Punti fermi

19. 28. Vero è, Signore, che tu creasti il cielo e la terra, e vero è che il principio è la tua Sapienza, in cui creasti tutto. Così pure è vero che questo mondo visibile ha due grandi parti, cielo e terra, ove sono brevemente compresi tutti gli enti da te fatti e creati. E vero è che ogni essere mutevole suggerisce alla nostra mente l’idea di una certa informità, per la quale può assumere una forma, o mutarsi e trasformarsi. Vero è che chi aderisce così strettamente a una forma immutabile, da non mutare, per quanto mutabile, si sottrae all’azione del tempo. Vero è che l’informità, così vicina al nulla, non può avere vicende temporali. Vero è che la materia originaria di una cosa può anche in certe espressioni avere già il nome della cosa originata, così che poté essere chiamata cielo e terra una qualunque massa informe, originaria del cielo e della terra. Vero è che di tutte le cose formate nessuna si avvicina all’informe più della terra e dell’abisso. Vero è che non solo le cose create e formate, ma anche tutte quelle che si possono creare e formare, sono opera tua, poiché tutte le cose derivano da te. Vero è che ogni cosa formata da una materia informe prima è informe, poi formata.

Alcune interpretazioni veritiere di: in principio

20. 29. Di tutti questi veri, dei quali non dubitano quanti ricevettero da te il dono di vederli con l’occhio interiore e credono incrollabilmente che Mosè, tuo servitore, parlò con spirito di verità; di tutti, dunque, ne prende per sé uno chi dice: "In principio Dio creò il cielo e la terra significa che Dio creò nel suo Verbo, con lui coeterno, l’elemento intelligibile e sensibile, ossia spirituale e corporeo"; un altro chi dice: "In principio Dio creò il cielo e la terra significa che Dio creò nel suo Verbo, con lui coeterno, l’intera mole del mondo corporeo, con tutte le nature evidenti e note in essa contenute"; un altro chi dice: "In principio Dio creò il cielo e la terra significa che Dio creò nel suo Verbo, con lui coeterno, la materia informe dell’elemento spirituale e corporeo"; un altro chi dice: "In principio Dio creò il cielo e la terra significa che Dio creò nel suo Verbo, con lui coeterno, la materia informe dell’elemento corporeo, ov’erano ancora confusi il cielo e la terra che ora vediamo distinti con forma propria nella mole dell’universo"; un altro chi dice: "In principio Dio creò il cielo e la terra significa che alla vera origine della sua opera creatrice Dio creò la materia informe, ov’erano rinchiusi confusamente il cielo e la terra che, di là formati, ora appaiono e spiccano con tutte le cose in essi esistenti".

Le interpretazioni del secondo versetto

21. 30. Così per la comprensione delle parole seguenti. Di tutti quei veri, ne prende uno per sé chi dice: "La terra era invisibile e confusa, e le tenebre regnavano sopra l’abisso significa che la massa corporea creata da Dio era la materia ancora informe, disordinata e cieca, delle cose corporee"; un altro chi dice: "La terra era invisibile e confusa, e le tenebre regnavano sopra l’abisso significa che il complesso chiamato cielo e terra era la materia ancora informe e tenebrosa, da cui dovevano uscire il cielo corporeo e la terra corporea con tutte le cose in essi esistenti e note ai sensi corporei"; un altro chi dice: "La terra era invisibile e confusa, e le tenebre regnavano sopra l’abisso significa che il complesso chiamato cielo e terra era la materia ancora informe e tenebrosa, da cui doveva nascere il cielo intelligibile, detto altrove cielo del cielo, e la terra, cioè tutta la natura corporea, comprendendo sotto questo nome anche il cielo corporeo; da cui doveva nascere insomma tutto il creato invisibile e visibile"; un altro chi dice: "La terra era invisibile e confusa, e le tenebre regnavano sopra l’abisso non è una designazione della massa informe, fatta dalla Scrittura col nome di cielo e terra; ma asserisce costui la massa informe propriamente già esisteva, ed è quella che la Scrittura ha denominato terra invisibile e confusa e abisso tenebroso, da cui prima ha detto che Dio trasse il cielo e la terra, ossia il creato spirituale e corporeo"; un altro chi dice: "La terra era invisibile e confusa, e le tenebre regnavano sopra l’abisso significa che esisteva già una massa informe, materia da cui la Scrittura ha detto prima che Dio trasse il cielo e la terra, ossia l’intera mole corporea dell’universo, divisa in due grandi parti, superiore e inferiore, con tutte le cose in esse esistenti, familiari e note alle creature".

