DE POENITENTIA

Traduzione di Gino Mazzoni, 1934

CAPITOLO I.

Come i Gentili intendano male la Penitenza; in quanto talvolta provano rammarico d'avere agito bene.

Questa sorta d'uomini alla quale appartenemmo anche noi in passato; ciechi, in quanto privi della luce che proviene da Dio, conoscono e intendono che cosa sia la Penitenza, ma solo in quanto può suggerire la natura circa il fatto in sé e la considerano quindi come un sentimento dell'animo che nasce dal rincrescimento di una decisione presa anteriormente. Del resto sono essi tanto lontani dall'averne una nozione ragionevole, quanto lo sono da Colui che è fonte e lume di ogni principio razionale: la ragione è cosa di Dio: questi è creatore del tutto e nulla provvide, nulla dispose se non seguendo ragione: e a tutto dette ordine secondo i dettami di |166 essa e non volle che ci fosse cosa che non fosse governata e retta dalla ragione, suprema moderatrice dell'umano intelletto. Chi non riconosce Dio, deve necessariamente essere all'oscuro di quanto sia fulgore d'opera sua: non c'è tesoro che sia aperto ed esposto a persone estranee ed inesperte; ed è così che coloro che s'azzardano a traversare l'immenso oceano della vita, senza guida e il freno della ragione, non possono saper evitare la tempesta che sempre incombe minacciosa sul mondo. Quanto poi, lungi da ogni linea razionale, i Gentili si comportino nella dottrina della penitenza, sarà sufficiente dimostrarlo anche con una osservazione sola: essi applicano in principio della penitenza, anche qualora si tratti di azioni buone e lodevoli: della lealtà si pentono: e così pure dell'amore, dell'umiltà, della semplicità di vita, della tolleranza, della pietà e misericordia, secondo che talvolta tali virtù si possano imbattere nell'ingratitudine: sono capaci di maledire sé stessi per aver fatto del bene ed è sopratutto questa la forma di penitenza che essi cercano di fissare e d'imprimere bene nel loro spirito: proprio quella che si riattacca alle opere buone: e cercano di ricordarsene bene per non dover affatto fare più un briciolo di bene ad alcuno. Al contrario il rincrescimento d'aver commesso delle colpe, da loro ragione assai minore di preoccupazione.

Insomma, in nome della penitenza è più facile che commettano opere meritevoli di |167 riprovazione, che piuttosto seguano nelle loro azioni una linea di rettitudine e di onestà.

CAPITOLO II.

Non si può chiamare Penitenza se non quella che si rivolge ai peccati.

