FILOTEA

Introduzione alla vita devota

PARTE PRIMA

Contiene consigli ed esercizi necessari per condurre l’anima dal primo desiderio della vita devota fina alla ferma risoluzione di abbracciarla

Capitolo I

DESCRIZIONE DELLA VERA DEVOZIONE

Mia cara Filotea, tu vorresti giungere alla devozione perché sai bene, come cristiana, quanto questa virtù sia accetta a Dio: ma, siccome i piccoli errori commessi all’inizio di qualsiasi impresa, ingigantiscono con il tempo e risultano, alla fine, irreparabili o quasi, è necessario, prima di tutto, che tu sappia che cos’è la virtù della devozione. Di vera ce n’è una sola, ma di false e vane ce ne sono tante; e se non sai distinguere la vera, puoi cadere in errore e perdere tempo correndo dietro a qualche devozione assurda e superstiziosa.

Arelio dava a tutti i volti che dipingeva le sembianze e l’espressione delle donne che amava; ognuno si crea la devozione secondo le proprie tendenze e la propria immaginazione. Chi si consacra al digiuno, penserà di essere devoto perché non mangia, mentre ha il cuore pieno di rancore; e mentre non se la sente di bagnare la lingua nel vino e neppure nell’acqua, per amore della sobrietà, non avrà alcuno scrupolo nel tuffarla nel sangue del prossimo con la maldicenza e la calunnia.

Un altro penserà di essere devoto perché biascica tutto il giorno una filza interminabile di preghiere; e non darà peso alle parole cattive, arroganti e ingiuriose che la sua lingua rifilerà, per il resto della giornata, a domestici e vicini.

Qualche altro metterà mano volentieri al portafoglio per fare l’elemosina ai poveri, ma non riuscirà a cavare un briciolo di dolcezza dal cuore per perdonare i nemici; ci sarà poi l’altro che perdonerà i nemici, ma di pagare i debiti non gli passerà neanche per la testa; ci vorrà il tribunale.

Tutta questa brava gente, dall’opinione comune è considerata devota, ma non lo è per niente.

Ricordi l’episodio degli sgherri di Saul che cercano Davide? Micol li trae in inganno mettendo nel letto un fantoccio con gli abiti di Davide, e fa loro credere che Davide è ammalato. Così molti si coprono di alcune azioni esteriori, proprie della santa devozione e la gente crede che si tratti di persone veramente devote e spirituali; ma se vai a guardar bene, scopri che sono soltanto fantocci e fantasmi di devozione.

La vera e viva devozione, Filotea, esige l’amore di Dio, anzi non è altro che un vero amore di Dio; non un amore genericamente inteso. Infatti l’amore di Dio si chiama grazia in quanto abbellisce l’anima, perché ci rende accetti alla divina Maestà; si chiama carità, in quanto ci dà la forza di agire bene; quando poi è giunto ad un tale livello di perfezione, per cui, non soltanto ci dà la forza di agire bene, ma ci spinge ad operare con cura, spesso e con prontezza, allora si chiama devozione. Gli struzzi non possono volare, le galline svolazzano di rado, goffamente e rasoterra; le aquile, le rondini e i colombi volano spesso, con eleganza e in alto.

Similmente i peccatori non riescono a volare verso Dio, ma si spostano esclusivamente sulla terra e per la terra; le persone dabbene, che non possiedono ancora la devozione, volano verso Dio per mezzo delle buone azioni, ma di rado, con lentezza e pesantemente; le persone devote volano in Dio con frequenza, prontezza e salgono in alto.

A dirlo in breve, la devozione è una sorta di agilità e vivacità spirituale per mezzo della quale la carità agisce in noi o, se vogliamo, noi agiamo per mezzo suo, con prontezza e affetto. Ora, com’è compito della carità farci praticare tutti i Comandamenti di Dio senza eccezioni e nella loro totalità, spetta alla devozione aggiungervi la prontezza e la diligenza. Ecco perché chi non osserva tutti i Comandamenti di Dio non può essere giudicato né buono né devoto. Per essere buoni ci vuole la carità e per essere devoti, oltre alla carità, bisogna avere grande vivacità e prontezza nel compiere gli atti.

