I.

LA STESSA VITA SI E' MANIFESTATA

Abbiamo toccato il Verbo di Dio

1. Quello che era da principio, quello che abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi e le nostre mani hanno toccato del Verbo di vita (1 Gv 1, 1). Uno che con le sue mani tocca il Verbo, può farlo unicamente perché "il Verbo si è fatto carne ed abitò tra noi" (Gv. 1, 14). Questo Verbo fatto carne fino a potersi toccare con le mani, incominciò ad essere carne nel seno della Vergine Maria. Non fu però allora che incominciò ad essere Verbo, perché lo stesso Giovanni dice che il Verbo "era da principio". Dal momento che avete appena da poco ascoltato le parole: "In principio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio" (Gv. 1, 1), potete confrontare se Giovanni nella sua Epistola sia in perfetta armonia col suo Vangelo. Qualcuno potrebbe prendere "Verbo di vita" come una certa espressione per designare il Cristo e non il corpo stesso di Cristo che fu toccato con le mani; ma osservate le parole che seguono: e la vita stessa si è manifestata (1 Gv. 1, 2). Dunque Cristo è il Verbo di vita. Ma come si è manifestata? Essa era fin dall'inizio, ma ancora non si era manifestata agli uomini; s'era invece manifestata agli angeli che la contemplavano e se ne cibavano come del loro pane. Ma che cosa afferma la Scrittura? "L'uomo mangiò il pane degli angeli" (Sal. 77, 25). Dunque la vita stessa si è manifestata nella carne. Si è fatta contemplare manifestandosi affinché fosse vista anche dagli occhi la realtà che solo il cuore può vedere, e così i cuori avessero a guarire. Solo col cuore si vede il Verbo, con gli occhi del corpo invece si vede anche la carne. Noi potevamo vedere la carne, ma per vedere il Verbo non avevamo gli occhi; per questo "il Verbo si è fatto carne", carne a noi visibile, affinché fossero risanati in noi quegli occhi che soli ci possono far vedere il Verbo.

Sposalizio tra il Verbo e la carne

2. Noi abbiamo veduto e siamo testimoni (1 Gv. 1, 2). Forse alcuni di voi, fratelli, ignari di greco, non sanno quale significato ha in greco il termine "testimoni", termine comunissimo entrato nel vocabolario religioso. Il greco chiama "martiri" quelli che noi latini diciamo "testimoni". E chi mai non sentì parlare di martirio? Su quali labbra di cristiano non risuona ogni giorno il nome dei martiri? Potesse quel nome stabilirsi anche nel nostro cuore, tanto da farci imitare le sofferenze dei martiri e non mettere invece sotto i piedi i loro esempi. Per questo Giovanni ci ha detto: "Noi abbiamo veduto e siamo testimoni": noi abbiamo veduto e siamo martiri. Essi, dando testimonianza sia di quanto videro come di quanto udirono da coloro che erano stati testimoni oculari, sopportarono tutte le sofferenze del martirio, perché quella testimonianza spiacque agli uomini contro i quali era diretta. I martiri sono i testimoni di Dio. Dio volle avere come suoi testimoni gli uomini, affinché a loro volta gli uomini avessero come loro testimone Dio stesso.

"Abbiamo veduto - dice Giovanni - e siamo testimoni". Dove videro? Nella sua manifestazione. Che significa nella sua manifestazione? Nel sole, cioè in questa luce visibile. Ma colui che fece il sole, come poté essere visto nel sole, se non perché egli "ha posto nel sole la sua tenda e, quale sposo che esce dal talamo, balzò innanzi, come un gigante, verso la sua meta" (Sal. 18, 6)? Chi fece il sole e prima del sole, prima della stella del mattino, prima degli astri tutti, prima di tutti gli angeli. Egli è il vero creatore, poiché: " Tutto per mezzo di lui fu fatto e senza di lui niente fu fatto" (Gv. 1, 3); ma perché anche con quegli occhi della carne che vedono il sole egli potesse essere visto, pose la sua dimora nel sole stesso, manifestò cioè la sua carne nel chiarore di questa luce terrena. L'utero della Vergine fu la sua stanza nuziale, poiché è là che si sono uniti lo Sposo e la sposa, il Verbo e la carne. Poiché sta scritto: " E saranno i due una sola carne" (Gen. 2, 24); ed anche il Signore dice nel Vangelo: "Dunque non sono due, ma una sola carne" (Mt. 19, 6). Molto opportunamente Isaia ricorda che quei due sono un solo essere; parlando in persona di Cristo dice: "Egli pose sul mio capo una mitra come al suo sposo e mi arricchì di un ornamento come la sua sposa" (Is. 61, 10). Qui, come si vede, è uno solo che parla e si dichiara insieme sposo e sposa, poiché non sono due, ma una sola carne. E ciò avviene perché "il Verbo si è fatto carne ed abitò tra noi". La Chiesa si unisce a quella carne, e si ha così il Cristo totale, capo e membra.

