LETTERA AI VESCOVI DELLA VAL PADANA


La condizione dei salariati e dei braccianti della Val Padana, benché non sia neppur da confrontarsi con la condizione dei braccianti meridionali, é preoccupante sotto molti aspetti, non ultimo quello religioso.
Il clero rurale, che ne condivide la dura vita e le molte tribolazioni, é in pena e in allarme da molti anni.
Non é la prima volta che " Adesso " apprende dalla viva voce di codesti umili e mirabili testimoni del mondo contadino, la segreta sofferenza la quale misura giorno per giorno il venir meno in buone creature di quei sentimenti e di quella sanità morale e cristiana, che ne fanno il sale della terra.
Con opportuna misura e squisita carità, i sacerdoti rurali di cui pubblichiamo l'appello o la preghiera ai Vescovi della VaI Padana, si limitano a denunciare la disuguaglianza di trattamento tra il mondo operaio e il mondo contadino nel campo delle previdenze e delle assistenze sociali, dove un po' più di vigilanza e di equità da parte di chi ne ha il dovere e ne é il custode basterebbero a porvi rimedio.Operazione di battitura
I problemi si ingrossano paurosamente quando ci si dimentica di questo rispetto dell'uomo, che é il fondamento della giustizia sociale.
La voluta moderazione dell'appello, se ben s'addice alla carità dell'opera e della presenza sacerdotale, non riduce la vastità del problema contadino, di cui non propone una soluzione radicale, che va però cercata con urgente e audace impegno dai cristiani che operano in campo sociale e politico.
Per il momento può alquanto placare l'acerbità dell'umiliazione e dell'abbandono la certezza che i sacerdoti contadini, vivono e soffrono con occhio e cuore aperto le loro tribolazioni e ne sanno parlare con chiara e ferma parola.
E' vero: sono profeti disarmati, come i loro Vescovi, ma fra tante stolte accuse d'indebita ingerenza della Chiesa nelle cose temporali, il loro lamento accorato e allarmato é la conferma di una sollecitudine pastorale che abbraccia ogni pena dell'uomo, i suoi diritti umani, la sua cristiana dignità.
Niente é fuori della carità sacerdotale, che é la più completa delle giustizie.

<<da Adesso>>


--------------------------------------------------------------------------------

Sul finire di gennaio, casualmente, nella canonica di un loro confratello, pur lui parroco di uno dei tanti paesi della Val Padana, che scende da Vercelli a Ferrara (la piana più larga e più fertile d'Italia, dove l'agricoltura raggiunge il massimo di perfezione tecnica e medie altissime di produzione) si sono incontrati alcuni sacerdoti rurali.
Senza proporselo e quasi senza volerlo, solo per quel portare nel cuore la propria gente, che é di ogni sacerdote in cura d'anime, il discorso é caduto su questa eminente e cara porzione del loro gregge.
Alla fine dl un fraterno scambio d' impressioni e di pene, essi si sono trovati d'accordo sovra un certo numero di constatazioni e di considerazioni, che umilmente presentano alla paterna carità dei loro Vescovi, non perché essi abbiano bisogno di nuova incompleta presentazione per colmare il calice delle loro preoccupazioni pastorali, ma per far comunione insieme nell'unità dell'Altare e della Missione e per dare consolazione alla propria solitudine disarmata.

Questi i fatti:

1 Esclusi i coltivatori diretti e i pochi mezzadri, che con l'assistenza dello Stato e delle loro forti organizzazioni stanno provvedendo a se stessi in modo equo e ragionevole, i saiariati e i braccianti, nonostante il patrocinio dei Sindacati e dell'Acli-terra, vivono tuttora in condizione di notevole inferiorità, rispetto anche agli altri lavoratori non qualificati.
In Val Padana raggiungono i trecentomila, distribuiti in grandi e medie aziende, di cui un quinto a conduzione diretta, da parte dello stesso proprietario della terra, il restante in mano degli affittuari.
Nella " cascina ", che, pur variando di provincia in provincia, é sempre una realtà moralmente, socialmente ed edilmente depressa, vivono i salariati e gran parte dei braccianti con le loro famiglie: una popolazione che s'avvicina a un milione e mezzo di anime.

2 L'esodo dei rurali, specialmente dei giovani, che sono i peggio trattati é in contintio aumento.
Se, ieri, il fenomeno poteva essere guardato come un alleggerimento dell'eccessivo peso di mano d'opera contadina, oggi, preoccupa, non solo come occasione di sbandamento morale e religioso, ma per una insufficienza di braccia, già notevole in alcune categorie (bergamini, mandriani, ecc.).

