CAPITOLO I

« MAESTRO, CHE COSA DEVO FARE DI BUONO...? » (MT 19,16)

Cristo e la risposta alla domanda di morale

« Un tale gli si avvicinò... » (Mt 19,16)

6. Il dialogo di Gesù con il giovane ricco, riferito nel capitolo 19 del Vangelo di san Matteo, può costituire un'utile traccia per riascoltare in modo vivo e incisivo il suo insegnamento morale: « Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse: "Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?". Egli rispose: "Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti". Ed egli chiese: "Quali?". Gesù rispose: "Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso. Il giovane gli disse: "Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?". Gli disse Gesù: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi" » (Mt 19,16-21).13

7. « Ed ecco un tale... ». Nel giovane, che il Vangelo di Matteo non nomina, possiamo riconoscere ogni uomo che, coscientemente o no, si avvicina a Cristo, Redentore dell'uomo, e gli pone la domanda morale. Per il giovane, prima che una domanda sulle regole da osservare, è una domanda di pienezza di significato per la vita. E, in effetti, è questa l'aspirazione che sta al cuore di ogni decisione e di ogni azione umana, la segreta ricerca e l'intimo impulso che muove la libertà. Questa domanda è ultimamente un appello al Bene assoluto che ci attrae e ci chiama a sé, è l'eco di una vocazione di Dio, origine e fine della vita dell'uomo. Proprio in questa prospettiva il Concilio Vaticano II ha invitato a perfezionare la teologia morale in modo che la sua esposizione illustri l'altissima vocazione che i fedeli hanno ricevuto in Cristo,14 unica risposta che appaga pienamente il desiderio del cuore umano.

Perché gli uomini possano realizzare questo « incontro » con Cristo, Dio ha voluto la sua Chiesa. Essa, infatti, « desidera servire quest'unico fine: che ogni uomo possa ritrovare Cristo, perché Cristo possa, con ciascuno, percorrere la strada della vita ».15

« Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna? » (Mt 19,16)

8. Dalla profondità del cuore sorge la domanda che il giovane ricco rivolge a Gesù di Nazaret, una domanda essenziale e ineludibile per la vita di ogni uomo: essa riguarda, infatti, il bene morale da praticare e la vita eterna. L'interlocutore di Gesù intuisce che esiste una connessione tra il bene morale e il pieno compimento del proprio destino. Egli è un pio israelita, cresciuto per così dire all'ombra della Legge del Signore. Se pone questa domanda a Gesù, possiamo immaginare che non lo faccia perché ignora la risposta contenuta nella Legge. È più probabile che il fascino della persona di Gesù abbia fatto sorgere in lui nuovi interrogativi intorno al bene morale. Egli sente l'esigenza di confrontarsi con Colui che aveva iniziato la sua predicazione con questo nuovo e decisivo annuncio: « Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo » (Mc 1,15).

Occorre che l'uomo di oggi si volga nuovamente verso Cristo per avere da Lui la risposta su ciò che è bene e ciò che è male. Egli è il Maestro, il Risorto che ha in sé la vita e che è sempre presente nella sua Chiesa e nel mondo. È Lui che schiude ai fedeli il libro delle Scritture e, rivelando pienamente la volontà del Padre, insegna la verità sull'agire morale. Alla sorgente e al vertice dell'economia della salvezza, Alfa e Omega della storia umana (cf Ap 1,8; 21,6; 22,13), Cristo rivela la condizione dell'uomo e la sua vocazione integrale. Per questo, « l'uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo non soltanto secondo immediati, parziali, spesso superficiali, e perfino apparenti criteri e misure del proprio essere deve, con la sua inquietudine e incertezza ed anche con la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e morte, avvicinarsi a Cristo. Egli deve, per così dire, entrare in Lui con tutto se stesso, deve "appropriarsi" ed assimilare tutta la realtà dell'Incarnazione e della Redenzione per ritrovare se stesso. Se in lui si attua questo profondo processo, allora egli produce frutti non soltanto di adorazione di Dio, ma anche di profonda meraviglia di se stesso ».16

Se vogliamo dunque penetrare nel cuore della morale evangelica e coglierne il contenuto profondo e immutabile, dobbiamo ricercare accuratamente il senso dell'interrogativo posto dal giovane ricco del Vangelo e, più ancora, il senso della risposta di Gesù, lasciandoci guidare da Lui. Gesù, infatti, con delicata attenzione pedagogica, risponde conducendo il giovane quasi per mano, passo dopo passo, verso la verità piena.

« Uno solo è buono » (Mt 19,17)

9. Gesù dice: « Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti » (Mt 19, 17). Nella versione degli evangelisti Marco e Luca la domanda viene così formulata: « Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo » (Mc 10,18; cf Lc 18,19).

Prima di rispondere alla domanda, Gesù vuole che il giovane chiarisca a se stesso il motivo per cui lo interroga. Il « Maestro buono » indica al suo interlocutore — e a tutti noi — che la risposta all'interrogativo: « Che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna? », può essere trovata soltanto rivolgendo la mente e il cuore a Colui che « solo è buono »: « Nessuno è buono, se non Dio solo » (Mc 10,18; cf Lc 18,19). Solo Dio può rispondere alla domanda sul bene, perché Egli è il Bene.

Interrogarsi sul bene, in effetti, significa rivolgersi in ultima analisi verso Dio, pienezza della bontà. Gesù mostra che la domanda del giovane è in realtà una domanda religiosa e che la bontà, che attrae e al tempo stesso vincola l'uomo, ha la sua fonte in Dio, anzi è Dio stesso, Colui che solo è degno di essere amato « con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente » (Mt 22,37), Colui che è la sorgente della felicità dell'uomo. Gesù riporta la questione dell'azione moralmente buona alle sue radici religiose, al riconoscimento di Dio, unica bontà, pienezza della vita, termine ultimo dell'agire umano, felicità perfetta.