Conosciamo il Verbo con gli occhi della fede

3. Noi - dice Giovanni - siamo testimoni e vi annunciamo la vita eterna che era presso il Padre e si è manifestata in noi, cioè in mezzo a noi; più chiaramente si direbbe: manifestata a noi. Le cose dunque che abbiamo visto e sentito le annunciamo a voi. Faccia bene attenzione la vostra carità: "Le cose che abbiamo visto e sentito le annunciamo a voi". Essi videro presente nella carne il Signore stesso, da quella bocca raccolsero le sue parole e ce le hanno trasmesse. Perciò anche noi abbiamo sentito, anche se non abbiamo visto. Siamo forse meno fortunati di quelli che videro e udirono? Ma perché allora aggiunse: Affinché anche voi abbiate comunione con noi (1 Gv. 1, 2-3)? Essi videro, noi no, e tuttavia noi e loro siamo una cosa sola; la ragione è questa, che abbiamo la stessa fede.

Ci fu un tale che, avendo visto, non credette e volle toccare con mano per arrivare in questo modo alla fede. Disse costui: "Io non crederò se non metterò le mie dita nel segno dei chiodi e non toccherò le sue cicatrici". Il Signore apparve all’improvviso per lasciarsi toccare dalle mani degli uomini, lui che sempre si offre allo sguardo degli angeli; il discepolo allora avvicinò la sua mano ed esclamò: "Signor mio e Dio mio!". Egli toccò l'uomo e riconobbe Dio. Il Signore allora, per consolare noi che non possiamo stringerlo con le mani, essendo egli già in cielo, ma soltanto raggiungerlo con la fede, gli disse: "Tu hai creduto, perché hai visto: beati quelli che credono senza vedere" (Gv. 20, 25-29). In questo passo siamo noi ad essere indicati. S'avveri dunque in noi quella beatitudine che il Signore ha preannunziato per le future generazioni; restiamo saldamente attaccati a ciò che non vediamo, perché essi che videro ce l'attestano. "Affinché - afferma Giovanni - anche voi abbiate comunione con noi". Che c'è di straordinario ad aver comunione con degli uomini? Aspetta ad obiettare; considera ciò che egli aggiunge: E la nostra comunione sia con Dio Padre e Gesù Cristo suo Figlio. Queste cose ve le scriviamo, affinché sia piena la vostra gioia (1 Gv. 1, 4). Proprio nella vita in comunione, proprio nella carità e nell'unità, Giovanni afferma che c'è la pienezza della gioia.

Anche noi possiamo divenire luce.

4. Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui ed annunciamo a voi (1 Gv. 1, 5). Che cosa abbiamo qui? Essi videro e toccarono con le loro mani il Verbo di vita; toccarono Colui che dall'inizio era unico Figlio di Dio e divenne nel tempo visibile e tangibile. A quale scopo venne, quale novità ci annunciò? Che insegnamento volle impartirci? Perché mai fece ciò che fece, così che, essendo Verbo, divenne carne; essendo Dio, soffrì da parte degli uomini le cose più indegne, sopportò gli schiaffi da quelle stesse mani che egli aveva plasmato? Che cosa ci volle insegnare? Che cosa mostrare? Che cosa annunciare? Ascoltiamo. Se sentiamo discorrere di questi fatti, cioè della nascita e della passione di Cristo, senza ricavarne un insegnamento, perveniamo piuttosto a una distrazione che a un arricchimento dello spirito. Senti parlare di grandi cose? Bada con quale frutto ne senti parlare. Che cosa dunque volle insegnare il Verbo, che cosa annunciare? Ascolta cosa dice Giovanni: Che Dio è luce e in lui non ci sono tenebre (1 Gv. 1, 5; cf. Gv. 8, 12). Qui egli parla di luce, non c'è dubbio, ma le sue parole sono oscure: è bene allora che la luce stessa, di cui ci ha parlato l'apostolo, rischiari i nostri cuori per comprendere ciò che egli disse. E' questo il nostro annuncio: "Che Dio è luce e in lui non ci sono tenebre". Chi oserebbe dire che in Dio ci sono tenebre? Ma che cosa si intende per luce, che cosa per tenebre? Questo ad evitare che ci si limiti ad affermazioni unicamente pertinenti al nostro modo di vedere umano. Dio è luce, obietta uno qualsiasi, ma anche il sole è luce, anche la luna è luce, anche la lucerna è luce. La luce di Dio dev'essere evidentemente qualcosa di superiore a queste luci, di più prezioso ed eccellente. Tanto questa luce deve stare al di sopra delle altre, quanto Dio dista dalla creatura, quanto il creatore dalla sua creazione, la sapienza da ciò che per suo mezzo fu fatto. Potremo essere vicini a questa luce, se conosceremo quale essa è, se ad essa ci accosteremo per esserne illuminati; poiché in noi stessi siamo tenebre, ma, illuminati da essa, possiamo divenire luce e non essere da essa gettati nella confusione perché da noi stessi ci gettiamo nella confusione. Che vuol dire gettarsi nella confusione da se stessi? Significa riconoscersi peccatori. Chi non si lascia gettare nella confusione dalla luce? Chi ne è illuminato. Ma che significa esserne illuminati? Accorgersi di essere ricoperti dalle tenebre dei peccati e bramare di essere rischiarati da quella luce: ad essa ci s'accosta in questo modo. Perciò dice il salmo: "Accostatevi a lui e siatene illuminati e i vostri volti non arrossiranno" (Sal. 33, 6). Non arrossirai di essa, se nel momento in cui ti rivelerà la tua miseria, sentirai dolore di questo tuo stato e capirai la bellezza di quella luce. E' questo che Giovanni ci vuole insegnare.

