CAPITOLO 2

Non state dunque a cercare i penetrali dei templi, dove non È Dio, e le bocche dei baratri, piene di ciurmeria, o il lebete Thesprotio o il tripode Cirrheo o il vaso di bronzo di Dodona. La "vecchia quercia" venerata dalle sabbie deserte e l'oracolo ch’è ivi, marcito insieme con la quercia, abbandonateli alle leggende che hanno fatto già il loro tempo. Ha taciuto così la fonte di Castalia, e l'altra fonte di Colofone e le altre acque profetiche ugualmente son morte: e, benché tardi, si sono tuttavia rivelate finalmente vuote del loro vano orgoglio, dopochÈ si dispersero insieme colle leggende che loro erano proprie. Esponici, anche, della restante vaticinazione o piuttosto farneticazione, i responsi... che non rispondono: l'oracolo Clario, il Pitico, il Didimeo, Amfiarao, Apollo, e Amfiloco; e, se vuoi, consacra insieme con essi gli osservatori dei prodigi, e gli auguri e gli interpreti dei sogni. Va' a porre nello stesso tempo presso il Pitio gli aleuromanti e i crithomanti e i ventriloqui, che son tenuti tuttora in grande onore presso il popolo. E i santuari degli Egiziani e le necromanzie dei Tirreni siano abbandonati alle tenebre. Vere scuole di inganno degli uomini non credenti, e bische di pretto errore, sono queste, in tutto piene di follia. Compagni di questo genere di ciurmeria sono le capre, esercitate alla vaticinazione, e i corvi educati dagli uomini a dare responsi. E che diresti se ti esponessi i misteri? Non ne farò la parodia, come dicono abbia fatto Alcibiade, ma metterò a nudo assai bene, fondandomi sulla verità, la ciurmeria che È nascosta sotto di essi, e, come sulla scena della vita, presenterò per mezzo dell'encyclema agli spettatori della verità gli stessi vostri così� detti dei, ai quali appartengono le mistiche iniziazioni. Dioniso furente i Baccanti lo adorano col rito della pazzia sacra, la quale consiste nel divoramento di carni crude, per il quale essi compiono la distribuzione rituale delle carni delle vittime, incoronati di serpenti, invocando col nome di Evan quella Eva, a causa della quale l'errore tenne dietro da presso; e simbolo dei riti bacchici È un serpente consacrato. Ora, va notato che, secondo l'esatta voce degli Ebrei, il nome Evia, con lo spirito aspro, significa serpente femina; Demetra e Core sono diventate già l'argomento di un dramma mistico, e l'errare e il ratto e il lutto delle due li celebra Eleusi alla luce delle fiaccole. Ora, mi sembra che l'etimologia delle parole orgia e mysteria sia, per la prima, da org‚ (= ira) - dall'ira, cioè, che Demetra concep� contro Zeus -, per l'altra da mysos - dalla contaminazione cioè, che si verificò nei riguardi di Dioniso -. Ma se anche derivi da un certo Myunte attico, che Apollodoro dice essere perito in una caccia, io non ho alcuna difficoltà: vuol dire che i vostri misteri sono stati glorificati con onori sepolcrali. Puoi seguire altra via, e intendere mysteria - Poiché le lettere si corrispondono - come mytheria: giacché, se mai altri, proprio questi tali miti vanno a caccia dei più barbari dei Traci, dei più insensati dei Frigi, dei superstiziosi tra gli Elleni. Perisca dunque colui che fu l'iniziatore di questo inganno per gli uomini: sia esso Dardano, che introdusse i misteri della Madre degli dei, sia Eetione, che fondò le cerimonie e i riti dei Samotraci, sia quel Frigio, Mida, che imparò dall'Odrisio, e quindi diffuse tra i suoi sudditi, l'abile inganno. Giacché, quanto a me, non mi potrebbe mai persuadere coi suoi inganni il ciprio isolano, Cinyra, il quale, nell'ambizione di divinizzare una meretrice del suo paese, osò portare dalla notte alla luce del giorno gli osceni riti di Afrodite. Melampo, il figlio di Amythaone, fu, secondo altri, quegli che trasportò dall'Egitto nell'Ellade le feste di Demetra, cioè un lutto celebrato con inni. Per conto mio, questi uomini, padri di empi miti e di perniciosa superstizione, io li chiamerei originatori di mali, Poiché furono essi che piantarono nella vita umana quel seme di male e di rovina che sono i misteri. Ma ormai, giacché È giunto il momento, dimostrerò che piene di inganno e di ciurmeria sono le vostre stesse cerimonie: e se voi siete stati iniziati, ancora di più riderete di queste vostre venerate leggende. Parlerò apertamente delle cose che voi tenete nascoste, senza vergognarmi di dire quello che voi non vi vergognate di adorare. Quella aphrogenes (0= nata dalle spume), dunque, e kyprogenes (= nata a Cipro), l'amante di Cinyra (dico Afrodite, la " philomedes, perché nacque dai medea ", da quei genitali amputati di Urano, da quei genitali libidinosi, che dopo il taglio fecero violenza all'onda), in quanto È per voi degno frutto delle parti salaci, nei riti in cui si celebra questa voluttà marina un grano di sale, come simbolo della sua nascita, e un fallo sono dati in regalo a coloro che si iniziano nell'arte della fornicazione; e questi nell'essere iniziati, pagano ad essa il tributo di una moneta, come gli amanti all'amica. I misteri di Deo non sono altro che gli amorosi amplessi di Zeus con la madre Demetra, e l'ira di Deo (che non so se in seguito debba chiamare ancora madre o moglie) a causa delfa quale si dice sia stata chiamata Brimo, e le supplicazioni di Zeus, e la bevanda di fiele e lo strappamento del cuore delle vittime e le altre operazioni nefande. I medesimi riti compiono i Frigi in onore di Attis e di Cibele e dei Coribanti. Essi hanno diffuso la storia di Zeus, come egli, strappati i testicoli di un montone, sia andato a gettarli in mezzo al seno di Deo, pagando così� una finta pena dell'amplesso violento, col simulare di aver mutilato se stesso. I simboli di questa iniziazione, quando io ve li abbia, per soprappiù, esposti, vi muoveranno certamente il riso, anche se non ne abbiate voglia per la condanna che loro ne deriva. " Mangiai dal timpano, bevvi dal cembalo, portai il cerno, mi introdussi nella camera nuziale". Questi simboli non sono un obbrobrio? non sono una beffa i misteri? E che diresti se aggiungessi il resto? Diventa incinta Demetra, cresce Core e di nuovo questo Zeus, che