Guglielmo di Saint-Thierry

 

La contemplazione di Dio

 

 

 

 

 

Prologo

 

1. Venite, saliamo al monte del Signore e alla casa del Dio di Giacobbe, ed Egli ci insegnerà le sue vie (Isaia 2,3). Attenzioni, intenti, volontà, pensieri, affetti, sentimenti tutti che siete nel mio intimo, venite: saliamo sul monte, sul luogo dove il Signore vede e viene veduto. Preoccupazioni, impegni, affanni, fatiche, pene di schiavitù, aspettatemi qui, con quest’asino che è il mio corpo, fino a quando io con il fanciullo, cioè la ragione con l’intelligenza, affrettatici fin lassù e prostratici in adorazione, ce ne ritorniamo a voi.

Ritorneremo, infatti, e, purtroppo, assai presto, poiché l’amore della verità ci porta lontano da voi, ma, a causa della presenza dei fratelli, la verità dell’amore non può permettere di abbandonarvi o di tradirvi. Però, anche se ci trattengono gli obblighi nei vostri confronti, non possiamo tralasciare completamente tanta dolcezza.

 

Desiderio di Dio

 

2. Signore, Dio delle virtù, convertici; mostraci il tuo volto e noi saremo salvi (Salmo 79,20). Ma, ahimè, Signore, ahimè, quanto è precipitoso, quanto è temerario, disordinato, presuntuoso ed estraneo alla regola del Verbo di verità e della tua Sapienza voler vedere Dio con cuore impuro! Tuttavia, o sovrana bontà, sommo bene, vita dei cuori e luce degli occhi interiori, grazie alla tua benevolenza, Signore, abbi misericordia, poiché la contemplazione della tua bontà, o buon Signore, è la mia purificazione, è la fonte della mia fiducia, è la causa della mia giustificazione.

Dunque, Signore Dio mio, tu che dici all’anima mia, nel modo che tu sai: Sono io la tua salvezza (Sal­mo 34,3), Rabbunì, sommo maestro, l’unico in grado di insegnarmi a vedere ciò che desidero vedere, di’ a questo tuo cieco mendicante: Che vuoi che io ti faccia (Marco 10,51)?

E tu sai, tu che già mi doni ciò che bramo, con quanta forza il mio cuore, gettate lontano tutte le altezze, le bellezze, le dolcezze di questo mondo e tutte le realtà che possono, anzi son solite suscitare la concupiscenza della carne o degli occhi o l’ambizione dello spirito, anche dagli angoli più riposti delle sue fibre, ti gridi: Il mio volto ti ha cercato; il tuo volto, Signore, io cercherò. Non distogliere da me il tuo volto, non respingere con collera il tuo servo (Salmo 26,8 9).

Io sono certamente uno sfrontato e un insolente, o mio eterno aiuto, mio instancabile difensore, ma vedi che è per amore del tuo amore che lo faccio, così come vedi me, che pur non riesco a vederti, e come mi hai infuso il desiderio di te; e se qualcosa di me ti è gradito, ecco che subito perdoni a questo tuo cieco, che ti corre incontro e gli porgi la mano se, nella corsa, inciampa in qualche ostacolo.

 

3. Mi risponde, invero, interiormente, nell’anima e nello spirito, tumultuando dentro di me e scuotendo tutte le mie fibre, la voce che attesta la tua presenza. I miei occhi interiori sono abbagliati dal fulgore della tua verità, che mi rammenta come nessuno possa vederti e continuare a vivere. Infatti, io sono davvero, fino ad ora, tutto sprofondato nei peccati e non sono ancora riuscito a morire a me stesso, così da vivere per te. Tuttavia, per tuo comando e tuo dono, me ne sto saldo sulla roccia della tua fede, della fede cristiana, nel luogo che è veramente vicino a te, nel quale frattanto sopporto con pazienza, come posso, e abbraccio e bacio la tua destra, che mi ricopre e mi protegge; e talvolta, mentre contemplo e bramo vedere almeno le terga di te che mi vedi, io scorgo passare l’umiltà stessa, cioè il mistero dell’umanità di Cristo, tuo figlio.

Ma proprio quando non vedo l’ora di avvicinarmi a lui e, come l’emorroissa, ardo dal desiderio, per così dire, di carpire la guarigione per l’inferma e miserabile anima mia grazie al tocco benefico anche solo di un lembo della sua veste; oppure quando, come Tommaso, quest’uomo pieno di desiderio, desidero vedermelo tutto integro davanti e toccarlo; non solo, ma quando tento di avvicinarmi alla santissima ferita del suo fianco, porta aperta su un lato dell’arca, non per mettervi un dito appena o tutta quanta la mano, ma per entrarvi tutto intero fino al cuore di Gesù, fin dentro il Santo dei Santi, l’arca dell’alleanza, l’urna d’oro, l’anima della nostra umanità, che contiene in se stessa la manna della divinità: mi sento dire, ahimè: Non toccarmi (Giovanni 20,17). E anche quelle parole dell’Apocalisse (22,15): Fuori i cani. Così, cacciato e respinto dalle nerbate della mia coscienza, del resto meritate, sono costretto a scontare le pene della mia malvagità e presunzione.

Mi rifugio allora nuovamente sulla mia roccia, che è il rifugio degli istrici, ricoperti dalle spine dei loro peccati, e ancora una volta abbraccio e bacio la tua destra, che mi ricopre e mi protegge. E da quello, che ho appena intravisto o percepito, con un desiderio ancor più ardente e trattenendo a stento l’impazienza, aspetto che tu tolga la mano che mi copre e che mi infonda la grazia che illumina, cosicché finalmente, almeno ogni tanto, secondo il responso della tua verità, morto a me stesso e con la volontà di vivere per te, io cominci a vedere scopertamente il tuo volto e a perdermi in te in seguito a questa visione.