Siccome la devozione si trova in grado di carità eccellente, non soltanto ci rende pronti, attivi e diligenti nell’osservare tutti i Comandamenti di Dio; ma ci spinge inoltre a fare con prontezza e affetto tutte le buone opere che ci sono possibili, anche se non cadono sotto il precetto, ma sono soltanto consigliate o indicate.

Come un uomo guarito di recente da una malattia, cammina quel tanto che gli è necessario, piano piano e trascinandosi un po’, così il peccatore, guarito dal suo peccato, cammina quel tanto che Dio gli comanda, trascinandosi adagio adagio fino a che non giunga alla devozione. Allora, da uomo completamente sano, non soltanto cammina, ma corre e salta nella via dei Comandamenti di Dio e, inoltre, prende di corsa i sentieri dei consigli e delle ispirazioni celesti.

In conclusione, si può dire che la carità e la devozione differiscono tra loro come il fuoco dalla fiamma; la carità è un fuoco spirituale, che quando brucia con una forte fiamma si chiama devozione: la devozione aggiunge al fuoco della carità solo la fiamma che rende la carità pronta, attiva e diligente, non soltanto nell’osservanza dei Comandamenti di Dio, ma anche nell’esercizio dei consigli e delle ispirazioni del cielo.

Capitolo II

CARATTERISTICHE ED ECCELLENZA DELLA DEVOZIONE

Coloro i quali volevano scoraggiare gli Israeliti dall’entrare nella terra promessa, dicevano che era un paese che divorava gli abitanti, ossia, che l’aria era talmente pestilenziale che nessuno vi poteva vivere a lungo; per di più era abitata da mostri che divoravano gli uomini come locuste: allo stesso modo, mia cara Filotea, la gente della strada dice tutto il male che può della devozione e dipinge le persone devote immusonite, tristi e imbronciate, e va blaterando che la devozione rende malinconici e insopportabili. Ma sull’esempio di Giosuè e di Caleb, che, non solo sostenevano che la terra promessa era fertile e bella, ma che il suo possesso sarebbe stato utile e piacevole, lo Spirito Santo, per bocca di tutti i santi, e Nostro Signore, con la sua Parola, ci danno assicurazione che la vita devota è dolce, facile e piacevole.

La gente vede che i devoti digiunano, pregano, sopportano le ingiurie, servono gli infermi, assistono i poveri, fanno veglie, controllano la collera, dominano le passioni, fanno a meno dei piaceri dei sensi e compiono altre azioni simili a queste, di per sé e per loro natura aspre e rigorose; ma non sa vedere la devozione interiore e cordiale che trasforma tutte queste azioni in piacevoli, dolci e facili.

Guarda l’ape sul timo: ne può ricavare soltanto un succo amaro, ma succhiandolo lo trasforma in miele, perché questa è la sua caratteristica.

Mi rivolgo a te, persona del mondo, e ti dico: le anime devote incontrano molta amarezza nei loro esercizi di mortificazione , questo è certo, ma praticandoli li trasformano in dolcezza e soavità.

Il fuoco, la fiamma, la ruota, la spada per i martiri sembravano fiori odorosi, perché erano devoti; e se la devozione riesce a rendere piacevoli le torture più crudeli e la stessa morte, cosa non riuscirà a fare per le azioni proprie della virtù?

Lo zucchero rende dolci i frutti un po’ acerbi e toglie il pericolo che facciano male quelli troppo maturi; la devozione è il vero zucchero spirituale, che toglie l’amarezza alle mortificazioni e la capacità di nuocere alle consolazioni: toglie la rabbia ai poveri e la preoccupazione ai ricchi; la desolazione a chi è oppresso e l’insolenza al favorito dalla sorte; la tristezza a chi è solo e la dissipazione a chi è in compagnia; ha la funzione di fuoco in inverno e di rugiade in estate, sa affrontare e soffrire la povertà, trova ugualmente utile l’onore e il disprezzo, riceve il piacere e il dolore con un cuore quasi sempre uguale, e ci colma di una meravigliosa soavità.

