C'È BELLEZZA ANCHE NELLA PENA DEL PECCATO

41.77. L'uomo esteriore viene meno o per i progressi di quello interiore o per proprio difetto. Nel primo caso lo fa in modo da migliorare l'insieme che viene ricostituito nella sua totalità e da essere restituito, al suono dell'ultima tromba, alla sua originaria integrità, per non più né corrompersi né corrompere. Nel secondo caso invece precipita in mezzo alle bellezze più corruttibili, cioè nell'ordine delle pene. Non meravigliamoci che le chiami ancora "bellezze"; infatti non vi è nulla che, in quanto rientra nell'ordine, non sia bello, perché, come dice l'Apostolo, ogni ordine viene da Dio.

Bisogna riconoscere che un uomo che piange è migliore di un vermiciattolo felice; pur tuttavia con animo sincero potrei tessere un ampio elogio del vermiciattolo, considerando lo splendore del suo colore, la forma ben tornita del corpo, la proporzione fra le parti anteriori e quelle mediane e fra queste e quelle posteriori, la tendenza all'unità che esse conservano, pur nell'umiltà della loro natura: non c'è nessuna parte nel vermiciattolo che non trovi piena corrispondenza nell'altra. Che dire poi del principio vitale che anima il modo di modularsi del suo corpo, di come lo fa muovere ritmicamente, di come gli fa ricercare ciò che gli è confacente, di come gli fa superare o prevenire, per quanto può, ciò che gli si oppone e di come, riportando tutto al solo istinto di conservazione, lascia intravedere, in maniera molto più evidente del corpo, quell'unità che fa essere tutte le cose? Eppure parlo di un qualsiasi vermiciattolo vivo. Molti hanno pronunciato le lodi della cenere e dello sterco in modo ampio e con grande verità. Perché allora meravigliarsi se dico che l'anima dell'uomo - migliore di ogni corpo, dovunque sia e come che sia - appartiene all'ordine delle bellezze e che dalle sue pene scaturiscono altre bellezze, pur trovandosi, nella sua miseria, dove conviene che stiano i miseri anziché i beati?

41.78. Non lasciamoci ingannare da nessuno. Tutto ciò che è giustamente oggetto di disprezzo viene rifiutato in confronto a ciò che è migliore. Ogni natura, per quanto ultima o infima, è a buon diritto degna di lode in confronto al nulla. Ed allora nessuno è bene, se può essere migliore. Perciò per noi, se può essere bene rimanere con la verità stessa, è male rimanere con una sua traccia qualsiasi e, dunque, ancora peggio, con ciò che resta di una traccia, come avviene quando ci attacchiamo al piaceri della carne. Cerchiamo di vincere quindi sia le lusinghe che le molestie di questa cupidigia: sottomettiamo questa dimensione effeminata, se siamo uomini. Se siamo noi a comandare, anch'essa diventerà migliore e non si chiamerà più cupidigia, ma temperanza; se invece è essa a comandare e noi le andiamo dietro, si chiamerà cupidigia e libidine e noi non saremo altro che temerità e stoltezza. Seguiamo Cristo, nostro capo, affinché anch'essa venga dietro a noi, che le siamo guida.

Quanto detto si può prescrivere anche alle donne, non per diritto coniugale, ma per diritto di fraternità, in base al quale in Cristo non siamo né maschio né femmina. Anch'esse infatti hanno qualcosa di virile per sottomettere i piaceri da femmina, per servire Cristo e dominare la cupidigia. Nell'economia del popolo cristiano ciò del resto avviene gia non solo in molte vedove e vergini consacrate a Dio, ma anche in molte donne sposate che adempiono ai doveri coniugali con fraterna disponibilità. Poiché, se di quella parte sulla quale Dio ci prescrive di avere il dominio esortandoci e aiutandoci a tornare in possesso di noi stessi, per negligenza ed empietà l'uomo, cioè la mente e la ragione, diventerà suddito, egli sarà certamente un uomo turpe e infelice. Ma in questa vita egli ha un destino e, dopo questa vita, un posto là dove il supremo Reggitore e Signore ritiene giusto destinarlo e collocarlo. Perciò, nessuna deformità può macchiare il creato nel suo insieme.

