CAPO XXXI

 

Le accuse di empi conviti e accoppiamenti non ci meravigliano: anche tra i filosofi i virtuosi furono sempre perseguitati. Ma basterebbe la nostra persuasione della presenza di Dio e della vita futura per confutarle.

 

 

1. Ma, ancora, vanno inventando a carico nostro certi pasti e accoppiamenti empi, e per poter credere di odiarci con ragione, e pensando, col farci paura, di allontanarci dal nostro tenore di vita, o di renderci i magistrati duri e inesorabili per l’enormezza delle colpe. Ma perdono il tempo con chi sa esser costume fin dall’antico, non solo alla nostra età, per una certa legge e ragione divina continuato a seguirsi, che la malvagità faccia guerra alla virtù.

2. Così anche Pitagora fu arso vivo insieme con trecento compagni , Eraclito e Democrito furono banditi l’uno da Efeso, l’altro da Abdera perché accusato di pazzia, e Socrate gli Ateniesi condannarono a morte. Ma come quelli perché il volgo ne avesse questa opinione non furono da meno nei rispetti della virtù, così neppure la nostra rettitudine di vita verrà offuscata per l’inconsulta maldicenza di alcuni, poiché noi siamo in onore presso Dio. Tuttavia anche queste accuse io voglio affrontare.

3. Io pertanto ben so che davanti a voi anche con quanto sono venuto dicendo ho scolpato me stesso. Voi infatti, che tutti superate per acutezza d’ingegno, sapete che coloro, la cui vita si regola, quasi a fil d’archipenzolo, su Dio, affinché ciascun di noi sia davanti a lui uomo scevro di colpe e irreprensibile, voi, dico, ben sapete che costoro mai accoglieranno in mente nemmeno l’idea del più lieve peccato.

4. Che se fossimo persuasi di dover vivere solo questa vita, allora ci sarebbe forse motivo di sospettare che noi traviassimo col renderci schiavi della carne e del sangue o col lasciarci vincere dall’utile o dalla passione. Noi invece sappiamo che Dio notte e giorno é presente ai pensieri e alle parole nostre, e che egli, che é tutto luce, vede anche nel cuor nostro; noi siamo persuasi che, liberatici di questa vita, un’altra vita vivremo migliore della, presente e tutta celestiale, non più terrena, se uniti a Dio e con l’aiuto di Dio persevereremo saldi e impassibili nell’anima, non già come corpi, pur avendo anche questo, ma come spirito celeste; oppure, se con gli altri precipiteremo a rovina, l’avremo questa vita in condizione peggiore e nel fuoco; Dio infatti non formò anche noi come pecore e giumenti, quasi opera accessoria e perché perissimo e vanissimo nel nulla. E però non é verosimile che noi vogliamo deliberatamente il male, né che ci diamo da noi stessi in mano del grande giudice per essere puniti.

CAPO XXXII

 

I pagani accusano noi dei delitti ch’essi stessi attribuiscono ai loro dei. Quanto a noi, ci é vietato da Dio anche il pensiero, anche lo sguardo impuro. Fra noi ci chiamiamo figli e faglie, fratelli e sorelle, padri e madri secondo l’età in perfetta purezza; anche il bacio é regolato ed é soprattutto un atto di reverenza.

 

 

1. Quanto a costoro, non fa dunque nessuna meraviglia se inventano sul conto nostro quel che essi dicono dei loro dei. Le loro passioni infatti le presentano come misteri; per altro se vogliono giudicare enorme scelleratezza l’accoppiamento licenzioso e senza restrizioni, sarebbe giusto che essi o aborrissero Zeus, che da Rea sua madre e dalla figlia Care procreò dei figli e che tolse in moglie la sua propria sorella, o aborrissero Orfeo il cantor di questi misfatti, perché rappresentò Zeus ancor più empio e scellerato di Tieste; ché costui almeno si congiunse alla figlia per un responso dell’oracolo, bramando di esser re e di vendicarsi .

2. Noi invece siamo tanto lontani dall’essere indifferenti , che non ci è neppur lecito di guardar con desiderio voluttuoso, perché è detto: "Chi guarda una donna per fine disonesto ha già commesso adulterio in cuor suo".

3. Costoro, adunque, cui non è permesso di mirare nulla più di quello per cui Dio formò gli occhi, cioè affinché ci fossero di lume, costoro cui il guardare con compiacenza è adulterio, ché per altro uso gli occhi furono fatti, costoro che verranno giudicati fin nei pensieri, come mai costoro non sarebbero creduti casti?

4. Noi non facciamo i conti con leggi umane, alle quali un malvagio potrebbe anche sottrarsi (e fin da principio, o imperatori, io vi affermava che la nostra dottrina è insegnata da Dio , (ma noi abbiamo una legge , che stabili come norma di giustizia noi stessi e il nostro prossimo . 5. E però a seconda dell’età consideriamo gli uni quali figli e figlie, gli altri quali fratelli e sorelle, e ai più vecchi di noi tributiamo l’onore di padri e di madri. Quelli pertanto che chiamiamo fratelli e sorelle e con gli altri nomi di parentela, abbiamo massima cura che rimangano senza oltraggio e inviolati nella persona, mentre la dottrina nostra ci dice ancora: "Se alcuno per questo una seconda volta darà il bacio perché n’ebbe piacere", e soggiunge: "e così dunque conviene moderare il bacio o, diciamo meglio, l’atto di reverenza", come quello che, se mai per poco venisse intorbidato dal pensiero, ci esclude dalla vita eterna.

