PARTE IV

GLI IMMENSI ORIZZONTI DELLA MISSIONE "AD GENTES"

31. Il Signore Gesù inviò i suoi apostoli a tutte le persone, a tutti i popoli e a tutti i luoghi della terra. Negli apostoli la chiesa ricevette una missione universale, che non ha confini e riguarda la salvezza nella sua integrità, secondo quella pienezza di vita che Cristo è venuto a portare (Gv10,10) essa fu «inviata a rivelare e comunicare la carità di Dio a tutti gli uomini e a tutti i popoli della terra». (49) Tale missione è unica, avendo la stessa origine e finalità; ma all'interno di essa si danno compiti e attività diverse. Anzitutto, c'è l'attività missionaria che chiamiamo missione ad gentes in riferimento al decreto conciliare: si tratta di un'attività primaria della chiesa, essenziale e mai conclusa. Infatti, la chiesa «non può sottrarsi alla missione permanente di portare il vangelo a quanti sono milioni e milioni di uomini e donne ancora non conoscono Cristo, redentore dell'uomo. È questo il compito più specificamente missionario che Gesù ha affidato e quotidianamente affida alla sua chiesa». (50)

Un quadro religioso complesso e in movimento

32. Oggi ci si trova di fronte a una situazione religiosa assai diversificata e cangiante: i popoli sono in movimento; realtà sociali e religiose che un tempo erano chiare e definite oggi evolvono in situazioni complesse. Basti pensare ad alcuni fenomeni come l'urbanesimo, le migrazioni di massa, il movimento dei profughi, la scristianizzazione di paesi di antica cristianità, L'influsso emergente del vangelo e dei suoi valori in paesi a grandissima maggioranza non cristiana, il pullulare di messianismi e dl sette religiose. È un rivolgimento di situazioni religiose e sociali, che rende difficile applicare in concreto certe distinzioni e categorie ecclesiali, a cui si era abituati. Già prima del concilio si diceva di alcune metropoli o terre cristiane che erano diventate «paesi di missione», né la situazione è certo migliorata negli anni successivi. D'altra parte, l'opera missionaria ha prodotto abbondanti frutti in tutte le parti del mondo, per cui esistono chiese impiantate, a volte tanto solide e mature da ben provvedere ai bisogni delle proprie comunità e inviare anche personale per l'evangelizzazione in altre chiese e territori. Di qui il contrasto con aree di antica cristianità, che è necessario rievangelizzare. Alcuni, pertanto, si chiedono se sia ancora il caso di parlare di attività missionaria specifica o di ambiti precisi di essa, o se non si debba ammettere che esiste un'unica situazione missionaria, per cui non c'è che un'unica missione, dappertutto eguale. La difficoltà di interpretare questa realtà complessa e mutevole in ordine al mandato di evangelizzazione si manifesta già nel «vocabolario missionario»: a esempio, c'è una certa esitazione a usare i termini «missioni» e «missionari», giudicati superati e carichi di risonanze storiche negative; si preferisce usare il sostantivo «missione» al singolare e l'aggettivo «missionario» per qualificare ogni attività della chiesa. Questo travaglio denota un cambiamento reale, che ha aspetti positivi. Il cosiddetto rientro o «rimpatrio» delle missioni nella missione della chiesa, il confluire della missiologia nell'ecclesiologia e l'inserimento di entrambe nel disegno trinitario di salvezza, hanno dato un respiro nuovo alla stessa attività missionaria, concepita non già come un compito ai margini della chiesa, ma inserito nel cuore della sua vita, quale impegno fondamentale di tutto il popolo di Dio. Occorre, però, guardarsi dal rischio di livellare situazioni molto diverse e di ridurre, se non far scomparire, la missione e i missionari ad gentes. Dire che tutta la chiesa è missionaria non esclude che esista una specifica missione ad gentes, come dire che tutti i cattolici debbono essere missionari non esclude, anzi richiede che ci siano i «missionari ad gentes e a vita» per vocazione specifica.