 

4. O volto, o volto! Beato il volto che, vedendoti, è degno di aver parte con te, con l’innalzare nel suo cuore una tenda al Dio di Giacobbe e che fa ogni cosa secondo il modello che gli viene mostrato sul monte (Ebrei 8,5). Davvero a proposito essa canta: Il mio cuore ti ha detto: Il mio volto ti ha cercato; io cercherò il tuo volto, Signore (Salmo 26,8). Pertanto, come ho detto, mentre scruto, col dono della tua grazia, fin nel profondo tutti gli angoli più riposti della mia coscienza, provo il desiderio unico ed esclusivo di ve­dere te, affinché anche gli estremi confini della mia terra possano vedere la salvezza del Signore loro Dio ed io possa amare, una volta vedutolo, colui, nel cui amore risiede la vera vita. Infatti, nel languore del mio desiderio, dico a me stesso: Chi può amare ciò, che non vede? Come può essere degno d’amore ciò, che non si rende in alcun modo visibile?

 

5. Tuttavia, a chi nutre per te tale desiderio, si presentano in verità le tue amabili virtù: dal cielo, dalla terra e da tutte le creature esse mi si offrono spontaneamente e mi si mettono dinanzi, o Signore in tutto amabile ed adorabile! Quanto più chiaramente e veramente esse ti dichiarano e ti proclamano amabile, tanto più ardentemente ti rendono desiderabile; però, ahimè, non per permettermi di godere la soavità e la gioia perfetta, bensì il tormento di una tensione, di uno sforzo e di una mancanza, anche se non privo di una certa dolcezza.

Come, infatti, le mie offerte non ti riescono perfettamente gradite senza il dono di me stesso, così la contemplazione dei tuoi beni è certamente per noi un dolce ristoro, ma non ci sazia perfettamente senza la tua presenza.

 

6. Questo è l’esercizio assiduo dell’anima mia, con esso esamino e sondo il mio spirito con assiduità; e col sostegno dei tuoi beni e delle tue amabili virtù, quasi fossero mani e piedi su cui poggiarmi, e prendendo slancio con tutte le mie forze, mi protendo in alto verso di te, a te, supremo amore e sommo bene: ma più forte è il mio slancio e più cocente è la ricaduta verso il basso, verso me stesso, al di sotto di me. Così, dunque, col guardare, considerare e giudicare me stesso, sono diventato a me stesso un gravoso e fastidioso problema.

Tuttavia, tuttavia, Signore, ho l’assoluta certezza di avere, in virtù della tua grazia, in tutto il mio cuo­re e in tutta la mia anima (Geremia 32,41), il desiderio del tuo desiderio e l’amore del tuo amore. Per opera tua, sono giunto fino al punto di desiderare di desiderarti e di amare di amarti. Ma, pur amando tutto ciò, ignoro quello che amo. Che cosa vuol dire, in effetti, amare l’amore, desiderare il desiderio? È con l’amore che amiamo, se amiamo qualcosa; è col desiderio che desideriamo tutto quanto desideriamo. Ma forse, quando amo l’amore, non amo tanto l’amore, con cui voglio amare ciò che amo e con cui amo tutto ciò che amo, quanto invece la mia stessa persona che ama, giacché è nel Signore che viene da me stesso lodata ed amata l’anima mia (Salmo 33,3), che senza alcun dubbio io detesterei e odierei, se la trovassi altrove anziché nel Signore e nel suo amore.

E del desiderio che cosa potremo dire? Se dico: desidero provare desiderio, già mi trovo nello stato di desiderio. Ma questo è desiderare il desiderio di te, come se io non l’avessi, o invece un desiderio maggiore di quello che ho?

 

7. Poiché, dunque, in questo modo i miei occhi interiori sono fallaci, offuscati e ciechi, ti prego di aprirmeli al più presto, non però come si aprirono gli occhi carnali di Adamo, perché vedesse la sua confusione, ma perché io veda, o Signore, la tua gloria; perché, dimentico della mia piccolezza e della mia povertà, io mi possa risollevare tutto e correre incontro all’abbraccio del tuo amore, vedendo colui che amerò e amando colui che vedrò; e morendo a me stesso, io incominci a vivere in te e a trovare in te il mio bene, visto che in me ho trovato il male più nefasto. Affrettati, però, Signore, non tardare! Infatti, o Signore, la grazia della tua sapienza o, meglio, la sapienza della tua grazia conosce le scorciatoie: e là dove non si può pervenire in virtù di alcun argomento di carattere razionale o intellettualistico né di alcuna discussione, quasi servissero da scala,. si giunge là, al torrente delle tue delizie, alla gioia completa del tuo amore; colui, al quale questo è concesso, se con fede ha cercato, se con fede ha bussato, se lo trova spesso davanti all’improvviso.

Però, Signore, se talora – e questo è così raro! – mi ritrovo a partecipare un poco a questa gioia, io grido, levo la mia voce: Signore, è bello per noi stare qui, innalziamo qui tre tende (Matteo 17,4): una per la fede, una per la speranza e una per l’amore. Ignoro, forse, quel che dico, quando affermo: È bello per noi stare qui? Ma ecco che d’improvviso ricado sulla terra, come morto e, pur guardandomi intorno, non vedo nulla, mi ritrovo al punto di prima, cioè nel dolore del cuore e nell’afflizione dello spirito.