Se chi segue tale linea di condotta, agisse nella piena conoscenza di Dio e se per mezzo di esso avesse chiaro il concetto e intero il possesso della ragione; questi tali, dico, comincerebbero anzitutto a calcolare e a valutare giustamente la grandezza del principio della penitenza; e non ricorrerebbero mai ad essa per sostenere e coonestare procedimenti errati; eppoi finalmente porrebbero un limite a questo continuo pentirsi, perché, evidentemente, avendo timore di Dio, saprebbero anche tenersi lontani dalle occasioni di mal fare. Ma dove non è affatto timore del Signore, non vi può neppure essere modo di rinascita morale; e là dove questa possibilità di resurrezione dello spirito non c'è, la penitenza necessariamente cade nel vuoto, perché viene a mancare di quello che è il frutto e la luce sua più bella e per cui Iddio l'ha seminata e largita all'uomo; intendo dire, la sua salvezza. Poiché Iddio, dopo tante e così grandi colpe commesse dall'umana superbia e che risalgono ad Adamo, primo di questa nostra terrena stirpe; dopo aver pronunziata solenne condanna sull'uomo, col |168 peccato che è il triste retaggio delle umane genti, dopo averlo scacciato dall'eterno giardino ed averlo assoggettato alla trista necessità della morte; essendosi poi egli novamente volto a sensi di misericordia, fin d'allora istituì e consacrò in sé stesso la penitenza, stracciando la sentenza che aveva lanciata nello scoppio del suo primo sdegno; e venne a patti, che avrebbe perdonato all'uomo che era stato creato da lui a sua stessa immagine. E infatti, si scelse e fece suo un popolo e lo colmò dei doni infiniti della bontà sua, ma avendolo pure riscontrato tante volte ingrato in sommo grado, l'esortò e lo richiamò sempre a penitenza; fece che la bocca di tutti i profeti s'aprisse alla luce della profezia e promise tosto fulgore di grazia, della quale negli ultimi tempi per opera dello Spirito Santo doveva spargere per tutto l'inesausto tesoro; e volle che il sacro lavacro della penitenza, precedesse l'altro, perché con tale segno sacro si trovassero già in stato di grazia, coloro che Egli chiamava alle promesse fatte alla stirpe di Adamo. Giovanni esclama; fate penitenza; e già infatti stava per apparire alle genti una via di salvezza; era il Signore che la portava secondo la promessa di Dio; e Giovanni, intendendo intimamente il volere divino, e volendolo eseguire bandisce il principio della penitenza, perché, quanto un antico errore avesse potuto nell'animo falsare e guastare; quello che nel cuore dell'uomo potesse essere stato dall'ignoranza contaminato e |169 corrotto, tutto questo la penitenza facesse scomparire e ricoprendo con un manto di innocenza e di purità, apprestasse allo Spirito Santo che doveva discendere, integra la sede dell'animo nostro, dove potesse fermarsi in letizia, con tutti i suoi doni celesti: in uno solo si riassumono tutti questi beni : la salvezza dell'uomo, premesso l'annullamento d'ogni colpa precedentemente commessa: il punto essenziale della penitenza è appunto questo; che mentre essa è in servigio dell'uomo, mantiene integro il suo divino principio ed è parte sostanziale della misericordia del Signore. Del resto la strada che segue la penitenza ha una linea ben determinata e precisa e di essa non possiamo aver conoscenza esatta se non possediamo prima quella di Dio: la penitenza non può forzare la mano su qualche cosa che si sia fatto e pensato di bene. Non può approvare il Signore che noi in qualche modo rinneghiamo quello che talvolta si può aver fatto di buono: tutto ciò che è bontà, è di lui, da lui muove: le opere buone egli le difende e protegge e rappresentano quindi quello che egli gradisca maggiormente e se Iddio le accetta, saprà anche ricompensarle a dovere. Considera e rifletti ora dunque, se quella che sia l'ingratitudine umana debba minimamente suscitare un senso di pentimento per avere agito bene e si consideri pure, d'altro lato, se l'idea d'esser fatto segno a manifestazioni di gratitudine, possa m sé stessa, essere d'incitamento ad ogni bene: l'ima e |170 l'altra sono povere cose della terra, hanno una breve vita esse; sarà ben piccolo il vantaggio che ricaverai dal ben fare a persona che poi te ne sarà grata; come sarà piccolo il danno, se agirai bene all'indirizzo di chi invece ti ricambierà coll'ingratitudine; il beneficio chiama Dio a suo debitore ed anche chi agisce male deve attendere quel che gli spetta da Dio: egli è giudice e compensa l'una e l'altra partita. E dal momento che c'è Iddio, che regge e guida in un principio di giustizia, che egli vuole, perché è figlia sua prediletta; dal momento che, conformemente alla sua natura, appunto, egli tempera e governa l'insieme della sua dottrina, si può forse dubitare che come in tutte le altre azioni della nostra vita, non sia da rendere a Dio il più grande tributo di giustizia, anche in materia di penitenza? E si potrà soddisfare a questo principio di equità, se in noi, solo per cattive azioni, sentiamo nascere nel nostro spirito un senso di pentimento; e invero non si può chiamare peccato che quanto è male e colpevolmente compiuto: non v'è nessuno che possa divenir peccatore col far benefizio. E se non commetti peccato, perché lasciar sorgere in noi questo senso della penitenza che è invece proprio di coloro che agiscono colposamente? perché dare alla bontà certi caratteri e certi elementi che sono propri soltanto della malvagità? E avviene così appunto che mentre qualche cosa si fa quando non bisognerebbe, si |171 trascuri invece, allorché giunga il momento giusto o la circostanza opportuna.