La missione ad gentes conserva il suo valore

33. Le differenze nell'attività all'interno dell'unica missione della chiesa nascono non da ragioni intrinseche alla missione stessa, ma dalle diverse circostanze in cui essa si svolge. (51) Guardando al mondo d'oggi dal punto di vista dell'evangelizzazione, si possono distinguere tre situazioni. Anzitutto, quella a cui si rivolge l'attività missionaria della chiesa: popoli, gruppi umani, contesti socio-culturali in cui Cristo e il suo vangelo non sono conosciuti, o in cui mancano comunità cristiane abbastanza mature da poter incarnare la fede nel proprio ambiente e annunziarla ad altri gruppi. È, questa, propriamente la missione ad gentes. (52) Ci sono, poi, comunità cristiane che hanno adeguate e solide strutture ecclesiali, sono ferventi di fede e di vita irradiano la testimonianza del vangelo nel loro ambiente e sentono l'impegno della missione universale. In esse si svolge l'attività, o cura pastorale della chiesa. Esiste, infine, una situazione intermedia, specie nei paesi di antica cristianità, ma a volte anche nelle chiese più giovani, dove interi gruppi di battezzati hanno perduto il senso vivo della fede, o addirittura non si riconoscono più come membri della chiesa, conducendo un'esistenza lontana da Cristo e dal suo vangelo. In questo caso c'è bisogno di una «nuova evangelizzazione», o «rievangelizazione».

34. L'attività missionaria specifica, o missione ad gentes, ha come destinatari «i popoli e i gruppi che ancora non credono in Cristo», «coloro che sono lontani da Cristo», tra i quali la chiesa «non ha ancora messo radici» (53) e la cui cultura non è stata ancora influenzata dal vangelo. (54) Essa si distingue dalle altre attività ecclesiali, perché si rivolge a gruppi e ambienti non cristiani per l'assenza o insufficienza dell'annunzio evangelico e della presenza ecclesiale. Pertanto, si caratterizza come opera di annunzio del Cristo e del suo vangelo, di edificazione della chiesa locale. di promozione dei valori del regno. La peculiarità di questa missione ad gentes deriva dal fatto che si rivolge ai non cristiani. Occorre, perciò, evitare che tale «compito più specificamente missionario, che Gesù ha affidato e quotidianamente riaffida alla sua chiesa» (55), subisca un appiattimento nella missione globale di tutto il popolo di Dio e, quindi, sia trascurato o dimenticato. D'altronde, i confini fra cura pastorale dei fedeli, nuova evangelizzazione e attività missionaria specifica non sono nettamente definibili, e non è pensabile creare tra di esse barriere o compartimenti-stagno. Bisogna, tuttavia, non perdere la tensione per l'annunzio e per la fondazione di nuove chiese presso popoli o gruppi umani, in cui ancora non esistono poiché questo è il compito primo della chiesa che è inviata a tutti i popoli, fino agli ultimi confini della terra. Senza la missione ad gentes la stessa dimensione missionaria della chiesa sarebbe priva del suo significato fondamentale e della sua attuazione esemplare. È da notare, altresì, una reale e crescente interdipendenza tra le varie attività salvifiche della chiesa: ciascuna influisce sull'altra, la stimola e la aiuta. Il dinamismo missionario crea scambio tra le chiese e orienta verso il mondo esterno, con influssi positivi in tutti i sensi. Le chiese di antica cristianità. a esempio, alle prese col drammatico compito della nuova evangelizzazione, comprendono meglio che non possono essere missionarie verso i non cristiani di altri paesi e continenti, se non si preoccupano seriamente dei non cristiani in casa propria: la missionarietà ad intra è segno credibile e stimolo per quella ad extra, e viceversa.