LA CONCUPISCENZA STESSA DELLA CARNE SOLLECITA L'UOMO A CERCARE L'ARMONIA INVISIBILE

42.79. Camminiamo dunque, mentre è per noi il giorno cioè fino a che possiamo servirci della ragione, in modo che, rivolti a Dio, ci rendiamo degni di essere illuminati dal suo Verbo, che è la vera luce, e di non essere mai avvolti dalle tenebre. Il giorno infatti è per noi la presenza di quella luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. "Uomo" è detto, perché può valersi della ragione e, dove è caduto, lì può appoggiarsi per rialzarsi. Se dunque si ama il piacere della carne, vi si presti maggiore attenzione e, quando si siano riconosciute in esso le tracce di alcune armonie, si ricerchi dove si trovino nella loro forma originaria, perché lì è maggiore il grado di unità del loro essere. E se tali tracce sono presenti nello stesso impulso vitale, che agisce nel semi, è lì che vanno ammirate più che nel corpo. Qualora, infatti, i ritmi vitali dei semi avessero un'espansione simile a quella dei semi stessi, da mezzo granello di fico nascerebbe mezzo albero di fico e da semi animali non integri nascerebbero animali non integri e completi e un solo e piccolissimo seme non avrebbe l'illimitata forza riproduttiva propria della sua specie. Da un solo seme invece, secondo la sua natura, si possono propagare, attraverso secoli, messi di messi, selve di selve, greggi di greggi, popoli di popoli, senza che vi sia, in una così ordinata successione, una foglia o un pelo la cui ragion d'essere non sia stata in quel primo ed unico seme. Si considerino poi le ordinate e soavi bellezze di suoni che l'aria trasmette quando vibra al canto dell'usignolo: di certo l'anima di quell'uccellino non potrebbe crearle spontaneamente a suo piacimento, se non le portasse impresse, in un modo non materiale, nel suo impulso vitale. Quanto detto si può riscontrare anche negli altri animali i quali, seppur privi di ragione, tuttavia non lo sono dei sensi. Tra loro infatti non vi è nessuno che, o nel suono della voce o in altro movimento e azione delle membra, non produca qualcosa di armonico e di misurato nel suo genere, non per effetto di qualche scienza, ma per un ordine intrinseco alla sua natura, regolato da quell'immutabile legge dell'armonia.

LA VERITÀ ETERNA È LA RAGIONE DELL'ORDINE UNIVERSALE

43.80. Ritorniamo a noi e lasciamo da parte quel che abbiamo in comune con le piante e gli animali. La rondine infatti nidifica in un solo modo e cosi pure ciascuna specie di uccelli. Che c'è dunque in noi che, a proposito di tutte queste cose, ci consente di giudicare a quali forme mirino e fino a che punto le realizzino e che, negli edifici e nelle altre opere materiali, ci permette di inventarne innumerevoli, come se fossimo i signori di tutte le forme? Che c'è in noi che ci fa interiormente comprendere che queste stesse masse visibili dei corpi sono grandi o piccole in proporzione; che ogni corpo, per quanto piccolo, può essere diviso in due parti e che, anche così diviso, può esserlo ancora in innumerevoli parti; che ogni granello di miglio, rispetto ad una sua parte - la quale occupa in lui tanto spazio quanto il nostro corpo in questo mondo -, è tanto grande quanto lo è il mondo rispetto a noi? E ancora, che ci fa capire che tutto questo mondo è bello non per la grandezza, ma per il rapporto tra le sue forme; che esso appare grande non per la sua ampiezza ma per la piccolezza nostra, cioè degli esseri viventi di cui è pieno, i quali, a loro volta, poiché possono essere divisi all'infinito, non sono così piccoli per se stessi, ma rispetto agli altri e soprattutto all'universo stesso? In modo del tutto simile avviene per il tempo, perché, come ogni estensione spaziale, così ogni durata temporale può essere divisa per due e, per breve che sia, ha un inizio, uno sviluppo e un termine. Dunque, deve comprendere inevitabilmente due metà, dal momento che si divide nel corso del suo procedere verso la fine. Per questo motivo la durata di una sillaba breve è breve in rapporto a quella di una più lunga, e l'ora invernale è più corta in rapporto a quella estiva. Come pure sono durate brevi quelle di una sola ora rispetto al giorno, di un giorno rispetto al mese, di un mese rispetto all'anno, di un anno rispetto al lustro, di un lustro rispetto a periodi più lunghi e di questi rispetto alla totalità del tempo. Però questa stessa armonica successione e, in qualche modo, gradazione di intervalli di luoghi e di tempi, è giudicata bella non per l'estensione o la durata, ma per l'ordinata disposizione.