10. La Chiesa, istruita dalle parole del Maestro, crede che l'uomo, fatto a immagine del Creatore, redento con il sangue di Cristo e santificato dalla presenza dello Spirito Santo, ha come fine ultimo della sua vita l'essere « a lode della gloria » di Dio (cf Ef 1,12), facendo sì che ognuna delle sue azioni ne rifletta lo splendore. « Conosci dunque te stessa, o anima bella: tu sei l'immagine di Dio — scrive sant'Ambrogio —. Conosci te stesso, o uomo: tu sei la gloria di Dio (1 Cor 11,7). Ascolta in che modo ne sei la gloria. Dice il profeta: La tua scienza è divenuta mirabile provenendo da me (Sal 1381,6), cioè: nella mia opera la tua maestà è più ammirabile, la tua sapienza viene esaltata nella mente dell'uomo. Mentre considero me stesso, che tu scruti nei segreti pensieri e negli intimi sentimenti, io riconosco i misteri della tua scienza. Conosci dunque te stesso, o uomo, quanto grande tu sei e vigila su di te... ».17

Ciò che l'uomo è e deve fare si manifesta nel momento in cui Dio rivela se stesso. Il Decalogo, infatti, si fonda su queste parole: « Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dèi di fronte a me » (Es 20,2-3). Nelle « dieci parole » dell'Alleanza con Israele, e in tutta la Legge, Dio si fa conoscere e riconoscere come Colui che « solo è buono »; come Colui che, nonostante il peccato dell'uomo, continua a rimanere il « modello » dell'agire morale, secondo la sua stessa chiamata: « Siate santi, perché io, il Signore, Dio vostro, sono santo » (Lv 19,2); come Colui che, fedele al suo amore per l'uomo, gli dona la sua Legge (cf Es 19,9-24 e 20, 18-21), per ristabilire l'originaria armonia col Creatore e con tutto il creato, ed ancor più per introdurlo nel suo amore: « Camminerò in mezzo a voi, sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo » (Lv 26,12).

La vita morale si presenta come risposta dovuta alle iniziative gratuite che l'amore di Dio moltiplica nei confronti dell'uomo. È una risposta d'amore, secondo l'enunciato che del comandamento fondamentale fa il Deuteronomio: « Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo: Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. Questi precetti, che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli » (Dt 6,47). Così, la vita morale, coinvolta nella gratuità dell'amore di Dio, è chiamata a rifletterne la gloria: « Per chi ama Dio è sufficiente piacere a Colui che egli ama: poiché non deve ricercarsi nessun'altra ricompensa maggiore dello stesso amore; la carità, infatti, proviene da Dio in maniera tale che Dio stesso è carità ».18

11. L'affermazione che « uno solo è buono » ci rimanda così alla « prima tavola » dei comandamenti, che chiama a riconoscere Dio come Signore unico e assoluto e a rendere culto a Lui solo a motivo della sua infinita santità (cf Es 20,2-11). Il bene è appartenere a Dio, obbedire a Lui, camminare umilmente con Lui praticando la giustizia e amando la pietà (cf Mic 6,8). Riconoscere il Signore come Dio è il nucleo fondamentale, il cuore della Legge, da cui discendono e a cui sono ordinati i precetti particolari. Mediante la morale dei comandamenti si manifesta l'appartenenza del popolo di Israele al Signore, perché Dio solo è Colui che è buono. Questa è la testimonianza della Sacra Scrittura, in ogni sua pagina permeata dalla viva percezione dell'assoluta santità di Dio: « Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti » (Is 6,3).

Ma se Dio solo è il Bene, nessuno sforzo umano, neppure l'osservanza più rigorosa dei comandamenti, riesce a « compiere » la Legge, cioè a riconoscere il Signore come Dio e a rendergli l'adorazione che a Lui solo è dovuta (cf Mt 4,10). Il « compimento » può venire solo da un dono di Dio: è l'offerta di una partecipazione alla Bontà divina che si rivela e si comunica in Gesù, colui che il giovane ricco chiama con le parole « Maestro buono » (Mc 10,17; Lc 18,18). Ciò che ora il giovane riesce forse solo a intuire, verrà alla fine pienamente rivelato da Gesù stesso nell'invito: « Vieni e seguimi » (Mt 19,21).

« Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti » (Mt 19,17)

12. Solo Dio può rispondere alla domanda sul bene, perché Egli è il Bene. Ma Dio ha già dato risposta a questa domanda: lo ha fatto creando l'uomo e ordinandolo con sapienza e con amore al suo fine, mediante la legge inscritta nel suo cuore (cf Rm 2,15), la « legge naturale ». Questa « altro non è che la luce dell'intelligenza infusa in noi da Dio. Grazie ad essa conosciamo ciò che si deve compiere e ciò che si deve evitare. Questa luce e questa legge Dio l'ha donata nella creazione ».19 Lo ha fatto poi nella storia di Israele, in particolare con le « dieci parole », ossia con i comandamenti del Sinai, mediante i quali Egli ha fondato l'esistenza del popolo dell'Alleanza (cf Es 24) e l'ha chiamato ad essere la sua « proprietà tra tutti i popoli », « una nazione santa » (Es 19,56), che facesse risplendere la sua santità tra tutte le genti (cf Sap 18,4; Ez 20,41). Il dono del Decalogo è promessa e segno dell'Alleanza Nuova, quando la legge sarà nuovamente e definitivamente scritta nel cuore dell'uomo (cf Ger 31, 31-34), sostituendosi alla legge del peccato, che quel cuore aveva deturpato (cf Ger 17,1). Allora verrà donato « un cuore nuovo » perché in esso abiterà « uno spirito nuovo », lo Spirito di Dio (cf Ez 36,24-28).20