Fino a quando, Signore, fino a quando? Per quanto tempo ancora farà progetti la mia anima e proverà dolore il mio cuore (Salmo 12,1 2)? Fino a quando il tuo Spirito eviterà di restare negli uomini, perché sono carne, continuando ad andare, a venire e a spirare dove vuole? Ma quando il Signore strapperà Sion dalla sua prigionia, noi saremo come consolati. Allora la nostra bocca sarà piena di gioia e la nostra lingua di esultanza (Salmo 125,1 2). Frattanto me infelice, perché il mio esilio si è prolungato: ho dimorato con gli abitanti di Cedar, a lungo l’anima mia vi ha soggiornato (Salmo 119,5 6). Ma mi risponde nel profondo del cuore la verità della tua consolazione e la consolazione della tua verità.

 

8. C’è un amore di desiderio e un amore di godimento. L’amore di desiderio si rende talvolta meritevole della visione; la visione, del godimento, il godimento della perfezione dell’amore. Io rendo grazie alla tua grazia, poiché ti sei degnato di parlare al cuore del tuo servo e, in una certa misura, rispondi alle sue ansiose domande. Accolgo e abbraccio questa caparra del tuo Spirito e in questa attendo lieto l’adempimento della tua promessa. Perciò desidero amarti e amo desiderarti, e in tal modo mi affretto alla conquista di colui dal quale sono stato conquistato; ossia, per riuscire finalmente ad amarti in modo perfetto, tu che per primo ci hai amato, Signore, tu che attiri il nostro doveroso amore.

 

Amore e desiderio

 

9. Ma esiste, Signore, in qualche tempo o in qualche luogo, questa perfezione di amore per te, questa interezza di beatitudine nel tuo amore, sì che l’anima, assetata di Dio, fonte viva, sia così sazia, così colma, da poter dire: Mi basta (Marco 14,41)? Mi stupisco che qualcuno, ovunque egli possa trovarsi, non venga meno nel dire: “Mi basta”. Ma come si giustifica, allo­ra, questo venir meno, se coincide con la perfezione? Non c’è, dunque mai, né in alcun luogo, la perfezione? Forse che gli ingiusti, Signore, possederanno il tuo regno? Ingiusto è chi non prova desiderio di te, chi non capisce e non si sente in dovere di amarti, per quanto è nelle possibilità di una creatura razionale.

È noto che anche i beati Serafini, che grazie alla vicinanza della tua presenza e alla chiarezza della tua visione vengono definiti ardenti, e lo sono realmente, ti amano in misura maggiore di chi è il più piccolo nel regno dei cieli. E se nel regno dei cieli si trova uno spirito, non dico il più piccolo, ma uno addirittura insignificante, esso desidera amarti tanto, quanto tu puoi e devi essere amato da qualcuno ed è forse per questo che gli angeli desiderano fissare in te il loro sguardo.

 

10. Costui, che è beato seppur tra i più piccoli, prova, dunque, il desiderio di amarti quanto colui che ti ama in misura maggiore della sua, non per emulazione, ma per spirito di imitazione pieno di pietà e di devozione. Se poi progredisce nell’amore, quanto più gioiosamente avanza nella dimensione dell’interiorità grazie alla luce che i suoi occhi ricevono, tanto più dolcemente avverte e comprende, se non è ingrato e ingiusto, sia di poterti amare sia di doverlo fare ancor più di quanto ti amino i Cherubini e i Serafini. Ma chi desidera ciò che non può conseguire, è un infelice. Ora, l’infelicità è del tutto estranea al regno della beatitudine. Qui, dunque, chiunque desidera qualcosa, l’ottiene.

 

11. Che diremo in proposito? Che diremo mai? Ti scongiuro, parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta (1 Samuele 3,9). Non è forse vero che di tutti coloro, grandi e piccoli, che si trovano nel regno di Dio, ciascuno nel suo ordine ama e desidera amare? E che l’unità nell’amore non permette che vi sia diversità, per cui, chi ha ricevuto questo dono in tal misura ama in modo più ardente, mentre l’inferiore, da parte sua, ama senza invidia, in chi gli è superiore, ovunque lo veda, il bene che egli desidera per sé e possiede in ogni caso quell’amore, per quanto grande possa essere, che egli ama in colui che a sua volta ama? Certamente, colui, che viene amato, è l’Amore stesso, che per la sovrabbondanza e la natura della sua bontà, colma di ugual grazia, seppur in diversa misura, quelli che amano e quelli che sono uniti nell’amore, quelli che gioiscono e quelli che sono uniti in questa gioia; e quanto più copiosamente questo Amore si infonde nei sensi di quelli che amano, tanto più li rende capaci di riceverlo, saziandoli ma senza nauseare; e senza diminuire il desiderio di questa sazietà, anzi aumentandolo, e allontanando, invece, ogni sofferenza dovuta all’ansietà.

Infatti, è l’Amore, come s’è detto, ad essere amato, il quale col torrente delle sue delizie scaccia da chi lo ama ogni sorta d’infelicità: il disgusto nella sazietà, l’inquietudine nel desiderio, la gelosia nel fervore; illuminandolo, come dice l’Apostolo, con chiarezza sempre maggiore (2 Corinzi 3,18), affinché nella luce veda la luce e nell’amore generi l’amore. Questa, infatti, è la fonte della vita, che perennemente scorre senza mai perdersi. Questa è la gloria, queste sono le ricchezze nella casa di chi è felice di amarti, poiché chi desidera, vi trova ciò che desidera e chi ama, ciò che ama. Ecco perché chi desidera, ama sempre desiderare e chi ama, sempre desidera amare; e a chi desidera e a chi ama, tu, o Signore, elargisci con tale abbondanza ciò che desidera e ama, che non v’è ansia che affligga chi desidera né fastidio chi abbonda. Non è forse questa, ti chiedo, o Signore, la vita eterna, della quale il Salmo (138,24) canta: Vedi se c’è in me la strada dell’iniquità e guidami nella vita eterna? Questo sentimento è la perfezione. Procedere sempre in tal modo è arrivarci. Perciò il tuo apostolo, che poco prima aveva detto: Non che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo cerco di continuare per conquistarlo, come anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù; continua dicendo: Soltanto, dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù in Cristo Gesù. Quanti dunque siamo perfetti, dobbiamo avere questi sentimenti.

