PARTE V

LE VIE DELLA MISSIONE

41. «L'attività missionaria non è né più né meno che la manifestazione, o epifania, e la realizzazione del disegno di Dio nel mondo e nella storia, nella quale Dio, proprio mediante la missione. attua all'evidenza la storia della salvezza». (68) Quali vie segue la chiesa per giungere a questo risultato? La missione è una realtà unitaria, ma complessa. e si esplica in vari modi, tra cui alcuni sono di particolare importanza nella presente condizione della chiesa e del mondo .

La prima forma di evangelizzazione è la testimonianza

42. L'uomo contemporaneo crede più ai testimoni che ai maestri, (69) più all'esperienza che alla dottrina, più alla vita e ai fatti che alle teorie. La testimonianza della vita cristiana è la prima e insostituibile forma della missione: Cristo, di cui noi continuiamo la missione, è il «testimone» per eccellenza (Ap1,5); (Ap3,14) e il modello della testimonianza cristiana. Lo Spirito santo accompagna il cammino della chiesa e la associa alla testimonianza che egli rende a Cristo. (Gv15,26) La prima forma di testimonianza è la vita stessa del missionario della famiglia cristiana e della comunità ecclesiale, che rende visibile un modo nuovo di comportarsi. Il missionario che, pur con tutti i limiti e difetti umani, vive con semplicità secondo il modello di Cristo, è un segno di Dio e delle realtà trascendenti. Ma tutti nella chiesa, sforzandosi di imitare il divino Maestro, possono e debbono dare tale testimonianza, (70) che in molti casi è l'unico modo possibile di essere missionari. La testimonianza evangelica, a cui il mondo è più sensibile, è quella dell'attenzione per le persone e della carità verso i poveri e i piccoli, verso chi soffre. La gratuità di questo atteggiamento e di queste azioni, che contrastano profondamente con l'egoismo presente nell'uomo, fa nascere precise domande che orientano a Dio e al vangelo. Anche l'impegno per la pace, la giustizia, i diritti dell'uomo, la promozione umana è una testimonianza del vangelo, se e segno di attenzione per le persone ed è ordinato allo sviluppo integrale dell'uomo. (71)

43. Il cristiano e le comunità cristiane vivono profondamente inseriti nella vita dei rispettivi popoli e sono segno del vangelo anche nella fedeltà alla loro patria, al loro popolo, alla cultura nazionale, sempre però nella libertà che Cristo ha portato. Il cristianesimo è aperto alla fratellanza universale. perché tutti gli uomini sono figli dello stesso Padre e fratelli in Cristo. La chiesa è chiamata a dare la sua testimonianza a Cristo assumendo posizioni coraggiose e profetiche di fronte alla corruzione del potere politico o economico; non cercando essa stessa gloria e beni materiali; usando dei suoi beni per il servizio dei più poveri e imitando la semplicità di vita del Cristo. La chiesa e i missionari debbono dare anche la testimonianza dell'umiltà, rivolta anzitutto verso se stessi, che si traduce nella capacità di un esame di coscienza a livello personale e comunitario, per correggere nei propri comportamenti quanto è anti-evangelico e sfigura il volto di Cristo.

Il primo annunzio di Cristo Salvatore

44. L'annunzio ha la priorità permanente nella missione: la chiesa non può sottrarsi al mandato esplicito di Cristo, non può privare gli uomini della «buona novella» che sono amati e salvati da Dio. «L'evangelizzazione conterrà sempre - come base, centro e insieme vertice del suo dinamismo - anche una chiara proclamazione che, in Gesù Cristo... La salvezza è offerta a ogni uomo, come dono di grazia e di misericordia di Dio stesso». (72) Tutte le forme dell'attività missionaria tendono verso questa proclamazione che rivela e introduce nel mistero nascosto nei secoli e svelato in Cristo (Ef3,3); (Col1,25) il quale è nel cuore della missione e della vita della chiesa, come cardine di tutta l'evangelizzazione. Nella realtà complessa della missione il primo annunzio ha un ruolo centrale e insostituibile, perché introduce «nel mistero dell'amore di Dio, che chiama a stringere in Cristo una personale relazione con lui» (73) e apre la via alla conversione. La fede nasce dall'annunzio, e ogni comunità ecclesiale trae origine e vita dalla risposta personale di ciascun fedele a tale annunzio. (74) Come l'economia salvifica è incentrata in Cristo, così l'attività missionaria tende alla proclamazione del suo mistero. L'annunzio ha per oggetto il Cristo crocifisso, morto e risorto: in lui si compie la piena e autentica liberazione dal male, dal peccato e dalla morte; in lui Dio dona la «vita nuova», divina ed eterna. È questa la «buona novella», che cambia l'uomo e la storia dell'umanità e che tutti i popoli hanno il diritto di conoscere. Tale annunzio va fatto nel contesto della vita dell'uomo e dei popoli che lo ricevono. Esso, inoltre, deve essere fatto in atteggiamento di amore e di stima verso chi ascolta, con un linguaggio concreto e adattato alle circostanze. In esso lo Spirito è all'opera e instaura una comunione tra il missionario e gli ascoltatori, possibile in quanto l'uno e gli altri entrano in comunione, per Cristo, col Padre. (75)