A tutti i popoli, nonostante le difficoltà

35. La missione ad gentes ha davanti a sé un compito immane che non è per nulla in via di estinzione. Essa anzi, sia dal punto di vista numerico per l'aumento demografico, sia dal punto di vista socio-culturale per il sorgere di nuove relazioni, contatti e il variare delle situazioni, sembra destinata ad avere orizzonti ancora più vasti. Il compito di annunziare Gesù Cristo presso tutti i popoli appare immenso e sproporzionato rispetto alle forze umane della chiesa. Le diffìcoltà sembrano insormontabili e potrebbero scoraggiare, se si trattasse di un'opera soltanto umana. In alcuni paesi è proibito l'ingresso dei missionari, in altri è vietata non solo l'evangelizzazione, ma anche la conversione e persino il culto cristiano. Altrove gli ostacoli sono di natura culturale: la trasmissione del messaggio evangelico appare irrilevante o incomprensibile, e la conversione è vista come l'abbandono del proprio popolo e della propria cultura.

36. Né mancano le difficoltà interne al popolo di Dio, le quali anzi sono le più dolorose. Già il mio predecessore Paolo VI indicava in primo luogo «la mancanza di fervore, tanto più grave perché nasce dal di dentro; essa si manifesta nella stanchezza, nella delusione, nell'accomodamento, nel disinteresse e, soprattutto, nella mancanza di gioia e di speranza». (56) Grandi ostacoli alla missionarietà della chiesa sono anche le divisioni passate e presenti tra i cristiani, (57) la scristianizzazione in paesi cristiani, la diminuzione delle vocazioni all'apostolato, le contro-testimonianze di fedeli e di comunità cristiane che non seguono nella loro vita il modello di Cristo. Ma una delle ragioni più gravi dello scarso interesse per l'impegno missionario è la mentalità indifferentista, largamente diffusa, purtroppo, anche tra cristiani, spesso radicata in visioni teologiche non corrette e improntata a un relativismo religioso che porta a ritenere che «una religione vale l'altra». Possiamo aggiungere come diceva lo stesso pontefice - che ci sono anche «alibi che possono sviare dall'evangelizzazione. I più insidiosi sono certamente quelli, per i quali si pretende di trovare appoggio nel tale o tal altro insegnamento del concilio». (58) Al riguardo, raccomando vivamente ai teologi e ai professionisti della stampa cristiana di intensificare il proprio servizio alla missione, per trovare il senso profondo del loro importante lavoro lungo la retta via del sentire cum ecclesia. Le difficoltà interne ed esterne non debbono renderci pessimisti o inattivi. Ciò che conta - qui come in ogni settore della vita cristiana è la fiducia che viene dalla fede, cioè dalla certezza che non siamo noi i protagonisti della missione, ma Gesù Cristo e il suo Spirito. Noi siamo soltanto collaboratori e, quando abbiamo fatto tutto quello che ci è possibile, dobbiamo dire: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare». (Lc17,10)

Ambiti della missione "ad gentes"

37. La missione ad gentes, in forza del mandato universale di Cristo, non ha confini. Si possono, tuttavia, delineare vari ambiti in cui essa si attua, in modo da avere il quadro reale della situazione.

a) Ambiti territoriali

L'attività missionaria è stata normalmente definita in rapporto a territori precisi. Il concilio Vaticano II ha riconosciuto la dimensione territoriale della missione ad gentes, (59) anche oggi importante al fine di determinare responsabilità, competenze e limiti geografici d'azione. È vero che a una missione universale deve corrispondere una prospettiva universale: la chiesa, infatti, non può accettare che confini geografici e impedimenti politici ostacolino la sua presenza missionaria. Ma è anche vero che l'attività missionaria ad gentes, essendo diversa dalla cura pastorale dei fedeli e dalla nuova evangelizzazione dei non praticanti, si esercita in territori e presso gruppi umani ben delimitati. Il moltiplicarsi delle giovani chiese nei tempi recenti non deve illudere. Nei territori affidati a queste chiese, specie in Asia, ma anche in Africa e in America Latina e Oceania, ci sono vaste zone non evangelizzate: interi popoli e aree culturali di grande importanza in non poche nazioni non sono ancora raggiunte dall'annunzio evangelico e dalla presenza della chiesa locale. (60) Anche in paesi tradizionalmente cristiani ci sono regioni affidate al regime speciale della missione ad gentes con gruppi e aree non evangelizzate. Si impone, quindi, anche in questi paesi non solo una nuova evangelizzazione, ma in certi casi una prima evangelizzazione. (61) Le situazioni, però, non sono omogenee. Pur riconoscendo che le affermazioni circa la responsabilità missionaria della chiesa non sono credibili se non sono autenticate da un serio impegno di nuova evangelizzazione nei paesi di antica cristianità, non pare giusto equiparare la situazione di un popolo che non ha mai conosciuto Gesù Cristo con quella di un altro che l'ha conosciuto, accettato e poi rifiutato, pur continuando a vivere in una cultura che ha assorbito in gran parte i principi e valori evangelici. Sono due condizioni, in rapporto alla fede, sostanzialmente diverse. Pertanto, il criterio geografico, anche se non molto preciso e sempre provvisorio, vale ancora per indicare le frontiere verso cui deve rivolgersi l'attività missionaria. Ci sono paesi e aree geografiche e culturali in cui mancano comunità cristiane autoctone; altrove queste sono talmente piccole, da non essere un segno chiaro di presenza cristiana; oppure queste comunità mancano di dinamismo per evangelizzare le loro società o appartengono a popolazioni minoritarie, non inserite nella cultura nazionale dominante. Nel continente asiatico, in particolare, verso cui dovrebbe orientarsi principalmente la missione ad gentes, i cristiani sono una piccola minoranza, anche se a volte vi si verificano significativi movimenti di conversione ed esemplari modi di presenza cristiana.