3 La cascina é, d'ordinario, sotto guida socialcomunista, anche se perdura una certa tradizione religiosa e una discreta sanità morale.
L'una e l'altra però, sono in continuo decadimento.
Le Chiese vengono disertate: la sfiducia verso il sacerdote sistematica: il materialismo si fa costume prima di farsi Ideologia.
Essi credono che la strada socialcomunista sia quella dei poveri: il che li rende sindacalmente tetragoni anche quando s'accorgono d'essere poco assistIti e lifesi dai " loro ".

4 Più che rivoltosi, i salariati e i braccianti son gente avvilita, in cerca di un bene familiare più che di classe, disposti a qualsiasi dimissione, pur di sistemarsi.
Nel loro avviliniento, di origine economica, morale e politica, c'é parecchio risentimento e parecchia avversione verso il " padrone " che non li tratta sempre bene: verso il Govenio che li trascura e facilita invece le migliorie di altre categorie: verso i " preti " che non li tutelano abbastanza e che " sono di là ".
Più del mondo operaio, il mondo contadino rischia di divenire la massa di manovra dell'antidemocrazia e dell'anticlericalismo...

5 Il rapporto numerico tra salariati e braccianti - questi ancor più malandati dei primi - é di tre contro uno: un salariato e tre braccianti.
I quali sono suddivisi nelle seguenti categorie:

braccianti permanenti,
se lavorano da 201 giornate in più

braccianti abituali,
se lavorano da 151 giornate a 200

braccianti occasionali,
se da 101 giornate a 150

braccianti eccezionali,
se da 51 giornate a 100

braccianti speciali,
che hanno lavorato da 1 a 50 giornate (questi ultimi non beneficiano di assegni famigliari ne di mutua).

 

Queste le considerazioni:
Concordi sui fatti, si sono pure trovati unanimi su alcune considerazioni elementari e di maggior urgenza.
Essi non si sono attardati sul problema delle cause e dei rimedi, ben oltre le loro possibilità, non oltre il loro comprendimento e il loro cuore.
Per la stessa ragione, non si sono occupati della " riforma agraria in Val Padana " argomento assai delicato e complesso: né delle " case coloniche " tuttora poco salubri ed ancor meno ospitali, in gran parte delle cascine, né sostano a deplorare le relazioni ancor poco umane tra padrone e contadino, né il vivere disagiato delle cascine, né il lavoro duro, anche se all'aria e al sole, né su tante altre pene di una condizione che essi ben conoscono.
Perché la loro povera voce possa venire ascoltata nella carità sofferente dei Vescovi, che sanno e soffrono come e pi- dei loro preti rurali, limitano le proprie osservazioni sulla disparità di trattamento da parte degli Istituti previdenziali e assistenziali dello Stato nei confronti degli lavoratori dell'industria, come se il contadino fosse un lavoratore di scarso rendimento, un cittadino di secondo bando, un uomo minore.

1 Il salario di un contadino, casa compresa e le altre aggiunte‚ inferiore alla paga dell'ultimo manovale dell'industria.
Esso comporta poche variazioni in meglio, poiché‚ le qualifiche in agricoltura riguardano piuttosto la pesantezza del lavoro che la qualità del lavoratore.

2 La paga del bracciante é di circa L. 163 all'ora (120 sul Veneto).
Il caropane, in ragione di L. 30 al lavoratore, L. 20 per la moglie L. 20 per ogni figlio sotto gli anni 14 e per ogni genitore a carico, in relazione ad ogni giornata di lavoro, non viene corrisposto dal 90% circa dei datori di lavoro.
Circa il 75 % di essi segnano sul Libretto di Lavoro del bracciante un numero di giornate diffalcato del 30 % rispetto a quelle effettivamente eseguite.
Nel caso poi di lavoratori celibi, il numero delle giornate subisce una falcidia del 70% .
Per ogni giornata segnata in meno al lavoratore, il datore di lavoro risparmia Lire 229.07, ed il bracciante perde gli assegni famigliari, che in agricoltura sono la metà di quelli dell'industria.

3 In caso di infortunio o malattia, il bracciante permanente riceve l. 150 al giorno; il bracciante abituale ed occasionale Lire 100; L. 60 il bracciante eccezionale.

4 I braccianti permanenti e abituali hanno diritto al medico, medicine ed ospedale per sé; per moglie e figli e genitori a carico, di medico e di ospedale, non d'assistenza farmaceutica.
Gli occasionali ed eccezionali, hanno diritto soltanto per s‚ al medico e all'ospedale, non alle medicine: e nessuna assistenza per i famigliari.