45. Essendo fatto in unione con l'intera comunità ecclesiale, l'annunzio non è mai un fatto personale. Il missionario è presente e opera in virtù di un mandato ricevuto e, anche se si trova solo, è collegato mediante vincoli invisibili, ma profondi all'attività evangelizzatrice di tutta la chiesa. (76) Gli ascoltatori, prima o poi, intravedono dietro a lui la comunità che lo ha mandato e lo sostiene. L'annunzio è animato dalla fede, che suscita entusiasmo e fervore nel missionario. Come si è detto, gli Atti definiscono tale atteggiamento con la parola parresìa, che significa parlare con franchezza e coraggio, e questo termine ricorre anche in san Paolo: «Nel nostro Dio abbiamo avuto il coraggio di annunziarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte». (1Ts2,2) «Pregate. . . anche per me, perché quando apro la bocca, mi sia data una parola franca per far conoscere il mistero del vangelo del quale sono ambasciatore in catene, e io possa annunziarlo con franchezza come è mio dovere». (Ef6,18) Nell'annunziare Cristo ai non cristiani il missionario è convinto che esiste già nei singoli e nei popoli, per l'azione dello Spirito, un'attesa anche se inconscia di conoscere la verità su Dio, sull'uomo, sulla via che porta alla liberazione dal peccato e dalla morte. L'entusiasmo nell'annunziare il Cristo deriva dalla convinzione di rispondere a tale attesa, sicché il missionario non si scoraggia né desiste dalla sua testimonianza, anche quando è chiamato a manifestare la sua fede in un ambiente ostile o indifferente. Egli sa che lo Spirito del Padre parla in lui (Mt10,17); (Lc12,11) e può ripetere con gli apostoli: «Di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito santo». (At5,32) Egli sa che non annunzia una verità umana, ma la «Parola di Dio», la quale ha una sua intrinseca e misteriosa potenza. (Rm1,16) La prova suprema è il dono della vita, fino ad accettare la morte per testimoniare la fede in Gesù Cristo. Come sempre nella storia cristiana, i «martiri», cioè i testimoni, sono numerosi e indispensabili al cammino del vangelo. Anche nella nostra epoca ce ne sono tanti: vescovi sacerdoti, religiosi e religiose, laici, a volte eroi sconosciuti che danno la vita per testimoniare la fede. Sono essi gli annunziatori ed i testimoni per eccellenza.

Conversione e battesimo

46. L'annunzio della parola di Dio mira alla conversione cristiana, cioè all'adesione piena e sincera a Cristo e al suo vangelo mediante la fede. La conversione è dono di Dio, opera della Trinità: è lo Spirito che apre le porte dei cuori, affinché gli uomini possano credere al Signore e «confessarlo». (1Cor12,3) Di chi si accosta a lui mediante la fede Gesù dice: «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato». (Gv6,44) La conversione si esprime fin dall'inizio con una fede totale e radicale, che non pone né limiti né remore al dono di Dio. Al tempo stesso, però, essa determina un processo dinamico e permanente che dura per tutta l'esistenza, esigendo un passaggio continuo dalla «vita secondo la carne» alla «vita secondo lo Spirito». (Rm8,3) Essa significa accettare, con decisione personale, la sovranità salvifica di Cristo e diventare suoi discepoli. A questa conversione la chiesa chiama tutti, sull'esempio di Giovanni Battista, che preparava la via a Cristo, «predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati» (Mc1,4) e di Cristo stesso, il quale, «dopo che Giovanni fu arrestato. ... si recò in Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo"». (Mc1,14) Oggi l'appello alla conversione, che i missionari rivolgono ai non cristiani, e messo in discussione o passato sotto silenzio. Si vede in esso un atto di «proselitismo»; si dice che basta aiutare gli uomini a essere più uomini o più fedeli alla propria religione, che basta costruire comunità capaci di operare per la giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà. Ma si dimentica che ogni persona ha il diritto di udire la «buona novella» di Dio che si rivela e si dona in Cristo, per attuare in pienezza la sua propria vocazione. La grandezza di questo evento risuona nelle parole di Gesù alla Samaritana: «Se tu conoscessi il dono di Dio», e nel desiderio inconsapevole, ma ardente della donna: «Signore, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete». (Gv4,10)