b) Mondi e fenomeni sociali nuovi

Le rapide e profonde trasformazioni che caratterizzano oggi il mondo, in particolare il Sud, influiscono fortemente sul quadro missionario: dove prima c'erano situazioni umane e sociali stabili, oggi tutto è in movimento. Si pensi, a esempio, all'urbanizzazione e al massiccio incremento delle città, soprattutto dove più forte è la pressione demografica. Già ora in non pochi paesi più della metà della popolazione vive in alcune megalopoli, dove i problemi dell'uomo spesso peggiorano anche per l'anonimato in cui si sentono immerse le moltitudini. Nei tempi moderni l'attività missionaria si è svolta soprattutto in regioni isolate, lontane dai centri civilizzati e impervie per difficoltà di comunicazione, di lingua, di clima. Oggi l'immagine della missione ad gentes sta forse cambiando: luoghi privilegiati dovrebbero essere le grandi città, dove sorgono nuovi costumi e modelli di vita, nuove forme di cultura e comunicazione, che poi influiscono sulla popolazione. È vero che la «scelta degli ultimi» deve portare a non trascurare i gruppi umani più marginali e isolati, ma è anche vero che non si possono evangelizzare le persone o i piccoli gruppi, trascurando i centri dove nasce, si può dire. un'umanità nuova con nuovi modelli di sviluppo. Il futuro delle giovani nazioni si sta formando nelle città. Parlando del futuro, non si possono dimenticare i giovani, i quali in numerosi paesi costituiscono già più della metà della popolazione. Come far giungere il messaggio di Cristo ai giovani non cristiani, che sono il futuro di interi continenti? Evidentemente i mezzi ordinari della pastorale non bastano più: occorrono associazioni e istituzioni, gruppi e centri speciali, iniziative culturali e sociali per i giovani. Ecco un campo, dove i moderni movimenti ecclesiali hanno ampio spazio per impegnarsi. Fra le grandi mutazioni del mondo contemporaneo, le migrazioni hanno prodotto un fenomeno nuovo: i non cristiani giungono assai numerosi nei paesi di antica cristianità, creando occasioni nuove di contatti e scambi culturali, sollecitando la chiesa all'accoglienza, al dialogo, all'aiuto e, in una parola, alla fraternità. Fra i migranti occupano un posto del tutto particolare i rifugiati e meritano la massima attenzione. Essi sono ormai molti milioni nel mondo e non cessano di aumentare: sono fuggiti da condizioni di oppressione politica e di miseria disumana, da carestie e siccità di dimensioni catastrofiche. La chiesa deve assumerli nell'ambito della sua sollecitudine apostolica. Infine, si possono ricordare le condizioni di povertà, spesso intollerabile, che vengono a crearsi in non pochi paesi e sono spesso all'origine delle migrazioni di massa. La comunità dei credenti in Cristo è provocata da queste situazioni disumane: l'annunzio di Cristo e del regno di Dio deve diventare strumento di riscatto umano per queste popolazioni.