CAPO XXXIII

 

Per la speranza della vita eterna noi cristiani disprezziamo i piaceri del senso; il matrimonio é monogamico e regolato dal suo fine, che é la procreazione; molti preferiscono astenersene per vivere più uniti a Dio. Anche le seconde nozze sono un adulterio mascherato.

 

 

1. Avendo pertanto la speranza della vita eterna, noi disprezziamo le cose di questo vivere presente, e fin anche i piaceri dell’anima, riputando ciascuno di noi per sua moglie quella che sposò secondo le leggi stabilite da voi e considerandola tale solo per la procreazione dei figli.

2. Poiché come l’agricoltore, una volta seminato il campo, aspetta la messe senza tornar più a seminare, così anche per noi la misura della concupiscenza è la procreazione della prole. Potresti anzi trovare molti dei nostri, uomini e donne, che sono invecchiati senza sposarsi, per la speranza di unirsi più strettamente con Dio!

3. Che se il rimanere vergini e celibi più ci avvicina a Dio, e se, al contrario, il solo giungere al pensiero e alla concupiscenza ce ne allontana, molto più schiviamo quelle opere di cui già fuggiamo il pensiero.

4. Poiché non in esercizi di eloquio ma nella mostra e nell’insegnamento di opere sta la nostra norma di vita : o rimanersene quale uno si nacque, o appagarsi di un solo matrimonio, ché il secondo è un decoroso adulterio.

5. Dice infatti: Chi rimanderà la propria moglie e ne sposerà un’altra, commette adulterio, non permettendo con ciò né di rimandare via colei cui si tolse la verginità, né di prenderne un’altra.

6. E invero chi si priva della prima moglie, anche se è morta, è un adultero dissimulato che prevarica contro la mano di Dio (perché Dio da principio formò un solo uomo e una sola donna), e che dissolve la comunione di carne con carne che si esplica nell’unione per la mescolanza dei sangui.

CAPO XXXIV

 

Costoro, che fanno mercato del vizio, anche contro natura, e l’attribuiscono ai loro dei, accusano di tali infamie noi, osservanti della castità; essi, che sono crudeli come le bestie, perseguitano noi che non ci vendichiamo, tutto sopportando pazientemente.

 

 

1. E pure, tali essendo, (e perché debbo dire cose nefande? udiamo avverarsi il proverbio: "la bagascia alla pudica!"

2. Poiché quelli che hanno fatto mercato della fornicazione, che hanno eretto infami locande di ogni turpe piacere per la gioventù, che, non risparmiando nemmeno i maschi, commettono, maschi con maschi, orribili atti che oltraggiano in ogni maniera quanti hanno il corpo più degno di rispetto e più formoso, disonorando anche la bellezza, creatura di Dio (ché non da sé si è fatta la bellezza sulla terra, ma vi fu mandata dalla mano e dalla mente di Dio), sì, costoro brutalmente rinfacciano a noi quelle infamie di cui essi stessi sono consci e che dicono dei loro dei, gloriandosene come di nobili fatti e degni degli dei.

3. Essi, gli adulteri e i pederasti, vituperano quei che vivono castamente o che una sola volta sposarono, essi, che vivono come i pesci , ingoiando chi loro capita davanti, e il più forte perseguitando il più debole... (e questo si è fare strazio della carne umana, e cioè, mentre vi sono leggi che voi e i vostri antenati promulgaste, dopo averle ponderate a rigore di, giustizia, fare violenza a queste stesse leggi, così che neppur bastano ai processi i governatori delle nazioni mandati da voi), essi, dico, vituperano quelli cui non è neppur lecito di non offrirsi a chi li percuote, e di non benedire a chi ne dice male . Non basta infatti esser giusto (e giustizia è rendere pari per pari) ma ci è inoltre proposto di essere buoni e tolleranti.

CAPO XXXV

 

Ci si accusa di cannibalismo. Ma nessuno ha mai osato dire d’averci visti a fare quanto ci si rinfaccia, nemmeno i nostri servi; inoltre, noi che non vogliamo vedere l’uccisione, anche giusta, d’un uomo, che rifuggiamo dalle lotte dei gladiatori, che condanniamo l’aborto e l’esposizione dei neonati, non ci macchiamo di tale delitto.

 

 

1. Chi dunque, che abbia fior di senno, potrebbe dire che noi, tali essendo, siamo omicidi? Poiché non è possibile cibarsi di carni umane se prima non si uccida qualcuno.

2. Ebbene, pur mentendo nel primo caso, quanto al secondo, anche se alcuno li interroghi se han visto ciò che dicono, nessuno v’ha così spudorato che osi dire d’averlo visto.