47. Gli apostoli, mossi dallo Spirito santo, invitavano tutti a cambiare vita, a convertirsi e a ricevere il battesimo. Subito dopo l'evento della Pentecoste, Pietro parla alla folla in modo convincente: «All'udir tutto questo si sentirono come trafiggere il cuore e chiesero a Pietro e agli altri apostoli: "Che cosa dobbiamo fare, fratelli?". E Pietro disse: Convertitevi, e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito santo"». (At2,37) E battezzò in quel giorno circa tremila persone. Pietro ancora, dopo la guarigione dello storpio. parla alla folla e ripete: «Convertitevi dunque, e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati!». (At3,19) La conversione a Cristo è connessa col battesimo: lo è non solo per la prassi della chiesa, ma per volere di Cristo, che ha inviato a far discepole tutte le genti e a battezzarle (Mt28,19) lo è anche per l'intrinseca esigenza di ricevere la pienezza della vita in lui: «In verità, in verità ti dico Gesù dice a Nicodemo - se uno non nasce da acqua e da Spirito. non può entrare nel regno di Dio». (Gv3,5) Il battesimo, infatti, ci rigenera alla vita dei fili di Dio, ci unisce a Gesù Cristo, ci unge nello Spirito santo: esso non è un semplice suggello della conversione, quasi un segno esteriore che la dimostri e la attesti, bensì è sacramento che significa e opera questa nuova nascita dallo Spirito, instaura vincoli reali e inscindibili con la Trinità, rende membri del corpo di Cristo, ch'è la chiesa. Tutto questo va ricordato, perché non pochi, proprio dove si svolge la missione ad gentes tendono a scindere la conversione a Cristo dal battesimo, giudicandolo come non necessario. È vero che in certi ambienti si notano aspetti sociologici relativi al battesimo, che ne oscurano il genuino significato di fede. Ciò è dovuto a diversi fattori storici e culturali, che bisogna rimuovere dove ancora sussistono, affinché il sacramento della rigenerazione spirituale appaia in tutto il suo valore: a questo compito devono dedicarsi le comunità ecclesiali locali. È vero anche che non poche persone affermano di essere interiormente impegnate con Cristo e col suo messaggio, ma non lo vogliono essere sacramentalmente, perché, a causa dei loro pregiudizi o delle colpe dei cristiani, non riescono a percepire la vera natura della chiesa, mistero di fede e di amore. (77) Desidero incoraggiare queste persone ad aprirsi pienamente a Cristo ricordando a esse che, se sentono il fascino di Cristo, egli stesso ha voluto la chiesa come «luogo» in cui possono di fatto incontrarlo. Al tempo stesso, invito i fedeli e le comunità cristiane a testimoniare autenticamente Cristo con la loro vita nuova. Certo, ogni convertito è un dono fatto alla chiesa e comporta per essa una grave responsabilità non solo perché va preparato al battesimo col catecumenato e poi seguito con l'istruzione religiosa, ma perché, specialmente se è adulto, porta come un'energia nuova l'entusiasmo della fede, il desiderio di trovare nella chiesa stessa il vangelo vissuto. Sarebbe per lui una delusione se, entrato nella comunità ecclesiale, vi trovasse una vita priva di fervore e senza segni di rinnovamento. Non possiamo predicare la conversione, se non ci convertiamo noi stessi ogni giorno.

Formazione di Chiese locali

48. La conversione e il battesimo immettono nella chiesa, dove già esiste, o richiedono la costituzione di nuove comunità che confessano Gesù Salvatore e Signore. Ciò fa parte del disegno di Dio, a cui è piaciuto «di chiamare gli uomini a partecipare della sua stessa vita non tanto a uno a uno, ma di riunirli in un popolo, nel quale i suoi figli dispersi si raccogliessero in unità». (78) La missione ad gentes ha questo obiettivo: fondare comunità cristiane, sviluppare chiese fino alla loro completa maturazione. È, questa, una mèta centrale e qualificante dell'attività missionaria, al punto che questa non si può dire esplicata finché non riesce a edificare una nuova chiesa particolare, normalmente funzionante nell'ambiente locale. Di ciò parla ampiamente il decreto Ad gentes, (79) e dopo il concilio si è sviluppata una linea teologica per sottolineare che tutto il mistero della chiesa è contenuto in ciascuna chiesa particolare, purché questa non si isoli, ma rimanga in comunione con la chiesa universale e si faccia, a sua volta, missionaria. Si tratta di un grande e lungo lavoro, del quale è difficile indicare le tappe precise, in cui cessa l'azione propriamente missionaria e si passa all'attività pastorale. Ma alcuni punti debbono restare chiari.