l'aveva generata, si unisce con Persefone, con la propria figlia, dopo essersi unito con la madre Deo, dimentico della precedente contaminazione (padre e corruttore della vergine, Zeus), e si unisce in forma di serpente e così� si rivelò per quello che era in realtà. È certo almeno che simbolo dei misteri Sabazii per coloro che si iniziano È il " dio che si avvolge attraverso il seno"; questo È un serpente che È fatto svolgere attraverso il seno di coloro che vengono iniziati, una prova della intemperanza di Zeus. Persefone diviene incinta di un bimbo in forma di toro; certo, dice un poeta cultore degli idoli: Padre al serpente un toro e padre al toro un serpente, sopra il monte un bifolco È il suo nascosto stimolo, con stimolo di bifolco indicando, io credo, la ferula che incoronano i Baccanti. Vuoi che ti racconti anche la raccolta dei fiori fatta da Persefone, e il suo canestro, e il ratto compiuto da Aidoneo, e la voragine apertasi nella terra, e le troie di Eubuleo, inghiottite insieme con le due dee, ch’è la ragione per la quale nelle Tesmoforie, nel visitare le sacre caverne della dea, sogliono cacciarvi dentro delle porchette?. Questo È il mito che le donne festeggiano variamente nelle città, nelle Tesmoforie, nelle Sciroforie, nelle Arretoforie, rappresentando drammaticamente in molti modi, come in una tragedia, il ratto di Persefone. I misteri di Dioniso sono addirittura inumani. Egli era ancora piccolo, e, mentre i Cureti danzavano intorno a lui una danza guerriera, i Titani essendosi introdotti con inganno, e avendolo allettato con giocattoli infantili, questi Titani dunque lo fecero a brani, che ancora era un bambino, come dice il poeta della Iniziazione, il tracio Orfeo: il turbo, il rombo, e i pupattoli dalle flessibili membra ed i begli aurei pomi delle canore Esperidi. E non È inutile, allo scopo di condannarli, esporre gli inutili simboli di questa vostra iniziazione: l'astragalo, la palla, la trottola, le mele, il rombo, lo specchio, il vello. Atena dunque, per avere sottratto il cuore di Dioniso, fu chiamata Pallade dal palpitare (p llein) del cuore. Ma i Titani che lo avevano sbranato, posto un lebete su di un tripode e gettatevi le membra di Dioniso, prima le facevano cuocere e poi, conficcatele negli spiedi, "le tenevano sopra il fuoco ". Zeus, apparso dopo (forse, Poiché era dio, per avere sentito l'odore delle carni che stavano cuocendo, che È " l'onore dovuto", che i vostri dei riconoscono " di avere avuto in sorte") fa scempio dei Titani col fulmine, e le membra di Dioniso le affida al figlio suo Apollo perché le seppellisca. Questi, giacché non disobbed� a Zeus, le trasporta sul Parnaso e qui depone il cadavere fatto a brani. Se vuoi contemplare anche i riti dei Coribanti, sappi che questi erano tre fratelli, due dei quali, avendo ucciso il terzo, avvolsero in un drappo di porpora il capo del morto e, dopo averlo incoronato, lo seppellirono, portandolo su uno scudo di bronzo ai piedi dell'Olimpo. E questo sono i misteri, per dirla in breve, niente altro che stragi e seppellimenti; i sacerdoti di questi misteri, chiamati Anactotelesti da coloro ai quali interessa chiamarli, aggiungono altri strani portenti a questo fatto luttuoso, quando proibiscono di porre sulla tavola apio con tutte le radici; giacché credono che l'apio appunto sia nato dal sangue coribantico versato: alla stessa guisa precisamente che le donne che festeggiano le Tesmoforie evitano di mangiare i frutti del melograno che siano caduti a terra, perché ritengono che i melograni siano nati dalle gocce del sangue di Dioniso. Chiamando poi col nome di Cabiri i Coribanti proclamano anche il rito dei Cabiri: giacché questi due fratricidi, presa, quasi spoglia del combattimento la cesta, nella quale erano posti i genitali di Dioniso, la portarono nella Tirrenia, mercanti di merce gloriosa; e qui prendevano dimora, essendo esuli, e trasmisero ai Tirreni il loro prezioso insegnamento di pietà, consistente nella venerazione di genitali e di una cesta. E questa fu non senza verosimiglianza la ragione per la quale alcuni vogliono dare a Dioniso il nome di Attis, perché privato dei genitali. E che meraviglia che i Tirreni, che sono dei barbari, siano così iniziati ai misteri di vergognose passioni, quando gli Ateniesi e il resto dell'Ellade, mi vergogno perfino a dirlo, hanno miti pieni di vergogna come quelli che si riferiscono a Deo? Deo infatti, errando alla ricerca della figlia Core, presso Eleusi (questa È una località dell'Attica) È vinta dalla stanchezza, e si siede su un pozzo, in preda al dolore. Questo È proibito anche ora a coloro che vengono iniziati, affinché non sembri che gli iniziati imitino la dea nel suo dolore. Abitavano in quel tempo Eleusi degli indigeni i cui nomi erano Baubò, Dysaules, Triptolemo, e inoltre Eumolpo ed Eubuleo. Bifolco era Triptolemo, pastore Eumolpo, porcaro Eubuleo; È da essi che fior� in Atene questa ierofantica stirpe degli Eumolpidi e dei Keryci. Ordunque (giacchÈ non mi tratterrò dal dirlo) Baubò, avendo ospitato Deo, le porge un beverone, e Poiché questa rifiutava di prenderlo e non voleva bere (Poiché era in lutto), Baubò dispiaciutasi fortemente della cosa, ritenendo il rifiuto come un'offesa fatta a lei, alzate le vesti, scopre le sue vergogue, e le mostra alla dea. Essa invece, Deo, si diletta di quella vista e a stento finalmente accetta la pozione, rallegrata da quello spettacolo. Questi sono i secreti misteri degli Ateniesi. Questi misteri riferisce anche Orfeo, e io ti citerò i versi stessi di Orfeo, affinché tu abbia nel mistagogo un testimone della loro svergognatezza: Così� dicendo, i pepli si tirò in alto e mostrò un'immagine oscena del corpo; era quella di Iacco fanciullo, ridente (Poiché l'agitava) di sotto al sen di Baubò; e allora la dea, Poiché vide, sorrise dentro il suo cuore, e accettò il lucido vaso con entro la mista bevanda. E il motto dei misteri eleusinii È: " digiunai, bevvi il cyceone, presi dalla cesta, avendo fatto quello che dovevo fare, riposi nel canestro e dal canestro nella cesta ". Begli spettacoli