43.81. Il criterio stesso che presiede a quest'ordine vive nell'eterna verità, inesteso di mole e immutabile quanto a durata; ma, in potenza, è più grande di tutti i luoghi e, nella sua eternità, più stabile di tutti i tempi. Senza di esso non sarebbe possibile ricondurre ad unità l'ampiezza di nessuna mole, né si potrebbe sottrarre alla dispersione lo svolgimento di nessun tempo: non vi potrebbe essere nulla, né un corpo che sia un corpo, né un movimento che sia un movimento. Tale criterio è l'Unità originaria, senza estensione e senza mutamento, tanto in senso finito quanto in senso infinito. Non ha infatti una parte qui ed una là, oppure una ora ed un'altra dopo, perché sommamente uno è il Padre della Verità, Padre della sua Sapienza, che, in quanto gli è simile in ogni sua parte, viene detta sua immagine e somiglianza, giacché deriva da Lui. A buon diritto pertanto è chiamata anche il Figlio che procede da Lui, mentre tutte le altre cose sono per mezzo di Lui. Infatti la forma di tutte le cose, che realizza pienamente l'Uno dal quale procede, venne prima, perché tutte le altre cose che sono, in quanto sono simili all'Uno, fossero fatte per mezzo suo.

L'UOMO È FATTO A IMMAGINE E SOMIGLIANZA DI DIO

44.82. Alcune di queste cose sono fatte mediante tale forma e in modo da essere in vista di essa, come è il caso di tutte le creature dotate di ragione e di intelletto, fra le quali l'uomo, che molto giustamente si dice fatto ad immagine e somiglianza di Dio: altrimenti non sarebbe in grado di contemplare con la mente l'immutabile verità. Altre invece sono fatte mediante essa ma non in modo da essere in vista di essa. Perciò, se l'anima razionale si sottomette al suo Creatore, dal quale, mediante il quale e per il quale è fatta, tutte le altre cose le saranno sottomesse: sia la vita al suo livello più alto, che le è tanto simile e le funge da aiuto per dominare il corpo; sia il corpo stesso, che è la più bassa delle nature ed essenze, che essa dominerà in quanto è pienamente disponibile alla sua volontà e dal quale non riceverà alcuna molestia, perché non cercherà la felicità né in esso né per mezzo di esso, ma la riceverà da Dio per la sua stessa natura. L'anima perciò governerà il corpo, rigenerato e santificato, senza il danno della corruzione e senza il peso delle difficoltà. Alla resurrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cieloI cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi! Ma Dio distruggerà questo e quelli, perché il regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia.

IL PIACERE STESSO DEI SENSI SPINGE L'UOMO ALLE COSE PIÙ ALTE.
LA SUPERBIA LO INDUCE AD ABBRACCIARE LA VIRTÙ

45.83. Perciò, in questo stesso piacere del corpo troviamo ciò che ci sollecita a disprezzarlo; non perché il corpo sia per sua natura un male, ma perché colui al quale è consentito di elevarsi al beni più alti e di goderne, si voltola turpemente nell'amore per un bene infimo. Quando l'auriga viene trascinato via e paga le conseguenze della sua sconsideratezza, incolpa qualunque cosa di cui si serviva; piuttosto invochi aiuto, rimettendosi al Signore di tutte le cose, e arresti i cavalli già pronti a far vedere a tutti la sua caduta e ad ucciderlo, se non viene soccorso; si rimetta al suo posto, si sistemi sopra le ruote, riprenda il controllo delle briglie, guidi con più prudenza le bestie sottomesse e domate: allora si accorgerà quanto bene sia costruito il carro nelle sue varie componenti, quale guasto l'abbia fatto cadere, facendo perdere alla sua corsa l'andatura giusta e moderata. Infatti nel paradiso terrestre ciò che rese debole questo corpo fu l'avidità dell'anima che male operò quando si appropriò del cibo proibito, contro la prescrizione del Medico in cui è riposta la salvezza eterna.

