CAPO XVI

L’uomo adunque perdura nella sua vita, ma in modo diverso dagli esseri incorruttibili e corrispondente alla propria natura, nonostante l’interruzione causata dalla morte, come perdura la vita del senso nonostante la sospensione del sonno.

1. Nessuno faccia le meraviglie se quella vita che viene interrotta dalla morte e dalla corruzione noi chiamiamo un perdurare; si rifletta che non è uno solo il significato di questo termine, non uno solo è il modo della durata, perché anche la natura delle cose che perdurano non è una sola.

2. Infatti, se ognuno degli esseri che perdurano ha il suo perdurare secondo la propria natura, non si troverà il medesimo perdurare negli esseri pienamente incorruttibili e immortali, perché non si possono mettere sullo stesso piano le sostanze superiori e quelle che ne differiscono per l’inferiorità; né sarà giusto ricercare presso gli uomini quel perdurare sempre uguale e immutabile Quelle furono fatte fin da principio immortali per la sola volontà del Creatore e destinate a durare senza fine; gli uomini, invece, quanto all’anima hanno fin dall’origine una durata immutabile, ma quanto al corpo conseguono l’immortalità attraverso la mutazione.

3. Questo appunto è il concetto della risurrezione: alla quale mirando, noi ci aspettiamo la dissoluzione del corpo come quella che segue alla vita soggetta all’indigenza e alla corruzione; e, dopo questa, speriamo in una perennità esente da corruzione. Cosi non facciamo la nostra fine uguale a quella degli esseri irragionevoli, né il perdurare degli uomini uguale a quello degli esseri immortali, per non cadere nell’errore di porre la natura e la vita degli uomini allo stesso livello con esseri ben diversi.

4. Non è adunque il caso di adombrarsi se nel perdurare degli uomini si scorga qualche disuguaglianza; né per il fatto che la separazione dell’anima dal corpo e la dissoluzione delle membra e parti del medesimo inter rompe la continuità della vita è da negate la risurrezione.

5. Nella. vita sensitiva, sopravvengono naturalmente nel sonno delle sospensioni dei sensi e delle facoltà naturali, perché gli uomini dormono per certi regolari intervalli di tempo e poi ritornano in certo modo a vivere: eppure quella non ricusiamo di chiamarla vita. Per questo motivo, io penso, c’è chi chiama il sonno fratello della morte, non per farli proprio discendere dai medesimi antenati e genitori, ma perché e i morti e i dormienti vengono a trovarsi in condizioni simili, quanto alla tranquillità e al non avvertire nulla di ciò che avviene intorno, fino anzi a non accorgersi del proprio essere e della propria vita.

6. Pertanto, se la vita dell’uomo, soggetta a tanti sbalzi dalla nascita fino alla dissoluzione e interrotta in tutti i modi che abbiamo detto, non ricusiamo di chiamarla vita, neppure dobbiamo rifiutare di ammettere la vita che succederà alla dissoluzione, vita che conduce con sé la risurrezione, anche se venga per qualche tempo interrotta per la separazione dell’anima dal corpo.

CAPO XVII

Le mutazioni che porta con sé la risurrezione non meravigliano più che le mutazioni e gli sviluppi propri della vita dell’uomo nelle varie età, che non si potrebbero prevedere all’inizio della sua vita.

1. Infatti la stessa natura dell’uomo, avendo sortita fin da principio e per volontà del Creatore l’ineguaglianza, ha ineguale la vita e la durata, per le interruzioni causate ora dal sonno, ora dalla morte, come anche per le mutazioni corrispondenti a ciascuna età; cosicché nella condizione presente non si manifesta chiaro ciò che sopravverrà più tardi.

2. Chi mai, non edotto dall’esperienza, crederebbe che in uno sperma omogeneo e informe fosse riposto il principio di facoltà così numerose e importanti, o tanta varietà di masse che poi si riuniscono e si saldano, voglio dire di ossa, di nervi e di cartilagini, e ancora di muscoli, di carni, di visceri e delle altre parti del corpo? Certo nulla di tutto ciò si può scorgere nell’umido sperma , come non appaiono nei bambini le proprietà che sopravverranno nei giovani maturi né in questa età quelle degli adulti né in questi le qualità dei vecchi.