c.) Aree culturali, o aeropaghi moderni

Paolo, dopo aver predicato in numerosi luoghi, giunto ad Atene, si reca all'areopago, dove annunzia il vangelo, usando un linguaggio adatto e comprensibile in quell'ambiente. (At17,22) L'areopago rappresentava allora il centro della cultura del dotto popolo ateniese, e oggi può essere assunto a simbolo dei nuovi ambienti in cui si deve proclamare il vangelo. Il primo areopago del tempo moderno è il mondo delle comunicazioni, che sta unificando l'umanità rendendola - come si suol dire - «un villaggio globale». I mezzi di comunicazione sociale hanno raggiunto una tale importanza da essere per molti il principale strumento informativo e formativo, di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari, sociali. Le nuove generazioni soprattutto crescono in modo condizionato da essi. Forse è stato un po' trascurato questo areopago: si privilegiano generalmente altri strumenti per l'annunzio evangelico e per la formazione, mentre i mass media sono lasciati all'iniziativa di singoli o di piccoli gruppi ed entrano nella programmazione pastorale in linea secondaria. L'impegno nei mass media, tuttavia, non ha solo lo scopo di moltiplicare l'annunzio: si tratta di un fatto più profondo, perché l'evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in gran parte dal loro influsso. Non basta, quindi, usarli per diffondere il messaggio cristiano e magistero della chiesa, ma occorre integrare il messaggio stesso in questa «nuova cultura» creata dalla comunicazione moderna. È un problema complesso, poiché questa cultura nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici. Il mio predecessore Paolo VI diceva che «la rottura fra il vangelo e la cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca», (62) e il campo dell'odierna comunicazione conferma in pieno questo giudizio. Molti altri sono gli areopaghi del mondo moderno verso cui si deve orientare l'attività missionaria della chiesa. A esempio, l'impegno per la pace, lo sviluppo e la liberazione dei popoli; i diritti dell'uomo e dei popoli, soprattutto quelli delle minoranze. la promozione della donna e del bambino. la salvaguardia del creato sono altrettanti settori da illuminare con la luce del vangelo. È da ricordare, inoltre, il vastissimo areopago della cultura, della ricerca scientifica, dei rapporti internazionali che favoriscono il dialogo e portano a nuovi progetti di vita. Conviene essere attenti e impegnati in queste istanze moderne. Gli uomini avvertono di essere come naviganti nel mare della vita, chiamati a sempre maggiore unità e solidarietà: le soluzioni ai problemi esistenziali vanno studiate, discusse, sperimentate col concorso di tutti. Ecco perché organismi e convegni internazionali si dimostrano sempre più importanti in molti settori della vita umana, dalla cultura alla politica, dall'economia alla ricerca. I cristiani, che vivono e lavorano in questa dimensione internazionale, debbono sempre ricordare il loro dovere di testimoniare il vangelo.

38. Il nostro tempo è drammatico e insieme affascinante. Mentre da un lato gli uomini sembrano rincorrere la prosperità materiale e immergersi sempre più nel materialismo consumistico, dall'altro si manifestano l angosciosa ricerca di significato, il bisogno di interiorità, il desiderio di apprendere nuove forme e modi di concentrazione e di preghiera. Non solo nelle culture impregnate di religiosità. ma anche nelle società secolarizzate è ricercata la dimensione spirituale della vita come antidoto alla disumanizzazione. Questo cosiddetto fenomeno del «ritorno religioso» non è privo di ambiguità. ma contiene anche un invito. La chiesa ha un immenso patrimonio spirituale da offrire all'umanità in Cristo che si proclama «la via, la verità e la vita». (Gv14,6) È il cammino cristiano all'incontro con Dio, alla preghiera, all'ascesi, alla scoperta del senso della vita. Anche questo è un areopago da evangelizzare.