 

12. E questo è il tuo amore, col quale ami chi ti ama, con la dolcezza della tua bontà, che manifesti verso la tua creatura, o buon Creatore, ispirando in essi questo desiderio di amarti e l’amore con cui amano desiderarti ed amarti. Infatti, il tuo amore per noi non introduce in te modificazioni, tantomeno per opera nostra: tu resti sempre quello che sei, tu la cui essenza è di essere il bene, il bene in te stesso per te e per ogni tua creatura in te. Noi, al contrario, nel nostro amore per te, siamo attratti da te, verso di te e in te, noi che possiamo esistere in qualche miserabile maniera anche senza amarti, cioè esistere vivendo nel male. Ma a te, che sei sempre il medesimo, niente si aggiunge, se noi, amandoti, ci eleviamo a te; niente ti viene a mancare, se da te ci allontaniamo. Quando ci ami, non lo fai che per tua bontà, giacché neppure a noi la regola della somma giustizia, regola vera nel modo più assoluto, permette di amare alcunché al di fuori di te. Ed è certamente possibile all’amore di chi ama Dio, se gli viene in aiuto grazia in abbondanza, arrivare al punto di non amare né te né sé per motivi umani, ma di amare sia se stesso che te unicamente per amor tuo: e in virtù di questo amore viene rimodellato a tua immagine, quella secondo la quale l’hai creato, tu che, per la verità della tua eminente natura e la natura della tua verità, non puoi amare né angelo né uomo e neppure te stesso se non per la tua bontà.

 

13. E felice quell’uomo e felicissima quell’anima, che merita, grazie all’azione divina, di essere attratta da Dio in modo tale, da amare, in virtù dell’unità dello Spirito, in Dio soltanto Dio e non qualcosa di sé e di amare se stessa solo in Dio! E Dio in lei amerà ed approverà quello che c’è da amare e da approvare, cioè se stesso; anzi, ciò che solo deve essere amato sia da Dio creatore che dalle sue creature, poiché il nome o il sentimento dell’amore a nessuno conviene o è dovuto se non a te solo, o vero amore, Signore degno d’amore.

E questa è la volontà del Figlio tuo a nostro riguardo, questa è la sua preghiera per noi a te, Padre suo: Voglio che come io e te siamo una cosa sola, così in noi anch’essi siano una cosa sola (Giovanni 17,11; 21). Questo è il fine, questo è il compimento, questa è la perfezione! Questa è la pace, questa la gioia del Signore, questa la gioia nello Spirito santo, questo è il silenzio nel cielo!

Infatti, finché siamo in questa vita, il nostro sentimento può talvolta godere del silenzio di questa felicissima pace nel cielo, vale a dire nell’anima del giusto, che è la sede della sapienza: questo dura mezz’ora o anche meno, ma il ricordo rimasto di quei pensieri prepara in tuo onore un giorno di festa senza fine. Invece, in quella vita beata ed eterna, della quale si dice: entra nella gioia del tuo Signore (Matteo 25,21), vi sarà solo il godimento perfetto e perpetuo e tanto più felice, in quanto, rimossi ormai tutti gli ostacoli che adesso sembrano ritardarla o impedirla, l’eternità del suo amore sarà indissolubile, la perfezione indistruttibile, la beatitudine incorruttibile.

 

14. O amore, vieni in noi, prendi possesso di noi! Svaniscano in noi, davanti al tuo volto, tutti i segni della corruzione che dalla concupiscenza della carne e degli occhi e dalla superbia della vita nascono sul tronco del nostro sentimento, come germogli bastardi: questo sentimento, dico, che in noi prende il nome di amore e che più spesso di quanto sia giusto viene corrotto in quell’anima, che da te e per te è stata creata; che per te solo insieme a noi è stato creato e in noi radicato e che quando si oppone, protestando, alla legge della natura non può esser chiamato che gola, lussuria, avarizia e cose simili; ma che, se non si corrompe e si serba fedele alla sua natura, è tutto per te, Signore, poiché a te solo è dovuto l’amore.

Infatti, l’amore dell’anima razionale, come dice uno dei tuoi servi, è un movimento oppure una stasi tranquilla o, ancora, il raggiungimento di qualcosa, al di là del quale l’anelito della volontà non desidera o non ritiene desiderabile nient’altro. Chi, invece, cerca qua!cosa al di là o al di sopra di te, pensando sia meglio, cerca qualcosa che non esiste, perché niente è più buono e più dolce di te; perciò, allontanandosi da te, che sei l’unico veramente degno d’amore, finisce per annientare se stesso, per riversarsi nella fornicazione e nella lussuria con affetti stranieri, che portano, come ho detto, nomi stranieri.

L’amore, infatti, come s’è detto e come sempre si deve ripetere, spetta solo a te, Signore, nel quale soltanto esiste ciò, che veramente esiste, ove c’è tranquillo e sicuro riposo, poiché temere Dio con il timore casto dell’amore e osservare i suoi comandamenti, questo è tutto l’uomo (Qoelet 12,13).

 

L’amore di Dio

 

15. Si allontani, dunque, dall’anima ogni ingiusti­zia, affinché io ti ami, Signore Dio mio, con tutto il mio cuore, con tutta la mia anima e con tutte le mie forze (Luca 10,27); si allontani ogni gelosia, affinché non mi capiti di amare insieme a te qualcosa non per amor tuo, o amore veramente unico e veramente Signore. Quando, invero, amo qualche cosa per amor tuo, non è quella che amo, ma te, a causa del quale amo ciò che amo. Tu, infatti, sei veramente il solo Signore, la cui signoria su di noi è finalizzata alla nostra salvezza e, da parte nostra, il servirti non è nient’altro che l’essere salvati da te.