Guarda la scala di Giacobbe, che è la vera immagine della vita devota: i due montanti, tra i quali si sale ed ai quali sono fissati gli scalini, rappresentano l’orazione, che chiede l’amore di Dio e i Sacramenti, che lo conferiscono; gli scalini sono i diversi livelli della carità, per i quali si sale, di virtù in virtù; o discendendo in aiuto e sostegno del prossimo, o salendo per la contemplazione all’unione d’amore con Dio.

Ed ora dà uno sguardo a coloro che si trovano sulla scala: sono uomini con il cuore di Angeli, o Angeli con il corpo di uomini; non sono giovani, ma lo sembrano, perché sono pieni di forza e di agilità spirituale; hanno ali per volare e si lanciano in Dio con la santa orazione; ma hanno anche i piedi per camminare con gli uomini in una santa e piacevole conversazione; i loro volti sono belli e radiosi, per cui ricevono tutto con dolcezza e soavità; le gambe, le braccia e la testa sono scoperte, perché i loro pensieri, i loro affetti e le loro azioni hanno il solo scopo di piacere a Dio. Il resto del corpo è coperto da una tunica fine e leggera, perché sono realmente inseriti nel mondo e usano le cose di questo mondo, ma in modo pulito e limpido, prendendo esclusivamente il necessario: così agiscono le persone devote.

Cara Filotea, devi credermi: la devozione è la dolcezza delle dolcezze e la regina delle virtù, perché è la perfezione della carità. Se vogliamo paragonare la carità al latte, la devozione ne è la crema; se la paragoniamo ad una pianta, la devozione ne è il fiore; se ad una pietra preziosa, la devozione ne è lo splendore; se ad un unguento prezioso, né è il profumo soave che dà la forza agli uomini e gioia agli Angeli.

Capitolo III

LA DEVOZIONE SI ADATTA A TUTTE LE VOCAZIONI E PROFESSIONI

Nella creazione Dio comandò alle piante di portare frutto, ciascuna secondo il proprio genere: allo stesso modo, ai Cristiani, piante vive della Chiesa, ordina di portare frutti di devozione, ciascuno secondo la propria natura e la propria vocazione.

La devozione deve essere vissuta in modo diverso dal gentiluomo, dall’artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla nubile, dalla sposa; ma non basta, l’esercizio della devozione deve essere proporzionato alle forze, alle occupazioni e ai doveri dei singoli.

Ti sembrerebbe cosa fatta bene che un Vescovo pretendesse di vivere in solitudine come un Certosino? E che diresti di gente sposata che non volesse mettere da parte qualche soldo più dei Cappuccini? Din un artigiano che passasse le sue giornate in chiesa come un Religioso? E di un Religioso sempre alla rincorsa di servizi da rendere al prossimo, in gara con il Vescovo? Non ti pare che una tal sorta di devozione sarebbe ridicola, squilibrata e insopportabile?

Eppure queste stranezze capitano spesso, e la gente di mondo, che non distingue, o non vuol distinguere, tra la devozione e le originalità di chi pretende essere devoto, mormora e biasima la devozione, che non deve essere confusa con queste stranezze.

Se la devozione è autentica non rovina proprio niente, anzi perfeziona tutto; e quando va contro la vocazione legittima, senza esitazione, è indubbiamente falsa.

Aristotele dice che l’ape ricava il miele dai fiori senza danneggiarli, e li lascia intatti e freschi come li ha trovati. La vera devozione fa ancora meglio, perché non solo non porta danno alle vocazioni e alle occupazioni, ma al contrario, le arricchisce e le rende più belle.

Qualunque genere di pietra preziosa, immersa nel miele diventa più splendente, ognuna secondo il proprio colore; lo stesso avviene per i cristiani: tutti diventano più cordiali e simpatici nella propria vocazione se le affiancano la devozione: la cura per la famiglia diventa serena, più sincero l’amore tra marito e moglie, più fedele il servizio del principe e tutte le occupazioni più dolci e piacevoli.

