LA FEDE CRISTIANA NON TEME LE INSIDIE DEL DUALISMO MANICHEO

9. 16. Confido nell’aiuto di Dio perché questo scritto possa essere di giovamento ai lettori che sono già in spirito di pietà e di bontà, non contro una soltanto, ma contro tutte le opinioni perverse e false. Esso, tuttavia, si rivolge soprattutto contro quanti ritengono che esistano due nature o sostanze in lotta tra loro, ciascuna con il proprio principio.

Contrariati da alcune cose e soddisfatti da altre, essi pretendono che Dio sia l’autore non di quelle che li disgustano ma di quelle che li soddisfano. E poiché non sanno vincere le loro abitudini, presi ormai come sono nei lacci della carne, pensano che nel corpo vi siano due anime: l’una che proviene da Dio e che per natura è identica a Lui, l’altra che deriva dagli abitanti delle tenebre, la quale non sarebbe stata né generata né creata né fatta crescere per condanna da parte di Dio, ma che avrebbe avuto una propria vita, una propria terra, propri figli e animali, dunque un proprio regno ed un proprio principio innato. Ad un certo momento essa si sarebbe ribellata contro Dio e Dio, non potendo far altro e non sapendo in quale altro modo opporsi al nemico, costretto dalla necessità, avrebbe inviato quaggiù un’anima buona, una piccola parte della sua sostanza, con la cui unione e mescolanza, secondo le loro fantasie, sarebbe stato placato il nemico e costruito il mondo.

9.17. Per il momento non ho intenzione di confutare queste opinioni: in parte l’ho già fatto; per il resto lo farò, se Dio lo consentirà. In quest’opera voglio dimostrare, per quanto ne sono capace e con gli argomenti che il Signore si degnerà di fornirmi, come la fede cattolica sia al riparo da esse e come non turbino il nostro animo i motivi per i quali gli uomini aderiscono a tale dottrina. Prima di tutto desidero che tu, che bene conosci il mio animo, sappia per certo (e non è per sfuggire all'accusa di presunzione che lo dico in modo quasi solenne) che deve essere imputato a me soltanto quanto di errato si può trovare in questo scritto, mentre quanto vi è di vero e presentato in modo conveniente deve essere attribuito a Dio, unico dispensatore di ogni bene.

L’ORIGINE DELL’ERRORE IN MATERIA DI RELIGIONE

10.18. Ti sia ben chiaro, perciò, che non vi sarebbe nessun errore in fatto di religione se l’anima, invece del suo Dio, non adorasse o un’altra anima o un corpo o le proprie rappresentazioni o due di queste cose congiuntamente o tutte quante insieme. Durante questa vita essa, pur adeguandosi con lealtà alle esigenze della convivenza umana, dovrebbe meditare le realtà eterne e onorare un solo Dio il quale, se non restasse immutabile, renderebbe impossibile la sussistenza di qualsiasi natura mutevole. Ciascuno sa dai propri stati affettivi che l’anima è soggetta a cambiamento, non certo per quel che concerne il luogo, ma a proposito del tempo. Per ciascuno poi è facile rendersi conto che il corpo è mutevole tanto rispetto al tempo quanto rispetto al luogo. Le rappresentazioni, a loro volta, non sono altro che immagini ricavate dalla forma corporea mediante i sensi. È facilissimo ricordarle così come le abbiamo ricevute oppure, mediante il pensiero, dividerle, moltiplicarle, riunirle, ampliarle, metterle insieme, scompigliarle o dar loro qualunque forma, mentre è difficile liberarsene completamente quando si cerca la verità.

10.19. Guardiamoci dunque dal servire la creatura invece del Creatore, dal perderci dietro alle nostre fantasie: in questo consiste la perfetta religione. Infatti, se stiamo vicini al Creatore eterno, necessariamente anche noi saremo resi eterni.