Gesù, col suo sangue, cancella in noi ogni delitto

5. Forse ci si potrebbe chiedere se abbiamo dato un'interpretazione troppo precipitosa. Giovanni stesso ce lo dirà con le parole che seguono. Da quanto ho detto all'inizio del discorso, dovete ricordare che tutta questa Epistola è un elogio della carità. "Dio è luce - dice Giovanni - e in lui non ci sono tenebre". Che cosa aveva detto prima? "Affinché abbiate comunione con noi, e la nostra comunione sia con Dio Padre e Gesù Cristo suo Figlio". Pertanto se Dio è luce e in lui non ci sono tenebre e noi dobbiamo avere comunione con lui, le tenebre che sono in noi devono essere disperse, affinché in noi ci sia la luce; tenebre e luce non possono stare insieme. Fa' perciò attenzione a ciò che segue: Se diremo di essere in comunione con lui ma camminiamo nelle tenebre, siamo mentitori (1 Gv. 1, 6). Tu sai che anche Paolo dice: "Che comunanza c'è tra luce e tenebre?" (2 Cor. 6, 14). Tu sostieni di vivere con Dio e poi cammini nelle tenebre; ma "Dio è luce e in lui non ci sono tenebre". Come è possibile una convivenza tra luce e tenebre?

Ognuno perciò dica: Che posso fare? Come sarò luce io che vivo nei peccati e nelle iniquità? Subentrano allora la tristezza e la disperazione. Non v'è salvezza fuor che nell'unione con Dio. "Dio è luce e in lui non ci sono tenebre". Ma i peccati sono tenebre: infatti l'Apostolo chiama il diavolo ed i suoi angeli i principi delle tenebre (cf. Ef. 6, 12); non li chiamerebbe in tal modo, se non fossero anche i maestri dei peccatori, i dominatori degli iniqui. Che possiamo fare, fratelli miei? Dobbiamo pervenire alla comunione con Dio, poiché non esiste altra speranza di vita eterna. Ma "Dio è luce e in lui non ci sono tenebre". Ogni iniquità è tenebra e noi siamo sommersi dalle iniquità, così che non possiamo avere comunione con Dio; che speranza ci resta allora? Non vi avevo forse promesso che vi avrei detto cose che procurano gioia? Non facendolo, siamo nella tristezza. "Dio è luce e in lui non ci sono tenebre". I peccati sono tenebre. Che sarà di noi?

Cerchiamo di ascoltare, perché quanto ci viene dicendo potrebbe arrecarci consolazione, sollevarci e darci speranza, così che non veniamo meno per strada. Sì, siamo impegnati in una corsa e siamo diretti verso la patria; se disperiamo di giungervi, questa disperazione ci fa fermare. Orbene: colui che desidera vederci giungere al termine, per averci con sè nella patria, ci somministra il cibo lungo il cammino. Perciò ascoltiamo le parole di Giovanni: "Se diremo di essere in comunione con lui ma camminiamo nelle tenebre, siamo mentitori, e non pratichiamo la verità". Non possiamo dire di essere in comunione con lui, se viviamo nelle tenebre. Se invece camminiamo nella luce, come lui stesso è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri (1 Gv. 1, 7). Camminiamo dunque nella luce, come lui è nella luce, per poter essere uniti a lui. Ma i peccati? Ascolta ancora: E il sangue di Gesù Cristo, suo Figlio, ci purificherà da ogni delitto (1 Gv. 1, 7). Dio ci ha dato una grande certezza. E' a buon diritto che noi celebriamo la Pasqua nella quale fu versato il sangue del Signore e per mezzo del quale siamo purificati da ogni delitto. Restiamo perciò nella pace: il diavolo aveva nei nostri riguardi e per nostro danno un credito di schiavitù, ma col sangue di Cristo questo fu cancellato per sempre. Dice infatti Giovanni: "Il sangue del Figlio suo ci purificherà da ogni delitto". Che significa: "Da ogni delitto"? Fate attenzione: è nel nome e per il sangue di Cristo, che questi "fanciulli" hanno appena professato, che tutti i loro peccati sono stati mondati. Sono entrati qua dentro come creature vecchie e ne escono creature nuove. Entrarono vecchi e ne escono fanciulli. La vecchiaia è disfacimento, vita decrepita: l'infanzia invece viene da una rigenerazione: è vita nuova. E noi, che faremo? Non sono stati condonati i peccati del passato solo ad essi, ma anche a noi; vivendo poi in mezzo al mondo forse abbiamo commesso altri peccati dopo che i precedenti ci erano stati totalmente condonati e cancellati. Veda perciò ciascuno di fare ciò che è in grado di fare; confessi le cose come sono, affinché colui che è sempre uguale a se stesso, ieri ed oggi, possa curare noi che un tempo non eravamo, e adesso invece siamo.