3. Eppure anche noi, chi più chi meno, abbiamo dei servi, ai quali non è possibile restare celati: ma anche di costoro nessuno mai affermò tali menzogne sul conto nostro.

4. Chi infatti potrebbe accusare di omicidio e di cannibalismo coloro dei quali essi ben sanno che non tollerano nemmeno di vedere l’uccisione d’un uomo anche giustamente condannato? E chi di voi non fa gran conto delle gare dei gladiatori e delle lotte con le fiere, specialmente poi di quelle indette da voi?

5. Noi invece, stimando che lo stare a vedere l’uccisione d’un uomo è quasi lo stesso che ucciderlo, abbiamo rinunciato a siffatti spettacoli. Come mai, adunque, siamo capaci di sgozzare un uomo, noi che neppure assistiamo agli spettacoli per non contaminarci e macchiarci di grave delitto ?

6. E in qual modo saremo omicidi noi, che diciamo che quelle che usano di medicamenti abortivi commettono omicidio, e dell’aborto dovranno rendere conto a Dio ? Un uomo infatti non può nello stesso tempo pensare che anche un feto sia essere vivente, e che per questo motivo Dio ne abbia cura, e poi ucciderlo quando è venuto alla luce; né non esporre il neonato, perché chi lo espone si rende infanticida, e poi toglierlo di vita quando sia allevato. Noi invece siamo in tutto e per tutto uniformi e uguali, perché serviamo e non comandiamo alla ragione.

CAPO XXXVI

 

I cristiani non sono cannibali, perché credono nella risurrezione e sanno di dover rendere conto a Dio; é naturale, invece, che non abbiano alcun ritegno coloro che fanno morire l’anima nel corpo. Quanto alla risurrezione, che non é qui il luogo di dimostrare, essa é conforme alla dottrina di molti filosofi, particolarmente di Pitagora e di Platone.

 

 

1. E chi mai, credendo nella risurrezione, offrirebbe se stesso come sepolcro ai corpi che hanno un giorno da

risorgere? Non può il medesimo uomo aver fede nella risurrezione dei nostri corpi e mangiarli come se non avessero da risorgere; credere che la terra debba restituire i suoi morti e poi che uno non abbia a rendere conto di quelli che seppellì in se stesso.

2. Al contrario, è naturale, da una parte, che chi non crede né di dover rendere conto della vita, buona o cattiva, menata qui in terra, né che vi sia una risurrezione, ma si pensa invece che anche l’anima ha da morire col corpo e, per così dire, ha da estinguervisi dentro, non si tratterrà da alcun eccesso; per altra parte, non vi è nessuna ragione che chi è convinto che nulla si sottrarrà allo scrutinio di Dio, e che verrà coinvolto nel castigo anche il corpo che servi alle sregolate voglie e passioni dell’anima, abbia da commettere anche la più leggera colpa.

3. Che se parrà a taluno pura favola che il corpo andato in putrefazione e dissoluzione e svanito del tutto possa ricomporsi di bel nuovo, non certo di malvagità ma se mai di stoltezza dovremmo essere tacciati da chi non ci crede, perché con quelle dottrine con cui inganniamo noi stessi non facciamo torto a nessuno. Tuttavia, che i corpi non solo secondo la nostra dottrina, ma anche secondo molti filosofi, avranno da risorgere, è superfluo dimostrarlo ora, per non sembrare di aggiungere argomenti estranei al nostro proposito sia parlando dell’intelligibile e del sensibile e della costituzione loro, sia dimostrando che gli esseri incorporei sono prima dei corpi, e che le cose intelligibili precedono le sensibili, benché percepiamo prima le

sensibili (essendo che i corpi intelligibili hanno la loro consistenza dalle cose incorporee per aggregazione, e le cose sensibili dalle intelligibili . Niente infatti impedisce, secondo Pitagora e Platone, che avvenuta la dissoluzione dei corpi, questi abbiano poi di bel nuovo a ricomporsi da quegli stessi elementi di cui da principio constavano.

CAPO XXXVII

 

Riconoscete, o imperatori, il valore della mia apologia e accogliete la supplica: lo meritiamo noi cristiani, che preghiamo per la prosperità vostra e dell’Impero, la quale ridonderà anche a vantaggio nostro.

 

 

1. Ma il discorso sulla risurrezione si differisca ad altra occasione. Ed ora voi, che in tutto e fra tutti per natura ed educazione siete buoni e moderati e benigni e degni dell’imperio, col regale capo fatemi cenno d’acconsentimento, or che ho dileguate le accuse e dimostrato che noi siamo e pii e mansueti e d’animo castigato.

2. Chi infatti più di noi è in diritto di ottenere quanto chiede, di noi che preghiamo per il vostro imperio, affinché di padre in figlio, come è giustissimo, ne assumiate il dominio, e questo si amplifichi e si dilati per la sottomissione di tutte le genti?

3. E ciò ridonda anche a nostro vantaggio, onde possiamo condurre una vita quieta e tranquilla, e facciamo di buon animo quanto ci viene comandato.

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