Pretendere di eliminare la vita devota dalla caserma del soldato, dalla bottega dell’artigiano, dalla corte del principe, dall’intimità degli sposi è un errore, anzi un’eresia. E’ vero che la devozione contemplativa, monastica e religiosa non può essere vissuta in quelle vocazioni; ma è anche vero che, oltre a queste tre devozioni ce ne sono tante altre, adatte a portare alla perfezione quelli che vivono fuori dai monasteri. Abramo, Isacco, Giacobbe, Davide, Giobbe, Tobia, Sara, Rebecca e Giuditta ne sono la prova per l’Antico Testamento; nel Nuovo abbiamo S. Giuseppe, Lidia, S. Crispino che vissero la perfetta devozione nelle loro botteghe; S. Anna, S. Marta, S. Monica, Aquila, Priscilla, nel matrimonio; Cornelio, S. Sebastiano, S. Maurizio nella vita militare; Costantino, Elena, S. Luigi, il Beato Amedeo, S. Edoardo sul trono. E’ capitato anche che molti abbiano perso la perfezione nella solitudine, per sé molto utile alla vita perfetta, mentre l’avevano conservata in mezzo alla moltitudine, che sembra invece, di natura sua, poco adatta a favorire la perfezione. Lot, dice S. Gregorio, fu casto in città e peccatore nella solitudine.

Poco importa dove ci troviamo: ovunque possiamo e dobbiamo aspirare alla devozione.

Capitolo IV

NECESSITA’ DI UN DIRETTORE SPIRITUALE PER ENTRARE E PROGREDIRE NELLA DEVOZIONE

Quando il giovane Tobia ricevette l’ordine di recarsi a Rage, rispose: Non conosco la strada. Il padre gli disse allora: Va tranquillo e cerca qualcuno che ti faccia da guida.

Ti dico la stessa cosa, Filotea. Vuoi metterti in cammino verso la devozione con sicurezza? Trova qualche uomo capace che ti sia di guida e ti accompagni; è la raccomandazione delle raccomandazioni. Qualunque cosa tu cerchi, dice il devoto Avila, troverai con certezza la volontà di Dio soltanto sul cammino di una umile obbedienza, tanto raccomandata e messa in pratica dai devoti del tempo antico.

La Beata Madre Teresa, vedendo Caterina di Cordova fare grandi penitenze, ebbe un grande desiderio di imitarla contro il parere del confessore che glielo proibiva e al quale era tentata di non obbedire, almeno in questo, Dio allora le disse: Figlia mia, tu stai camminando su una strada buona e sicura. Vedi le sue penitenze? Eppure io preferisco la tua obbedienza! Teresa concepì tanto amore per questa virtù che, oltre all’obbedienza dovuta ai Superiori, votò una particolare obbedienza ad un uomo straordinario, impegnandosi a seguirne la direzione e la guida; ne ebbe grandi consolazioni. Prima e dopo di lei, è capitata la stessa cosa a molte anime elette che, per garantirsi una più perfetta sottomissione a Dio, hanno posto la loro volontà sotto la direzione dei suoi servi; cosa che S. Caterina da Siena elogia con sante espressioni nei suoi Dialoghi.

La devota principessa S. Elisabetta obbediva, con estrema esattezza, al dotto Maestro Corrado; ecco un consiglio dato da S. Luigi sul letto di morte a suo figlio: "Confessati spesso, scegli un confessore adatto, che sia molto prudente e che possa insegnarti con sicurezza, a fare il tuo dovere".

"L’amico fedele, dice la S. Scrittura, è una forte protezione; chi lo trova, trova un tesoro". L’amico fedele è un balsamo di vita e d’immortalità; coloro che temono Dio, lo trovano. Queste parole divine si riferiscono, in primo luogo, come puoi notare, all’immortalità, per camminare verso la quale è necessario, prima di tutto, avere un amico fedele che diriga le nostre azioni con le sue esortazioni e i suoi consigli; ci eviterà così i tranelli e gli inganni del nemico; sarà per noi un tesoro di sapienza nelle afflizioni, nelle tristezze e nelle cadute; sarà il balsamo per alleviare e consolare i nostri cuori nelle malattie spirituali; ci proteggerà dal male e ci renderà stabili nel bene; e se dovesse colpirci qualche infermità, impedirà che diventi mortale e ci farà guarire.

Ma chi può trovare un amico di tal sorta? Risponde il Saggio: coloro che temono Dio; ossia gli umili, che desiderano ardentemente avanzare nella vita spirituale.