L'amore elimina i peccati

6. Fa' dunque attenzione a ciò che Giovanni dice: Se diremo che in noi non c'è peccato, ci inganniamo ed in noi non c'è verità. Se dunque ti confesserai peccatore, la verità è in te, poiché la verità è luce. Non splende ancora pienamente la tua vita dato che vi sono dei peccati; ma ecco, cominci ormai ad illuminarti poiché riconosci i tuoi peccati. Considera le parole che seguono: Se confesseremo i nostri delitti, egli è fedele e giusto per condonarceli e purificarci da ogni iniquità (1 Gv. 1, 9). Qui Giovanni non si riferisce soltanto ai peccati del passato, ma anche a quelli eventualmente commessi nel presente; l'uomo non può non avere almeno peccati lievi, fin quando ha il suo corpo. Tuttavia non devi dar poco peso a questi peccati che si definiscono lievi. Tu li tieni in poco conto quando li soppesi, ma che spavento quando li numeri! Molte cose leggere, messe insieme, ne formano una pesante; molte gocce empiono un fiume e così molti granelli fanno un mucchio. Quale speranza resta allora? Si faccia anzitutto la confessione dei peccati, affinché nessuno si reputi giusto, e l'uomo che prima non era ed ora è, non innalzi la cresta davanti a quel Dio che vede ciò che è. Prima di tutto ci sia dunque la confessione, poi l'amore: che cosa fu detto della carità? "La carità copre una moltitudine di peccati" (1 Pt. 4, 8).

Vediamo se appunto Giovanni non esorti proprio alla carità, in considerazione dei peccati che si annidano nascostamente dentro le nostre anime: solo la carità infatti elimina i peccati. La superbia spegne la carità: l'umiltà perciò ravviva la carità, e la carità spegne i peccati. L'umiltà è collegata alla confessione per mezzo della quale ci dichiariamo peccatori; ma l'umiltà non è quella per cui ci dichiariamo peccatori soltanto con la lingua, nel timore che, dichiarandoci giusti, non dispiacciamo agli uomini, a motivo della nostra arroganza. Questo lo fanno gli empi e i dissennati. Dicono: so di essere giusto, ma mi conviene non dichiararlo davanti agli uomini? Se mi proclamerò giusto, chi sopporterà questo, chi lo tollererà? Sia nota davanti a Dio la mia giustizia, io tuttavia mi dichiarerò peccatore; non già perché lo sono, ma perché l'arroganza non mi renda odioso. Di' agli uomini ciò che sei, e dillo a Dio. Se non dirai a Dio ciò che sei, Dio condannerà ciò che troverà in te. Vuoi che egli non pronunci condanne? Accusati da te stesso. Vuoi che ti perdoni? Guarda dentro di te, in modo da poter dire a Dio: "Distogli il tuo sguardo dai miei peccati". Ripeti a lui anche le altre parole di quel salmo: "Poiché io riconosco le mie iniquità" (Sal. 50, 5 e 11).

"Se confesseremo i nostri delitti, egli è fedele e giusto per condonarceli e purificarci da ogni iniquità". Ma se diremo che non abbiamo peccato, lo trattiamo da ingannatore e la sua parola non è in noi (1 Gv. 1, 9-10). Se dirai: non ho peccato, tratti lui da bugiardo, proprio quando vuoi presentare te come veritiero. Come è possibile che Dio sia bugiardo e l'uomo veritiero, dal momento che la Scrittura dice esattamente il contrario: "Ogni uomo è bugiardo, Dio solo è veritiero" (Rom. 3, 4)? Dio dunque è veritiero per se stesso, tu lo sei per mezzo di Dio; da te stesso sei invece bugiardo.

Abbiamo un avvocato presso il Padre

7. Ma perchè non sembri che Giovanni abbia lasciato via libera ai peccati, dicendo: "Egli è fedele e giusto per purificarci da ogni iniquità ", e ad evitare che gli uomini non concludano: dunque pecchiamo pure, facciamo con tranquillità ciò che vogliamo, poiché Cristo ci purifica - egli è fedele e giusto, e ci purifica da ogni iniquità -, Giovanni viene a toglierti ogni falsa sicurezza e a procurarti un opportuno timore. Vai in cerca di una pericolosa tranquillità: sii piuttosto preoccupato. Egli, fedele e giusto, può scioglierci dai nostri delitti, se costantemente sarai addolorato di te stesso e cambierai condotta, migliorandoti. Che cosa aggiunge poi Giovanni? Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate. Ma nell'ipotesi che il peccato torni a insinuarsi nella vita di un uomo, che farà costui? Che farà? S'abbandonerà alla disperazione? Ecco, ascolta: Se uno - dice Giovanni - peccherà, abbiamo presso il Padre un avvocato, Gesù Cristo, il giusto; e lui stesso è vittima di propiziazione per i nostri peccati (1 Gv. 2, 1-2). Lui dunque è l'avvocato, tu bada di non peccare. Ma se il peccato s'insinuerà ugualmente, data la debolezza della natura, subito fa' di sentirne dolore, subito condannalo; se lo condannerai, potrai presentarti al giudizio con animo tranquillo. Vi troverai l'avvocato; non temere di perdere la causa, una volta che avrai confessato il tuo peccato. Se può capitare in questa vita che uno, mettendosi nelle mani di un avvocato eloquente, riesca ad essere assolto, tu, che fai affidamento sul Verbo, potrai forse correre il rischio di perderti? Grida forte: "Abbiamo un avvocato presso il Padre".