45.84. Se, dunque, nella stessa debolezza della carne visibile in cui la felicità non può essere, troviamo un ammonimento a cercare la felicità, in virtù della bellezza che dal livello più alto si diffonde fino a quello più basso, quanto più lo troveremo nel desiderio di notorietà e di eccellenza e in ogni superbia e vanagloria di questo mondo? In tutto ciò infatti l'uomo che altro cerca, se non di essere, se possibile, il solo a cui tutto è sottomesso, in una perversa imitazione dell'onnipotenza divina? Se lo imitasse sottomettendosi a Lui e vivendo secondo i suoi precetti, mediante Lui avrebbe ogni cosa sottomessa e non giungerebbe a tanta turpitudine da temere una bestiola qualunque, lui che pretende di comandare gli uomini. Dunque anche nella superbia è presente un certo desiderio di unità e di onnipotenza; tuttavia nel puro dominio delle realtà temporali, le quali passano tutte come ombra.

45.85. Vogliamo essere invincibili, e a buon diritto: il nostro animo infatti per natura trae questa aspirazione da Dio, che l'ha creato a sua immagine. Ma dovevamo osservare i suoi precetti; se li avessimo osservati, nessuno ci avrebbe vinto. Ora invece, mentre colei, alle cui parole turpemente acconsentimmo, è costretta a sopportare i dolori del parto, noi ci affanniamo sulla terra, e con grande vergogna siamo sopraffatti da tutto ciò che riesce a turbarci e sconvolgerci. Così, non vogliamo essere vinti dagli uomini, e non riusciamo a vincere l'ira. C'è una vergogna più detestabile di questa? Diciamo che l'uomo è quello che noi stessi siamo: anche se ha vizi, tuttavia non è egli stesso il vizio. Non è perciò più onorevole che ci vinca un uomo, anziché il vizio? Chi dubita poi che l'invidia sia un vizio orribile dal quale è inevitabilmente tormentato e sottomesso chi non vuole essere vinto nelle cose temporali? È meglio, dunque, che ci vinca un uomo piuttosto che l'invidia o un qualsiasi altro vizio.

L'UOMO PUÒ DIVENTARE INVINCIBILE SOLO AMANDO DIO

46.86. Ma chi ha vinto i suoi vizi, non può più essere vinto da un uomo: è vinto infatti soltanto colui al quale l'avversario porta via ciò che ama. Chi dunque ama soltanto ciò che non gli può essere portato via, inevitabilmente è invincibile e non è tormentato in nessun modo dall'invidia. Ama infatti un essere il quale, quanti più sono coloro che giungono ad amarlo e possederlo, tanto più abbondantemente egli se ne rallegra con loro. Ama Dio appunto con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente. Ed ama il prossimo come se stesso. Per questo non invidia che sia come egli stesso è, ma piuttosto, per quanto può, lo aiuta. Né può perdere il prossimo che ama come se stesso, perché ciò che ama in se stesso non sono le cose che cadono sotto gli occhi o sotto qualche altro senso del corpo. Ha dunque in se stesso quello che ama come se stesso.

46.87. La regola dell'amore consiste nel volere che i beni che vengono a noi vengano anche all'altro e nel non volere che capitino all'altro i mali che non vogliamo che capitino a noi stessi, e nel conservare questa disposizione d'animo verso tutti gli uomini. Nei confronti di nessuno infatti va compiuto il male, e l'amore non fa nessun male al prossimo. Amiamo dunque, come ci è stato comandato, anche i nostri nemici, se vogliamo essere veramente invincibili. Nessun uomo è invincibile per se stesso, ma per quella immutabile legge, per la quale solo coloro che la rispettano sono liberi. Poiché, in tal modo, non può essere loro portato via quello che amano, e questo soltanto li rende uomini invincibili e perfetti. Infatti, se l'uomo ama l'uomo non come se stesso, ma come si ama un giumento o un bagno o un uccellino variopinto e garrulo - ossia per ricavarne qualche piacere o vantaggio materiale - inevitabilmente si sottomette non all'uomo, ma, cosa ancora più turpe, ad un vizio tanto vergognoso e detestabile, per cui non ama l'uomo come dovrebbe essere amato. Se questo vizio in lui domina, lo accompagna fino alla fine della vita, anzi alla morte.