49. È necessario. anzitutto, cercare di stabilire in ogni luogo comunità cristiane, che siano «segno della presenza divina nel mondo» (80) e crescano fino a divenire chiese. Nonostante l'alto numero delle diocesi, esistono tuttora vaste aree in cui le chiese locali sono del tutto assenti o insufficienti rispetto alla vastità del territorio e alla densità della popolazione: rimane da compiere un rande lavoro di impianto e di sviluppo della chiesa. Questa fase della storia ecclesiale, detta plantatio ecclesiae non è terminata, anzi in molti raggruppamenti umani deve ancora iniziare. La responsabilità di tale compito ricade sulla chiesa universale e sulle chiese particolari, su tutto il popolo di Dio e su tutte le forze missionarie. Ogni chiesa, anche quella formata da neoconvertiti, è per sua natura missionaria, è evangelizzata ed evangelizzante, e la fede va sempre presentata come dono di Dio da vivere in comunità (famiglie, parrocchie, associazioni) e da irradiare all'esterno sia con la testimonianza di vita che con la parola. L'azione evangelizzatrice della comunità cristiana, prima sul proprio territorio e poi altrove come partecipazione alla missione universale, è il segno più chiaro della maturità della fede. Occorre un radicale cambiamento di mentalità per diventare missionari, e questo vale sia per le persone sia per le comunità. Il Signore chiama sempre a uscire da se stessi, a condividere con gli altri i beni che abbiamo, cominciando da quello più prezioso che è la fede. Alla luce di questo imperativo missionario si dovrà misurare la validità degli organismi, movimenti, parrocchie e opere di apostolato della chiesa. Solo diventando missionaria la comunità cristiana potrà superare divisioni e tensioni interne e ritrovare la sua unità e il suo vigore di fede. Le forze missionarie, provenienti da altre chiese e paesi, devono operare in comunione con quelle locali per lo sviluppo della comunità cristiana. In particolare. tocca a esse - sempre secondo le direttive dei vescovi e in collaborazione con i responsabili del posto - promuovere la diffusione della fede e l'espansione della chiesa negli ambienti e gruppi non cristiani, animare in senso missionario le chiese locali, cosicché la preoccupazione pastorale sia sempre abbinata a quella per la missione ad gentes. Ogni chiesa farà allora veramente sua la sollecitudine di Cristo, buon Pastore, che si prodiga per il suo gregge, ma al tempo stesso pensa alle «altre pecore che non sono di quest'ovile». (Gv10,16)

50. Tale sollecitudine costituirà un motivo e uno stimolo per un rinnovato impegno ecumenico. I legami esistenti tra attività ecumenica e attività missionaria rendono necessario considerare due fattori concomitanti. Da una parte, si deve riconoscere che «la divisione dei cristiani è di grave pregiudizio alla santa causa della predicazione del vangelo a tutti gli uomini e chiude a molti l'accesso alla fede». (81) Il fatto che la buona novella della riconciliazione sia predicata dai cristiani tra loro divisi, ne indebolisce la testimonianza, ed è perciò urgente operare per l'unità dei cristiani, affinché l'attività missionaria possa riuscire più incisiva. Al tempo stesso, non dobbiamo dimenticare che gli stessi sforzi verso l'unità costituiscono di per sé un segno dell'opera di riconciliazione che Dio conduce in mezzo a noi. D'altra parte, è vero che tutti quelli che hanno ricevuto il battesimo in Cristo sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, tra loro. È su questa base che si fonda l'orientamento dato dal concilio: «I cattolici, esclusa ogni forma sia di indifferentismo e di sincretismo, sia di sconsiderata concorrenza, mediante una comune per quanto possibile professione di fede in Dio e in Gesù Cristo di fronte alle genti, mediante la cooperazione nel campo tecnico e sociale come in quello religioso e culturale, collaborino fraternamente con i fratelli separati secondo le norme del decreto sull'ecumenismo». (82) L'attività ecumenica e la testimonianza concorde a Gesù Cristo dei cristiani appartenenti a differenti chiese e comunità ecclesiali, hanno già recato abbondanti frutti. Ma è sempre più urgente che essi collaborino e testimonino insieme in questo tempo nel quale sètte cristiane e paracristiane seminano la confusione con la loro azione. L'espansione di queste sètte costituisce una minaccia per la chiesa cattolica e per tutte le comunità ecclesiali con le quali essa intrattiene un dialogo. Ovunque possibile e secondo le circostanze locali, la risposta dei cristiani potrà essere anch'essa ecumenica.