Ma l’anima, sommersa e avvolta dai peccati, di per se stessa non sarebbe capace né di scorgere né di raggiungere questa mèta, poiché non troverebbe tra le realtà umane nessun punto d’appoggio che le consenta di afferrare quelle divine e attraverso il quale, perciò, l’uomo possa cercare di innalzarsi dalla vita terrena alla somiglianza con Dio. Per questo motivo l’ineffabile misericordia divina viene in aiuto in parte di ciascun uomo, in parte dello stesso genere umano, secondo un’economia di ordine temporale, per mezzo di creature mutevoli ma sottomesse alle leggi eterne, allo scopo di ricordare loro la loro primitiva e perfetta natura. Un aiuto di tal genere è ai nostri tempi la religione cristiana nella cui conoscenza e pratica è la garanzia assoluta della salvezza.

10.20. Molti sono i modi in cui la verità può essere difesa contro i chiacchieroni e resa accessibile a chi la ricerca: è Dio stesso onnipotente che la rivela mediante se stesso e aiuta coloro che hanno buona volontà a intuirla e contemplarla, per mezzo di angeli buoni e di alcuni uomini. Spetta poi a ciascuno servirsi del metodo che gli pare più adatto per coloro con i quali deve trattare. Da parte mia, dopo aver considerato a lungo e attentamente la questione, nel tentativo di capire quali uomini parlino a vanvera e quali cerchino la verità sul serio ovvero quale io stesso sono stato, sia quando semplicemente cianciavo sia quando l’ho cercata veramente, ho ritenuto che fosse meglio procedere in questo modo: tieni ben saldo ciò che hai riconosciuto come vero e attribuiscilo alla Chiesa cattolica; respingi invece ciò che è falso e, poiché sono solo un uomo, perdonami; accetta ciò che ti appare dubbio, fino a che o la ragione non ti avrà dimostrato o l’autorità non ti avrà ordinato di respingerlo o di riconoscerlo come vero oppure di continuare a crederlo. Per quanto puoi, dunque, presta attenzione in modo diligente e pio a ciò che segue; Dio infatti non può che aiutare gli uomini che si comportano così.

OGNI VITA PROVIENE DA DIO LA MORTE DELLE ANIMA CONSISTE NELLA MALVAGITÀ

11.21. Non vi è vita che non provenga da Dio, perché Dio è la vita suprema e la sorgente stessa della vita. Nessuna vita, in quanto tale, è male, ma lo è in quanto volge verso la morte. Tuttavia la morte della vita non è altro che l’iniquità, la quale appunto è così chiamata perché non è nulla, ed è per questo che gli uomini più iniqui sono chiamati uomini da nulla. La vita dunque volge verso il nulla se, per volontaria colpa, si allontana da Colui che la creò e della cui essenza godeva, per poter godere, contro la legge divine, delle realtà corporee alle quali Dio l’aveva preposta. In questo sta l’iniquità. Ma ciò non significa che il corpo sia nulla: anche il corpo, infatti, presenta una certa armonia tra le sue parti, senza la quale non potrebbe assolutamente essere; perciò anche il corpo è opera di Colui che è il principio di ogni armonia. I1 corpo poi consta di un certo equilibrio nella sua forma, senza il quale non sarebbe proprio nulla; anche il corpo perciò è stato creato da Colui da cui proviene ogni equilibrio, forma increata e di tutte la più bella. Il corpo si caratterizza anche per una sua bellezza, senza la quale non sarebbe un corpo. Se dunque si vuol sapere chi ha formato il corpo, si cerchi Colui che è il più bello di tutti, perché è da lui che deriva ogni bellezza. Ora chi è costui, se non l’unico Dio, unica verità, unica salvezza per tutti e prima e somma essenza, dalla quale proviene tutto ciò che è, in quanto è? Perché ciò che è, in quanto è, è buono.