3. Eppure, per quanto nei fenomeni di cui s’è detto la naturale successione degli eventi e le trasformazioni che sopravvengono alla natura dell’uomo non appaiano affatto o soltanto in confuso, tuttavia quanti non son ciechi, per cattiva volontà o per indolenza, nel giudicar di queste cose, sanno che prima deve avvenire l’immissione dello sperma, poi, articolandosi questo nelle varie membra e parti e uscendo alla luce il feto, sopravviene la crescita propria della prima età, crescendo si perviene all’età adulta, e dopo l’età adulta si ha il declino delle facoltà naturali fino alla vecchiaia, e in fine lo sfacelo del corpo ormai logoro.

4. In questi fatti adunque, sebbene non si possa leggere nello sperma la figura o la forma dell’uomo, né nella vita il dissolvimento e il ritorno ai primi principi, pure la concatenazione naturale degli eventi fa fede di ciò che non si potrebbe argomentare da quanto appare ; molto più la ragione, investigando la verità col naturale procedimento logico, conferma la risurrezione, avendo la ragione maggior sicurezza ed efficacia nel provare la, verità che non l’esperienza.

CAPO XVIII

Esposte le ragioni riferentisi all’origine e alla natura dell’uomo, si passa ora a quelle desunte dalla provvidenza di Dio, alla quale non si sottrae alcuna creatura, e in primo luogo all’argomento del giudizio. Il giudizio deve portarsi sull’uomo tutto intero, anima e corpo, cooperando le due parti a tutte le sue azioni. Poiché ciò non avviene in questa vita, né può avvenire nello stato di separazione dell’anima dal corpo, questo dovrà ricongiungersi a quella nella risurrezione.

1. Le ragioni fin qui proposte al nostro esame per provare la risurrezione sono tutte del medesimo genere e provenienti dal medesimo principio (e il principio da cui derivano è l’origine dei primi uomini per creazione); ma alcune di tali ragioni desumono la loro forza dallo stesso primo principio da cui derivano; altre, seguendo da vicino la natura e la vita dell’uomo, prendono valore probativo dalla provvidenza di Dio verso di noi. Infatti l’argomento della causa secondo cui e per cui furono fatti tutti gli uomini, connesso con la natura degli uomini, ha la sua forza dalla creazione; mentre l’argomento della giustizia, che cioè Dio giudica gli uomini che hanno vissuto bene o male, desume l’efficacia dal fine dell’uomo. Tali ragioni hanno di là la loro origine, ma dipendono soprattutto dalla provvidenza.

2. Ora che abbiamo messo in evidenza, come ci fu possibile, le prime ragioni, sarà opportuno che anche dalle rimanenti dimostriamo il nostro assunto: voglio dire dal premio o dal castigo, che spetta secondo giusto giudizio a ciascun uomo, e dal fine proprio della vita umana; e fra queste considerazioni dobbiamo mandare innanzi quella che per sua natura primeggia, e studiare anzitutto l’argomento che si riferisce al giudizio. Un’osservazione soltanto desidero premettere, per chiarire il punto di partenza e l’ordine conveniente alla materia che si tratta. Chi ammette Dio come creatore di questo universo deve, se vuol esser coerente ai suoi propri principi, attribuire alla sua sapienza e giustizia la custodia e la provvidenza di tutte quante le creature; e, in questa retta persuasione, deve ritenere che nulla né sulla terra né nel cielo sfugge a tale governo e provvidenza, e riconoscere che a tutte le cose, le occulte così come le palesi, le piccole come le grandi, arriva la cura del Creatore.

3. Infatti tutte le creature hanno bisogno della cura del Creatore e ciascuna a suo modo secondo la propria natura e il proprio fine. Ma credo sarebbe inutile pedanteria distinguere ora le varie specie o elencare quel che conviene a ciascuna natura.