Silenzi della Scrittura

22. 31. Alle due ultime opinioni si potrebbe tentare di opporre quanto segue: "Se non ammettete che si veda designata col nome di cielo e terra la materia informe, esisteva dunque qualche cosa non creata da Dio e da lui impiegata per creare il cielo e la terra. La Scrittura infatti non ha raccontato la creazione di una tale materia per opera di Dio, a meno d’intendere che la designò con i vocaboli di cielo e terra, o soltanto terra, là dove si dice: In principio Dio creò il cielo e la terra. E quanto al seguito: La terra era invisibile e confusa, se anche fosse piaciuto alla Scrittura di designare così la materia informe, non la possiamo intendere diversa da quella che Dio creò dov’è scritto, prima: creò il cielo e la terra"All’udire questi argomenti, gli assertori delle due ultime opinioni da noi esposte, dell’una come dell’altra, risponderanno dicendo: "Non neghiamo davvero la creazione di questa materia informe ad opera di Dio, da cui derivano tutte le cose buone assai. Se affermiamo che un ente creato e formato è un bene superiore, ammettiamo però che un ente creabile e formabile sia un bene inferiore, eppure un bene. Quanto al silenzio della Scrittura sulla creazione della materia informe da parte di Dio, essa tace anche di molte altre, ad esempio dei Cherubini e Serafini, dei Troni, Dominazioni, Principati, Potestà, distintamente elencati dall’Apostolo, che pur sono senza dubbio tutte opere di Dio. Se poi nelle parole: creò il cielo e la terra, fossero comprese tutte le cose, che dire delle acque, sopra le quali era portato lo spirito di Dio? Se s’intendono comprese nel nome di terra, come ammettere ormai per il nome di terra la materia informe, quando la vista delle acque è tanto bella? O, se s’ammette, perché fu descritta la creazione dalla stessa materia informe del firmamento, che fu chiamato cielo, e non delle acque? Oggi non sono informi e invisibili queste acque che vediamo scorrere così armoniosamente belle. Che se poi ricevettero tanta bellezza allorché disse Dio: "Si raccolga l’acqua che sta sotto il firmamento" e quindi raccogliendosi presero forma, cosa si risponderà per le acque che stanno sopra il firmamento? Rimaste senza forma, non avrebbero meritato una sede tanto onorevole; d’altra parte non c’è scritta la parola con cui furono formate. Perciò, se di qualcosa la Genesi non riferisce la creazione ad opera di Dio, mentre non ne è dubbia per una fede sana e un’intelligenza salda la creazione ad opera di Dio, e qualsiasi dottrina seria non oserà sostenere la coeternità di queste acque con Dio per il fatto che nel libro della Genesi le vediamo sì menzionate, ma senza trovare il momento in cui furono create; perché non intendere, sotto la guida della verità, che anche la materia informe, definita da tale scrittura terra invisibile e confusa, e abisso tenebroso, fu da Dio creata dal nulla, e quindi non è coeterna con lui, sebbene il racconto scritturale abbia omesso di riferire quando fu creata?".

Due specie di dissenso

23. 32. Ascolto queste opinioni e le esamino secondo le capacità della mia debolezza, che confesso a te, Dio mio non ignaro. E scopro che due specie di dissenso possono sorgere sopra un messaggio riferito per iscritto da messaggeri veraci: il primo sulla verità dei fatti, il secondo sull’intenzione del messaggero. A proposito della creazione, altra cosa è la ricerca sulla realtà dell’avvenimento, e altra quella su ciò che Mosè, egregio famiglio della tua fede, volle far intendere in questo racconto al lettore o ascoltatore. Nel primo genere di ricerca si allontanino da me quanti sono certi della loro scienza errata. Così nel secondo si allontanino da me quanti ritengono errato il racconto di Mosè. Voglio invece unirmi a te, Signore, e godere in te con coloro che si nutrono della tua verità nell’ampiezza della carità. Accostiamoci insieme alle parole del tuo libro e cerchiamo in esse la tua volontà, attraverso la volontà del tuo servitore, per la cui penna le hai elargite.

Dubbi e certezze

24. 33. Eppure chi di noi ha così bene scoperto questa intenzione fra tante verità, che si presentano ai ricercatori in quelle parole interpretate nell’uno o nell’altro senso, da poter affermare: "Questa era l’intenzione di Mosè, e in questo senso volle che fosse inteso il suo racconto", con la stessa sicurezza con cui afferma vero il racconto, qualunque fosse l’intenzione di Mosè? Ecco, Dio mio, io, servo tuo, che ti ho promesso in questo scritto il sacrificio della mia confessione e che prego di poter soddisfare con la tua misericordia la mia promessa verso di te; ecco che affermo con la massima sicurezza che tu hai creato nel tuo Verbo immutabile tutte le cose, invisibili e visibili; ma affermo con pari sicurezza che Mosè pensava a questo e non ad altro, mentre scriveva: In principio Dio creò il cielo e la terra? Vedo forse, come vedo nella tua verità la certezza di questo fatto, così nella sua mente che quello fu il suo pensiero mentre scriveva queste parole? Poté certamente pensare all’origine della creazione, quando diceva: In principio; poté volere che per cielo e terra qui s’intendesse la natura sia spirituale, sia corporea, non già formata e perfezionata, ma in entrambi i casi appena abbozzata e ancora informe. Vedo bene che l’uno e l’altro dei due sensi poteva essere usato con verità; ma quale pensasse Mosè in queste parole non vedo altrettanto bene. Comunque non dubito che quell’uomo così grande, qualunque di questi sensi, o qualche altro da me non menzionato contemplasse nella sua mente, quando proferì queste parole, vide il vero e lo riferì nel modo conveniente.