Per questo, dopo l'importante precisazione: « Uno solo è buono », Gesù risponde al giovane: « Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti » (Mt 19,17). Viene in tal modo enunciato uno stretto legame tra la vita eterna e l'obbedienza ai comandamenti di Dio: sono i comandamenti di Dio che indicano all'uomo la via della vita e ad essa conducono. Dalla bocca stessa di Gesù, nuovo Mosè, vengono ridonati agli uomini i comandamenti del Decalogo; egli stesso li conferma definitivamente e li propone a noi come via e condizione di salvezza. Il comandamento si lega a una promessa: nella Alleanza Antica oggetto della promessa era il possesso di una terra in cui il popolo avrebbe potuto condurre un'esistenza nella libertà e secondo giustizia (cf Dt 6,20-25); nella Alleanza Nuova oggetto della promessa è il « Regno dei cieli », come Gesù afferma all'inizio del « Discorso della Montagna » — discorso che contiene la formulazione più ampia e completa della Legge Nuova (cf Mt 5-7) —, in evidente connessione con il Decalogo affidato da Dio a Mosè sul monte Sinai. Alla medesima realtà del Regno fa riferimento l'espressione « vita eterna », che è partecipazione alla vita stessa di Dio: essa si realizza nella sua perfezione solo dopo la morte, ma nella fede è già fin d'ora luce di verità, sorgente di senso per la vita, incipiente partecipazione ad una pienezza nella sequela di Cristo. Dice, infatti, Gesù ai discepoli dopo l'incontro con il giovane ricco: « Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna » (Mt 19,29).

13. La risposta di Gesù non basta al giovane, che insiste interrogando il Maestro circa i comandamenti da osservare: « Ed egli chiese: "Quali?" » (Mt 19,18). Chiede che cosa deve fare nella vita per rendere manifesto il riconoscimento della santità di Dio. Dopo aver orientato lo sguardo del giovane verso Dio, Gesù gli ricorda i comandamenti del Decalogo che riguardano il prossimo: « Gesù rispose: "Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso » (Mt 19,18-19).

Dal contesto del colloquio e, specialmente, dal confronto del testo di Matteo con i passi paralleli di Marco e di Luca, risulta che Gesù non intende elencare tutti e singoli i comandamenti necessari per « entrare nella vita », ma, piuttosto, rimandare il giovane alla centralità del Decalogo rispetto ad ogni altro precetto, quale interpretazione di ciò che per l'uomo significa « Io sono il Signore, Dio tuo ». Non può sfuggire, comunque, alla nostra attenzione quali comandamenti della Legge il Signore Gesù ricorda al giovane: sono alcuni comandamenti che appartengono alla cosiddetta « seconda tavola » del Decalogo, di cui compendio (cf Rm 13,8-10) e fondamento è il comandamento dell'amore del prossimo: « Ama il prossimo tuo come te stesso » (Mt 19,19; cf Mc 12,31). In questo comandamento si esprime precisamente la singolare dignità della persona umana, la quale è « la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa ».21 I diversi comandamenti del Decalogo non sono in effetti che la rifrazione dell'unico comandamento riguardante il bene della persona, a livello dei molteplici beni che connotano la sua identità di essere spirituale e corporeo, in relazione con Dio, col prossimo e col mondo delle cose. Come leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica, « i dieci comandamenti appartengono alla rivelazione di Dio. Al tempo stesso ci insegnano la vera umanità dell'uomo. Mettono in luce i doveri essenziali e, quindi, indirettamente, i diritti fondamentali inerenti alla natura della persona umana ».22

I comandamenti, ricordati da Gesù al giovane interlocutore, sono destinati a tutelare il bene della persona, immagine di Dio, mediante la protezione dei suoi beni. « Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso » sono regole morali formulate in termini di divieto. I precetti negativi esprimono con particolare forza l'esigenza insopprimibile di proteggere la vita umana, la comunione delle persone nel matrimonio, la proprietà privata, la veridicità e la buona fama.

I comandamenti rappresentano, quindi, la condizione di base per l'amore del prossimo; essi ne sono al contempo la verifica. Sono la prima tappa necessaria nel cammino verso la libertà, il suo inizio: « La prima libertà — scrive sant'Agostino — consiste nell'essere esenti da crimini... come sarebbero l'omicidio, l'adulterio, la fornicazione, il furto, la frode, il sacrilegio e così via. Quando uno comincia a non avere questi crimini (e nessun cristiano deve averli), comincia a levare il capo verso la libertà, ma questo non è che l'inizio della libertà, non la libertà perfetta... ».23

14. Ciò non significa, certo, che Gesù intenda dare la precedenza all'amore del prossimo o addirittura separarlo dall'amore di Dio. Lo testimonia il suo dialogo col dottore della Legge: questi, che pone una domanda molto simile a quella del giovane, si sente rimandato da Gesù ai due comandamenti dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo (cf Lc 10, 25-27) e invitato a ricordare che solo la loro osservanza conduce alla vita eterna: « Fa' questo e vivrai » (Lc 10,28). È comunque significativo che sia proprio il secondo di questi comandamenti a suscitare la curiosità e l'interrogativo del dottore della Legge: « Chi è il mio prossimo? » (Lc 10,29). Il Maestro risponde con la parabola del buon Samaritano, la parabola-chiave per la piena comprensione del comandamento dell'amore del prossimo (cf Lc 10,30-37).