 

16. Che cos’è, infatti, la salvezza che ci doni, o Si­gnore, da cui la salvezza ci viene e sul cui popolo è la tua benedizione (Salmo 79,18), se non ciò che riceviamo da te per amarti e per essere amati da te? Per questo, Signore, hai voluto che il figlio della tua destra, l’uomo che hai fortificato in vista del tuo disegno, fosse chiamato Gesù, cioè salvatore: egli, infatti, salverà il suo popolo dai suoi peccati (Matteo 1,21) e non c’è altro in cui si trovi salvezza. È lui che ci ha insegnato ad amarlo, quando per primo ci ha amati fino alla morte di croce e con il suo amore e la sua dilezione ha suscitato in noi l’amore per lui, che per primo ci ha amati sino alla fine.

Questa è la giustizia dei figli degli uomini: «Amami, perché io ti amo». È raro, invece, che qualcuno sappia dire: «Ti amo, affinché tu mi ami». Ed è proprio quello che tu hai fatto, come proclama e predica il servo del tuo amore: tu ci hai amati per primo. Ed è così, è davvero così: ci hai amati per primo, affinché noi amassimo te; non perché tu avessi bisogno di essere amato da noi, ma perché lo scopo per cui ci hai creati, non potevamo perseguirlo se non amandoti. Ecco perché, dopo aver parlato in passato molte volte e in diversi modi ai padri per bocca dei profeti, da ultimo, in questi giorni, hai parlato a noi per bocca del tuo figlio (Ebrei 1,1 2), del tuo Verbo, per mezzo del quale sono stati fissati i cieli e grazie al soffio della sua bocca ogni loro potenza (Salmo 32,6). E parlare per mezzo del tuo Figlio non è stato altro che metterlo alla luce, cioè renderlo manifesto.

 

17. Quanto e come ci hai amati, tu che non hai risparmiato il tuo proprio Figlio, ma l’hai dato per noi tutti, lui che ci ha amati ed ha dato se stesso per noi! Lui è la parola che tu ci rivolgi, Signore, l’onnipotente tua voce, la quale, mentre tutto era avvolto dal profondo silenzio dell’errore, venne dal suo trono regale, implacabile vincitore dell’errore, dolce dispensatore d’amore. E tutto ciò che fece, tutto ciò che disse sulla terra, fino agli insulti, agli sputi e agli schiaffi, fino alla croce e al sepolcro, non fu altro che il tuo parlarci per bocca del tuo Figlio, provocando e suscitando col tuo amore il nostro amore per te. Tu, infatti, sapevi, o Dio creatore delle anime, che a questo slancio le anime dei figli degli uomini non possono essere costrette, ma devono essere sollecitate, perché là dove c’è costrizione, non c’è libertà; e dove non c’è libertà, non c’è giustizia.

Tu, invece, Signore giusto, volevi salvarci con giustizia, tu che nessuno salvi o condanni se non con giustizia, che istruisci per noi il giudizio e la causa, che siedi sul trono e rendi giustizia, quella giustizia, però, che hai stabilito tu, affinché sia chiusa ogni bocca e tutto il mondo sia sottomesso a Dio (Romani 3,19), poiché tu usi misericordia a chi usi misericordia ed hai pietà di chi avrai avuto misericordia. Hai, dunque, voluto che ti amassimo, noi che non potevamo essere salvati con giustizia se non amandoti, e non potevamo amarti se questo amore non fosse venuto da te. Tu, Signore, come dice l’Apostolo del tuo amore e come abbiamo già detto anche noi, ci hai amati per primo e per primo ami tutti coloro che ti amano.

 

Nello Spirito santo

 

18. Noi ti amiamo, pertanto, con quel sentimento d’amore che tu hai infuso in noi. Ma tu, creatore di ogni cosa, autore di tutti i nobili sentimenti e delle anime che ne sono toccate, ami forse con un sentimento d’amore fortuito o casuale quelli che ami, e ne vieni in qualche maniera modificato, tu che crei tutto e tutti? Certamente, no! È assurdo, contrario alla fede, incompatibile con il creatore di tutto! In che modo, dunque, ci ami, se non ci ami attraverso l’amore? Ma il tuo amore, la tua bontà, o somma bontà e sommo bene, è lo Spirito santo, che procede dal Padre e dal Figlio, il quale fin dall’inizio della creazione aleggia sulle acque, cioè sulle menti fluttuanti dei figli degli uomini, offrendosi a tutti e tutti attirando a sé col suo soffio, tenendo lontano ciò che è dannoso e procurando ciò che è utile, unendo Dio a noi e noi a Dio.

Così, infatti, il tuo Spirito santo, che è chiamato l’amore, l’unità e la volontà del Padre e del Figlio, che per sua grazia abita in noi e in noi riversa la carità di Dio e mediante essa lo lega a noi, ci unisce a Dio ispirando in noi la volontà del bene e questo slancio della volontà buona viene in noi chiamato amore, col quale amiamo ciò che dobbiamo amare, cioè te. Infatti, l’amore non è nient’altro che volontà ardente e bene ordinata.

 

19. Tu dunque, o amabile Signore, ti ami in te stesso, quando dal Padre e dal Figlio procede lo Spirito santo, amore del Padre per il Figlio e del Figlio per il Padre; e l’amore è tanto grande, da essere unità; e l’unità è tanto grande, da essere homousion, cioè la stessa sostanza del Padre e del Figlio. Tu ami ancora te stesso in noi, quando mandi nei nostri cuori lo Spirito del Figlio tuo, il quale, con la dolcezza dell’amore e con lo slancio della buona volontà, che tu ci infondi, grida: Abbà, Padre (Galati 4,6). In tal modo ci rendi amanti tuoi; più ancora: ami te stesso in noi, cosicché noi, che già prima dimoravamo nella speranza, perché conoscevamo il tuo nome, o Signore, e ci gloriavamo in te; noi, che in te, o Signore, amavamo il nome del Signore, adesso, possedendo la certezza, in virtù della grazia che ci è stata infusa e dello Spirito di adozione, che tutto ciò che appartiene al Padre è nostro, noi ti invochiamo, in virtù della grazia dell’adozione, con lo stesso nome, col quale ti chiama il tuo unico Figlio in virtù della medesima vostra natura.