Orgoglio temerario di alcuni interpreti

25. 34. Nessuno più mi molesti dicendomi: "L’intenzione di Mosè non fu quella che dici tu, ma quella che dico io". Se mi si chiedesse: "Come sai che l’intenzione di Mosè fu quella che tu ricavi di queste parole?", dovrei rimanere calmo e forse risponderei ciò che risposi più sopra, tutt’al più diffondendomi maggiormente, se il mio interlocutore fosse piuttosto cocciuto. Ma quando si asserisce: "L’intenzione di Mosè non fu quella che dici tu, ma quella che dico io", senza tuttavia contestare la verità dell’una come dell’altra asserzione, allora, o Vita dei poveri, Dio mio, nel cui seno non c’è contraddizione, fa’ piovere nel mio cuore la mitezza, affinché possa sopportare pazientemente questi tali, che ciò mi dicono non già per essere indovini e aver visto ciò che dicono nel cuore del tuo servitore, ma per orgoglio. Ignorano l’idea di Mosè, ma amano la loro, non perché sia vera, ma perché è la loro. Diversamente amerebbero allo stesso modo anche la verità degli altri, come io amo le loro asserzioni quando sono vere, non perché sono loro, ma perché sono vere, e in quanto vere non sono più nemmeno loro. Se poi l’amano in quanto vere, ormai sono e loro e mie, essendo un bene comune di tutti gli amanti della verità. Quando però sostengono che l’intenzione di Mosè non fu quella che dico io, ma quella che dicono loro, la respingo e non l’amo. Avessero pure ragione, questa è temerità, non propria di una scienza, ma dell’audacia, non frutto di una visione, ma di presunzione. Perciò, Signore, i tuoi giudizi sono tremendi: perché la tua verità non appartiene né a me né a chiunque altro, ma a tutti noi, e tu ci chiami pubblicamente a parteciparne, con questo terribile avvertimento, di non pretenderne il possesso privato per non esserne privati. Chiunque rivendica come proprio ciò che tu metti a disposizione di tutti, e pretende di detenere ciò che a tutti appartiene, viene respinto dal patrimonio comune verso il suo, ossia dalla verità verso la menzogna. Chi infatti dice una menzogna, dice del suo.

Parole fraterne

– 35. Guarda, ottimo giudice, Dio, Verità persona, guarda la mia risposta a questo contradittore, guarda. Parlo davanti a te e davanti ai miei fratelli che fanno un uso legittimo della legge secondo il suo fine, la carità. Guarda vedi la mia risposta, se ti piace. A costui rivolgo queste parole fraterne e pacifiche: "Se entrambi vediamo la verità della tua asserzione ed entrambi vediamo la verità della mia, dove la vediamo, di grazia? Certo non io in te, né tu in me, ma entrambi proprio nella verità immutabile, che sta sopra le nostre intelligenze. Ora, se non disputiamo su questa luce del nostro Signore Dio, perché dovremmo disputare sul pensiero del nostro prossimo, che neppure possiamo vedere come la verità immutabile? Se Mosè ci fosse apparso di persona e ci avesse detto: "Questo fu il mio pensiero", lo crederemmo senza vederlo. Perciò evitiamo di gonfiarci d’ira per l’uno contro l’altro a proposito di ciò che fu scritto. Amiamo il Signore Dio nostro con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la nostra mente, e il nostro prossimo come noi stessi. Non credendo che in nome di questi due precetti d’amore Mosè pensò tutto ciò che pensò mentre scriveva i suoi libri, renderemo il Signore menzognero, poiché attribuiremmo al suo servo e nostro compagno una disposizione d’animo diversa dagli insegnamenti divini. Ora, considera quale sia la stoltezza di chi afferma avventatamente, fra tanta abbondanza di idee verissime ricavabili da quelle parole, che Mosè ne ebbe in mente una in particolare; e offende con dispute dannose la carità, che è il fine preciso per cui disse tutto ciò che disse colui, del quale ci sforziamo di spiegare il discorso".

 

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