Solo Cristo ci può giustificare

8. Considera come Giovanni stesso si mantenga nell'umiltà. Egli certamente era un uomo giusto e grande, poiché attingeva dal petto del Signore i segreti di alti misteri. Attingendo dal suo petto, fu lui, proprio lui, a predicare la divinità del Signore: "In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio" (Gv. 1, 1). Grande qual era, quest'uomo non disse: - avete un avvocato presso il Padre, ma: "Se uno peccherà, abbiamo un avvocato". Non disse: - avete; e neppure: - avete me; e neanche: - avete il Cristo stesso. Egli ha messo avanti il Cristo, non sè, e ha detto: - abbiamo; non già: - avete. Preferì mettersi nel numero dei peccatori, per avere nel Cristo il suo avvocato, piuttosto che presentare se stesso come avvocato invece di Cristo e trovarsi poi tra i superbi degni di condanna.

Fratelli, ecco chi abbiamo per avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. Egli è la vittima di propiziazione per i nostri peccati. Chi ha accettato questa verità, non ha provocato né eresie né scismi. Da dove son nati gli scismi? Dal fatto che gli uomini dicono: noi siamo giusti; e aggiungono: siamo noi a santificare gli immondi, noi a rendere giusti gli empi, noi ad innalzare preghiere, noi ad impetrare grazie. Che cosa disse invece Giovanni? "Se uno peccherà, abbiamo presso il Padre un avvocato, Gesù Cristo, il giusto".

Qualcuno potrebbe obiettare: dunque i santi non intercedono per noi? i vescovi e i presbiteri non chiedono in nome del popolo? Esaminate la Scrittura e vedete come anche chi comanda si raccomandi alle preghiere del popolo. Paolo apostolo dice ai fedeli: "Pregate in pari tempo anche per noi" (Col. 4, 3). Prega l'Apostolo per i fedeli, pregano questi per l'Apostolo. Noi, o fratelli, preghiamo per voi, ma voi pregate per noi. Le membra preghino per se stesse, vicendevolmente; la testa interceda per tutti. Nessuna meraviglia perciò che Giovanni con le parole successive voglia chiudere la bocca a quanti portano divisioni nella Chiesa di Dio. Dopo aver detto: "Abbiamo Gesù Cristo, il giusto; e lui stesso è vittima di propiziazione per i nostri peccati", avendo di mira coloro che si sarebbero divisi ed avrebbero detto: "Eccolo qui il Cristo, eccolo là " (Mt. 24, 23), coloro cioè che avrebbero preteso di mostrare rinchiuso in una conventicola colui che tutti riscattò e tutto ha in suo potere, subito Giovanni aggiunse: Non solo per i nostri peccati, ma per i peccati di tutto il mondo (1 Gv. 2, 2). Che significa questo, fratelli? Certamente anche noi "l'abbiamo trovato nelle distese di regioni boscose" (Sal. 131, 6) , abbiamo trovato la Chiesa in tutte le nazioni. Questo dunque è il Cristo, "vittima di propiziazione per i nostri peccati, non solo per i nostri, ma per i peccati di tutto il mondo". Poiché trovi la Chiesa in tutto il mondo, non seguire quelli che falsamente si presentano come giustificatori, ma in realtà sono causa di divisioni. Resta su quel monte che ha coperto tutta la terra (cf. Dan. 2, 35): poiché Cristo è "vittima di propiziazione per i nostri peccati, non solo per i nostri, ma per i peccati di tutto il mondo", da lui riscattato col suo sangue.