11.22. La morte dunque non viene da Dio. Dio, infatti, non ha creato la morte, né gode per la rovina dei viventi, giacché la somma essenza fa essere tutto ciò che è: per questo si chiama essenza. La morte, invece, fa sì che tutto ciò che muore non sia più, in quanto muore. Se, infatti, le cose che muoiono morissero del tutto, certamente giungerebbero al nulla; esse invece in tanto muoiono in quanto partecipano meno dell’essenza o, per dirla in maniera più breve, tanto più muoiono, quanto meno sono. Ora, il corpo è inferiore a qualsiasi genere di vita, perché, per quanto poco conservi la sua forma, la conserva in virtù della vita, sia di quella che governa ogni essere animato sia di quella che regola l’intera natura del mondo. I1 corpo dunque è più esposto alla morte e quindi è più vicino al nulla; pertanto la vita che, attratta dai godimenti del corpo, dimentica Dio, volge verso il nulla. In questo sta l’iniquità.

CADUTA E REDENZIONE DELL’UOMO

12.23. Così la vita diventa carnale e terrena, e appunto per questo l’uomo è chiamato anche carne e terra; e finché è tale, non possederà il regno di Dio e gli sarà portato via ciò che ama. Egli infatti ama ciò che è meno della vita, perché è corpo; e, a causa di questo peccato, ciò che è amato diviene corruttibile, in quanto che esso, con il suo dissolversi, abbandona chi lo ama, perché anche questi, con l’amarlo, ha abbandonato Dio. Non ha tenuto conto appunto dei precetti di Colui che dice: "Mangia questo e non quello". Costui perciò viene trascinato verso la pena, perché, amando cose inferiori, si predispone per gli inferi, dove sarà privato dei piaceri e proverà dolore. Cosa è infatti il dolore fisico, se non un’improvvisa alterazione della salute di quella cosa che l’anima, con il cattivo uso, ha reso suscettibile di corruzione? E cosa è poi, il dolore morale, se non la privazione delle cose mutevoli di cui si godeva o si sperava di poter godere? In questo consiste tutto ciò che si chiama male, cioè il peccato e la pena del peccato.

12.24. Se invece l’anima, finché è nello stadio della vita umana, riesce a vincere quei desideri che ha alimentato a suo danno, godendo delle cose mortali, e, per vincerli, confida nell’aiuto della grazia di Dio, che serve con la mente e la buona volontà, senza dubbio sarà rigenerata e dalla molteplicità delle cose mutevoli sarà riportata all’Uno immutabile e, rinnovata dalla Sapienza non creata ma che crea tutte le cose, godrà di Dio per virtù dello Spirito Santo, che è suo dono. Così si forma l’uomo spirituale che tutto giudica senza essere giudicato da nessuno, che ama il Signore Dio suo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente, e il suo prossimo come se stesso. Ama se stesso secondo lo spirito chi ama Dio a partire da tutto ciò che in Lui vive. In questi due precetti, infatti, è contenuta tutta la Legge e i Profeti.

12.25. In conseguenza di ciò, dopo la morte fisica, che è un effetto del peccato originale, questo corpo, a suo tempo e nel suo ordine, sarà restituito alla sua primitiva stabilità, condizione però che non avrà da se stesso ma dall’anima divenuta stabile in Dio. Essa, a sua volta, non è stabile per se stessa, ma per virtù di Dio di cui gode. Perciò sarà più vigorosa del corpo; il corpo infatti trarrà il suo vigore da essa ed essa dalla verità immutabile, che è il Figlio unigenito di Dio. Così anche il corpo avrà vigore in virtù del Figlio di Dio, perché tutto esiste per mezzo di Lui. Per il dono di sé, che è concesso all’anima, cioè per lo Spirito Santo, non soltanto l’anima, che lo riceve, ottiene la salvezza, la pace e la santità, ma anche il corpo avrà la vita e diventerà purissimo nella sua natura. Infatti Egli stesso ha detto: Purificate ciò che è interno, e anche ciò che è esterno sarà puro. E l’apostolo aggiunge: Darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. Tolto dunque il peccato, sarà tolta anche la pena del peccato: e allora che ne è del male? Morte, dov’è la tua forza? Dov’è il tuo pungiglione? L’essere infatti vince il nulla e così la morte sarà riassorbita nella sua vittoria.