 

20. Ma poiché tutti questi doni provengono interamente da te, per il quale amare significa beneficare, del quale, o Padre della luce, ogni elargizione è eccellente ed ogni dono perfetto (Giacomo 1,17), è te stesso che ami in noi e noi in te, mentre è grazie a. te che noi ti amiamo; e noi riusciamo ad esserti uniti, nella misura in cui meritiamo di amarti, divenendo così beneficiari, come è stato detto, di quella preghiera di Cristo tuo figlio: Voglio che, come tu ed io siamo una cosa sola, così anch’essi siano in noi una cosa sola (Giovanni 17,21). Siamo, infatti, tua stirpe, Signore, stirpe di Dio, come dice il tuo Apostolo, trasferendo la sentenza dei pagani da un vaso cattivo in un vaso buono, in modo da non gustare altro che la stessa sentenza e il vaso buono. Noi siamo, ripeto, stirpe di Dio, tutti dèi e figli dell’Altissimo (Salmo 81,6), rivendicando per noi, grazie a una certa parentela spirituale, una profonda affinità con te, dal momento che, in virtù dello spirito di adozione, il Figlio tuo non disdegna di condividere lo stesso nostro nome e noi, con lui e per lui, obbedienti al comando del Salvatore e formati al suo divino insegnamento, osiamo dire: Padre nostro, che sei nei cieli (Matteo 6,9). Tu, dunque, ci ami nella misura in cui ci rendi amanti tuoi e noi ti amiamo nella misura in cui riceviamo da te il tuo Spirito, che è il tuo amore, il quale occupa e possiede tutti gli angoli più riposti dei nostri affetti e li converte, nel modo perfetto che sa, nella purezza della tua verità, nella verità della tua purezza, nella piena consonanza col tuo amore; e si produce un’unione così stretta, un’adesione così totale, un godimento così intenso della tua dolcezza, che lo stesso tuo Figlio, nostro Signore, la chiama unità, quando dice: Che essi siano in noi una cosa sola; e questa unità possiede una dignità così nobile, una gloria così alta, che egli prosegue dicendo: Come tu ed io siamo una cosa sola. O gioia, o gloria, o ricchezza, o superbia! Infatti, anche la sapienza possiede un certo genere di superbia, tutto suo, quando afferma: Presso di me si trovano ricchezze e gloria, beni superbi e giustizia (Proverbi 8,18).

 

21. Ora, che cosa c’è di più assurdo di essere uniti a Dio nell’amore e di non esserlo nella beatitudine? Infatti, veramente, unicamente, singolarmente e perfettamente beati sono coloro che veramente e perfettamente ti amano. Nessuno, al contrario, e in nessun modo è beato, se non ti ama. Infatti, hanno dichiarato beato il popolo che possiede questi beni, ma mentono, perché beato è soltanto colui, il cui Dio è il Signore (Salmo 143,15). Che cosa vuol dire, infatti, essere beato se non volere solo il bene e possedere tutto ciò, che in tal modo si vuole? Pertanto, volere te stesso, volerti con tutte le tue forze, cioè amarti, e amarti in modo esclusivo – dal momento che non sopporti di essere amato accanto a nessun’altra cosa, sia carnale, spirituale o terrena, che non sia amata per te – questo, in definitiva, è non volere altro che il bene, questo è possedere tutto ciò che si vuole, dato che uno ti possiede, nella misura in cui ti ama.

Dunque, uniti a Dio nell’amore e nella beatitudine, comprendiamo che dal Signore viene la salvezza e la tua benedizione è sopra il tuo popolo (Salmo 3,9). Per questo noi offriamo continuamente le nostre preghiere, i nostri voti e sacrifici con tutto quanto abbiamo a te, Padre, mediante il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio tuo, perché noi crediamo e comprendiamo che tutto ciò che di buono noi possediamo, l’abbiamo da te, grazie a te e per te, attraverso la mediazione di colui dal quale riceviamo la nostra stessa esistenza.

 

22. E tutto questo noi crediamo e comprendiamo, per quanto ci è consentito di farlo, grazie all’assistenza del tuo Spirito santo, che abita in noi, il quale, come è stato affermato, conformando e unificando a sé il nostro spirito, effonde il suo soffio su di noi quando, come e quanto vuole. Noi siamo opera sua, creati per le opere buone ed egli è la nostra santificazione, la nostra giustificazione e il nostro amore. Infatti, è proprio lui il nostro amore, grazie al quale noi possiamo raggiungerti e stringerci a te. Del resto, o inafferrabile maestà, sembri lasciarti conquistare dall’anima che ti ama. Benché, infatti, nessuno dei sensi di una qualunque anima o spirito ti colga, tuttavia, tutto intero e grande quanto sei, riesce a stringerti l’amore di chi ti ama, che ti ama tutto intero e grande quanto sei, se pur v’è totalità dove non vi sono parti, grandezza dove non v’è misura, possesso dove non vi sono realtà di tal genere.