CAPITOLO III.

Ci sono peccati materiali e spirituali.

È questo il punto nel quale si vuole fissare, stabilire, quello, che per altro potrebbe sembrare anche superfluo, cioè gli atti per i quali il pentirsi può apparire un procedimento giusto e doveroso; cioè quelle azioni che rientrano nell'ambito delle vere colpe. Conosciuto che sia una volta il Signore, l'anima nostra, con moto spontaneo, l'anima sulla quale s'è volto l'occhio di Dio, acquista nozione di quella che sia la verità ed è iniziata ai comandamenti del Signore: da essi subito conosce che quanto Iddio tiene lontano da sé, è da reputarsi colpevole, peccaminoso. Iddio è bene grandissimo, infinito e come chi ha attributo di somma bontà, non può riuscire non gradito, se non a tutto ciò che è male; perché fra principî diametralmente opposti non vi può essere relazione, né intesa di sorta, mai. Tuttavia non ci rincresca dire brevemente come, fra i peccati, ve ne siano alcuni carnali, a cui va soggetta la nostra fragile materia corporea; altri riguardino invece il nostro spirito. L'uomo è infatti composto dall'unione di due principî sostanziali e non può quindi incorrere in colpa, se non per |172 opera di uno di questi due. Ma i peccati non si differenziano in tal modo, perché diversi e separati sono lo spirito e il corpo; anzi se ci si basasse su tal principio, a maggior ragione sarebbero da considerarsi uguali, giacché i due elementi formano sostanzialmente un'unità; e non vi sia chi possa basare un criterio di differenziazione delle colpe sul fatto della diversità delle sostanze corporea o spirituale, da cui esse possono essere ingenerate; così che un dato peccato debba avere, per questo, un carattere di maggiore o minor gravita di un altro. Carne e spirito sono opera di Dio, infatti; dalla mano sua riuscì ad esprimere la materia e, col suo respiro, immise in noi l'elemento spirituale e divino; essi, dunque, provengono da Dio e sono ugualmente di Dio e in qualunque cosa o l'uno o l'altro possa venir meno al suo principio divino ed errare, esso offende ugualmente il Signore. Saresti tu in grado dunque di discernere esattamente gli atti della carne e dello spirito, dal momento che fra loro esiste, nella vita, nella morte, nella resurrezione, un'unione così intima, che essi sono così strettamente associati, da dover rinascere un giorno insieme o per godere la loro vita eterna o per ascoltare la parola della loro condanna, poiché, appunto, ugualmente, nella medesima intima comunione furono colpevoli od agirono piamente, lungi da ogni ombra di peccato? Abbiamo posto tali premesse per questo.... per intender bene che tanto alla carne che allo spirito, incombe la |173 necessità della penitenza, qualora sotto qualche riguardo siano incappati in colpa: il peccato è di entrambi, comune all'una e all'altro; perciò anche il rimedio della penitenza deve essere tanto dell'uno che dell'altro. Si chiamano le colpe, spirituali, dunque, o materiali, come il corpo: ogni azione cattiva infatti o si compie o si pensa; così, che corporale si chiamerà ciò che risulterà di un fatto, come il corpo è qualcosa che si può vedere e toccare: spirituale è il peccato che resta dentro l'animo nostro e non è soggetto ai nostri sensi, come infatti anche lo spirito non si vede né si tocca in alcun modo. Onde risulta chiaro che non solo le colpe che derivano da vere e proprie azioni materiali, ma anche quelle