46.88. L'uomo tuttavia non deve essere amato dall'uomo come si amano i fratelli carnali o i figli o i coniugi o i parenti o gli affini o i concittadini: anche questo amore è temporale. Infatti non conosceremmo nessuno di questi legami, che ci provengono dal nascere e dal morire, se la nostra natura, rispettando i precetti e l'immagine di Dio, non si fosse avvolta in questa corruzione. Per questo motivo la stessa verità, richiamandoci alla primitiva e perfetta natura, ci ordina di resistere alle abitudini della carne, insegnandoci che non è adatto al regno di Dio chi non odia questi vincoli carnali. A nessuno ciò deve sembrare cosa inumana; infatti è più inumano non amare nell'uomo ciò che è uomo, ma amare ciò che è figlio, giacché questo vuol dire amare in lui non ciò che lo lega a Dio, ma ciò che lo lega a se stesso. Che c'è dunque di straordinario se non perviene al regno di Dio chi ama non ciò che appartiene a tutti, ma ciò che è suo soltanto? Si ami l'uno e l'altro, dirà qualcuno; no, solo l'uno, dice Dio; la Verità, infatti, molto giustamente afferma: Nessuno può servire a due padroni. Nessuno dunque può amare in maniera compiuta ciò a cui è chiamato, se non odia ciò da cui è sollecitato a tenersi lontano. Noi siamo chiamati alla natura umana perfetta, quale fu creata da Dio prima del nostro peccato; siamo invece sollecitati a non amare quella che abbiamo meritato col peccato. Perciò dobbiamo detestare la natura dalla quale desideriamo essere liberati.

46.89. Se ardiamo d'amore per l'eternità, dunque dobbiamo detestare i vincoli temporali. L'uomo ami il prossimo come se stesso. Poiché certamente nessuno è a se stesso o padre o figlio o parente o qualcosa del genere, ma soltanto uomo, chi ama qualcuno come se stesso, in lui deve amare ciò che egli è per se stesso. Ora, i corpi non sono ciò che noi siamo; non è perciò il corpo che si deve ricercare o desiderare nell'uomo. A questo proposito vale anche il precetto: Non desiderare i beni del tuo prossimo. Perciò, chiunque nel prossimo ama altro da quello che egli è per se stesso, non lo ama come se stesso. Dunque, ciò che si deve amare è la natura umana in se stessa, indipendentemente dalla sua condizione carnale, tanto se è già perfetta quanto se è da perfezionare. Sotto l'unico Dio Padre, sono tutti parenti coloro che lo amano e fanno la sua volontà. Tra di loro poi essi sono l'uno per l'altro padri quando si aiutano, figli quando si ubbidiscono reciprocamente e soprattutto fratelli, perché l'unico Padre con il suo testamento li chiama ad un'unica eredità.

L'UNIONE CON DIO E L'AMORE PER IL PROSSIMO RENDONO L'UOMO INVINCIBILE

47.90. Di conseguenza, perché non dovrebbe essere invincibile chi, amando l'uomo, in lui non ama che l'uomo, cioè la creatura di Dio, fatta a sua immagine, in quanto non può essere privo della natura perfetta che ama, quando egli stesso è perfetto? Così, ad esempio, se qualcuno ama chi canta bene - non questo o quello, ma soltanto uno che canti bene - essendo egli stesso un perfetto cantore, vuole che tutti siano come lui, in modo però che non gli venga a mancare quel che ama, perché egli stesso canta bene. Pertanto, se invidia qualcuno che canta bene, non è il canto che ama, ma la lode o qualcosa d'altro che desidera ottenere cantando bene o che può perdere, in parte o interamente, in presenza di un altro che canta bene. Dunque, chi invidia un buon cantore, non lo ama; per contro, chi manca di tali capacità, non è un buon cantore. Tutto ciò si può dire, in maniera molto più appropriata, di chi vive rettamente, perché non può invidiare nessuno; infatti, il fine a cui pervengono coloro che vivono rettamente conserva le stesse dimensioni per tutti e non subisce diminuzioni anche se lo possiedono in molti. Ci possono essere circostanze nelle quali il buon cantore non è in grado di cantare in modo adeguato e può aver bisogno della voce di un altro, il quale perciò gli offre ciò che ama; come quando, per esempio, si tiene un banchetto in un luogo in cui per lui sarebbe disdicevole cantare e onorevole invece ascoltare uno che canta. Al contrario, vivere giustamente è sempre onorevole. Quindi, chiunque ama vivere giustamente e lo attua, non solo non invidia i suoi imitatori, ma anche, per quanto può, si presenta loro con grande disponibilità e cortesia, pur senza averne bisogno: infatti quel che in loro ama, lo possiede in se stesso in maniera totale e perfetta. Così, quando ama il prossimo come se stesso, non prova invidia per lui, perché non la prova neppure per se stesso; gli dà ciò che può, perché lo dà a se stesso; non ha bisogno di lui, perché non ne ha di se stesso: ha bisogno soltanto di Dio, perché, unendosi a Lui, è beato. Nessuno, infatti, gli può togliere Dio. Senza alcun dubbio, perciò, è un uomo invincibile colui che sta unito a Dio, non perché ottiene da Lui qualche altro bene, ma perché per lui non c'è nessun altro bene all'infuori dello stare unito con Dio.