 

23. Ma quando ti amiamo, il nostro spirito, in realtà, è mosso dal tuo Spirito santo, mediante il quale, dal momento che abita in noi, possediamo la carità di Dio, diffusa nei nostri cuori. E quando il tuo amore, amore del Padre per il Figlio, amore del Figlio per il Padre, lo Spirito santo che dimora in noi, è nei tuoi confronti ciò che egli è, cioè l’amore, che converte a sé e santifica ogni schiavitù di Sion, vale a dire ogni moto dell’anima nostra, allora sì che noi ti amiamo, o, meglio, sei tu che ami te stesso in noi; noi con un generico sentimento di affettività, tu con l’efficacia realizzatrice, rendendoci una cosa sola in te grazie al tuo stesso vincolo unificante, vale a dire il tuo Spirito santo in persona, che tu ci hai donato. Di modo che, come per il Padre conoscere il Figlio non è altro che essere ciò che il Figlio è; e come per il Figlio conoscere il Padre non è altro che essere ciò che il Padre è – donde le parole evangeliche: Nessuno conosce il Padre, se non il Figlio, e nessuno conosce il Figlio, se non il Padre (Matteo 11,27) – e come per lo Spirito santo conoscere e comprendere il Padre e il Figlio non è altro che essere ciò che il Padre e il Figlio sono; così per noi, che siamo stati creati a tua immagine, che per la colpa di Adamo siamo decaduti da essa, che grazie a Cristo veniamo rinnovati in essa di giorno in giorno; per noi, che amiamo Dio, amare e temere Dio, e osservare i suoi co­mandamenti, non è altro che esistere davvero ed es­sere con Dio un unico spirito. Infatti, temere Dio e osservare i suoi comandamenti: questo è tutto l’uomo (Qoelet 12,13).

O adorabile, o temibile, o benedetto, donalo a noi! Effondi il tuo Spirito e ogni cosa sarà creata, e rinno­verai la faccia della terra (Salmo 31,6). Infatti, non è nel diluvio di una moltitudine di acque, non è nell’agitazione e nel rimestamento di molteplici e diversi stati d’animo che gli uomini si avvicineranno a Dio. È durato già abbastanza, Signore, questo cataclisma, questa punizione dei figli di Adamo. Manda lo spirito sulla terra, si ritiri il mare, si ritiri la salsedine dell’antica condanna e appaia l’asciutto, assetato della fonte della vita. Venga la colomba, lo Spirito santo e cacci via il lugubre rapace, che si getta sulle sue carogne! Venga, ripeto, la colomba, il ramo d’ulivo, ramo di ristoro e di luce, che annuncia la pace! Ci santifichi la tua santità e il dono della santificazione che ci fai, ci unisca la tua unità, perché possiamo, per una sorta di parentela e di affinità, essere associati a Dio dal nome della carità, essere uniti a lui dall’eccellenza di questo stesso nome!

 

La vera filosofia

 

24. È importante, però, Signore, il modo in cui ciascuno ti ama. Molti, infatti, come ha detto qualche mente da te illuminata, amano la verità quando ri­splende, ma non l’amano quando rimprovera; molti sono cultori della giustizia nel loro animo, mentre se ne allontanano nelle loro azioni, approvandola ed amandola in se stessa, ma non mettendola in pratica nella propria persona.

Costoro ti amano forse davvero, o Dio, vera giustizia? Costoro ti amano forse davvero? Un tempo i filosofi di questo mondo la coltivarono sia con un intimo sentimento amoroso sia con l’efficacia delle opere, tanto da poter affermare di se stessi: I buoni hanno avuto in odio il peccato per amore della virtùTuttavia, è dimostrato irrefutabilmente che essi non hanno amato la giustizia, poiché non hanno amato te, che ne sei la fonte e l’origine, il punto dove termina e donde ricomincia la vera giustizia e senza il quale ogni forma di giustizia umana è come uno straccio immondo. Essi, infatti, non possedevano la fede che opera per mezzo della carità (Galati 5,6), benché nutrissero un certo amore per l’onestà e la mettessero anche in opera: perché queste non avevano la loro sorgente né il loro fine nella vera giustizia e tanto più vagavano senza speranza, quanto più se ne correvano lontano dalla giusta via. Infatti, la via, o Padre, è il tuo Figlio, che ha detto: Io sono la via, la verità e la vita (Giovanni 14,6).

 

25. Dunque, la tua verità, che è anche la vita verso la quale siamo diretti, la via sulla quale avanziamo, ci traccia la forma pura, vera e semplice della divina e vera filosofia, quando disse ai discepoli: Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come anch’io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore (Giovanni 15,9 10).

Ecco l’amato dell’amato, come si legge nel Salmo: quando il Padre ama il Figlio (Giovanni 3,35), anche il Figlio rimane nell’amore del Padre fino al perfetto adempimento dei suoi comandamenti. Ecco ancora l’amato dell’amato, quando il discepolo amato ama Cristo, suo maestro, fino all’adempimento di tutti i suoi precetti; e quando non deflette da questa volontà fino all’evento ineluttabile della morte, illuminato dalla sua verità e dal suo amore: avendo da un lato tutto ciò che lo rende atto al bene e dall’altro ciò che lo inclina al male e al centro ciò che è intermedio tra l’uno e l’altro, egli ne fa un uso buono in vista del bene: ed è questo che caratterizza la virtù cristiana.

La virtù, infatti, come è già stato detto prima di noi, consiste nel buon uso della volontà libera e l’azione virtuosa è il buon uso di quelle realtà, di cui potremmo anche usare in malo modo. Perciò, affinché la carità non sia monca, ci viene insegnato ad amare il prossimo secondo la legge della pura carità, di modo che, come Dio, in noi, non ama altro che se stesso, e come noi abbiamo imparato ad amare in noi soltanto Dio, così cominciamo ad amare il prossimo come noi stessi, nel quale amiamo soltanto Dio come in noi stessi.