I due comandamenti, dai quali « dipende tutta la Legge e i Profeti » (Mt 22,40), sono profondamente uniti tra loro e si compenetrano reciprocamente. La loro unità inscindibile è testimoniata da Gesù con le parole e con la vita: la sua missione culmina nella Croce che redime (cf Gv 3,14-15), segno del suo indivisibile amore al Padre e all'umanità (cf Gv 13,1).

Sia l'Antico che il Nuovo Testamento sono espliciti nell'affermare che senza l'amore per il prossimo, che si concretizza nell'osservanza dei comandamenti, non è possibile l'autentico amore per Dio. Lo scrive con vigore straordinario san Giovanni: « Se uno dicesse: "Io amo Dio", e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi, infatti, non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede » (1 Gv 4,20). L'evangelista fa eco alla predicazione morale di Cristo, espressa in modo mirabile e inequivocabile nella parabola del buon Samaritano (cf Lc 10, 19-37) e nel « discorso » sul giudizio finale (cf Mt 25,31-46).

15. Nel « Discorso della Montagna », che costituisce la magna charta della morale evangelica,24 Gesù dice: « Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento » (Mt 5,17). Cristo è la chiave delle Scritture: « Voi scrutate le Scritture: esse parlano di me » (cf Gv 5,39); è il centro dell'economia della salvezza, la ricapitolazione dell'Antico e del Nuovo Testamento, delle promesse della Legge e del loro compimento nel Vangelo; è il legame vivente ed eterno tra l'Antica e la Nuova Alleanza. Commentando l'affermazione di Paolo « Il termine della legge è Cristo » (Rm 10,4), sant'Ambrogio scrive: « Fine non in quanto mancanza, ma in quanto pienezza della legge: questa si compie in Cristo (plenitudo legis in Christo est), dal momento che Egli è venuto non a dissolvere la legge, ma a portarla a compimento. Allo stesso modo in cui c'è un Testamento Antico, ma ogni verità sta all'interno del Nuovo Testamento, così avviene per la legge: quella che è stata data per mezzo di Mosè è figura della vera legge. Dunque, quella legge mosaica è copia della verità ».25

Gesù porta a compimento i comandamenti di Dio, in particolare il comandamento dell'amore del prossimo, interiorizzando e radicalizzando le sue esigenze: l'amore del prossimo scaturisce da un cuore che ama, e che, proprio perché ama, è disposto a vivere le esigenze più alte. Gesù mostra che i comandamenti non devono essere intesi come un limite minimo da non oltrepassare, ma piuttosto come una strada aperta per un cammino morale e spirituale di perfezione, la cui anima è l'amore (cf Col 3,14). Così il comandamento « Non uccidere » diventa l'appello ad un amore sollecito che tutela e promuove la vita del prossimo; il precetto che vieta l'adulterio diventa l'invito ad uno sguardo puro, capace di rispettare il significato sponsale del corpo: « Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio... Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda ad una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore » (Mt 5,21-22.27-28). È Gesù stesso il « compimento » vivo della Legge in quanto egli ne realizza il significato autentico con il dono totale di sé: diventa Lui stesso Legge vivente e personale, che invita alla sua sequela, dà mediante lo Spirito la grazia di condividere la sua stessa vita e il suo stesso amore e offre l'energia per testimoniarlo nelle scelte e nelle opere (cf Gv 13,34-35).

« Se vuoi essere perfetto » (Mt 19,21)

16. La risposta sui comandamenti non soddisfa il giovane, che interroga Gesù: « Ho sempre osservato tutte queste cose; che cosa mi manca ancora? » (Mt 19,20). Non è facile dire con buona coscienza: « ho sempre osservato tutte queste cose », se appena si comprende l'effettiva portata delle esigenze racchiuse nella Legge di Dio. E tuttavia, se anche gli è possibile dare una simile risposta, se anche ha seguito l'ideale morale con serietà e generosità fin dalla fanciullezza, il giovane ricco sa di essere ancora lontano dalla meta: davanti alla persona di Gesù avverte che qualcosa ancora gli manca. È alla consapevolezza di questa insufficienza che si rivolge Gesù nella sua ultima risposta: cogliendo la nostalgia per una pienezza che superi l'interpretazione legalistica dei comandamenti, il Maestro buono invita il giovane ad entrare nella strada della perfezione: « Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi » (Mt 19,21).

Come già il precedente passo della risposta di Gesù, così anche questo deve essere letto e interpretato nel contesto di tutto il messaggio morale del Vangelo e, specialmente, nel contesto del Discorso della Montagna, delle beatitudini (cf Mt 5,3-12), la prima delle quali è proprio la beatitudine dei poveri, dei « poveri in spirito », come precisa san Matteo (Mt 5,3), ossia degli umili. In tal senso si può dire che anche le beatitudini rientrano nello spazio aperto dalla risposta che Gesù dà all'interrogativo del giovane: « Che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna? ». Infatti, ogni beatitudine promette, secondo una particolare prospettiva, proprio quel « bene » che apre l'uomo alla vita eterna, anzi che è la stessa vita eterna.