Giacché ti sta tanto a cuore camminare con una buona guida, in questo santo viaggio della devozione, cara Filotea, prega Iddio, con grande insistenza, che ne provveda una secondo il suo cuore; e poi non dubitare: sii certa che, a costo di mandare un Angelo dal cielo, come fece per il giovane Tobia, ti manderà una guida capace e fedele.

Per te deve rimanere sempre un Angelo: ossia, quando l’avrai trovato, non fermarti a dargli stima come uomo, e non riporre la fiducia nelle sue capacità umane, ma in Dio soltanto, che ti incoraggerà e ti parlerà tramite quell’uomo, ponendogli nel cuore e sulla bocca ciò che sarà utile al tuo bene; tu devi ascoltarlo come un Angelo venuto dal cielo per condurti là. Parla con lui a cuore aperto, in piena sincerità e schiettezza; manifestagli con chiarezza il bene e il male senza infingimenti e dissimulazione: in tal modo il bene sarà apprezzato e reso più solido e il male corretto e riparato; nelle afflizioni ti sarà di sollievo e di forza, nelle consolazioni di moderazione e misura.

Devi riporre in lui una fiducia senza limiti, unita a un grande rispetto, ma in modo che il rispetto non diminuisca la fiducia e la fiducia non tolga il rispetto. Apriti a lui con il rispetto di una figlia verso il padre e portagli rispetto con la fiducia di un figlio verso la madre; per dirla in breve: deve essere una amicizia forte e dolce, santa, sacra, degna di Dio, divina, spirituale.

A tal fine, scegline uno tra mille, dice Avila; io ti dico, uno tra diecimila, perché se ne trovano meno di quanto si dica capaci di tale compito. Deve essere ricco di carità, di scienza e di prudenza: se manca una di queste tre qualità, c’è pericolo. Ti ripeto, chiedilo a Dio e, una volta che l’hai trovato, benedici la sua divina Maestà, fermati a quello e non cercarne altri; ma avviati, con semplicità, umiltà e confidenza; il tuo sarà un viaggio felice.

Capitolo V

SI DEVE COMINCIARE DALLA PURIFICAZIONE DELL’ANIMA

"I fiori sono apparsi nei campi", dice lo Sposo nel Cantico dei Cantici, "è giunto il tempo di potare e sfrondare". I fiori del nostro cuore, o Filotea, sono i buoni desideri. Ora, appena compaiono, bisogna mettere mano alla roncola per sfrondare dalla nostra coscienza tutte le opere morte e inutili. La ragazza straniera, per sposare un Israelita, doveva togliersi la veste della prigionia, tagliarsi le unghie e radersi i capelli: similmente l’anima che vuole andare sposa al Figlio di Dio, deve spogliarsi del vecchio uomo e rivestirsi del nuovo, lasciando il peccato; poi tagliare e radere tutti gli impedimenti che distolgono dall’amore di Dio.

Essersi purificati dalla malizia del peccato è l’inizio della salvezza. S. Paolo venne purificato totalmente in un attimo; lo stesso avvenne a Caterina da Genova, S. Maddalena, S. Pelagia e qualche altro. Ma questa sorta di purificazione è miracolosa ed eccezionale in grazia, come la resurrezione dei morti lo è in natura: non possiamo pretenderla.

Ordinariamente la purificazione, come la guarigione, sia del corpo che dello spirito, avviene adagio adagio, per gradi, un passo dopo l’altro, a fatica e con il tempo. Sulla scala di Giacobbe gli Angeli hanno le ali, ma non volano, anzi salgono e scendono ordinatamente, uno scalino dopo l’altro. L’anima che sale dal peccato alla devozione viene paragonata all’alba, che, quando spunta, non mette immediatamente in fuga le tenebre, ma gradatamente.

Dice il Saggio che la guarigione la quale avviene senza fretta è sempre la più sicura; le infermità del cuore, come quelle del corpo, vengono a cavallo o in carrozza, ma se ne vanno a piedi e al piccolo trotto.