Le «comunità ecclesiali di base» forza di evangelizzazione

51. Un fenomeno in rapida crescita nelle giovani chiese, promosso dai vescovi e dalle loro Conferenze a volte come scelta prioritaria della pastorale, sono le comunità ecclesiali di base (conosciute anche con altri nomi), le quali stanno dando buona prova come centri di formazione cristiana e di irradiazione missionaria. Si tratta di gruppi di cristiani a livello familiare o di ambiente ristretto, i quali s'incontrano per la preghiera? la lettura della Scrittura. la catechesi, per la condivisione dei problemi umani ed ecclesiali in vista di un impegno comune. Esse sono un segno di vitalità della chiesa, strumento di formazione e di evangelizzazione, valido punto di partenza per una nuova società fondata sulla «civiltà dell'amore». Tali comunità decentrano e articolano la comunità parrocchiale, a cui rimangono sempre unite; si radicano in ambienti popolari e contadini, diventando fermento di vita cristiana, di attenzione per gli ultimi, di impegno per la trasformazione della società. In esse il singolo cristiano fa un'esperienza comunitaria, per cui anch'egli si sente un elemento attivo, stimolato a dare la sua collaborazione all'impegno di tutti. In tal modo esse sono strumento di evangelizzazione e di primo annunzio e fonte di nuovi ministeri, mentre, animate dalla carità di Cristo, offrono anche un'indicazione circa il modo di superare divisioni, tribalismi, razzismi. Ogni comunità, infatti, per essere cristiana, deve fondarsi e vivere in Cristo, nell'ascolto della parola di Dio, nella preghiera incentrata sull'eucaristia, nella comunione espressa in unità di cuore e di anima e nella condivisione secondo i bisogni dei suoi membri. (At2,42) Ogni comunità - ricordava Paolo VI - deve vivere in unità con la chiesa particolare e universale, nella sincera comunione con i pastori e il magistero, impegnandosi nell'irradiazione missionaria ed evitando ogni chiusura e strumentalizzazione ideologica. (83) E il sinodo dei vescovi ha affermato: «Poiché la chiesa è comunione, le nuove comunità di base, se veramente vivono in unità con la chiesa, sono una vera espressione di comunione e mezzo per costruire una comunione più profonda. Perciò, sono motivo di grande speranza per la vita della chiesa». (84)

Incarnare il Vangelo nelle culture dei popoli

52. Svolgendo l'attività missionaria tra le genti, la chiesa incontra varie culture e viene coinvolta nel processo d'inculturazione. È, questa, un'esigenza che ne ha segnato tutto il cammino storico, ma oggi è particolarmente acuta e urgente. Il processo di inserimento della chiesa nelle culture dei popoli richiede tempi lunghi: non si tratta di un puro adattamento esteriore, poiché l'inculturazione «significa l'intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante l'integrazione nel cristianesimo e il radicamento del cristianesimo nelle varie culture». (85) È, dunque, un processo profondo e globale che investe sia il messaggio cristiano, sia la riflessione e la prassi della chiesa. Ma è pure un processo difficile, perché non deve in alcun modo compromettere la specificità e l'integrità della fede cristiana. Per l'inculturazione la chiesa incarna il vangelo nelle diverse culture e, nello stesso tempo, introduce i popoli con le loro culture nella sua stessa comunità; (86) trasmette a esse i propri valori, assumendo ciò che di buono c'è in esse e rinnovandole dall'interno. (87) Da parte sua, con l'inculturazione la chiesa diventa segno più comprensibile di ciò che è e strumento più atto della missione. Grazie a questa azione nelle chiese locali, la stessa chiesa universale si arricchisce di espressioni e valori nei vari settori della vita cristiana, quali l'evangelizzazione, il culto, la teologia, la carità; conosce ed esprime ancor meglio il mistero di Cristo, mentre viene stimolata a un continuo rinnovamento. Questi temi, presenti nel concilio e nel magistero successivo, ho ripetutamente affrontato nelle mie visite pastorali alle giovani chiese. (88) L'inculturazione è un cammino lento, che accompagna tutta la vita missionaria e chiama in causa i vari operatori della missione ad gentes, le comunità cristiane man mano che si sviluppano, i pastori che hanno la responsabilità di discernere e stimolare la sua attuazione. (89)

53. I missionari, provenienti da altre chiese e paesi, devono inserirsi nel mondo socio-culturale di coloro ai quali sono mandati, superando i condizionamenti del proprio ambiente d'origine. Così devono imparare la lingua della regione in cui lavorano. conoscere le espressioni più significative di quella cultura, scoprendone i valori per diretta esperienza. Soltanto con questa conoscenza essi potranno portare ai popoli in maniera credibile e fruttuosa la conoscenza del mistero nascosto. (Rm16,25); (Ef3,5) Per loro non si tratta certo di rinnegare la propria identità culturale, ma di comprendere, apprezzare, promuovere ed evangelizzare quella dell'ambiente in cui operano e, quindi, mettersi in grado di comunicare realmente con esso, assumendo uno stile di vita che sia segno di testimonianza evangelica e di solidarietà con la gente. Le comunità ecclesiali in formazione, ispirate dal vangelo, potranno esprimere progressivamente la propria esperienza cristiana in modi e forme originali, consone alle proprie tradizioni culturali, purché sempre in sintonia con le esigenze oggettive della stessa fede. A questo scopo, specie in ordine ai settori di inculturazione più delicati, le chiese particolari del medesimo territorio dovranno operare in comunione fra di loro (90) e con tutta la chiesa, convinte che solo l'attenzione sia alla chiesa universale che alle chiese particolari le renderà capaci di tradurre il tesoro della fede nella legittima varietà delle sue espressioni. (91) Perciò, i gruppi evangelizzati offriranno gli elementi per una «traduzione» del messaggio evangelico, (92) tenendo presenti gli apporti positivi che si sono avuti nei secoli grazie al contatto del cristianesimo con le varie culture, ma senza dimenticare i pericoli di alterazioni che si sono a volte verificati. (93)