Il comandamento nuovo

9. Proseguendo, Giovanni dice: In questo lo conosciamo, se osserveremo i suoi comandamenti. Quali comandamenti? Chi dice di conoscerlo e non osserva i suoi comandamenti è bugiardo e in lui non c'è verità. Ma tu torni a chiedere: quali comandamenti? Giovanni ti dice: Chi osserverà la sua parola, veramente in lui è perfetto l'amore di Dio (1 Gv. 2, 3-5). Vediamo se questo comandamento non sia l'amore. Ci domandavamo quali fossero questi comandamenti e Giovanni ci risponde: "Chi osserverà la sua parola, veramente in lui è perfetto l'amore di Dio". Esamina il Vangelo e vedi se non è questo precisamente quel comandamento: "Vi dò un comandamento nuovo, che vi amiate a vicenda" (Gv. 13, 34). Da questo noi conosciamo di essere in lui, se in lui saremo perfetti (1 Gv. 2, 5). Egli parla di perfetti nell'amore. Ma qual è la perfezione dell'amore? E' amare anche i nemici, ed amarli perché diventino fratelli. Il nostro amore infatti non deve essere carnale. E' buona cosa chiedere per un fratello la salute del corpo; ma se questa mancasse, non deve scapitarne la salute dell'anima. Se auguri a un tuo amico la vita, fai bene. Se ti rallegri per la morte di un tuo nemico, fai male. Forse la vita che auguri all'amico è inutile, mentre quella morte del nemico di cui ti rallegri può essere a lui utile. Non è certo se questa vita sia utile a qualcuno o inutile, mentre la vita vissuta in comunione con Dio è certamente utile. Ama i nemici desiderando che diventino tuoi fratelli; amali fino a farli entrare nella tua cerchia. Così ha amato colui che, pendendo sulla croce, disse: "Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno" (Lc. 23, 34). Li volle preservare da una sorte perpetua con una preghiera piena di misericordia e di forza. Molti tra essi credettero e fu loro perdonato di aver versato il sangue di Cristo. Quando si mostrarono crudeli, versarono quel sangue; quando credettero, lo bevvero. "Da questo noi conosciamo di essere in lui, se in lui saremo perfetti". Il Signore ci ammonisce ad essere perfetti quando ci parla del dovere di amare i nemici: "Siate dunque perfetti, come è perfetto il vostro Padre celeste" (Mt. 5, 48).

Dunque chi dice di rimanere in lui, deve camminare come lui camminò (1 Gv. 2, 6). Che ci ammonisce forse di camminare sul mare? No, evidentemente. Ci ammonisce invece di camminare nella via della giustizia. Quale via? L'ho ricordato. Egli, pur essendo inchiodato alla croce, camminava proprio su questa via, che è la via della carità. "Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno ". Se dunque imparerai a pregare per il tuo nemico, camminerai sulla via del Signore.

10. Dilettissimi, non vi scrivo un comandamento nuovo, ma un comandamento antico, che avevate fin dall'inizio. Quale antico comandamento intende ricordare? "Quello che avevate - dice - fin dall'inizio. Esso è vecchio in quanto già l'avete udito. Altrimenti Giovanni sarebbe in contraddizione col Signore che disse: "Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate a vicenda". Ma perché lo chiama vecchio comandamento? Non perché riguarda l'uomo vecchio. Perché allora? Perché è: "quello che avevate fin dall'inizio". Il comandamento antico è la parola che avete udito (1 Gv. 2, 7). Vecchio dunque perché già l'udiste. Ma Giovanni ci mostra che si tratta anche di un comandamento nuovo, quando dice: D'altra parte è un comandamento nuovo quello che vi scrivo. Non un altro comandamento, ma quel medesimo che chiamo vecchio ed è ad un tempo vecchio e nuovo. Perché? Che si è verificato in lui ed in voi. Avete udito perché esso viene detto vecchio: perché già lo conoscevate. Perché allora viene detto nuovo? Perché: le tenebre se ne sono andate ed ormai splende la luce vera (1 Gv. 2, 8). Da ciò deriva che si tratta di un comandamento nuovo: le tenebre riguardano l'uomo vecchio, la luce l'uomo nuovo. Che dice l'apostolo Paolo? "Spogliatevi dell'uomo vecchio e rivestitevi dell'uomo nuovo" (Col. 3, 9-10). Che dice ancora? "Un tempo voi foste tenebre, ora siete luce nel Signore" (Ef. 5, 8).

Chi ama cammina nella luce

11. Chi dice di essere nella luce - ecco che si rivela tutto il suo pensiero -, "chi dice di essere nella luce" ed odia il proprio fratello è ancora nelle tenebre (1 Gv. 2, 9). Ahimé, fratelli, fin quando vi dovremo dire "Amate i nemici " (Mt. 5, 44)? Guardatevi almeno dall'odiare il fratello, che è cosa peggiore. Se amate soltanto i fratelli, perfetti non sarete, ma se li odiate, che siete mai? Dove siete? Ciascuno guardi nel suo cuore; non tenga odio contro il fratello per qualche dura parola che ha ricevuto; per litigi terreni non dobbiamo diventare terra. Chi odia il fratello, non può dire di camminare nella luce. Anzi, non dica nemmeno di camminare in Cristo. "Chi dice di essere nella luce e odia il proprio fratello è ancora nelle tenebre".