LA CADUTA DELL’ANGELO MALVAGIO

13.26. Contro coloro che sono stati santificati neppure l’angelo malvagio, che è chiamato diavolo, potrà alcunché; anche lui, del resto, non è malvagio in quanto angelo, ma in quanto si è pervertito per propria volontà. Se infatti solo Dio è immutabile, bisogna ammettere che anche gli angeli sono mutevoli per natura; tuttavia per quella volontà, per la quale amano più Dio che se stessi, restano fissi e stabili in Lui e godono della sua maestà, sottomessi a Lui soltanto in modo completamente libero. L’angelo malvagio invece, amando più se stesso che Dio, non volle essergli sottomesso e, gonfio di superbia, si allontanò dalla somma essenza e cadde. In tal modo è inferiore rispetto a quello che fu, perché volle godere di ciò che era inferiore quando volle godere della propria potenza piuttosto che di quella di Dio. Infatti, anche se il suo essere non era al sommo grado, perché solo Dio è in sommo grado, tuttavia era maggiore quando godeva di colui che è in sommo grado. Ora, tutto ciò che è inferiore rispetto a quello che era, è male, non quanto è, ma in quanto è inferiore, e appunto per questo, cioè in quanto è inferiore di quanto era, tende alla morte. Che c’è dunque da meravigliarsi se dall’allontanamento proviene la privazione e dalla privazione l’invidia, per la quale il diavolo è proprio il diavolo?

IL PECCATO DIPENDE DALLA LIBERA VOLONTÀ DELL’UOMO

14.27. Se questo allontanamento, che si dice peccato, si impadronisse dell'uomo contro la sua volontà, come la febbre, di certo apparirebbe ingiusta la pena che ne scaturisce per il peccatore e che si chiama dannazione. Il peccato però è a tal punto un male volontario che non sarebbe assolutamente un peccato se non fosse volontario. E la cosa è così evidente che trova il consenso sia dei pochi dotti sia della folla degli incolti. Pertanto è giocoforza negare che si commette peccato oppure bisogna ammettere che lo si commette con la volontà. D'altro canto, non c'è possibilità di negare che l'anima abbia peccato quando si riconosca che essa si emenda con il pentimento, che è perdonata se si pente, e che è giustamente condannata secondo la legge di Dio se persevera nel peccare. Insomma, se non facciamo il male volontariamente, non dobbiamo essere né rimproverati né ammoniti; ma, se si prescinde da tutto questo, non ha più ragione di esistere la legge cristiana e ogni disciplina di religione. Dunque, è con la volontà che si pecca. E, poiché non c'è dubbio che si pecca, non vedo nemmeno come si possa dubitare che le anime possiedono il libero arbitrio della loro volontà. Dio infatti ha giudicato migliori fra i suoi sudditi quelli che lo hanno servito liberamente, il che non sarebbe potuto in nessun modo avvenire, se essi lo avessero servito non per volontà, ma per necessità.

14.28. Dunque gli angeli servono Dio liberamente e ciò non è di giovamento a Dio, ma a loro stessi. Dio infatti non ha bisogno del bene di un altro: poiché è, dipende da se stesso. La medesima cosa vale anche per chi è stato generato da Lui, in quanto non è stato creato, ma generato. Gli esseri creati invece hanno bisogno del bene di Dio, che è il bene supremo, vale a dire l'essenza suprema. se per il peccato dell'anima tendono verso di Lui in misura minore, essi diventano inferiori a quello che erano; pur tuttavia non se ne separano del tutto, altrimenti cesserebbero definitivamente di essere. Ciò che accade all'anima in rapporto alle sue affezioni, accade al corpo in rapporto ai luoghi; l'anima infatti si muove per la volontà, il corpo invece per lo spazio. In merito a quello che si dice dell'uomo, cioè che fu persuaso da un angelo perverso, occorre aggiungere che egli vi acconsentì con la volontà, giacché, se lo avesse fatto per necessità, non sarebbe colpevole di nessun peccato.