che implicano un segreto desiderio o un principio di volontà di peccare devono evitarsi e in ogni modo applicare ad esse il principio della penitenza. E non può essere ragione sufficiente che la facoltà umana di giudicare, nella sua mediocrità e nella sua deficienza, si limiti al solo esame dei fatti materiali, come incapace di penetrare nei più intimi recessi della volontà, perché noi non dobbiamo tenere in nessun conto nei riguardi di Dio le mancanze del nostro spirito. Iddio arriva a vedere, scoprire, a giudicare tutto e non c'è nulla che possa sfuggire al suo sguardo, di quanto, in qualche modo, costituisce atto colpevole: nulla vi è che ignori, niente che trascuri di quello che debba cadere sotto il suo giudizio e la sua sanzione. Egli non lascia che qualcosa |174 passi inosservata e non tralascia di usare in ogni momento la sua oculatezza, la sua perspicacia. Eppoi noi dobbiamo riconoscere nella volontà il movente di ogni nostra azione : si potrà tuttavia vedere se alcuni atti possano trovare i loro moventi nel caso, nella necessità, nell'ignoranza: ma, eccettuati pochi casi di questa natura, è per volontà nostra che cadiamo nell'errore. E dovendosi riconoscere nella volontà, la causa prima dell'azione nostra, è logico che sia sottoposta alla dovuta pena, appunto che questo, che essa rappresenta il motivo maggiore di peccare e da questo motivo di colpa non viene ad essere esonerata la volontà nostra, allorché, per qualche circostanza contraria, essa non riesca a condurre a termine quello che avrebbe voluto pur compiere. Essa è considerata in ogni modo responsabile di fronte a sé stessa e a giustificazione non potrà addursi il fatto di non aver compiuto, per sfavorevole circostanza, quello che stava in lei e giudicava compito suo. E infine, com'è che il Signore ha voluto darci la prova di aggiungere alla vecchia legge, qualcosa di nuovo e di diverso, se non col fissare una proibizione, e collo stabilire una condanna assoluta per. tutte le colpe della volontà nostra? adultero infatti non sarà soltanto colui che fa violenza e contamina il legame matrimoniale di altri, ma anche chi viola, chi macchia la santità di quella unione col solo sguardo, ardente di insano desiderio; ed è così che infatti anche quello che ci |175 troviamo nella impossibiltà materiale di compiere, l'animo nostro ama nella sua immagine e nel fervore del pensiero e con un atto di volontà, audacemente, ne considera come avvenuto l'effetto: e dal momento che la forza di questo voler nostro è tale che, di per sé, senza attendere la piena realizzazione dei suoi desideri, può quasi tener luogo dell'azione stessa, nei suoi effetti, ne viene che questa nostra facoltà volitiva debba essere giustamente riconosciuta colpevole. È mutile assolutamente dire : io avrei voluto far questo, ma però non lo feci: tu devi invece, se lo vuoi, portare a compimento quella data cosa. Se non intendi invece di portarla al suo completo svolgimento, non degnarla neppure della tua attenzione: altrimenti pronunzi un giudizio con la confessione che fai: se quello che è l'oggetto del tuo desiderio fosse vero bene, vivo avrebbe dovuto essere il volere tuo di condurlo a fine, e, d'altra parte, poiché non porti al suo termine il male, non avresti dovuto neppure desiderarlo: da qualunque parte tu ti metta, sarai stretto dalla colpa, o perché hai voluto il male, o perché non hai operato bene.