Fedeltà a Cristo e promozione della libertà dell'uomo

39. Tutte le forme dell'attività missionaria sono contrassegnate dalla consapevolezza di promuovere la libertà dell'uomo annunciando a lui Gesù Cristo. La chiesa deve essere fedele a Cristo, di cui è il corpo e continua la missione. È necessario che essa «segua la stessa strada seguita da Cristo, la strada della povertà, dell'obbedienza, del servizio e del sacrificio di sé fino alla morte, da cui poi risorgendo uscì vincitore». (63) La chiesa, quindi, ha il dovere di fare di tutto per svolgere la sua missione nel mondo e raggiungere tutti i popoli; e ne ha anche il diritto, che le e stato dato da Dio per l'attuazione del suo piano. La libertà religiosa, talvolta ancora limitata o coartata, è la premessa e la garanzia di tutte le libertà che assicurano il bene comune delle persone e dei popoli. È da auspicare che l'autentica libertà religiosa sia concessa a tutti in ogni luogo, e a questo scopo la chiesa si adopera nei vari paesi, specie in quelli a maggioranza cattolica, dove essa ha un maggiore influsso. Ma non si tratta di un problema della religione di maggioranza o di minoranza, bensì di un diritto inalienabile di ogni persona umana. D'altra parte, la chiesa si rivolge all'uomo nel pieno rispetto della sua libertà: (64) la missione non coarta la libertà, ma piuttosto la favorisce. La chiesa propone, non impone nulla: rispetta le persone e le culture, e si ferma davanti al sacrario della coscienza. A coloro che si oppongono con i più vari pretesti all'attività missionaria la chiesa ripete: Aprite le porte a Cristo! Mi rivolgo a tutte le chiese particolari, giovani e antiche. Il mondo va sempre più unificandosi, lo spirito evangelico deve portare al superamento di barriere culturali e nazionalistiche, evitando ogni chiusura. Benedetto XV ammoniva già i missionari del suo tempo se mai, «dimentichi della propria dignità, pensassero più alla loro patria terrestre che a quella del cielo». (65) La stessa raccomandazione vale oggi per le chiese particolari: Aprite le porte ai missionari, poiché «ogni chiesa particolare. che si separasse volontariamente dalla chiesa universale, perderebbe il suo riferimento al disegno di Dio e si impoverirebbe nella sua dimensione ecclesiale». (66)

Rivolgere l'attenzione verso il Sud e l'Oriente

40. L'attività missionaria rappresenta ancor oggi la massima sfida per la chiesa . Mentre si avvicina la fine del secondo millennio della redenzione, si fa sempre più evidente che le genti che non hanno ancora ricevuto il primo annunzio di Cristo sono la maggioranza dell'umanità. Il bilancio dell'attività missionaria nei tempi moderni è certo positivo: la chiesa è stata fondata in tutti i continenti, anzi oggi la maggioranza dei fedeli e delle chiese particolari non è più nella vecchia Europa, ma nei continenti che i missionari hanno aperto alla fede. Rimane, però, il fatto che gli «ultimi confini della terra», a cui si deve portare il vangelo, si allontanano sempre più, e la sentenza di Tertulliano, secondo cui il vangelo è stato annunziato in tutta la terra e a tutti i popoli, (67) è ben lontana dalla sua concreta attuazione: la missione ad gentes è ancora agli inizi. Nuovi popoli compaiono sulla scena mondiale e hanno anch'essi il diritto di ricevere l'annunzio della salvezza. La crescita demografica del Sud e dell'Oriente, in paesi non cristiani, fa aumentare di continuo il numero delle persone che ignorano la redenzione di Cristo. Bisogna, dunque, rivolgere l'attenzione missionaria verso quelle aree geografiche e quegli ambienti culturali che sono rimasti al di fuori dell'influsso evangelico. Tutti i credenti in Cristo debbono sentire, come parte integrante della loro fede, la sollecitudine apostolica di trasmetterne ad altri la gioia e la luce. Tale sollecitudine deve diventare, per così dire, fame e sete di far conoscere il Signore quando si allarga lo sguardo agli immensi orizzonti del mondo non cristiano.

 

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