Le beatitudini non hanno propriamente come oggetto delle norme particolari di comportamento, ma parlano di atteggiamenti e di disposizioni di fondo dell'esistenza e quindi non coincidono esattamente con i comandamenti. D'altra parte, non c'è separazione o estraneità tra le beatitudini e i comandamenti: ambedue si riferiscono al bene, alla vita eterna. Il Discorso della Montagna inizia con l'annuncio delle beatitudini, ma contiene anche il riferimento ai comandamenti (cf Mt 5,20-48). Nello stesso tempo, tale Discorso mostra l'apertura e l'orientamento dei comandamenti alla prospettiva della perfezione che è propria delle beatitudini. Queste sono, anzitutto, promesse, da cui derivano in forma indiretta anche indicazioni normative per la vita morale. Nella loro profondità originale sono una specie di autoritratto di Cristo e, proprio per questo, sono inviti alla sua sequela e alla comunione di vita con Lui.26

17. Non sappiamo quanto il giovane del Vangelo abbia compreso il profondo ed esigente contenuto della prima risposta data da Gesù: « Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti »; è certo, però, che l'impegno manifestato dal giovane nel rispetto di tutte le esigenze morali dei comandamenti costituisce l'indispensabile terreno sul quale può germogliare e maturare il desiderio della perfezione, cioè della realizzazione del loro significato compiuto nella sequela di Cristo. Il colloquio di Gesù con il giovane ci aiuta a cogliere le condizioni per la crescita morale dell'uomo chiamato alla perfezione: il giovane, che ha osservato tutti i comandamenti, si dimostra incapace con le sole sue forze di fare il passo successivo. Per farlo occorrono una libertà umana matura: « Se vuoi », e il dono divino della grazia: « Vieni e seguimi ».

La perfezione esige quella maturità nel dono di sé, a cui è chiamata la libertà dell'uomo. Gesù indica al giovane i comandamenti come la prima condizione irrinunciabile per avere la vita eterna; l'abbandono di tutto ciò che il giovane possiede e la sequela del Signore assumono invece il carattere di una proposta: « Se vuoi... ». La parola di Gesù rivela la particolare dinamica della crescita della libertà verso la sua maturità e, nello stesso tempo, attesta il fondamentale rapporto della libertà con la legge divina. La libertà dell'uomo e la legge di Dio non si oppongono, ma, al contrario, si richiamano a vicenda. Il discepolo di Cristo sa che la sua è una vocazione alla libertà. « Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà » (Gal 5,13), proclama con gioia e fierezza l'apostolo Paolo. Subito però precisa: « Purché questa libertà non divenga pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri » (ibid.). La fermezza con la quale l'Apostolo si oppone a chi affida la propria giustificazione alla Legge, non ha nulla da spartire con la « liberazione » dell'uomo dai precetti, i quali al contrario sono al servizio della pratica dell'amore: « Perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge. Infatti il precetto: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso » (Rm 13,8-9). Lo stesso sant'Agostino, dopo aver parlato dell'osservanza dei comandamenti come della prima imperfetta libertà, così prosegue: « Perché, domanderà qualcuno, non ancora perfetta? Perché "sento nelle mie membra un'altra legge in conflitto con la legge della mia ragione"... Libertà parziale, parziale schiavitù: non ancora completa, non ancora pura, non ancora piena è la libertà, perché ancora non siamo nell'eternità. In parte conserviamo la debolezza, e in parte abbiamo raggiunto la libertà. Tutti i nostri peccati nel battesimo sono stati distrutti, ma è forse scomparsa la debolezza, dopo che è stata distrutta l'iniquità? Se essa fosse scomparsa, si vivrebbe in terra senza peccato. Chi oserà affermare questo se non chi è superbo, se non chi è indegno della misericordia del liberatore?... Ora siccome è rimasta in noi qualche debolezza, oso dire che nella misura in cui serviamo Dio siamo liberi, mentre nella misura in cui seguiamo la legge del peccato siamo schiavi ».27

18. Chi vive « secondo la carne » sente la legge di Dio come un peso, anzi come una negazione o comunque una restrizione della propria libertà. Chi, invece, è animato dall'amore e « cammi- na secondo lo Spirito » (Gal 5,16) e desidera servire gli altri trova nella legge di Dio la via fondamentale e necessaria per praticare l'amore liberamente scelto e vissuto. Anzi, egli avverte l'urgenza interiore — una vera e propria « necessità », e non già una costrizione — di non fermarsi alle esigenze minime della legge, ma di viverle nella loro « pienezza ». È un cammino ancora incerto e fragile fin che siamo sulla terra, ma reso possibile dalla grazia che ci dona di possedere la piena libertà dei figli di Dio (cf Rm 8, 21) e quindi di rispondere nella vita morale alla sublime vocazione di essere « figli nel Figlio ».

Questa vocazione all'amore perfetto non è riservata solo ad una cerchia di persone. L'invito « va', vendi quello che possiedi, dàllo ai poveri » con la promessa « avrai un tesoro nel cielo »riguarda tutti, perché è una radicalizzazione del comandamento dell'amore del prossimo, come il successivo invito « vieni e seguimi » è la nuova forma concreta del comandamento dell'amore di Dio. I comandamenti e l'invito di Gesù al giovane ricco sono al servizio di un'unica e indivisibile carità, che spontaneamente tende alla perfezione, la cui misura è Dio solo: « Siate voi dunque perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste » (Mt 5,48). Nel Vangelo di Luca Gesù precisa ulteriormente il senso di questa perfezione: « Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro » (Lc 6,36).

« Vieni e seguimi » (Mt 19,21)

19. La via e, nello stesso tempo, il contenuto di questa perfezione consiste nella sequela Christi, nel seguire Gesù, dopo aver rinunciato ai propri beni e a se stessi. Proprio questa è la conclusione del colloquio di Gesù con il giovane: « Poi vieni e seguimi » (Mt 19,21). È un invito la cui meravigliosa profondità sarà pienamente percepita dai discepoli dopo la risurrezione di Cristo, quando lo Spirito Santo li guiderà alla verità tutta intera (cf Gv 16,13).

