La vita contemplativa
7. Gli istituti dediti interamente alla contemplazione, in modo tale che i loro membri si occupano unicamente di Dio nella solitudine e nel silenzio, i continua preghiera e intensa penitenza conservano sempre, pur nella urgente necessità di apostolato attivo, un posto eminente nel corpo mistico di Cristo in cui “ nessun membro ha la stessa funzione ” (Rm 12,4). Essi infatti offrono a Dio un eccellente sacrificio di lode; e producendo frutti abbondantissimi di santità, sono di onore e di esempio al popolo di Dio, cui danno incremento con una segreta fecondità apostolica. In tal modo costituiscono una gloria per la Chiesa e una sorgente di grazie celesti. Tuttavia il loro genere di vita sia riveduto secondo i principi e i criteri di aggiornamento sopra indicati, nel pieno rispetto della loro separazione dal mondo e degli esercizi propri della vita contemplativa.
La vita attiva
8. Vi sono nella Chiesa moltissimi istituti, clericali o laicali, dediti alle varie opere di apostolato. Essi hanno differenti doni secondo la grazia che è stata loro data: chi ha il dono del ministero, chi insegna, chi esorta, chi dispensa con liberalità, chi fa opere di misericordia con gioia (cfr. Rm 12,5-8) “ Vi è varietà di doni, ma è lo stesso Spirito ” (1 Cor 12,4). In questi istituti l'azione apostolica e caritatevole rientra nella natura stessa della vita religiosa, in quanto costituisce un ministero sacro e un'opera di carità, che sono stati loro affidati dalla Chiesa e devono essere esercitati in suo nome. Perciò tutta la vita religiosa dei membri sia compenetrata di spirito apostolico, e tutta l'azione apostolica sia animata da spirito religioso. Affinché dunque i religiosi corrispondano in primo luogo alla loro vocazione che li chiama a seguire Cristo e servano Cristo nelle sue membra, bisogna che la loro azione apostolica si svolga in intima unione con lui. Con ciò viene alimentata la carità stessa verso Dio e verso gli uomini. Perciò detti istituti adattino convenientemente le loro osservanze e i loro usi alle esigenze dell'apostolato cui si dedicano. Siccome poi molteplici sono le forme di vita religiosa consacrata alle opere di apostolato, è necessario che l'aggiornamento tenga conto di questa diversità e che, nei vari istituti, la vita dei membri a servizio di Cristo sia sostentata con mezzi propri e rispondenti allo scopo.
La vita monastica e conventuale
9. Sia fedelmente conservata e sempre più rifulga nel suo genuino spirito, sia in Oriente che in Occidente, la veneranda istituzione della vita monastica che lungo il corso dei secoli si acquistò insigni benemerenze verso la Chiesa e la società. Ufficio principale dei monaci è quello di prestare umile e insieme nobile servizio alla divina maestà entro le mura del monastero, sia dedicandosi interamente al culto divino con una vita di nascondimento, sia assumendo qualche legittimo incarico di apostolato o di carità cristiana. Mantenendo pertanto la fisionomia caratteristica del proprio istituto, i monaci rinnovino le antiche tradizioni di beneficenza e le adattino agli odierni bisogni delle anime, in modo che i monasteri siano come altrettanti centri viventi di edificazione del popolo cristiano. Parimenti gli istituti religiosi, i quali per regola uniscono strettamente la vita apostolica all'ufficio corale e alle osservanze monastiche, armonizzino il loro modo di vivere con le esigenze del loro apostolato, in maniera tale da conservare fedelmente il loro genere di vita, essendo esso di grande vantaggio per la Chiesa.
La vita religiosa laicale
10. La vita religiosa laicale, tanto maschile quanto femminile, costituisce uno stato in sé completo di professione dei consigli evangelici. Perciò il sacro Concilio, che ha grande stima di esso poiché tanta utilità arreca all'attività pastorale della Chiesa nell'educazione della gioventù, nell'assistenza agli infermi e in altri ministeri, conferma i membri di tale forma di vita religiosa nella loro vocazione e li esorta ad adattare la loro vita alle odierne esigenze. Il sacro Concilio dichiara non esservi alcun impedimento a che nelle comunità religiose di fratelli, essendo fermamente mantenuto il carattere laico di questi istituti, per disposizione del capitolo generale alcuni membri ricevano gli ordini sacri, allo scopo di provvedere nelle proprie case alle necessità del servizio sacerdotale.