LA PENA DEL PECCATO NON È SOLO UNA PUNIZIONE,
MA ANCHE UN AMMONIMENTO DI DIO ALL'UOMO PERCHÉ SI RAVVEDA

15.29. Il fatto poi che il corpo dell'uomo, che era ottimo nel suo genere prima del peccato, sia divenuto debole e destinato alla morte dopo il peccato, sebbene rappresenti la giusta punizione del peccato, tuttavia mostra più la clemenza che la severità del Signore. In tal modo infatti ci convinciamo che dobbiamo abbandonare i piaceri del corpo e rivolgere il nostro amore all'eterna essenza della verità. Ed è la giustizia nella sua bellezza, in armonia con la benignità nella sua grazia, che fa sì che, dopo essere stati tratti in inganno dalla dolcezza dei beni inferiori, veniamo ammaestrati dall'amarezza dei castighi. La divina Provvidenza, infatti, ha disposto le nostre pene in modo che, pur con questo corpo tanto soggetto a corruzione, ci è consentito di mirare alla giustizia e, deposta ogni superbia, di sottometterci all'unico vero Dio, senza contare affatto su noi stessi, ma affidandoci a Lui solo, perché ci governi e ci custodisca. Così, sotto la sua guida, l'uomo di buona volontà trasforma le molestie di questa vita in uno strumento di fortezza; nell'abbondanza dei piaceri e nel felice esito delle sue vicende temporali mette alla prova e consolida la sua temperanza; nelle tentazioni perfeziona la prudenza, non solo per non cedere ad esse, ma anche per divenire più vigile e più ardente nell'amore per la verità, che è la sola che non inganna.

IL BENEFICO EFFETTO DELL'INCARNAZIONE DI CRISTO

16.30. Dio provvede alle anime in tutti i modi, a seconda delle circostanze che la sua meravigliosa sapienza ha predisposto; di questi però non dobbiamo trattare, oppure dobbiamo farlo soltanto tra uomini pii e perfetti. In nessun modo tuttavia si è preso cura del genere umano con maggiore generosità di quando la stessa Sapienza di Dio, cioè l'unico Figlio consustanziale e coeterno al Padre, si degnò di assumere la natura umana nella sua interezza, e il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Così infatti ha mostrato agli uomini carnali, incapaci di cogliere la verità con la mente perché schiavi dei sensi, quale elevata posizione la natura umana occupi tra le creature, dal momento che è apparso agli uomini non solo sotto forma visibile (cosa che avrebbe potuto fare anche in un corpo celeste adattato al grado di tolleranza della nostra vista), ma anche nelle vesti di un vero uomo: bisognava infatti che assumesse proprio la stessa natura che doveva liberare. E, affinché nessuno dei due sessi ritenesse di essere stato disprezzato dal suo creatore, assunse l'aspetto di uomo e nacque da una donna.

