addolora se non perché riteniamo o vediamo che si perde chi dà scandalo o che, per causa sua, si perde chi è debole. Pertanto colui che si presenta per essere iniziato alla fede, mentre si spera possa progredire nel cammino intrapreso, deve cancellare il dolore provocato da colui che vien meno. Se poi si insinua il timore che il proselite possa diventare figlio della gehenna, dal momento che davanti ai nostri occhi stanno molti uomini di tal fatta, dai quali nascono quegli scandali che ci fanno soffrire, proprio quel timore non deve aver peso nel rallentare i nostri sforzi, ma piuttosto nel rinnovarli ed accrescerli; al punto da esortare il candidato che stiamo formando a guardarsi dall’imitare coloro che sono cristiani non di fatto, ma solo di nome; non bisogna che, impressionato dal loro numero, voglia seguirli oppure non voglia, per causa loro, seguire Cristo, o non voglia entrare a far parte della Chiesa di Dio ove sono costoro, oppure voglia farvi parte imitandoli.. E, io non so in che modo, nel rivolgere tali esortazioni, il discorso, che riceve alimento da un dolore presente, risulta più ardente: non solo non siamo più svogliati, ma per ciò stesso esprimiamo in modo più partecipato e vibrante ciò che, senza quel pungolo, avremmo detto con maggior freddezza e distacco. E rallegriamoci che ci sia data l’opportunità per cui un sentimento del nostro animo non passi senza portar frutto.

Talvolta il discorso è reso difficile per la scontentezza causata da un nostro errore o peccato.

14. 22. Se invece siamo preda della scontentezza a causa di un nostro errore o di un nostro peccato, ricorderemo non solo che uno spirito contrito è sacrificio a Dio, ma ci rammenteremo anche del passo: Poiché come l’acqua spegne il fuoco, così l’elemosina estingue il peccato. E, ancora, del passo in cui si dice: Perché voglio la misericordia piuttosto che il sacrificio. Come dunque se fossimo in pericolo per un incendio correremmo per prima cosa in cerca dell’acqua, con cui poter spegnere l’incendio, e ringrazieremmo chi ce ne portasse dal luogo più vicino, ugualmente, se qualche fiamma di peccato si è sprigionata dal fieno delle nostre passioni e perciò siamo scossi, rallegriamoci dell’opportunità che ci viene data di fare un’opera di vera misericordia, come se ci fosse offerta la fontana da cui prender l’acqua per spegnere l’incendio che si era acceso. A meno che, per caso, non siamo tanto stolti da credere che si debba correre con più prontezza a riempire con il pane lo stomaco di un affamato che ad ammaestrare con la parola di Dio la mente di chi la gusta. A questo si aggiunga che, se il far ciò fosse di qualche utilità e il non farlo non fosse dannoso, da parte nostra disprezzeremmo sventuratamente il rimedio che ci è offerto, dinanzi al pericolo concernente non già la salvezza del prossimo, ma la nostra. Dal momento che in vero dalla bocca del Signore risuonano queste parole così minacciose: Servo malvagio ed infingardo, avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri, quale stoltezza sarebbe, dato che il nostro peccato ci angustia, voler peccare di nuovo, non consegnando il denaro del Signore a chi lo vuole e lo chiede? Dissipata la caligine della noia, con pensieri e con considerazioni di tal genere, l’attenzione è pronta ad applicarsi alla catechesi, di modo che con diletto sia accolto ciò che sollecitamente e gioiosamente prorompe dalla ricchezza feconda della carità. Cose queste che non io dico a te, ma le dice a noi tutti la carità stessa, effusa nei nostri cuori ad opera dello Spirito Santo, che ci è stato dato.

Esempio di discorso lungo. Varietà delle circostanze e loro incidenza sul discorso. Varietà degli ascoltatori e diverso atteggiamento del catechista.

15. 23. Ma ora mi chiedi come cosa dovuta anche quello che non ti dovevo prima di prometterlo, e cioè che non mi rincresca di svolgere e presentare alla tua considerazione un modello di discorso, come se io stesso dovessi iniziare un candidato alla fede cristiana. Prima di far ciò, voglio che tu consideri una cosa: altra è l’intenzione di colui che detta pensando al futuro lettore, altra è quella di colui che parla badando all’ascoltatore che ha davanti a sé. E in quest’ultimo caso, altra è l’intenzione di colui che esorta da solo a solo, senza la presenza di nessun’altra persona che ci possa giudicare, altra è quella di chi insegna in pubblico, circondato da un uditorio che ha diverse opinioni. E, in questa situazione, una cosa è quando si insegna ad una sola persona, mentre gli altri seguono il discorso quasi per giudicare o per confermare gli argomenti che sono a loro noti; altra cosa è quando tutti insieme attendono di ascoltare ciò che stiamo per dire loro. E di nuovo, in questa circostanza, altro è quando ci si intrattiene familiarmente, per intrecciare una conversazione; altro è quando il popolo, in silenzio e in attesa, volge lo sguardo attento verso colui che da solo si accinge a parlare da una posizione preminente. Anche quando si parla così, vi è grande differenza se i presenti sono pochi o molti, colti o incolti oppure dell’una e dell’altra categoria, provenienti dalla città o dalla campagna, oppure gli uni e gli altri insieme; o un crogiuolo di persone di ogni genere. Infatti è inevitabile che i presenti influenzino in tanti modi diversi chi si appresta a parlare e a insegnare, come è pure inevitabile che il discorso pronunciato porti, in certo qual modo, impressa l’immagine dello stato d’animo di chi lo pronuncia, impressioni in modo differente gli ascoltatori per la loro stessa varietà, dal momento che essi, con la loro presenza, si influenzano vicendevolmente in maniera diversa. Ma poiché ora stiamo parlando di coloro che devono essere iniziati alla fede cristiana, ti posso dire, per mia personale esperienza, che io stesso ho un diverso atteggiamento se mi trovo davanti, per formarla con la catechesi, una persona erudita, un indolente, un concittadino, un forestiero, un ricco, un povero, un privato cittadino, una persona altolocata, che ricopre una carica pubblica, di questo o di quel popolo, di questa o quella età o sesso, proveniente da questa o quella setta, da questa o quella falsa religione del volgo. E il discorso stesso prende l’avvio, procede, termina a seconda della mia diversa impressione. Il fatto che con tutti si debba avere la medesima carità, non vuol dire che sia necessario usare con tutti il medesimo rimedio. Parimenti la carità stessa fa nascere alla vita gli uni, con gli altri si fa debole; ha cura di edificare gli uni, teme di offendere gli altri; si piega verso gli uni, si erge contro gli altri; con gli uni è acquiescente, con gli altri severa; a nessuno nemica, di tutti madre. E chi non ha sperimentato, nel medesimo spirito di carità quel che sto dicendo, ci reputa felici quando vede che godiamo di buona fama sulla bocca di molti, perché quel poco talento donatoci affascina chi ascolta: ma Dio, al cui cospetto giunge il lamento di chi è prigioniero, veda la nostra umiltà e il nostro sforzo e ci rimetta tutti i nostri peccati. Per cui, se ti è piaciuto qualcosa di noi, tanto da chiedere di darti alcuni suggerimenti per i tuoi discorsi, impareresti meglio vedendoci ed ascoltandoci quando li mettiamo in pratica, piuttosto che leggendo ciò che ora dettiamo.

 

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