È Gesù stesso che prende l'iniziativa e chiama a seguirlo. L'appello è rivolto innanzi tutto a coloro ai quali egli affida una particolare missione, a cominciare dai Dodici; ma appare anche chiaro che essere discepoli di Cristo è la condizione di ogni credente (cf At 6,1). Per questo, seguire Cristo è il fondamento essenziale e originale della morale cristiana: come il popolo d'Israele seguiva Dio che lo conduceva nel deserto verso la Terra promessa (cf Es 13,21), così il discepolo deve seguire Gesù, verso il quale il Padre stesso lo attira (cf Gv 6,44).

Non si tratta qui soltanto di mettersi in ascolto di un insegnamento e di accogliere nell'obbedienza un comandamento. Si tratta, più radicalmente, di aderire alla persona stessa di Gesù, di condividere la sua vita e il suo destino, di partecipare alla sua obbedienza libera e amorosa alla volontà del Padre. Seguendo, mediante la risposta della fede, colui che è la Sapienza incarnata, il discepolo di Gesù diventa veramente discepolo di Dio (cf Gv 6,45). Gesù, infatti, è la luce del mondo, la luce della vita (cf Gv 8,12); è il pastore che guida e nutre le pecore (cf Gv 10,11-16), è la via, la verità e la vita (cf Gv 14,6), è colui che conduce al Padre, al punto che vedere lui, il Figlio, è vedere il Padre (cf Gv 14,6-10). Pertanto imitare il Figlio, « l'immagine del Dio invisibile » (Col 1,15), significa imitare il Padre.

20. Gesù chiede di seguirlo e di imitarlo sulla strada dell'amore, di un amore che si dona totalmente ai fratelli per amore di Dio: « Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati » (Gv 15,12). Questo « come » esige l'imitazione di Gesù, del suo amore di cui la lavanda dei piedi è segno: « Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi » (Gv 13,14-15). L'agire di Gesù e la sua parola, le sue azioni e i suoi precetti costituiscono la regola morale della vita cristiana. Infatti, queste sue azioni e, in modo particolare, la passione e la morte in croce, sono la viva rivelazione del suo amore per il Padre e per gli uomini. Proprio questo amore Gesù chiede che sia imitato da quanti lo seguono. Esso è il comandamento « nuovo »: « Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri » (Gv 13,34-35).

Questo « come » indica anche la misura con la quale Gesù ha amato, e con la quale devono amarsi tra loro i suoi discepoli. Dopo aver detto: « Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati » (Gv 15,12), Gesù prosegue con le parole che indicano il dono sacrificale della sua vita sulla croce, quale testimonianza di un amore « sino alla fine » (Gv 13,1): « Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici » (Gv 15,13).

Chiamando il giovane a seguirlo sulla strada della perfezione, Gesù gli chiede di essere perfetto nel comandamento dell'amore, nel « suo » comandamento: di inserirsi nel movimento della sua donazione totale, di imitare e di rivivere l'amore stesso del Maestro « buono », di colui che ha amato « sino alla fine ». È quanto Gesù chiede ad ogni uomo che vuole mettersi alla sua sequela: « Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua » (Mt 16,24).

21. Seguire Cristo non è una imitazione esteriore, perché tocca l'uomo nella sua profonda interiorità. Essere discepoli di Gesù significa essere resi conformi a Lui, che si è fatto servo fino al dono di sé sulla croce (cf Fil 2,5-8). Mediante la fede, Cristo abita nel cuore del credente (cf Ef 3,17), e così il discepolo è assimilato al suo Signore e a Lui configurato. Questo è frutto della grazia, della presenza operante dello Spirito Santo in noi.

Inserito in Cristo, il cristiano diventa membro del suo Corpo, che è la Chiesa (cf 1 Cor 12,13.27). Sotto l'impulso dello Spirito, il Battesimo configura radicalmente il fedele a Cristo nel mistero pasquale della morte e risurrezione, lo « riveste » di Cristo (cf Gal 3,27): « Rallegriamoci e ringraziamo — esclama sant'Agostino rivolgendosi ai battezzati —: siamo diventati non solo cristiani, ma Cristo (...). Stupite e gioite: Cristo siamo diventati! ».28 Morto al peccato, il battezzato riceve la vita nuova (cf Rm 6,3-11): vivente per Dio in Cristo Gesù, è chiamato a camminare secondo lo Spirito e a manifestarne nella vita i frutti (cf Gal 5,16-25). La partecipazione poi all'Eucaristia, sacramento della Nuova Alleanza (cf 1 Cor 11,23-29), è vertice dell'assimilazione a Cristo, fonte di « vita eterna » (cf Gv 6,51-58), principio e forza del dono totale di sé, di cui Gesù secondo la testimonianza tramandata da Paolo comanda di far memoria nella celebrazione e nella vita: « Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga » (1 Cor 11,26).

« A Dio tutto è possibile » (Mt 19,26)

22. Amara è la conclusione del colloquio di Gesù con il giovane ricco: « Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze » (Mt 19,22). Non solo l'uomo ricco, ma anche gli stessi discepoli sono spaventati dall'appello di Gesù alla sequela, le cui esigenze superano le aspirazioni e le forze umane: « A queste parole i discepoli rimasero costernati e chiesero: "Chi si potrà dunque salvare?" » (Mt 19,25). Ma il Maestro rimanda alla potenza di Dio: « Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile » (Mt 19,26).

Nel medesimo capitolo del Vangelo di Matteo (19,3-10), Gesù, interpretando la Legge mosaica sul matrimonio, rifiuta il diritto al ripudio, richiamando ad un « principio » più originario e più autorevole rispetto alla Legge di Mosè: il disegno nativo di Dio sull'uomo, un disegno al quale l'uomo dopo il peccato è diventato inadeguato: « Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così » (Mt 19,8). Il richiamo al « principio » sgomenta i discepoli, che commentano con queste parole: « Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi » (Mt 19,10). E Gesù, riferendosi in modo specifico al carisma del celibato « per il Regno dei cieli » (Mt 19,12), ma enunciando una regola generale, rimanda alla nuova e sorprendente possibilità aperta all'uomo dalla grazia di Dio: « Egli rispose loro: "Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso" » (Mt 19,11).