16.31. Non fece niente con la forza, ma tutto con la persuasione e l'ammonimento. Terminato infatti il tempo dell'antica servitù, era spuntato il tempo della libertà e perciò era ormai opportuno e utile per la salvezza dell'uomo persuaderlo di essere stato creato dotato di libero arbitrio. Con i miracoli Egli suscitò la fede nel Dio che era, con la passione nell'uomo che impersonava. Così, parlando come Dio alle folle, non volle riconoscere come sua madre quella che gli veniva annunziata e tuttavia, come dice il Vangelo, da fanciullo era sottomesso ai genitori. Per la dottrina infatti appariva Dio, per l'età uomo. Allo stesso modo, sul punto di cambiare l'acqua in vino, come Dio dice Allontanati da me, o donna: che ho da fare lo con te? Non è ancora giunta la mia ora. Venuta poi l'ora in cui come uomo sarebbe morto, dalla croce riconobbe la madre e la raccomandò al discepolo che amava più di tutti. Soggetti ai piaceri, i popoli, a loro danno, desideravano le ricchezze: egli volle essere povero . Erano avidi di prestigio e di cariche: non volle essere re. Consideravano un gran bene avere figli nati dalla carne: egli disdegnò il vincolo coniugale e la prole. Nella loro incommensurabile superbia avevano orrore per gli oltraggi: egli ne sopportò di ogni tipo. Reputavano intollerabili le ingiurie: quale ingiuria maggiore di quella di essere condannato, pur essendo giusto e innocente? Avevano disgusto per i dolori del corpo: fu flagellato e messo in croce. Temevano di morire: fu condannato a morte. Ritenevano la morte in croce come la più grande ignominia: egli fu crocifisso. Privandosene, tolse ogni valore a tutte le cose che desideravamo possedere e ci facevano vivere in modo disordinato; sopportandole, si liberò di tutte quelle cose che desideravamo evitare distogliendoci dall'amore per la verità. Infatti si commette peccato solo se si desidera quello che egli disdegnò o si rifiuta quello che egli apprezzò.

16.32. In tal modo, attraverso la natura umana che si era degnato di assumere, tutta la sua vita sulla terra fu un insegnamento morale. La sua resurrezione dai morti, poi, mostrò a sufficienza come niente vada perduto della natura dell'uomo, poiché Dio salva tutto, e come tutto serva al Creatore sia per punire i peccati sia per liberare l'uomo, e quanto è facile per il corpo servire l'anima, quando questa è sottomessa a Dio. In virtù di questo compimento, non solo nessuna sostanza è male (il che è assolutamente impossibile) ma non è neppure colpita da alcun male, in quanto ciò può accadere a causa del peccato e della sua punizione. Questo è l'insegnamento relativo all'ordine naturale delle cose, che è assolutamente degno di piena fede per i cristiani meno dotti e privo di errori per quelli più dotti.

IL METODO DI INSEGNAMENTO NELL'ANTICO E NEL NUOVO TESTAMENTO

17.33. Il metodo stesso di tutto l'insegnamento, che ora è diretto e ora ricorre a similitudini nell'uso delle parole, dei fatti e dei sacri riti, ma che comunque è appropriato per ogni esercizio formativo dell'anima, risponde forse alla norma di un insegnamento di tipo razionale? Infatti anche la presentazione dei misteri si riconnette alle verità che sono state enunciate in modo assolutamente chiaro. Ma non si tratta soltanto di cose che si comprendono molto facilmente, altrimenti la verità non sarebbe cercata con amore e non si proverebbe piacere a trovarla. E se nelle Sacre Scritture non vi fossero riti, che non fossero segni della verità, non vi sarebbe sufficiente accordo tra l'azione e la conoscenza. Ora però, siccome la pietà ha inizio dal timore e giunge a compimento nella carità, per questo, al tempo della schiavitù, cioè sotto l'Antica Legge, il popolo era tenuto a freno dal timore e oppresso con molti precetti rituali. Ciò infatti gli era utile, perché desiderasse la grazia di Dio, che i Profeti annunciavano come prossima a venire. E quando essa venne, poiché la Sapienza stessa di Dio, che ci ha chiamati alla libertà, assunse l'umanità, furono istituiti pochi riti di piena, assoluta salvezza, allo scopo di tenere unita la comunità del popolo cristiano, ossia la moltitudine libera sotto un unico Dio. Invero molte delle cose che erano state imposte al popolo ebreo, ossia alla moltitudine schiava sotto il medesimo unico Dio, furono abolite nella pratica e sono restate solo oggetto di fede e di interpretazione. Così esse ora non ci legano più come servi, ma formano l'animo mediante l'esercizio della libertà.