11. Gli istituti secolari, pur non essendo istituti religiosi, tuttavia comportano una vera e completa professione dei consigli evangelici nel mondo, riconosciuta come tale dalla Chiesa. Tale professione conferisce una consacrazione agli uomini e alle donne, ai laici e ai chierici che vivono nel mondo. Perciò essi anzitutto intendano darsi totalmente a Dio nella perfetta carità, e gli istituti stessi conservino la loro propria particolare fisionomia, cioè quella secolare, per essere in grado di esercitare efficacemente e dovunque il loro specifico apostolato nella vita secolare e come dal seno della vita secolare. Tuttavia sappiano che non potranno assolvere un compito così importante se i loro membri non riceveranno una tale formazione nelle cose divine e umane da diventare realmente nel mondo un lievito destinato a dare vigore e incremento al corpo di Cristo. I superiori perciò seriamente procurino di dare ai loro sudditi una istruzione specialmente spirituale e di sviluppare ulteriormente la loro formazione.
I tre voti religiosi:
a) castità
12. La castità “ per il regno dei cieli ” (Mt 19,12), quale viene professata dai religiosi, deve essere apprezzata come un insigne dono della grazia. Essa infatti rende libero in maniera speciale il cuore dell'uomo (cfr. 1 Cor 7,32-35), cosi da accenderlo sempre più di carità verso Dio e verso tutti gli uomini; per conseguenza essa costituisce un segno particolare dei beni celesti, nonché un mezzo efficacissimo offerto ai religiosi per potere generosamente dedicarsi al servizio divino e alle opere di apostolato. In tal modo essi davanti a tutti i fedeli sono un richiamo di quella mirabile unione operata da Dio e che si manifesterà pienamente nel secolo futuro, mediante la quale la Chiesa ha Cristo come unico suo sposo.
Bisogna adunque che i religiosi, sforzandosi di mantener fede alla loro professione, credano nelle parole del Signore e, fidando nell'aiuto divino, non presumano delle loro forze, ma pratichino la mortificazione e la custodia dei sensi. E neppure trascurino i mezzi naturali che giovano alla sanità mentale e fisica. In tal modo essi non potranno essere influenzati dalle false teorie, che sostengono essere la continenza perfetta impossibile o nociva al perfezionamento dell'uomo; e, come per un istinto spirituale, sapranno respingere tutto ciò che può mettere in pericolo la castità. Inoltre ricordino tutti, specialmente i superiori, che la castità si potrà custodire più sicuramente se i religiosi sapranno praticare un vero amore fraterno nella vita comune.
Poiché l'osservanza della continenza perfetta tocca le inclinazioni più profonde della natura umana i candidati alla professione di castità non abbraccino questo stato, né vi siano ammessi, se non dopo una prova veramente sufficiente e dopo che sia stata da essi raggiunta una conveniente maturità psicologica ed affettiva. Essi non solo siano preavvertiti circa i pericoli ai quali va incontro la castità, ma devono essere educati in maniera tale da abbracciare il celibato consacrato a Dio integrandolo nello sviluppo della propria personalità.
b) povertà
13. La povertà volontariamente abbracciata per mettersi alla sequela di Cristo, di cui oggi specialmente essa è un segno molto apprezzato, sia coltivata diligentemente dai religiosi e, se sarà necessario, si trovino nuove forme per esprimerla. Per mezzo di essa si partecipa alla povertà di Cristo, il quale da ricco che era si fece povero per amore nostro, allo scopo di farci ricchi con la sua povertà (cfr. 2 Cor 8,9; Mt 8,20). Per quanto riguarda la povertà religiosa, non basta dipendere dai superiori nell'uso dei beni, ma occorre che i religiosi siano poveri effettivamente e in spirito, avendo il loro tesoro in cielo (cfr. Mt 6,20). Nel loro ufficio sentano di obbedire alla comune legge del lavoro, e mentre in tal modo si procurano i mezzi necessari al loro sostentamento e alle loro opere, allontanino da sé ogni eccessiva preoccupazione e si affidino alla Provvidenza del Padre celeste (cfr. Mt 6,25).