Imitare e rivivere l'amore di Cristo non è possibile all'uomo con le sole sue forze. Egli diventa capace di questo amore soltanto in virtù di un dono ricevuto. Come il Signore Gesù riceve l'amore del Padre suo, così egli a sua volta lo comunica gratuitamente ai discepoli: « Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore » (Gv 15,9). Il dono di Cristo è il suo Spirito, il cui primo « frutto » (cf Gal 5,22) è la carità: « L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato » (Rm 5,5). Sant'Agostino si chiede: « È l'amore che ci fa osservare i comandamenti, oppure è l'osservanza dei comandamenti che fa nascere l'amore? ». E risponde: « Ma chi può mettere in dubbio che l'amore precede l'osservanza? Chi infatti non ama è privo di motivazioni per osservare i comandamenti ».29

23. « La legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte » (Rm 8,2). Con queste parole l'apostolo Paolo ci introduce a considerare nella prospettiva della storia della Salvezza che si compie in Cristo il rapporto tra la Legge (antica) e la grazia (Legge nuova). Egli riconosce il ruolo pedagogico della Legge, la quale, permettendo all'uomo peccatore di misurare la sua impotenza e togliendogli la presunzione dell'autosufficienza, lo apre all'invocazione e all'accoglienza della « vita nello Spirito ». Solo in questa vita nuova è possibile la pratica dei comandamenti di Dio. Infatti, è per la fede in Cristo che noi siamo resi giusti (cf Rm 3,28): la « giustizia » che la Legge esige, ma non può dare a nessuno, ogni credente la trova manifestata e concessa dal Signore Gesù. Così mirabilmente ancora sant'Agostino sintetizza la dialettica paolina di legge e grazia: « La legge, perciò, è stata data perché si invocasse la grazia; la grazia è stata data perché si osservasse la legge ».30

L'amore e la vita secondo il Vangelo non possono essere pensati prima di tutto nella forma del precetto, perché ciò che essi domandano va al di là delle forze dell'uomo: essi sono possibili solo come frutto di un dono di Dio, che risana e guarisce e trasforma il cuore dell'uomo per mezzo della sua grazia: « Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo » (Gv 1,17). Per questo la promessa della vita eterna è legata al dono della grazia, e il dono dello Spirito che abbiamo ricevuto è già « caparra della nostra eredità » (Ef 1,14).

24. Si rivela così il volto autentico e originale del comandamento dell'amore e della perfezione alla quale esso è ordinato: si tratta di una possibilità aperta all'uomo esclusivamente dalla grazia, dal dono di Dio, dal suo amore. D'altra parte, proprio la coscienza di aver ricevuto il dono, di possedere in Gesù Cristo l'amore di Dio, genera e sostiene la risposta responsabile di un amore pieno verso Dio e tra i fratelli, come con insistenza ricorda l'apostolo Giovanni nella sua prima Lettera: « Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore... Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri... Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo » (1 Gv 4,7-8.11.19).

Questa connessione inscindibile tra la grazia del Signore e la libertà dell'uomo, tra il dono e il compito, è stata espressa in termini semplici e profondi da sant'Agostino, che così prega: « Da quod iubes et iube quod vis » (dona ciò che comandi e comanda ciò che vuoi).31

Il dono non diminuisce, ma rafforza l'esigenza morale dell'amore: « Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato » (1 Gv 3,23). Si può « rimanere » nell'amore solo a condizione di osservare i comandamenti, come afferma Gesù: « Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore » (Gv 15,10).

Raccogliendo quanto è al cuore del messaggio morale di Gesù e della predicazione degli Apostoli, e riproponendo in una sintesi mirabile la grande tradizione dei Padri d'Oriente e d'Occidente — in particolare di sant'Agostino — 32 san Tommaso ha potuto scrivere che la Legge Nuova è la grazia dello Spirito Santo donata mediante la fede in Cristo.33 I precetti esterni, di cui pure il Vangelo parla, dispongono a questa grazia o ne dispiegano gli effetti nella vita. Infatti, la Legge Nuova non si contenta di dire ciò che si deve fare, ma dona anche la forza di « fare la verità » (cf Gv 3,21). Nello stesso tempo san Giovanni Crisostomo ha osservato che la Legge Nuova fu promulgata proprio quando lo Spirito Santo discese dal cielo nel giorno di Pentecoste e che gli Apostoli « non discesero dal monte portando, come Mosè, delle tavole di pietra nelle loro mani; ma se ne venivano portando lo Spirito Santo nei loro cuori..., divenuti mediante la sua grazia una legge viva, un libro animato ».34

« Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo » (Mt 28,20)

25. Il colloquio di Gesù con il giovane ricco continua, in un certo senso, in ogni epoca della storia, anche oggi. La domanda: « Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna? » sboccia nel cuore di ogni uomo, ed è sempre e solo Cristo a offrire la risposta piena e risolutiva. Il Maestro, che insegna i comandamenti di Dio, che invita alla sequela e dà la grazia per una vita nuova, è sempre presente e operante in mezzo a noi, secondo la promessa: « Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo » (Mt 28,20). La contemporaneità di Cristo all'uomo di ogni tempo si realizza nel suo corpo, che è la Chiesa. Per questo il Signore promise ai suoi discepoli lo Spirito Santo, che avrebbe loro « ricordato » e fatto comprendere i suoi comandamenti (cf Gv 14,26) e sarebbe stato il principio sorgivo di una vita nuova nel mondo (cf Gv 3,5-8; Rm 8,1-13).