CAPITOLO IV.

Esortazione alla penitenza

A tutte le colpe, adunque, compiute o col corpo o collo spirito nostro, sia colla materialità di |176 un atto, sia colla forza della volontà, Colui che decise e prescrisse che sarebbero state stabilite, per via di giudizio, sanzioni penali, promise anche che il perdono sarebbe venuto attraverso il Sacramento della penitenza. Disse infatti alle genti: Pentitevi ed io vi farò salve. E di nuovo il Signore disse: Io sono Iddio vivente, voglio piuttosto la penitenza che la morte: è vita dunque la penitenza, che viene preferita alla morte: tu, peccatore simile a me, anzi meno di me, poiché io riconosco d'esser più peccatore e colpevole di te, gettati su quella, abbraccia il principio della penitenza, come il naufrago s'attacca ad una tavola, unica àncora di salvezza per lui: sarà essa che riuscirà a sollevarti, quasi sebbene ormai travolto dalle onde minacciose della colpa e ti trasporterà nel porto della clemenza di Dio. Afferra l'occasione che ti pone dinanzi una fortuna insperata, così che tu, che una volta null'altro eri, di fronte a Dio, che una stilla d'acqua che gocciola da un'anfora capace, che un granello di polvere in un'aia, o un vaso di terraglia ordinaria e vile, divenga invece quell'albero piantato presso scorrer di fiume, che nel verde delle sue frondi, attesta la continua vitalità sua; l'albero che a suo tempo darà bellezza e squisitezza di frutti, che non conoscerà furia di fuoco, o violenza ed offesa di ferro. Trovata che sia la verità, ci si penta degli errori, ci si penta d'aver posto l'amor nostro in quel che Dio non predilige; poiché neppur noi lasciamo che i nostri servi non sentano disprezzo ed odio |177 per quanto a noi possa dispiacere. Il principio, la base dell'ossequio e della deferenza sono dati da una certa conformità di sentimenti. A materia troppo ampia e copiosa e che richiederebbe d'essere affidata a forza e a magnificenza di parola, andremmo incontro, se noi volessimo ricordare punto per punto i beni della Penitenza, ma noi non insistiamo che su un punto solo, data la nostra piccolezza e i limiti che c'imponiamo; e questo è, che ciò che Iddio comanda, ha in sé l'attributo della maggiore e della più assoluta bontà. Io penso che sia presunzione il voler discutere sulla bontà di un precetto divino. Noi non dobbiamo prestare orecchio ad una cosa, perché soltanto riconosciuta buona, ma perché ci è stata comandata da Dio. Volete voi dare una dimostrazione chiara e lampante d'ossequio e di venerazione? Primo punto, essa sia prestata alla maestà della potenza divina e prima si consideri quindi l'autorità di colui dal quale parte il comando che l'utilità e il vantaggio di chi presta l'opera sua. È un bene pentirsi o no? ma che cosa stai pensando e rimuginando? È Iddio che lo comanda; ma poi non è che Egli l'ordini solamente, ma compie opera anche di consiglio e di persuasione: Egli ci invita, facendoci splendere la speranza di una ricompensa; quella della salvezza e quando afferma colla solennità di un giuramento: io sono Iddio vivente, Egli vuole che gli si presti fede. Felici, noi; il Signore giura in nostro servigio; ma infelicissime creature |178 saremo qualora non prestiamo fede ai giuramenti del Signore. Quello che pertanto Iddio raccomanda con tanto fervore di passione e che anche consacra colla solennità di un giuramento, secondo la nostra usanza, noi lo dobbiamo accogliere e mantenere con un rispetto profondo, perché noi, rimanendo saldi nella sicurezza della grazia divina, possiamo raggiungere il frutto di essa e continuare a godere dei vantaggi che da essa derivano.

CAPITOLO V.

Dopo la Penitenza, si guardi a non ricadere nella colpa.