davvero, e che si addicono a una dea! Questi riti di iniziazione sono dunque degni della notte e del fuoco e del " magnanimo", o piuttosto insensato, popolo degli Erettidi, e, inoltre, anche degli altri Elleni, cui " dopo morte attendono cose che neppure si aspettano". A chi vaticina Eraclito di Efeso? Ai " nottivaghi, ai maghi, ai baccanti, alle baccanti, ai mysti ", a costoro egli minaccia le pene dopo la morte, a costoro vaticina il fuoco; " giacché empiamente essi si iniziano ai misteri che sono in uso fra gli uomini " . Consuetudine dunque e vana credenza sono i misteri, e cioè un inganno teso dal serpente, inganno che gli uomini venerano, allorchÈ con falsa pietà coltivano queste iniziazioni che non sono in realta iniziazioni e questi riti pieni di empietà. E quali sono anche le ceste mistiche! Bisogna infatti rivelare le cose sacre che si contengono in esse, e denunziare le cose non dicibili. Queste cose non sono dolci di sesamo, e piramidi e dolci in forma di gomitoli e focacce dai molti ombelichi e grani di sale e un serpente, il mistico simbolo di Dioniso Bassareo? Non sono melagrane, oltre a ciò, e rami di fico, e ferule, e tralci di edera, e oltre a ciò, focacce rotonde e papaveri? Sono queste le loro cose sacre! E, inoltre, gli ineffabili simboli di GE Temide (cioè Demetra): l'origano, la lucerna, la spada, il pettine femminile, che È, in linguaggio eufemistico e mistico, l'organo femminile. O che sfacciata impudenza! Una volta la notte, che copriva il piacere per gli uomini temperanti, era silenziosa: ora, divenuta una tentazione all'intemperanza per coloro che si iniziano, la notte È piena di voci; e il fuoco con la luce delle fiaccole rivela le oscene passioni. Spegni, o ierofante, il fuoco. Risparmia, o daduco, le lampade; la luce accusa il tuo Iacco; lascia che la notte nasconda i misteri; i riti siano onorati dalle tenebre; il fuoco non rappresenta una parte da teatro: il suo compito È di convincere e di punire. Questi, i misteri degli atei: atei giustamente io chiamo costoro, che non hanno conosciuto Colui che È veramente Dio, e venerano un bambino sbranato dai Titani e una donnetta in lutto, e le parti che veramente ma soltanto per pudore non si possono nominare. Duplice È la forma di ateismo di cui essi sono affetti, la prima consistente nel fatto che ignorano Dio, in quanto a che non riconoscono come Dio quegli che È veramente Dio; l'altra, la seconda, la quale consiste in questo errore, di credere che esistano coloro che non esistono, e di chiamare dei questi che in realtà non sono dei o piuttosto che neppure esistono, ma che non sono che semplici nomi. Per questo l'Apostolo ci biasima dicendo: " Ed eravate stranieri ai patti della promessa, non avendo la speranza, ed essendo atei nel mondo". Molti beni ricadano sul capo del re degli Sciti, chiunque mai egli sia stato! Questi trafisse con un dardo un suo concittadino, che presso gli Sciti imitava il rito della Madre degli dei, in uso presso i Ciziceni, battendo un timpano e facendo risuonare un cembalo e tenendo appese al collo immagini della dea, come un menagyrte: per la considerazione che questi, che era divenuto lui stesso effeminato presso i Greci, si faceva maestro anche agli altri Sciti di quella morbosa effeminatezza. Perciò (giacché non bisogna affatto nasconderlo) mi vien fatto di meravigliarmi come mai abbiano chiamato atei Evemero di Agrigento e Nicanore di Cipro e Diagora e Ippone, tutti e due di Melo, e inoltre quello di Cirene (chiamato Teodoro) e molti altri, che sono vissuti saggiamente e hanno scorto più acutamente, credo, degli altri uomini l'errore riguardante questi dei. Essi, È vero, non hanno conosciuto la verità stessa, ma almeno hanno sospettato l'errore, il che non È piccola scintilla di saggezza, la quale cresce, come seme, verso la verità. Uno di essi prescrive agli Egiziani: " Se li stimate dei, non piangeteli Né battetevi; ma se li piangete, non stimateli più dei "; un altro, avendo preso un Eracle, fatto d'un pezzo di legno (stava a cuocere qualche cosa in casa, come È verosimile), " Su dunque, o Eracle disse - ora È tempo che come ad Euristeo, così� anche a noi compia questa tredicesima fatica, e a Diagora appresti il desinare! ", e quindi lo pose nel fuoco come un pezzo di legno. Punti estremi dell'ignoranza sono dunque l'ateismo e l'adorazione dei demoni, al di qua dei quali bisogna cercare in tutti i modi di mantenersi. Non vedi il santo interprete della verità, MosÈ, che vieta all'eunuco e al mutilato dei genitali e inoltre al figlio della meretrice di prender parte all'assemblea?. Vuol significare oscuramente, coi due primi, il costume ateo, che È stato privato della divina e generativa potenza, con l'altro, col terzo, colui che si attribuisce molti falsi dei, invece di colui che solo È Dio, come il figlio della cortigiana si attribuisce molti padri, per ignoranza del suo vero padre. Ma vi era negli uomini una certa innata, originaria comunanza col cielo, la quale si È ottenebrata per l'ignoranza, ma improvvisamente balza fuori dalle tenebre e torna a risplendere, come mostrano, per esempio, quei versi nei quali da qualcuno È stato detto: Vedi questo infinito etere in alto che circonda la terra nel suo molle abbraccio... E questi altri: Della terra veicolo, che hai sede sopra la terra, chiunque sia, a vedere incomprensibile... E quante altre cose di tal natura cantano i figli dei poeti. Ma opinioni errate e condotte fuori dalla retta via, opinioni veramente perniciose, volsero " la pianta celeste ", l'uomo, fuori dalla vita celeste e lo piegarono sulla terra, a figure fatte di terra avendolo indotto ad attaccarsi. Alcuni infatti, facilmente ingannandosi riguardo allo spettacolo del cielo, e fidando nella sola vista, nell'osservare i movimenti degli astri, furono presi da meraviglia e divinizzarono gli astri chiamandoli dei da thein (= correre), e adorarono il sole, come gli Indi, e la luna, come i Frigi. Altri, nel cogliere i frutti coltivati delle piante, chiamarono Deo il grano, come gli Ateniesi, e Dioniso la vite, come i Tebani. Altri, avendo