54. In proposito, restano fondamentali alcune indicazioni. L'inculturazione nel suo retto processo dev'essere guidata da due principi: «La compatibilità col vangelo e la comunione con la chiesa universale». (94) Custodi del «deposito della fede», i vescovi cureranno la fedeltà e, soprattutto, il discernimento, (95) per il quale occorre un profondo equilibrio: c'è, infatti, il rischio di passare acriticamente da una specie di alienazione dalla cultura a una supervalutazione di essa, che è un prodotto dell'uomo, quindi è segnata dal peccato. Anch'essa dev'essere «purificata, elevata e perfezionata». (96) Un tale processo ha bisogno di gradualità, in modo che sia veramente espressione dell'esperienza cristiana della comunità: «Occorrerà un'incubazione del mistero cristiano nel genio del vostro popolo - diceva Paolo VI a Kampala-, perché la sua voce nativa, più limpida e più franca, si innalzi armoniosa nel coro delle voci della chiesa universale». (97) Infine l'inculturazione deve coinvolgere tutto il popolo di Dio, non solo alcuni esperti, poiché è noto che il popolo riflette quel genuino senso della fede che non bisogna mai perdere di vista. Essa va sì guidata e stimolata, ma non forzata, per non suscitare reazioni negative nei cristiani: dev'essere espressione di vita comunitaria, cioè maturare in seno alla comunità, e non frutto esclusivo di ricerche erudite. La salvaguardia dei valori tradizionali è effetto di una fede matura.

Il dialogo con i fratelli di altre religioni

55. Il dialogo inter-religioso fa parte della missione evangelizzatrice della chiesa . Inteso come metodo e mezzo per una conoscenza e un arricchimento reciproco, esso non è in contrapposizione con la missione ad gentes anzi ha speciali legami con essa e ne è un'espressione. Tale missione, infatti, ha per destinatari gli uomini che non conoscono Cristo e il suo vangelo, e in gran maggioranza appartengono ad altre religioni. Dio chiama a sé tutte le genti in Cristo, volendo loro comunicare la pienezza della sua rivelazione e del suo amore; né manca di rendersi presente in tanti modi non solo ai singoli individui, ma anche ai popoli mediante le loro ricchezze spirituali, di cui le religioni sono precipua ed essenziale espressione, pur contenendo «lacune, insufficienze ed errori». (98) Tutto ciò il concilio e il successivo magistero hanno ampiamente sottolineato, mantenendo sempre fermo che la salvezza viene da Cristo e il dialogo non dispensa dell'evangelizzazione. (99) Alla luce dell'economia di salvezza, la chiesa non vede un contrasto fra l'annuncio del Cristo e il dialogo interreligioso; sente, però, la necessità di comporli nell'ambito della sua missione ad gentes. Occorre, infatti, che questi due elementi mantengano il loro legame intimo e, al tempo stesso, la loro distinzione, per cui non vanno né confusi, né strumentalizzati, né giudicati equivalenti come se fossero intercambiabili. Ho scritto recentemente ai vescovi dell'Asia: «Anche se la chiesa riconosce volentieri quanto c'è di vero e di santo nelle tradizioni religiose del buddismo, dell'induismo e dell'islam riflessi di quella verità che illumina tutti gli uomini, ciò non diminuisce il suo dovere e la sua determinazione a proclamare senza esitazioni Gesù Cristo, che è "la via, la verità e la vita"... il fatto che i seguaci di altre religioni possano ricevere la grazia di Dio ed essere salvati da Cristo indipendentemente dai mezzi ordinari che egli ha stabilito, non cancella affatto l'appello alla fede e al battesimo che Dio vuole per tutti i popoli». (100) Cristo stesso, infatti, «inculcando espressamente la necessità della fede e del battesimo, ha confermato simultaneamente la necessità della chiesa, nella quale gli uomini entrano mediante il battesimo come per una porta». (101) Il dialogo deve esser condotto e attuato con la convinzione che la chiesa è la via ordinaria do salvezza e che solo essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza. (102)