Le prescrizioni morali, impartite da Dio nell'Antica Alleanza e giunte alla loro perfezione in quella Nuova ed Eterna nella persona stessa del Figlio di Dio fatto uomo, devono essere fedelmente custodite e permanentemente attualizzate nelle differenti culture lungo il corso della storia. Il compito della loro interpretazione è stato affidato da Gesù agli Apostoli e ai loro successori, con l'assistenza speciale dello Spirito di verità: « Chi ascolta voi ascolta me » (Lc 10,16). Con la luce e la forza di questo Spirito gli Apostoli hanno adempiuto la missione di predicare il Vangelo e di indicare la « via » del Signore (cf At 18,25), insegnando anzitutto la sequela e l'imitazione di Cristo: « Per me il vivere è Cristo » (Fil 1,21).

26. Nella catechesi morale degli Apostoli, accanto ad esortazioni e ad indicazioni legate al contesto storico e culturale, c'è un insegnamento etico con precise norme di comportamento. È quanto emerge nelle loro Lettere, che contengono l'interpretazione, guidata dallo Spirito Santo, dei precetti del Signore da vivere nelle diverse circostanze culturali (cf Rm 12-15; 1 Cor 11-14; Gal 5-6; Ef 4-6; Col 3-4; 1 Pt e Gc). Incaricati di predicare il Vangelo, gli Apostoli fin dalle origini della Chiesa, in virtù della loro responsabilità pastorale, hanno vegliato sulla rettitudine della condotta dei cristiani,35 allo stesso modo in cui hanno vegliato sulla purezza della fede e sulla trasmissione dei doni divini mediante i Sacramenti.36 I primi cristiani, provenienti sia dal popolo giudaico sia dalle nazioni, differivano dai pagani non solo per la loro fede e per la loro liturgia, ma anche per la testimonianza della loro condotta morale, ispirata alla Legge Nuova.37 La Chiesa, infatti, è insieme comunione di fede e di vita; la sua norma è « la fede che opera per mezzo della carità » (Gal 5,6).

Nessuna lacerazione deve attentare all'armonia tra la fede e la vita: l'unità della Chiesa è ferita non solo dai cristiani che rifiutano o stravolgono le verità della fede, ma anche da quelli che misconoscono gli obblighi morali a cui li chiama il Vangelo (cf 1 Cor 5,9-13). Con decisione gli Apostoli hanno rifiutato ogni dissociazione tra l'impegno del cuore e i gesti che lo esprimono e verificano (cf 1 Gv 2,3-6). E fin dai tempi apostolici i Pastori della Chiesa hanno denunciato con chiarezza i modi di agire di coloro che erano fautori di divisione con i loro insegnamenti o con i loro comportamenti.38

27. Promuovere e custodire, nell'unità della Chiesa, la fede e la vita morale è il compito affidato da Gesù agli Apostoli (cf Mt 28,19-20), che prosegue nel ministero dei loro successori. È quanto si ritrova nella viva Tradizione, mediante la quale — come insegna il Concilio Vaticano II — « la Chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede. Questa Tradizione, che trae origine dagli Apostoli, progredisce nella Chiesa sotto l'assistenza dello Spirito Santo ».39 Nello Spirito la Chiesa accoglie e trasmette la Scrittura come testimonianza delle « grandi cose » che Dio opera nella storia (cf Lc 1,49), confessa per bocca dei Padri e dei Dottori la verità del Verbo fatto carne, ne mette in pratica i precetti e la carità nella vita dei Santi e delle Sante e nel sacrificio dei Martiri, ne celebra la speranza nella Liturgia: mediante la stessa Tradizione i cristiani ricevono « la viva voce del Vangelo »,40 come espressione fedele della sapienza e della volontà divina.

All'interno della Tradizione si sviluppa, con l'assistenza dello Spirito Santo, l'interpretazione autentica della legge del Signore. Lo stesso Spirito, che è all'origine della Rivelazione dei comandamenti e degli insegnamenti di Gesù, garantisce che vengano santamente custoditi, fedelmente esposti e correttamente applicati nel variare dei tempi e delle circostanze. Questa « attualizzazione » dei comandamenti è segno e frutto di una più profonda penetrazione della Rivelazione e di una comprensione alla luce della fede delle nuove situazioni storiche e culturali. Essa, tuttavia, non può che confermare la permanente validità della Rivelazione e inserirsi nel solco dell'interpretazione che ne dà la grande Tradizione di insegnamento e di vita della Chiesa, di cui sono testimoni la dottrina dei Padri, la vita dei Santi, la liturgia della Chiesa e l'insegnamento del Magistero.

In particolare, poi, come afferma il Concilio, « l'ufficio d'interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa è stato affidato al solo Magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo ».41 In tal modo la Chiesa, nella sua vita e nel suo insegnamento, si presenta come « colonna e sostegno della verità » (1 Tm 3,15), anche della verità circa l'agire morale. Infatti, « è compito della Chiesa annunziare sempre e dovunque i principi morali anche circa l'ordine sociale, e così pure pronunciare il giudizio su qualsiasi realtà umana, in quanto lo esigano i diritti fondamentali della persona umana o la salvezza delle anime ».42

Proprio sulle domande che caratterizzano oggi la discussione morale e intorno alle quali si sono sviluppate nuove tendenze e teorie, il Magistero, in fedeltà a Gesù Cristo e in continuità con la tradizione della Chiesa, sente più urgente il dovere di offrire il proprio discernimento e insegnamento, per aiutare l'uomo nel suo cammino verso la verità e la libertà.

 

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