considerato il contraccambio che suole avere il male, divinizzano le punizioni, adorando perfino le sventure. Da qui i poeti drammatici hanno inventato le Erinni e le Eumenidi, e dei Palamnei e Prostropei e, inoltre, Alastori. Anche alcuni filosofi, seguendo l'esempio dei poeti, rappresentano, anche loro, come divinità le varie forme delle vostre passioni, il Timore, e l'Amore, e la Gioia, e la Speranza, come fece appunto anche l'antico Epimenide, che innalzò in Atene altari alla Hybris e alla Anaideia. Altri dei, derivati dagli stessi avvenimenti della vita, sono creati dagli uomini e sono rappresentati corporeamente tali sono le divinità attiche Dike e Clotho e Lachesi e Atropo, e EimarmÈne, e Auxò e Thallò. Vi È una sesta maniera di introdurre l'inganno e di fornire nuovi dei, quella, in base alla quale gli uomini annoverano i dodici d‚i, dei quali Esiodo canta quella sua teogonia, e ai quali si riferisce tutto ciò che Omero dice intorno agli dei. Ne resta un'ultima (Poiché sette sono tutte queste maniere), quella che ha origine dai benefici divini che vengono agli uomini. Non conoscendo infatti il dio che li beneficava inventarono certi Dioscuri salvatori, ed Eracle allontanatore di mali e Asclepio medico. Sono queste le sdrucciolevoli e dannose trasgressioni della verità, che trascinano giù dal cielo l'uomo e lo volgono verso il baratro. Voglio ora mostrarvi da vicino gli stessi dei, perché vediate quali siano e se veramente esistano, affinché una buona volta cessiate dall'errore e di nuovo accorriate al cielo. " Giacché eravamo anche noi figli dell'ira, come anche gli altri; ma Dio, che È ricco in misericordia, per il grande suo amore, col quale ci amò, quando eravamo già morti nel peccato ci fece rivivere insieme con Cristo". " Giacché il Verbo È vivente ", e quegli che È stato sepolto insieme con Cristo È elevato insieme con Dio. Ma quelli che sono ancora non credenti, sono chiamati " figli dell'ira", allevati, cioè, per l'ira. Ma noi non siamo più creature dell'ira, perché ci siamo staccati dall'errore, e balziamo verso la verità. In questo modo noi, che una volta eravamo figli della licenza, siamo diventati ora, grazie all'amore del Verbo per l'uomo, figli di Dio; ma È a voi che si riferisce il vostro poeta, l'agrigentino Empedocle: È per questo che voi, da gravi mali crucciati non mai dagli acerbi dolori l'animo alleggerirete. Orbene, la maggior parte delle cose riguardanti i vostri dei non sono che favole e invenzioni; ma le altre, quelle che si È creduto che siano realmente avvenute, non sono che delle notizie riferentisi a degli uomini turpi e che sono vissuti dissolutamente: Con folle orgoglio voi andate, e il dritto e giusto sentiero abbandonato, per quello partiste di rovi e di spini. A che andate errando, mortali? Cessate, o stolti, Lasciate l'oscuritd della notte, e conquistate la luce! Questo ci prescrive la profetica e poetica Sibilla, ce lo prescrive anche la Verità, la quale, spogliando da queste spaventevoli e terrificanti maschere la turba degli dei, dimostra con alcune somiglianze di nome la falsità delle vostre credenze. Così, per esempio: vi son di quelli i quali riferiscono che vi furono tre dei chiamati Zeus, uno, nato dall'Etere, in Arcadia, gli altri due, figli di Crono; di questi due, l'uno nato in Creta, l'altro, invece, in Arcadia. Vi sono di quelli che suppongono esseri state cinque dee chiamate Atena, l'una figlia di Efesto, la Ateniese, l'altra di Nilo, l'Egiziana, la terza di Crono, la inventrice della guerra, la quarta di Zeus, che i Messeni hanno chiamato Coryphasia dalla madre, e infine la figlia di Pallante e di Titanide figlia dell'Oceano, la quale, avendo ucciso empiamente il padre, si È adornata della pelle paterna come di un vello. Inoltre, di divinità chiamate Apollo, Aristotele ne elenca una prima, il figlio di Efesto e di Atena (qui non È più vergine Atena), una seconda in Creta, il figlio di Cyrbante, una terza, il figlio di Zeus, e una quarta, l'Arcade, il figlio di Sileno; questo È chiamato Nomio presso gli Arcadi; oltre a questi il libico, il figlio di Ammone. E il grammatico Didimo aggiunse a questi anche un sesto, il figlio di Magnete. Ma quanti Apolli vi sono anche attualmente, uomini innumerevoli, mortali e destinati a perire, i quali sono stati chiamati in modo simile a quello con cui furono chiamate le divinità sopradette? E se ti dicessi i molti Asclepii o gli Ermes che si annoverano o gli Efesti della mitologia? Non vi parrà che io faccia opera superflua, sommergendo i vostri orecchi con tutti questi nomi? Ma le patrie e le arti e le vite e, oltre a ciò, le tombe, dimostrano che essi sono stati uomini. Ares, per esempio, il quale È quanto più È possibile onorato anche presso i poeti, Ares, degli uomini peste, omicida, eversore di mura. questo " voltafaccia" e " implacabile" era, come dice Epicarmo, spartano, ma Sofocle lo sa trace ed altri arcade. Omero dice che fu tenuto incatenato per tredici mesi: Tollerò Ares, allora che Oto ed il forte Efialte, d'Aloeo figli, legaronlo in saldi nodi gagliardi; ed in prigione di bronzo fu legato per tredici mesi. Molti beni ricadano sulla testa dei Cari, i quali gli fanno sacrifizi di cani. E gli Sciti non cessino di sacrificargli gli asini, come dice Apollodoro, e Callimaco: Febo di tra iperborei sacrifizi d'asini sorge. E lo stesso poeta, altrove: Dilettan Febo le splendide immolazioni di asini. Efesto, che Zeus scagliò dall'Olimpo, " dalla soglia divina ", caduto a Lemno, faceva il fabbro ferraio, essendo storpio di tutti e due i piedi, " ma sotto, le gambe sottili movevansi agili ". Hai anche il medico, non solo il fabbro tra gli dei; e il medico era avaro, si chiamava Asclepio. E ti citerò il tuo poeta, il beota Pindaro: Indusse anche quello con grande mercede nelle mani apparsogli, l'oro; ma con le mani il Cronide lanciata la folgore traverso il petto di entrambi, lor tolse il respiro rapidamente, ed il fulmine ardente inflisse loro la morte; ed Euripide: Fu Zeus la causa, che mi uccise il figlio Asclepio, col lanciargli in cuor la folgore. Questo dunque giace