4. Per quanto riguarda l’uomo, del quale ora s’ha a parlare, egli, come bisognoso, abbisogna di nutrimento; come mortale, di successione; come ragionevole, di giudizio. Che se ciascuna delle cose dette è per l’uomo conforme a natura, ed egli abbisogna del nutrimento per la vita, abbisogna della successione per il durare della stirpe, abbisogna di giudizio per la legge che deve regolare il nutrimento e la successione, evidentemente è necessario che, riferendosi il nutrimento e la successione a tutto il composto, a questo si riferisca anche il giudizio (intendo per composto l’uomo fatto d’anima e di corpo); e che l’uomo cosi inteso renda conto di tutte le sue azioni e ne riceva il premio o il castigo.

5. Per il composto adunque il giusto giudizio stabilisce la ricompensa delle azioni, e la mercede delle azioni compiute insieme col corpo non spetta né all’anima sola (ché essa per sé non sente l’attrattiva per i peccati che si commettono coi piaceri, i cibi e le cure usate al corpo), né al corpo solo (ché questo per sé non ha discernimento di legge e di giustizia), ma è l’uomo, composto di queste due parti, che subisce il giudizio per ciascuna delle sue azioni. D’altra parte la ragione trova che ciò non avviene né in questa vita (difatti nella vita presente non si avvera un trattamento corrispondente al merito, poiché molti empi, sempre intenti all’iniquità e al male, durano sino alla fine al riparo da ogni sventura, e, al contrario, coloro che menano una vita sotto ogni rispetto virtuosa ed esemplare vivono nei travagli, esposti a insulti, a calunnie, a tormenti e a calamità d’ogni sorta), né dopo morte (poiché non esiste più il composto, essendo l’anima separata dal corpo, e il corpo stesso disperso di nuovo in quegli elementi da cui era stato messo insieme, senza più nulla conservare della figura e forma primitiva, e tanto meno la memoria delle sue azioni). È evidente a ognuno la conseguenza: che, deve rivestirsi d’incorruttibilità affinché, vivificato per la risurrezione quel ch’era morto e riunite di nuovo le parti separate o anche del tutto disciolte, ciascuno riporti la giusta mercede di ciò che ha fatto mediante il corpo sia di bene sia di male

CAPO XIX

A chi poi dubita della provvidenza di Dio, e quindi del giudizio, si osserva che se questo non vi fosse la condizione degli uomini sarebbe peggiore che quella delle bestie; e se giudizio c’è, non avviene nella vita presente, dove non c’è corrispondenza fra virtù e premio, e dove i più scellerati non potrebbero pagare il fio adeguato dei loro delitti.

1. Tali i ragionamenti che si possono fare e molti altri ancora, chi voglia ampliare ciò che s’è detto in compendio e di corsa con coloro che riconoscono la provvidenza e ammettono i medesimi princìpi che noi, e poi ripudiano, non so come, i presupposti che hanno accolto. 2. Ma con quelli che discutono sui problemi fondamentali sarà forse bene stabilire un altro principio ancor anteriore a quelli. Vogliamo cioè condividere i loro dubbi su ciò che forma oggetto delle loro opinioni e insieme con loro porre così la questione: Bisogna davvero ammettere che tutta la vita e l’esistenza degli uomini sia tenuta in nessun conto e che una densa caligine avvolga in certo modo tutta la terra, nascondendo nell’ignoranza e nel silenzio tanto gli uomini quanto le loro azioni? oppure non è molto più sicuro pensare che il Creatore presieda alle sue creature per sorvegliare tutte quante le cose che sono o divengono e giudicare così le opere come i pensieri?