Devi essere dunque coraggiosa e paziente in questa impresa, Filotea. Che pena vedere anime che, scoprendo di essere afflitte da molte imperfezioni, dopo essersi impegnate per un po’ nel cammino della devozione, si inquietano, si turbano e si scoraggiano e rischiano di cedere alla tentazione di lasciare tutto e di tornare indietro. D’altra parte, uguale pericolo corrono quelle anime che, per la tentazione contraria, si illudono di essere liberate dalle loro imperfezioni il primo giorno della purificazione, e si considerano perfette ancor prima di essere fatte: pretendono di volare senza le ali! Filotea, quelle sono veramente in grande pericolo di cadere, perché troppo presto hanno voluto sottrarsi alle mani del medico. Non alzarti prima che ci si veda, dice il Profeta Davide; e alzati dopo esserti seduto! Egli stesso mette in pratica quello che dice e, una volta lavato e profumato, chiede di rimettersi all’opera.

L’esercizio della purificazione dell’anima può e deve finire soltanto con la vita: perciò non agitiamoci per le nostre imperfezioni; quello che si chiede a noi è di combatterle; se non le vedessimo, non potremmo combatterle e non potremmo vincerle se non ci imbattessimo in esse. La nostra vittoria non consiste nel non sentirle, ma nel non acconsentirvi; e non è acconsentire esserne turbati. Anzi, ogni tanto, ci fa bene una ferita in questa battaglia spirituale, per fortificare la nostra umiltà; non saremo mai vinti finché non avremo perso la vita o il coraggio.

Le imperfezioni e i peccati veniali non possono strapparci la vita spirituale, che si perde soltanto con il peccato mortale; è il coraggio di combattere che non dobbiamo perdere! Diceva Davide: Liberami, Signore, dalla vigliaccheria e dallo scoraggiamento. In questa guerra ci troviamo in una condizione di favore, perché, per vincere, ci basta la volontà di combattere.

Capitolo VI

PRIMA PURIFICAZIONE: DAL PECCATO MORTALE

La prima purificazione è quella dal peccato; il mezzo: il sacramento della penitenza. Cercati il miglior confessore che puoi; serviti anche di qualche libretto scritto a questo scopo; leggi con attenzione e nota, punto per punto, dove hai mancato, cominciando da quando hai avuto l’uso di ragione fino a oggi. Se ti fidi poco della memoria, metti per iscritto quello che hai trovato. Una volta trovate e messe insieme le brutture peccaminose della tua coscienza, detestale e respingile con una contrizione e un dispiacere grande quanto il tuo cuore riesce a concepire, prendendo in considerazione questi quattro punti: per il peccato tu hai perso la grazia di Dio, hai perso il diritto al paradiso, hai accettato i tormenti eterni dell’inferno, hai rinunciato all’eterno amore di Dio.

Hai capito, Filotea, che ti parlo della confessione generale di tutta la vita che, lo so bene anch’io, fortunatamente, non sempre è necessaria; ma io la considero molto utile in questo inizio, per cui te la consiglio vivamente.

Capita spesso che le confessioni abituali di coloro che conducono una vita ordinaria di cristiani comuni, siano piene di difetti: per lo più si prepara poco o per niente, non si ha la contrizione richiesta, anzi capita addirittura che molte volte ci si vada a confessare con il segreto proposito di tornare a peccare, visto che non si ha alcuna intenzione di evitare l’occasione, né di prendere gli opportuni accorgimenti per correggersi; in tutti questi casi la confessione generale è necessaria per dare una scossa all’anima.

Inoltre la confessione generale ci porta a conoscere noi stessi, ci provoca a una salutare vergogna del nostro passato, ci fa ammirare la misericordia di Dio, che ci ha atteso con tanta pazienza; porta la pace nel cuore, la serenità nello spirito, suscita buoni propositi, offre l’occasione al nostro padre spirituale di darci consigli più adatti alla nostra reale situazione e ci apre il cuore alla semplicità fiduciosa che ci farà essere molto sinceri nelle confessioni che seguiranno.

E poiché parliamo di un rinnovamento generale del cuore e della conversione totale dell’anima a Dio, per mezzo della vita devota, mi sembra, o Filotea, di avere ragione nel consigliarti questa confessione generale.

 

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