fulminato nei confini di Cynosuride. Filocoro poi, dice che in Teno È onorato come medico Poseidone; e che la Sicilia È posta sopra Crono e che qui egli giace sepolto. Patrocle di Thuri e Sofocle il giovane in alcune tragedie narravano la storia dei due Dioscuri. Questi Dioscuri furono degli uomini mortali, se la testimonianza di Omero È attendibile quando dice: ormai li teneva la terra datrice di vita là in Lacedemone, nella patria terra diletta. Venga innanzi anche l'autore dei poemi Ciprii: Mortale Castore, e a lui È stato assegnato un destino di morte: immortale È invece, il rampollo d'Ares, Polluce. Questa È una menzogna poetica, ma Omero È più degno di fede di lui, quando parla di ambedue i Dioscuri, e, oltre a ciò, quando mostra che Eracle era un fantasma: " l'eroe" - dice infatti - " Eracle, di grandi opere esperto". Eracle dunque anche lo stesso Omero sa che fu uomo mortale. Il filosofo Ieronimo descrive anche la conformazione del suo corpo: piccolo, dai capelli ricci, forzuto. E Dicearco lo dice magro, muscoloso, nero, dal naso aquilino, dagli occhi cilestrini, dai capelli lunghi. Questo Eracle dunque, dopo essere vissuto cinquantadue anni, finì� la vita, ed ebbe gli onori funebri per mezzo della pira dell'Eta. E le Muse, che Alcmane fa nascere da Zeus e da Mnemosyne, e gli altri poeti e prosatori divinizzano e venerano, e già anche intere città consacrano musei in loro onore, - queste non erano che delle servette Mysie, comprate da Megaclo, la figlia di Macar. Macar era re dei Lesbii, ed era sempre in lite con la moglie. Se n'affliggeva Megaclo per la madre; e che cosa non era disposta a fare? E così� essa compra queste ancellette Myse, tante di numero (quante le Muse), e le chiama Moisai secondo il dialetto eolico. E insegnò loro a cantare le antiche imprese, e ad accompagnarsi con la cetra armoniosamente. Ed esse, citareggiando continuamente e bellamente affascinandolo coi loro canti, placavano l'animo di Macar e lo facevano cessare dall'ira. A ricordo di questo beneficio, Megaclo, come ringraziamento per conto della madre, innalzò statue di bronzo raffiguranti le fanciulle e ordinò che fossero onorate in tutti i templi. E tali sono le Muse; il racconto si trova presso Myrsilo di Lesbo. Udite ora gli amori dei vostri dei, le straordinarie storie della loro intemperanza e le loro ferite e le catene e le risa e le battaglie e le schiavitù e i simposi e gli amplessi e le lacrime e le passioni e le lascive voluttà. Chiamami Poseidone e lo stuolo delle fanciulle da lui corrotte, Amfitrite, Amymone, Alope, Melanippe, Alcyone, Ippothoe, Chione e le altre innumerevoli, nelle quali, pur essendo tante, non si saziavano ancora i desideri del vostro Poseidone. Chiamami anche Apollo: egli È Febo, tanto vate sacro che buon consigliere. Ma non dice così� Sterope Né Aethusa Né Arsinoe Né Zeuxippe, Né Prothoe Né Marpessa Né Hypsipyle; giacché Dafne riusc�, solo lei, a sfuggire al vate e alla sua violenza. E venga infine lo stesso Zeus, "il padre " - secondo voi - " degli uomini e degli dei ". Tanto egli era dato ai piaceri venerei da desiderare tutte le donne e saziare in tutte il suo desiderio. Si saziava infatti di donne, non meno che di capre il becco dei Thmuiti. E io ammiro, o Omero, i tuoi versi: Disse, e col cenno delle c‹anee ciglia il Cronide assentì: le chiome divine ondeggiaron sul capo immortale del nume, e scrollò il grande Olimpo... Pieno di maestà, o Omero, tu rappresenti Zeus, e gli attribuisci un cenno del capo che È stato molto pregiato. Ma se per poco gli mostri, o uomo, il cinto (di Venere), Zeus si rivela per quello che È, e la sua chioma si copre di disonore. A qual punto di intemperanza si È spinto quello Zeus, che tante notti godette con Alcmena! Neppure, infatti, le nove notti furon lunghe per l'intemperante (ma l'intera vita, al contrario, era breve per la sua incontinenza) perché ci procreasse il dio allontanatore di mali. Figlio di Zeus era Eracle, di Zeus veramente, egli che fu generato da una lunga notte e che compì pazientemente le dodici fatiche in lungo tempo, ma le cinquanta figlie di Thestio in una lunga notte violò, nello stesso tempo divenuto adultero e sposo di tante vergini. Non senza ragione dunque i poeti lo chiamano " infelice " e " scellerato ". Lungo sarebbe riferire i suoi adulterii d'ogni sorta e le sue corruzioni di fanciulli. Neppure, infatti, neppure dai fanciulli si astennero i vostri dei: uno amò Ila, un altro Iacintho, un altro Pelope, un altro Chrysippo, un altro Ganimede. Questi sono gli dei che le vostre donne debbono adorare, tali essi si augurino che siano i loro mariti, altrettanto temperanti, affinché siano simili agli dei, col mostrarsi pieni di uno zelo uguale al loro. Questi dei i vostri figli si abituino a venerare, perché diventino uomini, prendendo gli dei come un chiaro esempio di fornicazione. Ma forse, degli dei, soltanto i maschi sono infrenabili riguardo ai piaceri venerei; ma le dee, come donne, restarono in casa, ciascuna, per pudore - dice Omero, - vergognandosi, le dee, nella loro gravità, di vedere Afrodite sorpresa in adulterio. Ma esse sono più ardentemente licenziose, essendo legate in adulterio - Eos con Tithono, Selene con Endymione, Nereide con Eaco, Teti con Peleo, Demetra con Iasione, Persefone con Adoni. Afrodite, copertasi di vergogna con Ares, passò a Cinyra e sposò Anchise e insidiava Fetonte e amava Adoni, gareggiava con la boopide, e le dee, svestitesi, a causa del pomo, stavano nude, intente al pastore, per vedere quale di esse gli sembrasse bella. Su dunque, esaminiamo brevemente anche gli agoni e disperdiamo queste solenni adunanze sepolcrali, i giuochi istimici, nemei, pitici e soprattutto olimpici. A Pito dunque si venera il serpente pitico e l'adunanza tenuta in onore del serpente prende il nome di giuochi Pitici. Nell'istmo il mare sputò un miserevole rifiuto, e i giuochi Istmici piangono Melicerte. A Nemea giace sepolto un altro ragazzo, Archemoro, e la celebrazione fatta sulla tomba di questo ragazzo prende il nome di giuochi Nemei. La vostra Pisa, o Panelleni, È la