3. Infatti, se non vi fosse giudizio di sorta per le azioni compiute dagli uomini, gli uomini non avrebbero nulla di più che gli esseri irragionevoli; anzi la loro condizione sarebbe ancor più misera, pur tenendo soggette le passioni e praticando pietà e giustizia e ogni altra virtù. Allora la vita migliore sarebbe quella dei giumenti e delle belve, la virtù una pazzia, la minaccia del giudizio cosa affatto ridicola, supremo dei beni darsi in braccio a ogni piacere, e massima comune di tutti quanti costoro e unica legge diverrebbe quel detto caro alla gente licenziosa e senza freno: Mangiamo e ché domani si muore ; poiché secondo alcuni il fine d’una vita siffatta non sarebbe neppure il piacere , ma l’assoluta insensibilità.

4. Se invece colui che ha creato gli uomini ha qualche pensiero delle proprie creature e in qualche luogo si avvera il giusto giudizio di chi visse bene e di chi visse male, ciò avviene o nella vita presente, mentre vivono tuttora coloro che seguirono la virtù o il vizio, oppure dopo morte, quando gli uomini sono in stato di separazione e dissoluzione.

5. Ma non è possibile trovare che si avveri il giusto giudizio né nell’un caso né nell’altro; ché né i buoni nella vita presente ricevono la ricompensa della virtù né i cattivi quella della malvagità.

6. Tralascio di dire che, mentre sussiste la natura in cui ora siamo, la natura mortale non è nemmeno in grado di subire il castigo corrispondente e proporzionato ai peccati più numerosi e più gravi.

7. L’assassino, il principe, il tiranno che ha ucciso ingiustamente migliaia e migliaia di persone, con una sola morte non ne sconterebbe la pena. Così poniamo uno che non ha pensato di Dio secondo verità ma. l’ha in ogni modo oltraggiato e bestemmiato, sprezzando le cose divine, calpestando le leggi, facendo violenza così a fanciulli come a donne, distruggendo città ingiustamente, bruciando case con gli abitatori, devastando regioni e insieme annientandone stirpi e popoli e anche tutta quanta una nazione: come potrà costui pagare il fio corrispondente a questi misfatti nel corpo corruttibile, la morte prevenendo questa espiazione meritata e non bastando la natura mortale nemmeno per uno di tali delitti? Non appare dunque il giudizio corrispondente ai meriti né nella vita presente né dopo morte.

CAPO XX

Né giudizio potrà avvenire, senza la risurrezione, dopo la morte, sia che l’anima si estingua col corpo sia che permanga da sola, perché un giudizio che cadesse solo sull’anima, mentre le azioni furono compiute da tutto l’uomo, sarebbe ingiusto.

1. Infatti, o la morte è estinzione totale della vita, dissolvendosi e corrompendosi insieme col corpo anche l’anima, o l’anima rimane in se stessa senza dissolversi né corrompersi, mentre si corrompe e dissolve il corpo, senza conservare più alcuna memoria né sentimento di quanto ha fatto o patito in forza dell’anima.

2. Ora, estinta totalmente la vita degli uomini, più non si vedrà alcuna provvidenza per gli uomini, che più non vivranno, né. alcun giudizio per chi ha vissuto nella virtù o nel vizio; riaffioreranno allora tutti gl’inconvenienti d’una vita senza legge e tutta la serie di assurdità che l’accompagnano e, colmo di questa perversità, l’empia negazione di Dio.

3. Se poi il corpo si corrompe e le parti disciolte ritornano ciascuna all’elemento affine e l’anima rimane da sé, in quanto incorruttibile, nemmeno in tal caso avrà luogo il giudizio sull’anima, perché esso mancherebbe di giustizia, e non è lecito supporre che da Dio o per ordine di Dio sia fatto un giudizio che manchi di giustizia: ciò che avverrebbe nel caso nostro, non durando colui che ha praticato la giustizia o l’ingiustizia. Invero chi ha compiuto le varie azioni della vita a cui si riferisce il giudizio è l’uomo, non l’anima da sola. Per dir tutto in breve, un procedimento di tal fatta non sarebbe in alcun modo conforme al giusto.

Questo sito utilizza i cookie e tecnologie simili necessarie al funzionamento e per una migliore navigazione. Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookies

Privacy Policy