56. Il dialogo non nasce da tattica o da interesse, ma è un'attività che ha proprie motivazioni. esigenze, dignità: è richiesto dal profondo rispetto per tutto ciò che nell'uomo ha operato lo Spirito, che soffia dove vuole. (103) Con esso la chiesa intende scoprire i «germi del Verbo», (104) «raggi della verità che illumina tutti gli uomini» (105) germi e raggi che si trovano nelle persone e nelle tradizioni religiose dell'umanità. Il dialogo si fonda sulla speranza e la carità e porterà frutti nello Spirito. Le altre religioni costituiscono una sfida positiva per la chiesa: la stimolano, infatti, sia a scoprire e a riconoscere i segni della presenza del Cristo e dell'azione dello Spirito, sia ad approfondire la propria identità e a testimoniare l'integrità della rivelazione, di cui è depositaria per il bene di tutti. Deriva da qui lo spirito che deve animare tale dialogo nel contesto della missione. L'interlocutore dev'essere coerente con le proprie tradizioni e convinzioni religiose e aperto a comprendere quelle dell'altro, senza dissimulazioni o chiusure, ma con verità, umiltà, lealtà, sapendo che il dialogo può arricchire ognuno. Non ci deve essere nessuna abdicazione né irenismo, ma la testimonianza reciproca per un comune progresso nel cammino di ricerca e di esperienza religiosa e, al tempo stesso, per il superamento di pregiudizi, intolleranze e malintesi. Il dialogo tende alla purificazione e conversione interiore che, se perseguìta con docilità allo Spirito, sarà spiritualmente fruttuosa.

57. Al dialogo si apre un vasto campo, potendo esso assumere molteplici forme ed espressioni: dagli scambi tra esperti delle tradizioni religiose o rappresentanti ufficiali di esse alla collaborazione per lo sviluppo integrale e la salvaguardia dei valori religiosi; dalla comunicazione delle rispettive esperienze spirituali al cosiddetto «dialogo di vita», per cui i credenti delle diverse religioni testimoniano gli uni agli altri nell'esistenza quotidiana i propri valori umani e spirituali e si aiutano a viverli per edificare una società più giusta e fraterna. Tutti i fedeli e le comunità cristiane sono chiamati a praticare il dialogo, anche se non nello stesso grado e forma. Per esso è indispensabile l'apporto dei laici. che «con l'esempio della loro vita e con la propria azione possono favorire il miglioramento dei rapporti tra seguaci delle diverse religioni» (106), mentre alcuni di loro potranno pure dare un contributo di ricerca e di studio. (107) Sapendo che non pochi missionari e comunità cristiane trovano nella via difficile e spesso incompresa del dialogo l'unica maniera di rendere sincera testimonianza a Cristo e generoso servizio all'uomo, desidero incoraggiarli a perseverare con fede e carità, anche là dove i loro sforzi non trovano accoglienza e risposta. Il dialogo è una via verso il regno e darà sicuramente i suoi frutti, anche se tempi e momenti sono riservati al Padre. (At1,7)

Promuovere lo sviluppo educando le coscienze

58. La missione ad gentes si svolge ancor oggi, per gran parte, in quelle regioni del Sud del mondo, dove è più urgente l'azione per lo sviluppo integrale e la liberazione da ogni oppressione. La chiesa ha sempre saputo suscitare, nelle popolazioni che ha evangelizzato, la spinta verso il progresso, e oggi i missionari più che in passato sono riconosciuti anche come promotori di sviluppo da governi e esperti internazionali, i quali restano ammirati del fatto che si ottengano notevoli risultati con scarsi mezzi. Nell'enciclica Sollicitudo rei sociali ho affermato che «la chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire al sottosviluppo in quanto tale», ma «dà il primo contributo alla soluzione dell'urgente problema dello sviluppo, quando proclama la verità su Cristo, su se stessa e sull'uomo, applicandola a una situazione concreta». (108) La Conferenza dei vescovi latino-americani a Puebla ha affermato che «il miglior servizio al fratello è l'evangelizzazione, che lo dispone a realizzarsi come figlio di Dio, lo libera dalle ingiustizie e lo promuove integralmente». (109) La missione della chiesa non è di operare direttamente sul piano economico o tecnico o politico o di dare un contributo materiale allo sviluppo, ma consiste essenzialmente nell'offrire ai popoli non un «avere di più», ma un «essere di più», risvegliando le coscienze col vangelo. «L'autentico sviluppo umano deve affondare le sue radici in un'evangelizzazione sempre più profonda» (110) La chiesa e i missionari sono promotori di sviluppo anche con le loro scuole, ospedali, tipografie, università, fattorie agricole sperimentali. Ma lo sviluppo di un popolo non deriva primariamente né dal denaro, né dagli aiuti materiali, né dalle strutture tecniche, bensì dalla formazione delle coscienze, dalla maturazione delle mentalità e dei costumi. È l'uomo il protagonista dello sviluppo non il denaro o la tecnica. La chiesa educa le coscienze rivelando ai popoli quel Dio che cercano, ma non conoscono. La grandezza dell'uomo creato a immagine di Dio e da lui amato, l'esuaglianza di tutti gli uomini come figli di Dio, il dominio sulla natura creata e posta a servizio dell'uomo, il dovere di impegnarsi per lo sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini .

59. Col messaggio evangelico la chiesa offre una forza liberante e fautrice di sviluppo proprio perché porta alla conversione del cuore e della mentalità, fa riconoscere la dignità di ciascuna persona, dispone alla solidarietà, all'impegno al servizio dei fratelli, inserisce l'uomo nel progetto di Dio, che è la costruzione del regno di pace, di giustizia a partire già da questa vita. È la prospettiva biblica dei «cieli nuovi e terra nuova», (Is65,17); (2Pt3,13); (Ap21,1) la quale ha inserito nella storia lo stimolo e la metà per l'avanzamento dell'umanità. Lo sviluppo dell'uomo viene da Dio, dal modello di Gesù uomo-Dio, e deve portare a Dio. (111) Ecco perché tra annunzio evangelico e promozione dell'uomo c'è una stretta connessione. Il contributo della chiesa e della sua opera evangelizzatrice per lo sviluppo dei popoli riguarda non soltanto il Sud del mondo, per combattervi la miseria materiale e il sottosviluppo, (112) ma anche il Nord, che è esposto alla miseria morale e spirituale causata dal «supersviluppo». Certa modernità a-religiosa, dominante in alcune parti del mondo, si basa sull'idea che, per rendere l'uomo più uomo, basti arricchire e perseguire la crescita tecnico-economica. Ma uno sviluppo senza anima non può bastare all'uomo, e l'eccesso di opulenza gli è nocivo come l'eccesso di povertà. Il Nord del mondo ha costruito un tale «modello di sviluppo» e lo diffonde nel Sud, dove il senso di religiosità e i valori umani che vi sono presenti rischiano di esser travolti dall'ondata del consumismo. «Contro la fame cambia la vita» è il motto nato in ambienti ecclesiali, che indica ai popoli ricchi la via per diventare fratelli dei poveri: bisogna ritornare a una vita più austera che favorisca un nuovo modello di sviluppo, attento ai valori etici e religiosi. L'attività missionaria apporta ai poveri la luce e lo stimolo per il vero sviluppo, mentre la nuova evangelizzazione deve, tra l'altro, creare nei ricchi la coscienza che è venuto il momento di farsi realmente fratelli dei poveri nella comune conversione allo sviluppo integrale, aperto all'Assoluto. (113)

La carità fonte e criterio della missione

60. «La chiesa nel mondo intero - dissi durante la mia visita in Brasile - vuol essere la chiesa dei poveri. Essa vuol estrarre tutta la verità contenuta nelle beatitudini e soprattutto nella prima: "Beati i poveri in spirito"... Essa vuole insegnare questa verità e vuol metterla in pratica come Gesù, che venne a fare e a insegnare». (114) Le giovani chiese, che per lo più vivono fra popoli afflitti da una povertà assai diffusa, esprimono spesso questa preoccupazione come parte integrante della loro missione. La Conferenza generale dell'episcopato latino-americano a Puebla, dopo aver ricordato l'esempio di Gesù? scrive che «i poveri meritano un'attenzione preferenziale, qualunque sia la condizione morale o personale in cui si trovano. Fatti a immagine e somiglianza di Dio per essere suoi figli, questa immagine è offuscata e persino oltraggiata. Perciò, Dio prende le loro difese e li ama. Ne consegue che i primi destinatari della missione sono i poveri, e la loro evangelizzazione è per eccellenza segno e prova della missione di Gesù». (115) Fedele allo spirito delle beatitudini, la chiesa è chiamata alla condivisione con i poveri e gli oppressi di ogni genere. Esorto, perciò, tutti i discepoli di Cristo e le comunità cristiane, dalle famiglie alle diocesi, dalle parrocchie agli istituti religiosi, a fare una sincera revisione della propria vita nel senso della solidarietà con i poveri. Nello stesso tempo, ringrazio i missionari che con la loro presenza amorosa e il loro umile servizio operano per lo sviluppo integrale della persona e della società mediante scuole, centri sanitari, lebbrosari, case di assistenza per handicappati e anziani, iniziative per la promozione della donna e simili. Ringrazio i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i laici per la loro dedizione, mentre incoraggio i volontari di organizzazioni non governative, oggi sempre più numerosi, che si dedicano a queste opere di carità e dl promozione umana. Sono, infatti, queste opere che testimoniano l'anima di tutta l'attività missionaria: L'amore, che è e resta il movente della missione, ed è anche «l'unico criterio secondo cui tutto deve essere fatto o non fatto, cambiato o non cambiato. È il principio che deve dirigere ogni azione e il fine a cui essa deve tendere. Quando si agisce con riguardo alla carità o ispirati dalla carità, nulla è disdicevole e tutto è buono». (116)

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