Poniamo che un pagano diventi cristiano. Capitemi: quando era pagano, era nelle tenebre, ora è diventato cristiano. - Sia lode al Signore, dicono tutti, e si congratulano e ripetono le parole augurali dell'Apostolo: "Un giorno foste tenebre, ora invece siete luce nel Signore". Colui che adorava gli idoli, ora adora Dio; adorava cose da lui fatte, adora adesso chi lo creò. E' cambiato. Sia lode a Dio; tutti i cristiani se ne rallegrano. Perché? Perché adesso egli è adoratore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e detesta e i demoni e gli idoli. Giovanni è in ansia per questo individuo e, nonostante la festa che tutti gli fanno, nutre qualche preoccupazione per lui. Fratelli, accettiamo volentieri questa sollecitudine materna. Non senza motivo nostra madre ha delle apprensioni per noi, anche quando gli altri si congratulano con noi, e questa madre è la carità. Essa era nel cuore di Giovanni, quando faceva queste raccomandazioni. E perché le fa, se non perché teme per qualcosa che è in noi, anche se gli altri ci fanno congratulazioni? Che cosa teme? "Chi dice di essere nella luce". Che significano queste parole? Significano: colui che dice di essere cristiano e "odia il proprio fratello, è ancora nelle tenebre". Qui non occorrono spiegazioni, ma c'è da gioire se la cosa non s'avvera, c'è da piangere se essa si avvera.

12. Chi ama il fratello suo, resta nella luce, e in lui non c'è scandalo (1 Gv. 2, 10; cf. Gv. 13, 34). Vi scongiuro in nome di Cristo: è Dio che ci nutre, tra poco ristoreremo i nostri corpi in nome di Cristo, come già abbiamo fatto un poco, e come sempre va fatto; ma anche la mente abbia il suo ristoro. Questo affermo, non perché debba ancora parlare a lungo; il testo della lettura sta per finire: ma per evitare che la stanchezza non diminuisca la nostra attenzione per queste cose che hanno grandissima importanza.

"Chi ama il fratello suo, resta nella luce ed in lui non c'è scandalo". Chi sono coloro che patiscono o danno scandalo? Coloro che trovano motivo di scandalo in Cristo e nella Chiesa. Chi trova motivo di scandalo in Cristo, è come colui che viene scottato dal sole, mentre colui che trova motivo di scandalo nella Chiesa, è come colui che viene scottato dalla luna. Dice il salmo: "Di giorno il sole non ti brucerà, né di notte la luna" (Sal. 120, 6) e significa: se avrai mantenuto la carità, non soffrirai scandalo né a motivo di Cristo, né a motivo della Chiesa. Non abbandonerai Cristo, né la Chiesa. Chi abbandona la Chiesa, come può essere nel Cristo, dato che non appartiene alle membra di lui? Come può essere nel Cristo, dato che non fa parte del corpo di lui? Subiscono dunque lo scandalo quelli che abbandonano o Cristo o la Chiesa. Da che cosa desumiamo che il salmo dicendo: "Di giorno il sole non ti brucerà, né di notte la luna" vuole indicare col verbo "bruciare " lo scandalo? Innanzi tutto fai attenzione alla similitudine: colui che viene scottato dice: Non riesco a sopportare, non ce la faccio, e perciò si allontana; così coloro che non sopportano alcune cose nella Chiesa e si allontanano dal nome di Cristo o della Chiesa, patiscono scandalo.

Osservate infatti quale scandalo hanno subito, come scottati dal sole, quegli uomini carnali ai quali Cristo predicava di dare la sua carne dicendo: "Chi non mangerà la carne del Figlio dell'uomo e non berrà il suo sangue, non avrà in sé la vita". Circa una settantina di persone dissero: "Che discorso duro è questo" e si allontanarono da lui. Rimasero i dodici. Quelli furono tutti scottati dal sole e se ne andarono, non riuscendo a sopportare la forza della parola di Cristo. Rimasero dunque i dodici. E perché non pensassero di fare un favore a Cristo credendo in lui, mentre invece era Cristo a compiere per loro un beneficio, ai dodici rimasti il Signore disse: "Volete andarvene anche voi?". Sappiate infatti che non siete voi indispensabili per me, ma io per voi. Ma essi, che non erano stati scottati dal sole, risposero per bocca di Pietro: "Signore, tu hai parole di vita eterna: dove potremo noi andare?" (Gv. 6, 54-69).

E chi sono quelli che vengono scottati dalla Chiesa, come dalla luna nel corso della notte? Quelli che hanno fatto scisma. Ascoltate la parola stessa dell'Apostolo: "Chi è ammalato e non lo sono anch'io? Chi patisce scandalo e io non brucio?" (2 Cor. 11, 29). Come avviene che non c'è scandalo in colui che ama i fratelli? Perché chi ama i fratelli sopporta tutto per l'unità, perché l'amore fraterno consiste nell'unità della carità. Supponiamo che ti offenda uno che é cattivo, o che tu giudichi cattivo o anche soltanto immagini tale: abbandoni forse per questo tanti altri che son buoni? Ma che carità fraterna è quella che si mostra in questi donatisti? Accusano i cristiani di Africa e per questo abbandonano l'intera terra. Non c'erano più santi nel mondo? E come avete potuto condannarli, senza nemmeno averli ascoltati? Ma se amate i fratelli, non ci sarebbe scandalo in voi.