17.34. Chiunque poi escluda che i due Testamenti possano venire da un unico Dio, perché il nostro popolo non è tenuto agli stessi riti ai quali erano tenuti e lo sono ancora i Giudei, è come se sostenesse che è impossibile che un padre di famiglia, sommamente giusto, ordini una cosa a quelli per i quali giudica utile una soggezione più dura e un'altra a quelli che si degna di adottare come figli. Se poi è per qualcuno motivo di sconcerto il fatto che nel Vangelo i precetti di vita sono superiori rispetto a quelli dell'Antica Legge e perciò ritiene che gli uni e gli altri non si riferiscano ad un unico Dio, per chi pensa così è come se si stupisse che uno stesso medico prescrive alcune cure, tramite i suoi assistenti, al più deboli e altre, personalmente, a quelli più forti, per far sì che recuperino o mantengano la loro salute. Come infatti l'arte medica, pur rimanendo la stessa e senza mutare affatto, cambia tuttavia le prescrizioni a seconda dei malati, perché la nostra salute è soggetta a mutamento, così la divina Provvidenza, pur essendo di per sé assolutamente immutabile, tuttavia viene in aiuto delle mutevoli creature con procedimenti diversi e, a seconda delle malattie, prescrive o vieta a chi una cosa e a chi un'altra, per ricondurre le creature che decadono, ovvero che tendono al nulla, dalla corruzione, che è l'inizio della morte, e dalla morte stessa, alla loro natura ed essenza, e così rafforzarle.

LA CREAZIONE DAL NULLA CAUSA DELLA MUTABILITÀ DELLE CREATURE

18.35. Mi potresti chiedere: "Perché vengono meno?". Perché sono mutevoli. "E perché sono mutevoli?". Perché non sono in senso assoluto. "E perché non sono in senso assoluto?". Perché sono inferiori a colui che le ha create. "Chi le ha create?". Colui che è l'essere sommo. "Chi è quest'essere?". Dio, l'immutabile Trinità, che le ha create mediante la sua somma sapienza e le conserva con la sua somma bontà. "Perché le ha create?". Perché fossero. L'essere infatti, quale che sia, è bene, poiché il sommo bene è il sommo essere. "Da che cosa le ha fatte?". Dal nulla, poiché ogni cosa deve avere una sua essenza, per quanto piccola; perciò, anche se è un bene minimo, sarà pur sempre un bene e proverrà da Dio. Dal momento infatti che la somma essenza è il sommo bene, l'essenza minima è un bene minimo. Ma ogni bene o è Dio o proviene da Dio; perciò anche la più piccola essenza proviene da Dio. E ciò che si dice dell'essenza, si può dire anche della forma; non a caso infatti nel lodare si usa tanto il termine "speciosissimum" (che ha l'essenza in sommo grado) quanto il termine "formosissimum" (che ha la forma in sommo grado). Dunque, ciò da cui Dio ha creato tutte le cose è ciò che non ha né essenza né forma, perché non è che nulla. Infatti ciò che, rispetto alle realtà perfette, è detto informe, se ha una qualche forma, sebbene piccola ed embrionale, non è ancora il nulla; anche questo, perciò, in quanto è, non proviene che da Dio.

18.36. Perciò, se il mondo è stato creato da qualche materia informe, questa materia è stata creata interamente dal nulla. Infatti, anche ciò che non ha ancora una forma, è in qualche modo predisposto per riceverla: può assumere una forma per la bontà di Dio, perché è cosa buona avere una forma. Dunque, anche la capacità di avere una forma è un bene; perciò l'autore di tutti i beni, che ha dato la forma, ha dato anche la possibilità di avere la forma. Così tutto ciò che è, in quanto è, e tutto ciò che ancora non è, in quanto può essere, dipendono da Dio; e, per dirla in un altro modo, tutto ciò che ha una forma, in quanto ha una forma, e tutto ciò che non ha ancora una forma, in quanto può avere una forma, dipendono da Dio. Ma nessuna cosa raggiunge la perfezione della propria natura, se non è integra nel suo genere. Ora, ogni salvezza viene da colui dal quale viene ogni bene; ma ogni bene viene da Dio; dunque ogni salvezza viene da Dio.

 

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