tomba di un auriga frigio, e le libazioni che si fanno in onore di Pelope, cioè i giuochi Olimpici, lo Zeus di Fidia se le fa proprie. Misteri erano dunque, in origine, come sembra, gli agoni, Poiché si tenevano in onore di morti, come anche gli oracoli, e ambedue, dopo, sono divenuti pubblici. Ma i misteri che si tengono ad Agra e quelli che si tengono ad Alimunte dell'Attica sono stati limitati ad Atene; ma gli agoni e i falli che si consacrano a Dioniso, i quali hanno infestato la vita umana, sono, invece, una infamia mondiale. Bacchus enim descendendi ad Inferos desiderio flagrabat, sed viam ignorabat: hanc Prosymnus quidam promittit se monstraturum, verum non sine mercede. Merces ea in se quidem parum erat honesta, attamen honesta satis Baccho. Erat autem gratia Venerea, quam Bacchus postulabatur. Deo igitur non repugnanti petitio statim explicatur: isque iureiurando promittit, si redierit, se, quod vellet, facturum. Cum viam didicisset, abiit, rursusque rediit, nec offendit Prosymnum erat enim mortuus. Tum vero amatori ut debitum solveret, ad monumentum eius se confert, et muliebria patiendi desiderio flagrat. Cum ergo ficulneum excidisset ramum, instar virilis membri efformat; et ei insidens, promissum persolvit mortuo. Atque hoc facinus mystico ritu commemorant, qui Baccho Phallos fere per universas Graeciae urbes erigunt. " Giacché, se non fosse in onore di Dioniso che fanno il corteo solenne e cantano l'inno alle vergogne, sarebbe vergognosissimo quello che compiono " - dice Eraclito -, " Ade È lo stesso che Dioniso, in onore del quale folleggiano e baccheggiano ", non tanto, come io credo, per l'ubbriachezza del corpo, quanto per la vergognosa rivelazione sacra della licenza. A ragione perciò questi vostri dei sono schiavi, perché si sono resi schiavi delle passioni, ché anzi, anche prima dei così detti iloti presso i Lacedemoni, subiva il giogo servile Apollo sotto Admeto in Fere, Eracle in Sardi, sotto Omfale; Poseidone e Apollo erano servi di Laomedonte, quest'ultimo come un servo inutile, che evidentemente non aveva nemmeno potuto ottenere la libertà dal precedente padrone; in quel tempo essi anche edificarono le mura di Ilio al Frigio. Omero non si vergogna di dire che Atena faceva luce ad Ulisse, "tenendo un'aurea lucerna " nelle mani. E leggemmo di Afrodite, che, come una serviciattola impudica, portò ad Elena lo sgabello e lo pose di fronte al suo amante perche lo attirasse all'amplesso. Paniasi, inoltre, racconta che, oltre questi, moltissimi altri dei servirono ad uomini, così scrivendo: Soffrì Demetra, e il famoso dai piedi storpiati soffrì e soffrì Poseidone, soffrì Apollo dall'arco d'argento, di servir presso un uomo mortale per la durata di un anno: soffrì, costretto dal padre, anche Ares dall'animo ardente, e quello che segue. È naturale, per conseguenza, che qucsti vostri dei - dediti agli amori e soggetti alle passioni - ci siano presentati anche soggetti in tutto agli accidenti propri dell'umana natura. "GiacchÈ certamente ad essi mortale È la carne". Lo testimonia con molta precisione Omero, quando introduce Afrodite a lanciare alte e acute grida per la ferita, e narra che lo stesso bellicosissimo Ares fu ferito da Diomede nel fianco. Polemone poi dice che anche Atena fu ferita da Ornyto; e Omero dice inoltre che anche Aidoneo fu ferito di saetta da Eracle, e la stessa cosa narra Paniasi di Elios. Questo stesso Paniasi racconta che anche Era, la pronuba, fu ferita "in Pylo sabbiosa" dallo stesso Eracle. E Sosibio dice che anche Eracle fu ferito dagli Ippocoontidi nella mano. Se vi sono ferite, vi È anche sangue; il poetico icore infatti È anche più schifoso del sangue, giacché per icore non si intende altro che la putrefazione del sangue. È necessario dunque offrir loro cure e cibi, di cui hanno bisogno. Per questo, banchetti e sbornie e risate e amplessi, mentre, se fossero immortali e bisognosi di niente ed esenti da vecchiaia, non godrebbero dei piaceri umani dell'amore Né metterebbero al mondo figliuoli Né si addormenterebbero. Lo Stesso Zeus partecipò ad una mensa umana presso gli Etiopi, e a una inumana e nefanda, invitato presso Lycaone l'arcade. Certo È che, senza volerlo, egli si riempiva di carni umane; giacchÈ il dio ignorava che Lycaone l'arcade, il suo ospite, aveva sgozzato il proprio figlio (si chiamava Nyctimo) e l'aveva imbandito, come piatto prelibato, a Zeus. Bello, questo Zeus, l'indovino, l'ospitale, il protettore dei supplici, il clemente, il panompheo, il vendicatore delle colpe: o, piuttosto, l'ingiusto, l'iniquo, il senza legge, l'empio, l'inumano, il violento, l'adultero, il lascivo. Ma allora egli esisteva, quando era tale, quando cioè era un uomo: ora, invece, mi pare che i anche vostri miti siano già invecchiati. Zeus non È più serpente, non cigno, non aquila, non uomo lascivo, non vola come dio, non È dato all'amore di fanciulli, non ama, non fa violenza: eppure vi sono ancora molte e belle donne, anche più belle di Leda e più floride di Semele, e giovanetti più freschi e più eleganti del frigio bifolco. Dov'èra quell'aquila? dove il cigno? dove lo stesso Zeus? Egli È invecchiato insieme con l'ala; non però si pente dei trascorsi amorosi Né impara a essere temperante. Il mito vi È svelato nella sua nudità; morì Leda, morì il cigno, morì l'aquila. Cerchi il tuo Zeus? Non frugare il cielo, ma la terra. Te lo dirà il Cretese, nella cui terra È seppellito, come dice Callimaco nei suoi inni: ... ché il tuo sepolcro, o sovrano, l'hanno innalzato i Cretesi... È morto dunque Zeus (non dolertene, o Leda), come il cigno, come l'aquila, come l'uomo lascivo, come il serpente. Ma mi sembra che ormai anche gli stessi adoratori dei demoni, benchè a malincuore, comprendano tuttavia il loro errore riguardo agli dei: ché non son nati da antica quercia, e neppure da pietra, ma "sono della stirpe degli uomini", benché fra poco si troverà che essi non sono che quercie e pietre. Stafilo, per esempio, racconta che a Sparta era venerato uno Zeus Agamennone. Fanocle nel libro intitolato " Gli amori o i belli" racconta che