5 Per i lavoratori dell'industria le malattia professionali riconosciute e per le quali‚ previsto un trattamento di favore sotto ogni aspetto, sono circa quaranta.
Per i lavoratori dei campi, ancora niente: come se l'aria e il sole bastassero a tener lontano dal contadino ogni inconveniente del mestiere.

6 Le pensioni per vecchiaia sino al 31 dicembre 1957, vanno da un minimo di L. 3500 al mese ad un massimo di L. 5000 .

7 Per aver diritto all'indennità di disoccupazione, il bracciante deve aver lavorato ad un numero inferiore alle 179 giornate.
Se ne ha eseguite soltanto 150, essendo fissato il limite di raffronto a 220, percepisce la disoccupazione per 70 giorni: 270 Lire al giorno per sé; 81 Lire per la moglie e per ogni figlio fino al 16° anno.

8 La sperequazione delle paghe, degli assegni famigliari, di malattia, disoccupazione ecc. tra il lavoratori della terra e quelli dell'industria, pi- che ingiusta ‚ umiliante.
Le madri, le spose, i figli dei lavoratori dei campi, son forse meno meritevoli ed non hanno bisogni eguali delle madri, spose e figli dei lavoratori dell'industria e del commercio?
Questo discorso‚ antieconomico, ma siccome queste diseguaglianze sono antiumane e antipolitiche, a lungo andare ne soffre anche l'economia, perché l'uomo‚ al centro dell'economia.
Si dice che la crisi agricola non permette l'adeguazione; ma perché non considerare le braccia dell'uomo e la sua collaborazione un elemento della produttività, la quale non lesina ne‚ in macchine ne in concimi?

9 Pare che le Associazioni padronali ci trovino gusto ad elargire invece di riconoscere il diritto, come fanno nelle contrattuazioni annuali per la farmaceutica.
E così creano quel dissapore che a poco a poco si tramuta in rancore e che non si ferma neppure sulle soglie delle nostre Chiese, rendendo assai difficile la nostra opera pastorale.

10 Vogliamo dire una parola anche sulle Colonie per i figli dei contadini: un'iniziativa che in qualche provincia a fatto la sua apparizione per un anno o due e poi, più nulla: mentre quasi tutte le grandi industrie provvedono signorilmente ai figli dei propri dipendenti.
Perché non é mai passato nella mente della Confagricoltura un'iniziativa di questo genere, che renderebbe assai di più di certe sovvenzioni a sfondo politico?
Il bene disarma e il denaro spesso per esso, torna dentro in serenità di animi e di fermento di pacificazione.
I nostri Vescovi, si domanderanno perché ci rivolgiamo ad essi e non al Governo: perché oggi e non prima.
Abbiamo parlato anche prima, ma é così poca la nostra autorità che nessuno ha badato al nostro lamento.
Non sono poi mancati coloro che ci hanno dato sulla voce, accusandoci di pauperismo e di filocomunismo.
Il governo ora vede, ora non vede.
E quando mostra di vedere, gli legano le mani con la produttività e con gli altri miti, che mettono in soggezione persino dei ministri, che si dicono gli assertori della dottrina sociale della Chiesa.
E poi, fan questione di bilancio: non ci stan dentro, e intanto si buttano via 32 miliardi annui per la gente del Cinema e del Teatro, che vien pagata a milioni.
Basterebbe questa somma, spesa cosi male, almeno senza necessità.. e senza utili, per portare un po' più vicino all'equità i trecentomila salariati e braccianti, che vedono soltanto passare attraverso la fatica della loro mano, la ricchezza della Valle del Po.
Il Governo non ci ascolta e portiamo la nostra pena al Vescovo "padre del popolo" la "voce degli ultimi", il tutore dei poveri e dei dimenticati.
Questa pena ‚ il "cattedratico" che il presbitero rurale mette nelle Mani dell'Episcopo, perché dopo averla offerta in silenzio al Signore, la gridi dai tetti a coloro, che, avendo il potere e la ricchezza, amministrino la fatica del povero secondo la misura della divina paternità.

 

don Giovanni Barchi - Gambara (Brescia)

don Samuele Battaglia - Gambara (Brescia)

don Franco Bellò - Migliaro (Cremona)

don Giuseppe Chiodi - Fiesse (Brescia)

don Cesare Fontana - Castelverde (Cremona)

don Primo Mazzolari - Bozzolo (Mantova)

don Gino Porta - Gottolengo (Brescia)

don Marino Santini - Bozzolo (Mantova)

 

 

Questo sito utilizza i cookie e tecnologie simili necessarie al funzionamento e per una migliore navigazione. Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookies

Privacy Policy