47.91 Un uomo così, nel corso della sua vita, si serve degli amici per ricambiare la gratitudine, dei nemici per esercitare la pazienza, di quelli ai quali può far del bene per far loro del bene, di tutti per dar prova della sua bontà. E, sebbene non ami i beni temporali, ne fa un giusto uso, aiutando gli uomini secondo la loro condizione, se non può farlo in modo eguale per tutti. Pertanto, se parla più volentieri con qualcuno dei suoi intimi che con il primo venuto, non significa che lo ami di più, ma che ha con lui maggiore confidenza e più occasioni. Tratta infatti tanto meglio quelli che sono occupati nelle questioni terrene quanto meno egli vi è impegnato. Poiché, dunque, non può essere di giovamento per tutti, che pure ama in egual misura, sarebbe ingiusto se non preferisse esserlo per coloro che gli sono più vicini. Il legame spirituale poi è più forte di quello di luogo e di tempo, nel quale siamo generati come esseri corporei, ed è un legame fortissimo, che prevale su tutti. Un tale uomo, perciò, non si affligge per la morte di nessuno, perché chi ama Dio con tutto il cuore sa che quanto non perisce per Dio neppure per lui perisce. Ora, Dio è il Signore dei vivi e dei morti. Perciò, come la giustizia altrui non lo rende giusto, così l'infelicità altrui non lo rende infelice. E come nessuno può portargli via la giustizia e Dio, così nessuno può portargli via la felicità. E se talora è turbato dal pericolo, dall'errore o dal dolore di qualcuno, è disposto a farne l'opportunità per soccorrerlo, correggerlo o consolarlo, ma non per distruggere se stesso.

47.92. In nessuna delle sue doverose incombenze viene fiaccato, sicuro nell'attesa della pace futura. Che cosa infatti potrà nuocere a colui che è in grado di trarre vantaggio anche dal nemico? Protetto e sostenuto da Dio per il cui precetto e dono ama i suoi nemici, non teme la loro inimicizia. Un uomo del genere non si rattrista troppo nelle tribolazioni; anzi addirittura ne gode, sapendo che la tribolazione produce la pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. Chi potrà nuocere a costui? Chi potrà sottometterlo? L'uomo che progredisce nella prosperità, nell'avversità impara a conoscere i progressi che ha compiuto. Non confida infatti nei beni mutevoli, quando abbondano; perciò quando gli sono tolti scopre che se ne era lasciato afferrare: Perché per lo più, quando li abbiamo, pensiamo di non amarli; ma quando cominciano a mancare, scopriamo chi siamo. Infatti perdiamo senza dolore ciò che possedevamo senza amarlo. Sembra dunque che vinca, mentre in realtà è vinto chi, prevalendo, ha raggiunto ciò che dovrà lasciare con dolore; al contrario, vince, mentre sembra che sia vinto chi, rinunciando, raggiunge ciò che non potrà perdere senza la sua volontà.

 

Questo sito utilizza i cookie e tecnologie simili necessarie al funzionamento e per una migliore navigazione. Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookies

Privacy Policy