Ascolta la voce del salmo: "Quanta pace a chi ama la tua legge, e non c'é scandalo per lui" (Sal. 118, 165). Annunzia gran pace a coloro che amano la legge di Dio e perciò soggiunge che non c'è scandalo per loro. Coloro infatti che si scandalizzano, perdono la pace. E chi (è detto nel salmo) non patisce scandalo o non lo fa? Chi ama la legge di Dio, chi è dunque nella carità. Obietterà qualcuno: il salmo parla di chi ama la legge di Dio e non di chi ama i fratelli. Ascolta allora ciò che dice il Signore: "Un comando nuovo io vi dò, di amarvi gli uni gli altri". La legge non è forse un comando? E come evitare lo scandalo, se non sopportandosi scambievolmente? Dice l'apostolo Paolo: "Sopportatevi l'un l'altro nell'amore, cercando di conservare l'unità dello spirito nel vincolo di pace" (Ef. 4, 2-3). E che questa sia la legge di Cristo lo si deduce dalle parole stesse dell'Apostolo che questa legge raccomanda: "Portate - dice - l'uno il peso dell'altro e così adempirete la legge di Cristo" (Gal. 6, 2).

Chi odia si separa da Cristo e dalla Chiesa

13. Poiché chi odia il proprio fratello sta nelle tenebre e cammina nelle tenebre e non sa dove va. E' una cosa importante, fratelli miei; fate attenzione, ve ne preghiamo. "Chi odia il proprio fratello cammina nelle tenebre e non sa dove va", perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi (1 Gv. 2, 11). Chi è più cieco di costoro che odiano i propri fratelli? E lo vedete che sono ciechi, poiché sono andati a sbattere contro la montagna. Vi ripeto le medesime cose perché non vi sfuggano. Questa pietra che si è staccata dal monte senza concorso di mano umana non è forse il Cristo, nato dalla stirpe regale di Giuda, senza concorso di uomo? Non è lui questa pietra che ha infranto tutti i regni del mondo, cioè tutte le dominazioni degli idoli e dei demoni? Non è lui questa pietra che, cresciuta fino a divenire un gran monte, ha riempito tutto l'universo (cf. Dan. 2, 34-35)? Forse che noi mostriamo a dito questo monte, così come facciamo con la luna, quando è al terzo giorno? Se c'è qualcuno, ad esempio, che vuol vedere la luna nuova, gli si dice: Ecco la luna, eccola là; se poi ci sono persone incapaci di individuarla e che dicono: Dove è?, allora si punta il dito perché la vedano. A volte capita che alcuni, vergognosi di apparire ciechi, affermino di vederla, mentre non è vero. E' forse così, fratelli, che noi mostriamo la Chiesa? Non è essa forse visibile chiaramente? Non ha essa raccolto nel suo seno tutte le genti? Non si è compiuta la promessa fatta tanto tempo fa ad Abramo: che le genti sarebbero state benedette nel suo seme? La promessa fu fatta ad un solo credente, ma il mondo si è riempito di migliaia di credenti. Ecco il monte che copre tutta la superficie della terra: ecco la città della quale fu detto: "Non può una città, edificata sopra una montagna, restare nascosta" (Mt. 5, 14). Ma costoro vengono a urtare contro la montagna. E quando si dice loro: Salite!, essi rispondono: Dove, se non c'è monte? Trovano più facile sbattere la testa contro di essa, che non cercarvi rifugio. Ieri è stato letto Isaia: chiunque di voi era attento, ha compreso non solo con gli occhi ma con gli orecchi, né solo con gli orecchi del corpo, ma con quelli del cuore: "Negli ultimi giorni, sarà visibile il monte della casa del Signore, stabilito sulla cima delle montagne". C'è qualcosa che sia più visibile di una montagna? Ma ci sono anche monti sconosciuti perché occupano uno spazio limitato della terra. Chi di voi conosce il monte Olimpo? Parimenti la gente che abita là, non conosce il nostro monte Giddabam. Questi monti occupano zone limitate. Ma il monte di cui parliamo non è così: esso occupa tutta la superficie della terra; di esso si dice: "è stabilito sulla cima delle montagne". Esso dunque sorpassa le cime di tutti gli altri monti. "E tutte le nazioni accorreranno verso di esso ", dice Isaia (Is. 2, 2). Chi può sbagliare sentiero su questo monte? Chi si rompe la testa cozzando contro di esso? Chi non vede la città che sorge sulla sua cima? Non meravigliatevi se esso non è visto da questi tali che odiano i fratelli: costoro infatti camminano nelle tenebre, e non sanno dove vanno, perché le tenebre hanno accecato i loro occhi. Essi non vedono il monte: c'é motivo di meravigliarsene, dal momento che non hanno occhi? Ma perché non hanno occhi? Perché le tenebre li hanno accecati. Ne abbiamo una prova? Sì: essi odiano i loro fratelli. Urtatisi coi loro fratelli d'Africa, si separano da tutti gli altri, perché non sopportano per la pace di Cristo quelli che essi infamano, mentre sopportano, per sostenere Donato, quelli che essi condannano.

 

 

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