Agamennone, il re degli Elleni, È quegli che innalzò un tempio ad Argynno Afrodite, in memoria del suo amasio Argynno. Gli Arcadi, come dice Callimaco negli "Aitia", venerano una Artemide Apanchomene (strangolata). E un'altra Artemide, detta Condylitis, È onorata in Metimna. Vi È anche, nella Laconia, il tempio di un'altra Artemide, detta Podagra, come dice Sosibio. Polemone conosce una statua di Apollo "con la bocca aperta", e un'altra ancora, onorata nell'Elide, di Apollo "goloso". Qui, nell'Elide, gli Elei sacrificano a Zeus "scacciatore di mosche"; e i Romani sacrificano ad Eracle scacciatore di mosche e alla Febbre e allo Spavento, che essi mettono, anche questi, tra i compagni di Eracle. Lascio andare gli Argivi e i Laconi: gli Argivi rendono culto ad Afrodite Tymborychos (= scavatrice di sepolcri), e gli Spartani venerano Artemide Chelytis (= che tossisce), Poiché nel loro dialetto si dice chelyttein il tossire. Credi che le notizie che ti presentiamo siano desunte da noi da qualche fonte non autentica? Sembra che tu non riconosca neppure i tuoi scrittori - che io chiamo a testimoni contro la tua incredulità -, quali hanno riempito di empio ludibrio - poveri voi! tutta la vostra vita, che non merita, in realtà, di essere chiamata vita. Non sono invero onorati uno Zeus calvo, in Argo, e un altro, vendicatore, in Cipro? Non sacrificano ad Afrodite Peribaso (= divaricatrix) gli Argivi, e ad Afrodite etera gli Ateniesi, e ad Afrodite callipigia i Siracusani, quella che il poeta Nicandro ha in un punto chiamato " calliglutea"?. Taccio, infine, di Dioniso choiropsalas: adorano i Sicioni questo Dioniso, avendolo posto a presiedere agli organi femminili, venerando in questo modo, come ispettore della vergogna, il fondatore della licenza. Tali sono per gli stessi loro adoratori gli dei, e tali sono gli adoratori stessi che si fan giuoco degli dei o piuttosto beffeggiano ed oltraggiano se stessi. E quanto migliori dei Greci, che adorano tali dei, non sono gli Egiziani, che per villaggi e città venerano i bruti animali? Infatti queste divinità degli Egiziani, sebbene siano degli animali, non sono però adultere, non sono lascive e neppure una di esse va in caccia di piaceri che siano contro natura. Ma di quale natura siano invece le divinità dei Greci, che bisogno c’è ancora di dirlo, quando esse sono state già smascherate a sufficienza? Ordunque, gli Egiziani, dei quali poco fa ho fatto menzione, sono divisi secondo i loro culti. Di essi, i Syeniti venerano il pesce fagro, quelli che abitano Elefantina, il meote (altro pesce, questo), gli Oxyrynchiti, ugualmente, il pesce che prende il nome dalla loro regione; ancora, gli Eracleopolitani l'ichneumone, i Saiti e i Tebani la pecora, i Lycopolitani il lupo, i Cynopolitani il cane, il bue Api quelli di Memfi, i Mendesi il capro. Ma voi, che siete in tutto migliori degli Egiziani - esito a dirvi peggiori -, che non cessate di deridere ogni giorno gli Egiziani, come vi comportate nei riguardi degli animali irragionevoli? Tra voi, i Tessali onorano le cicogne a causa della costumanza, i Tebani le donnole a causa dalla nascita di Eracle. E che dire, per tornare ad essi, dei Tessali? Si racconta che essi venerano le formiche Poiché hanno appreso che Zeus, presa la forma di una formica, si mescolò con Eurymedusa, la figlia di Cletore, e generò Myrmidone. Polemone racconta che gli abitanti della Troade venerano i topi indigeni, che chiamano sminthi, perché rosero le corde degli archi nemici, e da quei topi diedero ad Apollo il nome di Sminthio. Eraclide nelle sue " Fondazioni dei templi dell'Acarnania" dice che dove È il promontorio di Actio e il tempio di Apollo Actio si sacrifica prima un bue alle mosche. NÉ mi dimenticherò dei Sami (i Sami, come dice Euforione, venerano la pecora) Né dei Siri che abitano la Fenicia, dei quali alcuni venerano le colombe, altri i pesci, così esageratamente come gli Elei venerano Zeus. Ebbene dunque, dal momento che non sono dei quelli ai quali rendete culto, mi sembra opportuno esaminare quindi se essi siano in realtà demoni, iscritti, come voi dite, in questa seconda categoria. Giacché, se essi sono realmente demoni, sono ingordi e impuri. È possibile trovare demoni indigeni, che raccolgono onore nelle varie città anche apertamente (come gli dei): presso i Cythni Menedemo, presso i Teni, Callistagora, presso i Delii, Anio, presso i Laconi, Astrabaco. È onorato anche un certo eroe a Falero " sulla poppa della nave", e la Pitia ordinò ai Plateesi di sacrificare ad Androcrate e a Democrate e a Cycleo e a Leucone nel tempo in cui le guerre mediche erano nel loro pieno. E chi È capace di fare anche un piccolo esame può abbracciare di un solo sguardo anche altri numerosissimi demoni: tre miriadi sono sulla terra nutrice di molti i demoni immortali, custodi di umani mortali. Chi siano questi custodi, o Beota, non rifiutarti di dirci. O È chiaro che essi sono questi, e quelli più onorati di essi, i grandi demoni, Apollo, Artemide, Leto, Demetra, Core, Plutone, Eracle, e lo stesso Zeus. Ma essi, o Ascreo, non ci custodiscono per impedirci di fuggire, ma forse per impedirci di peccare: essi, che certamente di peccati sono inesperti. Qui È il caso di dire il proverbio: " il padre che non si emenda, emenda il figlio". Se anche, dunque, essi sono custodi, lo fanno, non perché si ispirino a sentimenti di benevolenza verso di voi, ma perché, tutti intesi alla vostra rovina, a guisa di adulatori, si gettano sulla vita umana, adescati dal fumo dei sacrifizi. E i demoni stessi riconoscono in un certo punto la loro ghiottoneria quando dicono: La libazione e il fumo: È questo l'onor che sortimmo. Quali altre parole, se acquistassero la parola, direbbero gli dei degli Egiziani, quali i gatti e le donnole, se non queste parole omeriche e poetiche, e amiche dell'odore del grasso, e dell'arte della cucina? Tali sono dunque presso di voi gli dei e i demoni, e se vi sono anche altri chiamati semidei, alla stessa maniera dei semiasini. NÉ infatti avete penuria di nomi per formare i composti necessari alla vostra empietà.