Le congregazioni religiose nelle loro costituzioni possono permettere che i loro membri rinuncino ai beni patrimoniali acquistati o da acquistarsi. Gli istituti stessi, tenendo conto delle condizioni dei singoli luoghi, cerchino di dare in qualche modo una testimonianza collettiva della povertà, e volentieri destinino qualche parte dei loro beni alle altre necessità della Chiesa e al sostentamento dei poveri, che i religiosi tutti devono amare nelle viscere di Cristo (cfr. Mt 19,21; 25,34-46; Gc 2,15-16; 1 Gv 3,17). Le province e le altre case di istituti religiosi si scambino tra loro i beni temporali, in modo che le più fornite di mezzi aiutino le altre che soffrono la povertà. Quantunque gli istituti, salvo disposizioni contrarie di regole e costituzioni, abbiano diritto di possedere tutto ciò che è necessario al loro sostentamento e alle loro opere, tuttavia sono tenuti ad evitare ogni lusso, lucro eccessivo e accumulazione di beni.
c) obbedienza
14. I religiosi con la professione di obbedienza offrono a Dio la completa oblazione della propria volontà come sacrificio di se stessi, e per mezzo di esso in maniera più salda e sicura vengono uniti alla volontà salvifica di Dio. Pertanto, ad imitazione di Gesù Cristo, che venne per fare la volontà del Padre (cfr. Gv 4,34; 5,30; Eb 10,7; Sal 39,9), e “ prendendo la forma di servo ” (Fil 2,7), dai patimenti sofferti conobbe l'obbedienza (cfr. Eb 5,8), i religiosi, mossi dallo Spirito Santo, si sottomettono in spirito di fede ai superiori che sono i rappresentanti di Dio, e sotto la loro guida si pongono al servizio di tutti i fratelli in Cristo, come Cristo stesso per la sua sottomissione al Padre venne per servire i fratelli e diede la sua vita in riscatto per la moltitudine (cfr. Mt 20,28; Gv 10,14-18). Così essi si vincolano sempre più strettamente al servizio della Chiesa e si sforzano di raggiungere la misura della piena statura di Cristo (cfr. Ef 4,13).
Perciò i religiosi, in spirito di fede e di amore verso la volontà di Dio, secondo quanto prescrivono la regola e le costituzioni, prestino umile ossequio ai loro superiori col mettere a disposizione tanto le energie della mente e della volontà, quanto i doni di grazia e di natura, nella esecuzione degli ordini e nel compimento degli uffici loro assegnati, nella certezza di dare la propria collaborazione alla edificazione del corpo di Cristo secondo il piano di Dio. Così l'obbedienza religiosa, lungi dal diminuire la dignità della persona umana, la conduce alla maturità, facendo crescere la libertà dei figli di Dio.
I superiori poi, dovendo un giorno rendere conto a Dio delle anime che sono state loro affidate (cfr. Eb 13,17), docili alla volontà di Dio nel compimento del loro ufficio, esercitino l'autorità in spirito di servizio verso i fratelli, in modo da esprimere la carità con cui Dio li ama. Governino come figli di Dio quelli che sono loro sottomessi, con rispetto della persona umana e facendo sl che la loro soggezione sia volontaria. Per conseguenza concedano loro la dovuta libertà, specialmente per quanto riguarda il sacramento della penitenza e la direzione della coscienza. Guidino i religiosi in maniera tale che questi, nell'assolvere i propri compiti e nell'intraprendere iniziative, cooperino con un'obbedienza attiva e responsabile. Perciò i superiori ascoltino volentieri i religiosi e promuovano l'unione delle loro forze per il bene dell'istituto e della Chiesa, pur rimanendo ferma la loro autorità di decidere e di comandare ciò che si deve fare.
I capitoli e i consigli eseguiscano fedelmente i compiti che sono stati loro affidati nel governo, e tutti a loro modo siano l'espressione della partecipazione e dell'interesse di tutti i membri per il bene della intera comunità.