Sostengo poi anche questo, che una volta che abbiamo conosciuto e seguito quel principio di penitenza che indicataci per grazia del Signore, ci riconduce appunto in seno a questa stessa grazia divina, non dobbiamo poi, da quel momento, renderla vana e rinnegarla in certo modo, tornando a commettere la colpa: tu non puoi ormai addurre a pretesto e cercare una difesa, nel fatto d'ignorare, quando, conosciuto che tu abbia nel tuo spirito, il Signore, ammessi i principi della sua religione, dopo esserti già rivolto a penitenza per le colpe da te commesse e riconosciute, di nuovo poi tu ti restituisca al peccato. È proprio in quanto tu ti allontani maggiormente dall'ignoranza, che tu invece ti avvicini, ti leghi a quella che sia contumacia; tu hai |179 cominciato ad avere quello che si chiama timor di Dio, ed hai provato un senso di pentimento per quanto operasti di colpevole; perché dunque hai poi preferito di spezzare, d'infrangere quello che tu pur facesti sotto l'impressione del timore e rinnegare quel principio di penitenza, se non perché appunto hai cessato di sentire quel timore da cui prima era occupato il tuo spirito? Non v'è altra cosa che possa implicitamente distruggere, annientare questo senso di timor di Dio, se non proprio il ritorno alla colpa. Ora, considera, che neppur coloro che sono ancora nell'ignoranza del Signore, possono sperare eccezione alcuna, che in certo modo li difenda e li salvaguardi dalla meritata pena, perché non è concesso ignorare Iddio che in tanto fulgore di luce si manifesta, che si comprende, che si sente dagli stessi beni divini che Egli ci prodiga; ebbene, quanto più pericoloso sarà il disconoscerlo, il disprezzarlo, quando Egli sia comparso già dinanzi all'intelletto nostro? E non v'è dubbio che questo disprezzo lo dimostri colui che dopo avere dal Signore avuta chiara la cognizione di quanto sia bene o male, seguendo poi, novamente, quello che una volta, già, capì, come meritevole d'esser fuggito e da cui già una volta s'allontanò come da male, fece offesa alla sua facoltà intellettiva che è appunto dono di Dio: disprezza il donatore, chi non considera o trascura ciò che gli vien donato; nega il beneficio, chi non tributa onore a chi deve questo atto benefico. E in che |180 modo egli può piacere a colui del quale dimostra di non gradire ed apprezzare i doni? E sarà così, che agli occhi del Signore egli apparirà non solo in contumacia; ma sarà colpa d'ingratitudine che peserà su di lui. E del resto non è lieve il peccato verso il Signore, che commette colui il quale, pur avendo una volta, rinnegato, allontanato con atto di penitenza ogni tentazione diabolica, e, sotto questo titolo, avendo al Signore sottomesso ogni forza satanica, col ritorno poi, alla colpa risolleva e nobilita questa stessa potenza del male e fa quasi sé stesso sostenitore ed esaltatore di essa, così che di nuovo la forza della colpa e del peccato si risollevi contro il Signore, e, recuperata che abbia la preda, esulti fiera e baldanzosa. E non è forse vero che in tal modo si viene a preporre Satana a Dio? (è pericoloso anche solo il pronunziare simili parole, ma pur bisogna dir tutto questo per altrui edificazione): sembra che sia come successo una comparazione fra le due potenze, da parte di chi abbia conosciuta l'ima e l'altra e che, a ragion veduta, sia stata proclamata, riconosciuta migliore quella, naturalmente, sotto la giurisdizione della quale si preferisce nuovamente di essere. Colui che aveva in certo modo deciso, e risoluto di rispondere a quanto Iddio vuole e suggerisce, col pentirsi delle colpe commesse, in un secondo momento, trovandosi in uno stato di rammarico per aver fatto azione di penitenza del male compiuto, seguirà i |181 suggerimenti del demonio e sarà quindi oggetto di sdegno tanto più, da parte del Signore, quanto più invece sarà gradito ed accetto all'avversano di Dio. Alcuni dicono che per Iddio è sufficiente che s'onori col cuore, coll'animo nostro, anche se poi i fatti non siano rispondenti a tali pensieri: così pensano, di peccare, sì, potendo mantenere per altro integro il principio di fede e di timor di Dio: ciò è perfettamente lo stesso che se uno pretendesse di mantenere un principio di castità, violando e corrompendo la santità e l'integrità del vincolo matrimoniale, oppure affermare un principio di pietà filiale, eppoi preparare il veleno ai propri genitori; anche costoro dunque potranno bensì essere perdonati; ma questo non toglierà che intanto siano cacciati fra le fiamme infernali, dal momento che essi commettono colpa, pure intendendo di mantenere integro il principio del timor di Dio!... La prima prova della loro colpevole stravaganza è questa: temono costoro Iddio, e seguono la vita del peccato: io penso dunque, che, se non avessero questo senso di timore, non dovrebbero cadere in colpe; e quindi sarebbe da concludere che colui che voglia non fare offesa a Dio, non dovrà avere verso di Lui sentimento di venerazione e di timore; dal momento che è proprio questo senso di rispetto e di onore, che, pare, autorizzi all'offesa. Ma tali idee e sottigliezze di simili disquisizioni sorgono solo dal seme della gente falsa e cattiva che hanno relazione stretta colle potenze del |182 male. La penitenza di costoro è atto di cui è bene non fidarsi affatto.

 

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