CAPITOLO 3

Orbene dunque, aggiungiamo anche questo, che i vostri dei sono demoni inumani e odiatori degli uomini, che non solo sono lieti della follia degli uomini, ma, oltre a ciò, anche godono delle umane uccisioni. Essi forniscono a se stessi occasioni di godimento, ora nelle lotte armate degli stadi, ora nelle innumerevoli contese delle guerre, per avere al massimo grado di che rimpinzarsi a sazietà di sangue umano; e già essi, piombando come flagelli per città e popoli, chiesero l'offerta di libagioni crudeli. Aristomene di Messene, per esempio, sgozzò trecento uomini a Zeus di Ithome, credendo di avere buoni auspici, sacrificando tante e, insieme, tali ecatombi tra gli altri era Teopompo, il re dei Lacedemoni, nobile vittima. I popoli Tauri, che abitano intorno alla penisola taurica, sacrificano senz'altro ad Artemide Taurica quelli degli stranieri che abbiano catturati nel loro territorio, di quelli cioè che hanno fatto naufragio. Questi tuoi sacrifizi li presenta sulla scena in una tragedia Euripide. Monimo nella sua " Raccolta delle cose mirabili " racconta di un uomo, di un Acheo, sacrificato a Peleo e a Chirone in Pelle, città della Tessaglia; Anticleide nei " Ritorni " ci fa sapere che i Lyctii (sono questi una tribù di Cretesi) immolano uomini a Zeus, e Dosida dice che i Lesbi offrono un simile sacrifizio a Dioniso. Quanto ai Focesi (non tralascerò infatti neppure questi), Pitocle nel terzo libro dell'opera " Sulla Concordia ", racconta che questi offrono l'olocausto di un uomo ad Artemide Taurica. L'attico Eretteo e il romano Mario sacrificarono le loro proprie figlie, l'uno a Persefone, come narra Demarato nel primo libro della sua opera " Argomenti di tragedie ", e l'altro, Mario, agli dei allontanatori di mali, come narra Doroteo nel quarto libro della sua " Storia italica ". Filantropici davvero appaiono da questi esempi i vostri demoni: e come non dovrebbero, analogamente, apparire pii i loro adoratori? Gli uni, che sono invocati come salvatori, gli altri, che chiedono la salvezza agli insidiatori della loro salvezza. Certamente, mentre suppongono di fare a quelli un sacrifizio favorevole, non s'accorgono di sgozzare, intanto, degli uomini. Infatti un'uccisione non diventa sacrifizio in ragione del luogo in cui essa È stata consumata, neppure se uno sgozzi un uomo ad Artemide e a Zeus in un luogo in apparenza - sacro, piuttosto che per ira e cupidigia, altri demoni dello stesso genere, sugli altari piuttosto che nelle strade, e lo consacri come vittima; ma uccisione e omicidio È un tale sacrificio. Perché dunque, o uomini sapientissimi tra tutti gli esseri viventi, fuggiamo le fiere selvagge, e se ci imbattiamo in un orso o in un leone, ci volgiamo fuori della nostra strada come chi ha visto un serpente, s'arresta ed arretra di scatto nelle gole di un monte, e trema per tutte le membra, e si ritira indietro..., e quanto ai demoni invece, pur sentendo già prima e comprendendo che essi sono esiziali e nefasti insidiatori e odiatori degli uomini e sterminatori, non cambiate strada di fronte ad essi, e non tornate indietro? Che cosa di vero potrebbero dire i malvagi o a chi potrebhero giovare? Comunque, io posso dimostrarti che l'uomo È migliore di questi vostri dei - i quali, poi, non sono che demoni - e che Ciro e Solone sono migliori di Apollo, il dio della vaticinazione. Amante dei doni È il vostro Febo, ma non amante degli uomini. Trad� il suo amico Creso, e dimenticatosi della mercede che aveva ricevuto (così� era amante dell'ambiguità) trasse Creso attraverso l'Aly sulla pira. Amando in questo modo, i demoni guidano verso il fuoco. Ma tu, o uomo, più filantropico e più veritiero di Apollo, abbi compassione di colui che sta legato sulla pira. E tu, o Solone, vaticina la verità, e tu, o Ciro, fa' spegnere la pira. Impara finalmente, o Creso, a essere saggio, ora che la sventura ti ha insegnato la vera saggezza. Ingrato È quello che tu adori, prende la mercede, e, dopo aver preso l'oro, in cambio, mentisce. " Vedi la fine " non È il demone a dirtelo, ma l'uomo. Non ambiguamente vaticina Solone. Questo solo oracolo troverai veritiero, o barbaro; questo tu metterai alla prova sulla pira. Da ciò mi vien fatto di domandarmi maravigliato, da quali mai fantasie siano stati indotti coloro che per primi, essendo stati essi stessi ingannati, proclamarono agli uomini la loro superstizione, ordinando per legge di venerare degli scellerati demoni: sia che sia stato quel Foroneo, sia che Merope, sia che qualche altro, i quali la leggenda vuole che per primi abbiano innalzato ai demoni templi ed altari, e, inoltre, abbiano offerto sacrifizi. È certo che in tempi posteriori inventavano degli dei, che facevano oggetto di adorazione. Certo, questo Eros, che si dice essere tra i più antichi degli dei, non l'onorava nessuno prima che Charmo avesse fatto suo un giovinetto e gli avesse innalzato un'ara nell'Accademia come segno di riconoscenza per la brama appagata: e hanno chiamato Eros l'intemperanza della passione, deificando così� una brama smodata. E gli Ateniesi, di Pan non sapevano nemmeno chi fosse, prima che Filippide lo avesse detto loro. È naturale dunque che la superstizione, avendo preso principio da un qualche punto, sia divenuta fonte di stolta malvagità, e quindi, non essendo stata frenata, ma sempre più accresciutasi, procedendo con l'abbondanza di un fiume, si sia fatta creatrice di molti demoni, sacrificando ecatombi e tenendo solenni adunanze e innalzando statue ed edificando templi, i quali - giacché non tacerò neppure di questi, ma smaschererò anche essi - sono chiamati templi eufemisticamente, ma in realtà furono dei sepolcri. Ma voi, almeno ora, dimenticate il culto dei demoni, vergognandovi di onorare delle tombe. Nel tempio di Atena in Larissa, nell'acropoli, vi È la tomba di Acrisio; ad Atene, nell'acropoli, vi È quella di Cecrope, come dice Antioco nel libro nono delle sue " Storie". Ed Erittonio? Non È sepolto nel tempio di Atena Poliade? E Immarado, il figlio di Eumolpo e di Daira, non È sepolto nel recinto dell'Eleusinio, che È sotto l'acropoli? Le figlie di Celeo non sono state sepolte ad Eleusi? A che elencarti le donne Hyperboree? Esse si chiamano Hyperoche e Laodice, e sono sepolte in Delo, nell'Artemisio; questo È nel tempio di Apollo Delio. Leandrio dice che Cleocho È stato sepolto a Mileto nel Didimeo. Non si deve trascurare qui, seguendo Zenone di Mindo, il monumento funebre di Leucophryne, la quale ha avuto sepoltura nel tempio di Artemide in Magnesia, Né l'ara di Apollo in Telmesso; narrano che sia, anche questo, il monumento funebre dell'indovino Telmesso. Tolomeo, il figlio di Agesarco, nel primo libro dell'opera " Intorno al Filopatore " dice che in Pafo nel tempio di Afrodite ha avuto sepoltura Cinyra e i discendenti di Cinyra. Ma, se volessi percorrere tutti i sepolcri adorati da voi, neppur mi basterebbe tutto il tempo; quanto a voi, se non penetra in voi un qualche senso di vergogna per la vostra audacia, siete allora addirittura come dei morti che vanno in giro, perché credete nei morti: Miseri, che È questo male di cui soffrite? Di tenebre sono le vostre teste avvolte...

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