 

26. Ma perché, Signore, tante parole? La mia povera anima, Signore, è nuda, fredda e intirizzita e desiderosa di essere riscaldata dal calore del tuo amore. E così, non possedendo veste, vado raccogliendo e cucendo insieme questi brandelli di stoffa, raccattati da ogni parte, per coprire la mia nudità; e a differenza di quella saggia donna di Sarepta (1 Re 17,9-24), io raccolgo non due bei pezzi di legna, ma appena questi minuti ramoscelli dalla vastità del mio deserto, dal vuoto sterminato del mio cuore, affinché, una volta entrato al riparo della mia casa, possa prepararmi, con un pugno di farina e l’olio dell’idria, di che mangiare e morire. Ma non morirò così presto; anzi, Signore, non morirò, ma vivrò e racconterò le opere del Signore (Salmo 118,17).

Stando, dunque, rinchiuso nella solitudine della mia casa come un solitario asino selvatico dimora in questa terra salmastra e aspirando il soffio del mio amore, apro a te, Signore, la mia bocca e aspiro lo spirito. E talvolta, Signore, mentre me ne sto come proteso verso di te, con gli occhi chiusi, tu mi metti sulla bocca del cuore qualche cosa, che non mi è consentito sapere. Ne sento il sapore, così dolce, così soave, così appagante che, se si esaurisse in me, di nient’altro andrei in cerca.

Ma quando io la ricevo, tu non mi concedi di coglierne la natura né con gli occhi del corpo né coi sensi dell’anima né con l’intelligenza della mente; quando la ricevo, voglio trattenerla e rimasticarla, cercando di distinguerne il sapore, ma subito svanisce. Di certo io la deglutisco, qualunque essa sia, nella speranza della vita eterna; ma ruminando a lungo gli effetti benefici della sua azione, io vorrei trasfonderla in tutte le vene e il midollo della mia anima, come un succo vitale, che le renda insipida ogni altra sensazione e che le faccia gustare sempre e soltanto questo; ma essa si affretta a dileguarsi.

 

27. Se poi mi sforzo, in seguito alle indagini, all’accoglimento e all’uso, di fissarne nella memoria qualche tratto preciso o di venire in soccorso alla labilità della memoria scrivendolo, sono costretto, nella realtà e per esperienza, ad imparare che cosa significa ciò che tu dici nel Vangelo a proposito dello Spirito: Non sai donde viene né dove va (Giovanni 3,8). Infatti, tutto quanto mi son studiato di affidare alla memoria, almeno nelle sue linee essenziali, per potervi poi ritornar sopra in qualche modo e raccogliermici quando vorrò, sottomettendolo così alla mia volontà, tutte le volte che lo vorrò; e sentendo poi affermare dal Signore che lo Spirito soffia dove vuole (Giovanni 3,8), e avvertendo, inoltre, nel mio intimo che soffia non quando voglio io, ma quando vuole lui: allora, io trovo tutti questi sforzi sterili e insipidi, e scopro che verso te soltanto devo levare gli occhi, o fonte della vita, perché soltanto nella tua luce posso vedere la luce.

Verso di te, dunque, o Signore, è e sia sempre rivolto il mio sguardo; verso dite, in te e grazie a te siano indirizzati tutti i progressi dell’anima mia; e quando la mia forza, che è una nullità, verrà meno, i miei cedimenti continuino a sospirare dietro a te.

Ma, intanto, quanto tempo ancora mi farai aspettare? Per quanto tempo ancora lascerai che si trasci­ni dietro a te l’infelice, angosciata e assetata anima mia? Nascondimi, ti scongiuro, nel segreto del tuo volto, lontano dal tumulto degli uomini, mettimi al riparo nella tua tenda dallo strepito delle parole (Salmo 30,21). Ma già l’asino del mio corpo mi chiama e i fanciulli fanno un gran baccano.

 

28. Ora dunque, Signore, con fede piena ti onoro come Dio, principio unico di tutte le cose, sapienza grazie alla quale è sapiente ogni anima sapiente, e dono stesso, in virtù del quale sono beate tutte le realtà beate. Te, unico Dio, io onoro, adoro, benedico: te con tutto il mio cuore, con tutta la mia mente e con tutte le mie forze io amo o amo e desidero di amare. Chiunque tra gli angeli o tra gli spiriti buoni ti ama, io so che ama anche me, perché anch’io mi amo in te. Chiunque rimane in te ed è in grado di ascoltare le preghiere e i sentimenti degli uomini, io so che mi esaudisce in te, così come anch’io in te esulto per la loro gloria. Chiunque ti possiede come suo bene, in te mi presta soccorso e non è capace di invidia nei miei confronti, se anch’io sono partecipe di te.

È caratteristico soltanto di uno spirito apostata di fare della nostra miseria la sua gioia e del nostro bene il suo danno: certamente perché, decaduto dal comune bene di tutti e dalla vera beatitudine, non è più sottomesso alla verità, godendo perciò solo del suo tornaconto particolare e odiando il bene comune a tutti.

Te, dunque, Dio Padre, creatore cui dobbiamo la vita; te, Sapienza del Padre, dalla cui potenza rigenerati possiamo vivere nella sapienza; te, santo Spirito, il quale e nel quale amando, beatamente viviamo e ancor più beatamente vivremo; o Trinità di un’unica sostanza, unico Dio, dal quale, grazie al quale e nel quale esistiamo; dal quale col peccato ci siamo allontanati, dal quale ci siamo resi dissimili, dal quale però non ci è stato permesso di andare in perdizione; principio al quale noi ritorniamo, grazia con la quale veniamo riconciliati: noi ti adoriamo e ti benediciamo; a te gloria nei secoli. Amen.

 È san Bernardo: Sermone sul Cantico dei Cantici, XX,9.

 Agostino, Confessioni, X,23,34.

 Orazio, Lettere, I, 16, 52.

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